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A Firenze, la lotta operaia della Gkn

di Silvia Giagnoni

DSCF3055 1536x1229Nelle vite dei 422 lavoratori della Gkn Driveline Firenze, c’è un prima e un dopo e lo spartiacque è la mattina del 9 luglio 2021. La giornata è di sole e alcuni hanno pensato di approfittarne per andare al mare, magari con la famiglia, visto che l’azienda ha messo tutti in permesso collettivo. “Un piccolo calo di lavoro”, la giustificazione; niente di anomalo, vista la crisi in cui versa da tempo il settore automobilistico. Lo stabilimento di via fratelli Cervi a Campi Bisenzio produce materiali (assi e semiassi) di alta qualità e soprattutto è situato in una posizione strategica per il suo principale cliente, Stellantis-FCA, la multinazionale di cui fanno parte Fiat Chrysler Automobiles e il francese PSA Group.

Intorno alle 10, la RSU riceve un’e-mail che annuncia la chiusura dello stabilimento: è un fulmine a ciel sereno. Parte subito il messaggio agli operai, e poi i vocali concitati: non chiamate, per favore. Ci troviamo davanti alla fabbrica!

Nel giro di pochi minuti decine di lavoratori accorrono in via fratelli Cervi. Dentro, gli uomini di Sicuritalia, tutti vestiti di nero, si mettono subito al telefono. Continua ad arrivare gente, ci sono anche amici, mogli, bambini. Poi, una trentina di operai solleva il cancello dalle guide, lo sposta, un centinaio di persone entrano. Arrivano i carabinieri, la Digos, la sicurezza se ne va. L’occupazione dello stabilimento della Gkn comincia prima che rintocchi il mezzogiorno. È assemblea permanente.

I turni del gruppo di supporto di cui faccio parte cominciano la rovente settimana di Ferragosto. Il nostro compito: presidiare assieme ai lavoratori la loro fabbrica.

Quando nel primo pomeriggio dell’11 agosto arrivo alla Gkn sono un po’ nervosa, visto che in serata c’è la manifestazione e la maggior parte dei lavoratori sarà in piazza. Ma Paolo Marini, coordinatore del gruppo di supporto, mi rassicura: la situazione è tranquilla, adesso. Solo nei giorni successivi all’occupazione dei “birbaccioni”, ceffi probabilmente mandati dall’azienda, dice Marini, hanno provato ad entrare.

“A Follonica si è abbassato il livello dell’acqua!” scherza un tipo con un compagno grassoccio appena rientrato dal mare. Si ride in attesa che cominci l’assemblea giornaliera. Si vocifera che Elon Musk, in questi giorni a Firenze, possa comprare l’azienda. Se ne dicono tante, di fatto, nelle lunghe ore trascorse al presidio, perché si può solo speculare di fronte a tanta incertezza.

“Quel venerdì 9 luglio, abbiamo realizzato che avevamo poche alternative se non cambiare tutto il mondo che avevamo attorno”, dice alla manifestazione la sera Dario Salvetti, RSU Fiom di Gkn, davanti alle 3500 persone arrivate in Piazza della Signoria in occasione dell’Anniversario della Liberazione della città da parte dei partigiani. Salvetti si riferisce alle leggi che hanno sconvolto il mondo del lavoro negli ultimi 30 anni, allo strapotere del fondo finanziario, al probabile disimpegno di Stellantis dall’Italia, ai media abituati sempre a giustificare le logiche dell’economia di mercato. I lavoratori di Gkn non ci stanno ad essere tra le prime vittime dello sblocco dei licenziamenti e sono convinti che il loro debba essere “un caso esemplare”.

Come illustra bene Naomi Klein in The Shock Doctrine, il Potere approfitta dei momenti di crisi, per spingere ancor più l’acceleratore su speculazioni e aumento del profitto per pochi ai danni dei più che si concretizzano in politiche di stampo neoliberista. Un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano ha rivelato che già nel bilancio del 2018 la Whirlpool, altra multinazionale che ha usufruito di finanziamenti pubblici e che ha avviato la procedura di licenziamento dei 340 operai di Napoli a luglio nonostante abbia chiuso nel 2020 con un miliardo di profitti, volesse chiudere lo stabilimento campano.

“Loro hanno calcolato tutto e se dobbiamo vincere dobbiamo uscire dal loro calcolo”

(Dario Salvetti, delegato RSU Fiom GKN Firenze, 11 Agosto 2021)

“La Liberazione”, prosegue Salvetti, “è un processo (…) Liberazione oggi significa cambiare i rapporti di forza nella società”. Il caso Gkn può restare cronaca, “l’ennesima cronaca della vertenza che finisce sempre nello stesso modo (…)”, continua, oppure “far sì che Gkn sia un piccolo pezzo di Storia”.

La mattina dell’11 agosto, Matteo Moretti, altro delegato RSU, ha avuto il privilegio di suonare la Martinella. Un gesto dal forte significato simbolico: il suono della storica campana fiorentina era un tempo la chiamata alle armi, ma soprattutto per i cittadini del capoluogo toscano vuol dire Liberazione dai nazifascisti. È motivo di grande orgoglio per la città, come mi raccontano gli operai della Gkn, che siano stati proprio i partigiani — la divisione “Arno” della Brigata Sinigaglia, la cui bandiera è appesa davanti ai cancelli dello stabilimento e apre i cortei di protesta dai lavoratori dell’automotive — a liberare Firenze. La stessa lotta dei lavoratori della Gkn nasce nel segno della Resistenza con il motto preso a prestito dai partigiani, #Insorgiamo!

La paura di essere cronaca è quella di finire come la Bekaert di Figline Valdarno, l’azienda leader nella produzione del cordino di acciaio per gli pneumatici, il cui triste epilogo — il licenziamento dei 112 operai rimanenti — è arrivato infine a maggio di quest’anno, nonostante l’occupazione, la solidarietà, le canzoni di Sting, le promesse, le ipotesi di reindustrializzazione, l’esperimento di autogestione con la cooperativa. Per evitare che la fabbrica venisse svuotata dai macchinari, nei giorni immediatamente successivi all’occupazione, il sindaco di Campi Bisenzio, Emiliano Fossi (PD), ha firmato un’ordinanza che vieta l’avvicinamento di tir e camion alla Gkn. Il Presidente della Regione, Eugenio Giani, ha chiamato il licenziamento un “atto di pirateria finanziaria”, minacciando di avviare una campagna internazionale contro Melrose. La Regione ha approvato una mozione richiedente la continuità produttiva dell’azienda, ma poi sono andati tutti in ferie. Da settimane, i lavoratori chiedono un Consiglio straordinario davanti alla fabbrica, in nome di una “localizzazione” della lotta, a fronte della paventata delocalizzazione produttiva. I posti da difendere sono 500: i 422 operai (tutti uomini) della Gkn e le 88 lavoratrici e lavoratori delle ditte in appalto — coloro che si occupano delle pulizie (Easy Group) e i carrellisti vengano risparmiati dalla furia neoliberista che ha travolto lo stabilimento.

In Gkn la RSU ha un forte potere contrattuale. Dotatasi di un Collettivo di Fabbrica nel 2017, ha accresciuto la propria rappresentanza sindacale (fino a 20) con la creazione di 12 “delegati di raccordo” (ottobre 2018), che hanno la funzione di liaison tra il Consiglio, il Collettivo appunto e l’Assemblea dei lavoratori, il che fa sì che ci sia una discussione costante sullo stato dei reparti. La sconfitta alla Gkn, quindi, potrebbe voler dire aprire le porte a migliaia di licenziamenti (ben 70.000 secondo alcune stime).

Alla coesione interna dei lavoratori Gkn ha contribuito nelle ultime settimane anche la solidarietà di molti (sindacalisti, lavoratrici, studenti, familiari, e amici dei lavoratori Gkn provenienti anche da altre Regioni) disposti a dar mano al presidio, le ARCI e i ristoratori che portano cibo, i lavoratori del centro commerciale I Gigli al di là della strada, la Protezione Civile, che ha installato una cucina da campo, persone prima di tutto, che hanno scelto di trascorrere qui giorni di ferie per consentire ai lavoratori della Gkn di fare qualche giorno di mare oppure anche solo di riposarsi, perché c’è chi proprio non riesce ad andare in ferie: “la testa tornerebbe sempre lì”, e preferisce restare vicino ai compagni.

Al “boschetto”, l’area ombreggiata su uno dei lati dello stabilimento dove vengo mandata a presidiare, incontro Simone Cecconi. Simone è un ragazzone di 35 anni, alto quasi due metri. Prima lavorava alle macchine monoblock dove faceva le “campane” dei semiassi. Ha girato un po’ tutti i reparti ma adesso è al montaggio, un lavoro più fisico, che a Simone piace di più. “Se chiudono davvero”, dice guardandosi le mani, “Io entro in depressione”. Per Simone, entrato a lavorare qui a 20 anni, la Gkn è come una famiglia, e non sarà il primo a dichiararmi il forte legame che esiste tra gli operai. Anche Christian Iorizzo, al presidio con la moglie Arianna, mi parla del gruppo di carp-fishing di cui fa parte, di amicizie e amori nati in fabbrica. È Arianna a farmi vedere il video dello scorso Natale di Andrea Ghezzi, amministratore delegato di Gkn Firenze. Mi fa notare l’immagine spersonalizzante del background, una foto dello stabilimento fatta forse da un drone, gli occhi di Ghezzi impegnati a recitare le parole scritte sul gobbo.

La prima cosa che ha fatto il fondo Melrose quando nel 2018 ha acquisito Gkn è stata abolire i tornei di calcetto che si svolgevano regolarmente tra gli stabilimenti europei del gruppo — a Brunico, dove l’azienda ha l’altra sede italiana. “Era stato per ridurre i costi”, mi riferisce Christian scuotendo la testa.

Negli ultimi anni, si sono succeduti diversi Ad in Gkn. Poco prima dello scoppio della pandemia, arriva a Firenze Corso Balboni: a differenza di Ghezzi, che delega agli addetti al personale anche la distribuzione dei tradizionali ceppi, Balboni vuole conoscere personalmente gli operai. Si dice “entusiasta” di essere tornato a lavorare vicino casa. La settimana successiva, dà le dimissioni.

Nell’estate del 2018, viene portato via un pezzo di Ducato, “uno dei volumi produttivi più importanti per noi” mi spiega Salvietti. Nell’ottobre dello stesso anno, dopo una serie di scioperi, la RSU riesce a riportare il Ducato a Firenze e a strappare un accordo che richiede all’azienda di comunicare al sindacato l’esternalizzazione futura di altri volumi.

Balboninei tre mesi in Gkn individua però degli esuberi. La RSU ne prende atto ed elabora un piano (“in cui nessuno viene licenziato, anzi”) con cui va a parlare in Regione, anche contro l’opinione del sindacato perché invece, adesso, la nuova dirigenza nega l’esistenza di tale problema.

Il tempo è il nemico numero uno dei lavoratori della Gkn così come lo è stato per quelli della Bekaert. Da qui l’appello, accolto dai giuristi progressisti, ad elaborare una legge anti-delocalizzazione “con le teste” dei lavoratori (e non sulle loro teste); in questo senso i lavoratori della Bekaert hanno fatto da apripista ad un nuovo protagonismo operaio scrivendo un emendamento che è servito a reintrodurre la cassa integrazione per fine attività che era stata tolta con il Jobs Act. L’appello dei metalmeccanici di Gkn è anche al mondo universitario per sviluppare proposte concrete di riconversione ecologica e del prodotto — termini che preferiscono rispetto all’ambiguo “re-industrializzazione.” Essere Storia per loro, vuol dire continuare a produrre, continuare a lavorare insieme.

Guadagnare tempo è in fondo anche lo scopo primario della vertenza nazionale contro l’azienda per condotta antisindacale e violazione dell’art.28 dello Statuto dei Lavoratori (la sentenza potrebbe già essere arrivata quando uscirà questo articolo). Con essa, c’è la richiesta da parte della RSU della “rimozione del danno,” in questo caso la 223, la procedura di licenziamento e la serrata (cioè, l’aver lasciato i lavoratori fuori dalla fabbrica). Se il giudice del lavoro darà loro ragione, la Gkn dovrà quantomeno ripetere “in maniera più corretta la procedura”. Per guadagnare tempo, va anche la creazione di una Cassa di Resistenza in collaborazione con la MAG, cooperativa mutualistica finanziaria e autogestita, presso Banca Etica, cassa che potrebbe servire proprio per attivare forme di mutualismo operaio che consentirebbero ai lavoratori di resistere più a lungo.

La Gkn di Firenze (dal 1996 a Campi, un tempo parte della Fiat di Novoli) era sinonimo di manodopera altamente specializzata, possedeva un know-how unico, che dava allo stabilimento (e alla sua forza-lavoro) un notevole valore aggiunto. Per anni la RSU ha lottato contro gli investimenti quasi esclusivi sull’assemblaggio. “Circa 40 milioni di euro di investimenti negli ultimi dieci anni,” calcola Salvetti. “Ne abbiamo fatti diversi di ‘scioperi sul programma,’” mi spiega, “ma l’unico modo in cui si conclude uno sciopero sul futuro è con la firma di un accordo che però di fatto non ha nessuna validità”.

Esattamente un anno prima di licenziare tutti, infatti, il 9 luglio del 2020 Gkn firma, in sede regionale, un accordo a seguito di uno sciopero in solidarietà con i 20 lavoratori in staff leasing licenziati in pieno lockdown. Proprio in quel documento, l’azienda ribadisce la validità di tutti gli accordi pre-Covid, e di lavorare “alla tenuta occupazionale dello stabilimento”. Già a settembre 2020 vengono chiamati altri 20 ragazzi precari, senza passare dalla RSU, violando quindi l’art.28 e l’accordo del 14 febbraio in cui l’azienda si era impegnata a non usare la tipologia contrattuale dello staff leasing né altri contratti atipici senza prima un confronto con il sindacato.

Quella vertenza viene vinta (e siamo a gennaio 2021), ma di fatto poco cambia, anche perché non esiste una componente sanzionatoria dell’art.28. La RSU incalza invece la Regione a rilanciare un tavolo sul futuro della Gkn. Salvetti non ha dubbi: le istituzioni locali sapevano dell’investimento in macchinari che gravava sul bilancio dell’azienda, del cattivo management, del costante cambio di dirigenti che disorganizzava il lavoro, dei continui richiami (ribaditi negli accordi) alla “sovraccapacità produttiva dell’azienda” a cui faceva seguito la costruzione di nuovi macchinari, i cui volumi produttivi non era chiaro quali dovessero essere.

Secondo la RSU della Gkn, non è tanto il costo del lavoro il motivo per cui l’azienda vuole chiudere Firenze. Ci sono altri costi da tener presente quando si fanno semiassi. “Non facciamo componentistica per telefonini”, mi ricorda Massimo Barbetti, delegato RSU. Esiste un costo notevole legato ai trasporti e Firenze, fino ad ora, aveva una sua posizione strategica per FIAT. Ma questa mossa fa pensare che Stellantis voglia delocalizzare altrove (forse in Turchia o nell’Europa dell’est) la produzione chiudendo lo stabilimento di Pomigliano D’Arco. (Il braccio dell’automotive della multinazionale, Gkn Driveline, ha stabilimenti in Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Slovenia, Svezia e Turchia).

È di fine agosto il richiamo di Michele de Palma (Fiom): “l’Italia deve decidere se vuole restare un Paese industriale”. Per il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, mettere vincoli alle delocalizzazioni fa scappare le imprese. L’attuale governo deve decidere se porre al centro della propria politica le persone e il diritto al lavoro dignitoso piuttosto che il profitto. Le imprese stesse hanno una responsabilità sociale secondo la nostra Costituzione (art. 41), Costituzione il cui spirito partigiano e solidale i lavoratori Gkn incarnano con la loro “effettiva partecipazione” “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3), come fatto notare da Alessandra Algostino su Il Manifesto.

“L’hai mai visto lo stabilimento dentro?” mi chiede Andrea Vignozzi, operaio dal 2007 in Gkn, durante il mio turno al boschetto.

Scuoto la testa. Gli esterni (come me) non hanno accesso alla fabbrica vera e propria, dove ci sono tutti le celle di montaggio e i macchinari super tecnologici, alcuni dei quali ancora imballati. Possiamo solo accedere ai corridori per andare in bagno. Quello che ho intravisto però mi ha colpito per le dimensioni, enormi, dei macchinari. E poi il silenzio. Il silenzio della fabbrica ferma.

“È una bellezza”, continua, e gli brillano gli occhi.

Quando Massimo Barbetti, in una visita successiva, mi porta a fare un tour della fabbrica, scopro che i macchinari sono in realtà accesi.

“Li abbiamo lasciati così… simbolicamente,” mi dice Barbetti.

E fanno anche rumore, un white noise dolce come una ninna nanna e anch’io ora voglio che non si spenga.

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