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sebastianoisaia

Sul potere sociale della scienza e della tecnologia

di Sebastiano Isaia

Alcune riflessioni intorno alla natura storico-sociale della scienza e della tecnologia, sul concetto di uso capitalistico delle macchine, sul “neoluddismo” e sulla possibilità di una scienza e di una tecnica pienamente – o semplicemente – umane

kazimir severinovich malevich peasant woman with buckets and a childDopo millenni di illuminismo, il panico
torna a calare su di una umanità il cui
dominio sulla natura, in quanto dominio
sugli uomini, supera di gran lunga, in fatto
di orrore, tutto ciò che gli uomini ebbero
mai a temere dalla natura.
T. W. Adorno, Minima moralia.

Il capitale, forzando la scienza a servirlo,
costringe sempre alla docilità la mano ribelle
del lavoro (A. Ure, La filosofia delle manifatture).
E non solo la mano, se posso chiosare.

La miseria viene non tanto dagli uomini,
quanto dalla potenza delle cose.
E. Buret, Corso di economia politica.
Ma la «potenza delle cose» non è che la
potenza del Capitale!

La razionalità tecnica di oggi non
è altro che la razionalità del dominio.
M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo.

Qui di seguito riprendo parte delle considerazioni che su alcuni aspetti del capitalismo del XXI secolo ho svolto in diversi scritti (1) nel tentativo, non so quanto riuscito, di proiettare un cono di luce soprattutto su un punto del tema da me affrontato, la cui grande rilevanza teorica e politica certamente non sfuggirà al lettore, ossia sull’intima e inscindibile relazione che corre tra l’uso (capitalistico) della tecnologia e della scienza e la loro natura storico-sociale (capitalistica).

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euronomade

Una grande politica della transizione aperta all’imprevisto

Chiara Giorgi intervista Étienne Balibar

BOCCHE Sketch26322130 960x640Étienne Balibar interverrà al La conferenza di Roma sul comunismo, il giorno 21 gennaio (ore 16, Esc Atelier Autogestito) su «Poteri comunisti». Essendo tra i filosofi marxisti più noti e autorevoli del dibattito europeo contemporaneo relativo ai temi della cittadinanza e della democrazia, abbiamo deciso di intervistarlo al fine di anticipare alcune delle questioni più salienti che verranno affrontate durante la conferenza romana.

* * * *

La rappresentazione che Marx aveva del comunismo era di alternativa al capitalismo, il quale d’altronde ne preparava già le condizioni. Su questo si è aperta una delle grandi questioni del comunismo (centrale nel dibattito marxista novecentesco e nella storia dei paesi socialisti), quella relativa alla nozione stessa di transizione. Lei ha osservato in La filosofia di Marx che lungi dall’esserci in questi una visione evoluzionistica, la “transizione” intravista è invece «una figura politica della “non contemporaneità” del tempo storico a sé, ma che rimane iscritta nel provvisorio». Non è in questo antievoluzionismo e nel suo rinvio all’imprevisto, ad una molteplicità di processi, alla stessa rottura rivoluzionaria a risiedere uno dei punti vitali del comunismo oggi?

L’idea di comunismo ereditata da Marx ha una storia lunga, che attraversa tutta la modernità ed è legata a doppio filo con eresie religiose e rivolte sociali.

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materialismostorico

Nella fossa dei leoni. Si può leggere Il capitale di Marx a partire dalle Tesi su Feuerbach?1

di Wolfgang Fritz Haug*

Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp. 75-91Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/602

Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.

a4f31296777f5ac938a3eeecf966b1afCercheremo qui di abbattere i muri che agli occhi di molti impediscono alla filosofia della prassi di introdursi nel regno del Marx più maturo. Il primo di questi muri è stato eretto tra le Tesi su Feuerbach e la critica dell’economia politica; un secondo tra il giovane Marx e il Marx maturo, con la conseguenza della nascita di una specie di dualismo marxologico; un terzo muro, infine, è stato costruito tra la società e la natura.

Se riusciremo a sospendere la quarantena nella quale gli strutturalisti hanno rinchiuso le Tesi su Feuerbach, il sarcasmo di Althusser dovrà cessare e la filosofia della prassi non sarà più «la bella conversazione notturna dei nostri leoni intellettuali da salotto»2. Non si potrà più dire allora, con il filosofo francese, che «il primato della prassi è la prima parola di ogni idealismo». E vacillerà anche l’ultima separazione, quella tra la società, o la cultura, e la natura.

 

Nella bocca del lupo economico: l’asse metodologico

Althusser arriva alla conclusione per cui le Tesi non possono essere utilizzate come punto di partenza della filosofia marxista. Questa, dice, «dovrà cercare il suo punto di partenza in un altro luogo, […] per poter partecipare da lontano alla trasformazione del mondo. Se si assume ciò, le Tesi su Feuerbach tornano al loro glorioso passato e finalmente si può parlare di un’altra cosa: di Per la critica dell’economia politica, dei Grundrisse, del Capitale».

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mat storico

Perché è nata la rivista "Materialismo Storico" e in che misura se ne poteva fare a meno guadagnando anche tempo

di Stefano G. Azzarà

Materialismo Storico 25Nell'epoca della frantumazione e della dispersione del nostro patrimonio politico e culturale, la moltiplicazione delle voci in campo non è ricchezza ma sintomo della debolezza e della confusione oggettivamente esistenti. Oltretutto, questa frantumazione è favorita dalla rivoluzione tecnologica digitale, che estendendo al livello di massa la possibilità di diventare piccoli produttori indipendenti di contenuti intellettuali, sollecita inevitabilmente atteggiamenti e derive anarchicheggianti.

Più che aggiungere sigle a sigle, riviste a riviste, insomma, bisognerebbe unire ciò che è stato diviso, sulla base di pochi punti minimi che definiscono una piattaforma di resistenza.

Ho chiaro questo problema da diversi anni. Nel momento in cui mi sono posto l'obiettivo di dare nuovamente un punto di riferimento agli studiosi di orientamento marxista e storico-materialista, che si trovano oggi assai isolati nel lavoro accademico, la prima cosa che ho cercato di fare è stata perciò quella di partire dall'esistente, ovvero dalla realtà. E provare in primo luogo a rilanciare ciò che già c'era. Una rivista, in particolare, del cui comitato redazionale facevo parte e che da tempo languiva in una crisi editoriale e politico-culturale che era, a sua volta, specchio di una difficoltà più complessiva.

Proposi pertanto alla redazione e alla proprietà della rivista un progetto di ricostruzione, che passava anche per la fondazione di un Centro studi internazionale e per una serie di iniziative parallele.

Era il 2010, quando ancora esistevano possibilità migliori di quelle odierne. Quella mia proposta incontrò tuttavia le resistenze ottuse dei soggetti interpellati, del tutto indisponibili a perdere il controllo che esercitavano sulla testata (la quale, nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto cessare di essere una mera rivista di partito o di battaglia politica per diventare - unica possibilità di salvarla - una rivista scientifica riconosciuta come tale).

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materialismostorico

Althusser e la storia

Dalla teoria strutturale dell’intero sociale alla politica della congiuntura aleatoria e ritorno

André Tosel

Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp. 161-184Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/608

Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale. 

althusserIl futuro di Althusser dura a lungo

Non è per spirito di provocazione che modifichiamo il titolo della celebre autobiografia che Louis Althusser ha redatto dopo l' uccisione della moglie nel 1980 e dopo il suo ingresso nella notte dei morti viventi. L'epoca della crisi di egemonia del capitalismo mondializzato ha risvegliato lo spettro di Marx, come già il suo amico Jacques Derrida aveva avuto il coraggio di fare in quegli anni (1993). Per il suo percorso tormentato, per la sua attitudine a porre questioni divenute cruciali dopo la sconfitta della rivoluzione comunista, il pensiero di Althusser pretende ancora di fornire armi intellettuali in grado di sfidare i nostri tempi. Questo pensiero non si limita a tornare ma entra in una nuova orbita. In verità, tale orbita è una svolta che si realizza sotto il segno di un doppio lutto delle forme d'esperienza assunte dai movimenti antisistema: innanzitutto il lutto del movimento operaio, l'unico che in tutte le sue varianti, social-democratiche o comuniste, abbia avuto un'esistenza durevole nella modernità; e, legato a questo, il lutto del movimento anticolonialista e anti-imperialista che a sua volta nel comunismo aveva trovato sostegno.

Sono ormai maturi i tempi a che l'opera teorica cardine di Louis Althusser possa uscire da quel silenzio totale che l'ha tenuta rinchiusa nel corso degli anni ‘80-90 e possa essere interrogata per contribuire ad aprire una nuova prospettiva, fornendo così gli elementi indispensabili per quella critica dei tempi che ogni pensiero dell'emancipazione esige.

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blackblog

Reificazione ed Antagonismo

L'operaismo, la Teoria critica e le aporie del «marxismo autonomo»

di Frédéric Monferrand e Vincent Chanson

MaciunasL'operaismo e la Teoria critica francofortese non rappresentano soltanto due dei tentativi più stimolanti di rilancio del progetto marxiano della «critica dell'economia politica» negli anni 1960, ma costituiscono anche le due fonti d'ispirazione principali del «marxismo autonomo». Tuttavia, le divergenze così come i punti di incontro di queste due tradizioni raramente vengono studiate di per sé. Per Vincent Chanson e Frédéric Monferrand, un simile studio va svolto dal punto di vista di una teoria  del capitalismo. Da Adorno a Panzieri  e da Pollock a Tronti, in effetti si delinea una stessa diagnosi sul divenire-totalitario del capitale. Ma la questione di sapere quali pratiche opporre ad un tale processo, disegna un'alternativa in seno a questa costellazione: laddove in Negri e nei teorici post-operaisti, la sussunzione del sociale sotto il capitale produce di per sé una soggettività antagonista («l'operaio sociale» o «la moltitudine»). per Krahl, al contrario, implica un'accresciuta frammentazione della forza lavoro. E per Chanson e Monferrand, il riconoscimento di tale frammentazione costituisce la condizione di ogni ricomposizione politica del proletariato.

* * * *

Ci proponiamo qui, in quest'articolo, di instaurare un dialogo fra l'operaismo e la Teoria critica della Scuola di Francoforte, due tradizioni che hanno giocato un ruolo di primo piano nello sviluppo delle sinistre extraparlamentari tedesche ed italiane degli anni 1960, e che si sono sforzate di riattivare il senso ed il contesto del concetto di «critica» secondo il quale Marx pensava il suo rapporto con l'economia politica [*1].

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blackblog

Ritorno al futuro: le origini del capitalismo

di Benjamin Bürbaumer

Da una quarantina d'anni, il dibattito marxista sulle origini del capitalismo sembra oscillare fra due posizioni antagoniste. Da una parte, le elaborazioni delle teorie del sistema-mondo (Wallerstein, Arrighi, Gunder Frank), dall'altra, quelle del marxismo politico (Brenner, Meiksins Wood, Teschke). A fronte di questa eccessiva polarizzazione del dibattito sull'emergere del capitalismo, Benjamin Bürbaumer mette in evidenza il contributo della teoria dello sviluppo ineguale e combinato (SIC). Lungi dall'essere solamente un'alternativa teorica alle due prime correnti, l'approccio svolto dal SIC apre un vasto cantiere teorico e politico, che mette in gioco la pluralità delle assi di oppressione (genere, razza, imperialismo, ecologia) nella genesi della modernità. Rifuggendo da ogni eurocentrismo e da ogni terzomondismo, lo sviluppo ineguale si rivela un concetto centrale per pensare la dialettica spaziale attraverso la storia, e per riorientare la riflessione strategica anticapitalista

futuro5Il dibattito in seno al marxismo sulle origini del capitalismo rimanda in larga misura ad una valutazione dell'evoluzione del pensiero di Marx. Tuttavia, questo dibattito è ugualmente determinato dal contesto concreto in cui ha luogo. Ne L'Ideologia Tedesca e nel Manifesto del Partito Comunista, il giovane Marx ha presupposto le origini del capitalismo più che spiegarle [*1]. Il progresso tecnologico vi gioca un ruolo centrale in quanto «il regime feudale della proprietà» viene presentato come carico di «catene» che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, e dichiara che andrà in pezzi per questa ragione [*2]. Al contrario, autori come Claudio Katz [*3] ed  Ellen Meiksins Wood sottolineano come il Marx tardivo dei Grundrisse e del Capitale ponga l'accento sulle classi e sulle loro lotte, cose che è particolarmente ben illustrata dalla sezione sull'accumulazione nel I volume del Capitale. Questo testo mostra che la questione della proprietà dei mezzi di produzione si trova al cuore del capitalismo. Ciò non si riduce ad una semplice espansione quantitativa del commercio in quanto «al fondo del sistema capitalista, c'è la separazione radicale del produttore dai mezzi di produzione» [*4].

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materialismostorico

La scomparsa del marxismo nella didattica e nella ricerca scientifica in economia politica in Italia

di Guglielmo Forges Davanzati

1. Introduzione

Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp. 92-114. Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/604

Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.

marxismo9abÈ un dato di fatto che, nelle sue diverse declinazioni, il marxismo è stato espunto dai programmi di insegnamento dei corsi di Economia Politica in Italia, ed è del tutto marginale nella ricerca scientifica. È anche un dato di fatto che il marxismo italiano, nel corso del Novecento, ha fornito contributi di massima rilevanza sul piano internazionale e che quella tradizione può considerarsi, allo stato dei fatti, sostanzialmente terminata. Per le motivazioni che verranno presentate a seguire, si è imposto un nuovo paradigma dominante che, per pura semplicità espositiva, possiamo definire neoliberista (si vedrà infra che tale definizione è alquanto riduttiva, sebbene diffusamente utilizzata).

In prima approssimazione, potrebbe risultare sorprendente che queste teorie risultino dominanti, a ragione del loro palese fallimento; un fallimento che attiene sia alla diagnosi della crisi e alle fallaci prescrizioni di politica economica che ne derivano, sia alla palese incapacità previsionale (cfr. Sylos Labini, 2016). Tuttavia, una ricerca di Luca De Benedictis e Michele Di Maio, condotta somministrando questionari a economisti accademici italiani, rileva che solo il 3% degli intervistati si dichiara marxista, a fronte del circa 50% di economisti che si dichiara “eclettico” e “neoclassico” e del 20% che non si dichiara affatto, considerandosi verosimilmente un economista nell’accezione di Maffeo Pantaleoni (per il quale esistono due scuole in Economia: chi la conosce e chi non la conosce)1.

Questo saggio si propone di individuare ragionevoli motivazioni che possono essere poste a fondamento di questo “salto paradigmatico”, con due precisazioni preliminari.

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facciamosinistra

Il ritorno di Engels

di John Bellamy Foster

engels 3Poche collaborazioni politiche ed intellettuali sono paragonabili a quella fra Karl Marx e Friedrich Engels. Non scrissero insieme solo 'Il manifesto comunista' del 1848, prendendo parte alla rivoluzione di quello stesso anno, ma anche due lavori precedenti, la 'Sacra famiglia' del 1845 e l'Ideologia tedesca' del 1846. Alla fine del decennio 1870, quando i due socialisti scientifici abitarono vicino e poterono conferire quotidianamente, erano soliti camminare avanti e indietro, ognuno su un lato della stanza, nello studio di Marx, lasciando segni sul pavimento quando si giravano sui tacchi, mentre discutevano di svariate idee, piani e progetti.

Spesso si leggevano l'un l'altro passaggi dei loro lavori in corso di realizzazione. Engel lesse l'intero suo manoscritto Anti-Dühring (al quale Marx collaborò nella stesura di un capitolo) a Marx prima della pubblicazione. Marx scrisse l'introduzione a 'Il socialismo: dall'utopia alla scienza' di Engels. Dopo la morte di Marx nel 1883, Engels preparò per la publicazione i volumi secondo e terzo del 'Capitale', traendoli dalle bozze che l'amico aveva lasciato. Se Engels, come egli stesso ammise, stava all'ombra di Marx, fu nondimeno, a pieno titolo, un gigante intellettuale e politico. Eppure per decenni gli accademici hanno detto che Engel avrebbe distorto e sminuito il pensiero di Marx. Come il politologo John L. Stanley ha criticamente osservato nel suo postumo 'Lineamenti di Marx' del 2002, i tentativi di distinguere Marx da Engels – al di là della differenza che, ovviamente, si trattava di due individui con talenti e interessi diversi – hanno prevalentemente assunto la forma di una dissociazione di Engels, vista come la fonte di tutto ciò che vi è di reprensibile nel Marxismo, da Marx, visto come il compendio dell'uomo di lettere civilizzato, e non un Marxista egli stesso.

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materialismostorico

Gramsci e la Russia sovietica

Il materialismo storico e la critica del populismo

Domenico Losurdo

Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp 18-41. Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/600

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1920 fabbriche occupate1. «Collettivismo della miseria, della sofferenza»

Com’è noto, la rivoluzione che tiene a battesimo la Russia sovietica e che, contro ogni aspettativa, si verifica in un paese non compreso tra quelli capitalistici più avanzati, è salutata da Gramsci come la «rivoluzione contro Il capitale». Nel farsi beffe del meccanicismo evoluzionistico della Seconda Internazionale, il testo pubblicato su «Avanti!» del 24 dicembre 1917 non esita a prendere le distanze dalle «incrostazioni positivistiche e naturalistiche» presenti anche «in Marx». Sì, «i fatti hanno superato le ideologie», e dunque non è la rivoluzione d’Ottobre che deve presentarsi dinanzi ai custodi del «marxismo» al fine di ottenere la legittimazione; è la teoria di Marx che dev’essere ripensata e approfondita alla luce della svolta storica verificatasi in Russia1. Non c’è dubbio, memorabile è l’inizio di questo articolo, ma ciò non è un motivo per perdere di vista il seguito, che non è meno significativo. Quali saranno le conseguenze della vittoria dei bolscevichi in un paese relativamente arretrato e per di più stremato dalla guerra?:

«Sarà in principio il collettivismo della miseria, della sofferenza. Ma le stesse condizioni di miseria e di sofferenza sarebbero ereditate da un regime borghese. Il capitalismo non potrebbe subito fare in Russia più di quanto potrà fare il collettivismo. Farebbe oggi molto meno, perché avrebbe subito di contro un proletariato scontento, frenetico, incapace ormai di sopportare per altri i dolori e le amarezze che il disagio economico porterebbe […]. La sofferenza che terrà dietro alla pace potrà essere solo sopportata in quanto i proletari sentiranno che sta nella loro volontà, nella loro tenacia al lavoro di sopprimerla nel minor tempo possibile».

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gyorgylukacs

“L’intero segreto della concezione critica”

Sul lavoro in Lukács e Marx

di Matteo Gargani

factory workersI. Nel gennaio 1868, armato della consueta mordacità, Marx confessa al sodale di sempre Friedrich Engels come il «Kerl» di turno, Privatdozent di filosofia ed economia politica a Berlino Eugen Dühring, abbia mancato il senso del I libro de Il Capitale. L’«intero segreto della concezione critica» – scrive Marx riferendosi proprio alla sua «Critica dell’economia politica» – sta nel fatto che «se la merce ha il doppio carattere di valore d’uso e valore di scambio, allora anche il lavoro rappresentato nella merce deve avere carattere doppio». Centrale è quindi la distinzione tra «lavoro astratto» e «lavoro concreto», sfuggita non solo a Dühring, ma secondo Marx anche agli stessi fondatori dell’economia politica: «la semplice analisi fondata sul lavoro sans phrase come in Smith, Ricardo ecc. deve sempre andare a sbattere in questioni inesplicabili»1. Ricorrendo alla nota immagine della rivoluzione copernicana, possiamo dire che Marx individua quella da lui operata nel campo dell’economia politica nella fondamentale distinzione tra «lavoro astratto» e «lavoro concreto», pendant soggettivo della doppia natura del valore già incorporata nella merce. È proprio sul «concetto di lavoro» nell’intera opera di uno tra i più celebri filosofi del xx secolo che si concentra Individuo, lavoro, storia. Il concetto di lavoro in Lukács di Antonino Infranca.

Il testo in questione, tuttavia, si colloca su un terreno diverso rispetto al piano «critico» evocato da Marx nella lettera a Engels.

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consecutiorerum

L’ambivalenza della «Gewalt» in Marx ed Engels

A partire dall’interpretazione di Balibar

Luca Basso

Joan Mitchell 1969 Untitled 11818 600x747

 In der wirklichen Geschichte spielen bekanntlich
Eroberung, Unterjochung, Raubmord, kurz
Gewalt die große Rolle. In der sanften
politischen Ökonomie herrschte von jeder
die Idylle.
K. Marx, Das Kapital

Das Recht auf Arbeit ist im bürgerlichen Sinn ein
Widersinn, ein elender, frommer Wunsch,
aber hinter dem Rechte auf Arbeit steht die Gewalt
über das Kapital […], also die Aufhebung der
Lohnarbeit, des Kapitals und ihres
Wechselverhältnisses.
K. Marx, Die Klassenkämpfe in Frankreich 1848 bis 1850 

La riflessione intorno alla struttura e alla valutazione della Gewalt ha sempre costituito una questione controversa all’interno del marxismo, a causa delle (apparenti o reali) ambiguità esistenti all’interno del percorso teorico di Marx ed Engels, e a causa della rilevanza delle conseguenze politiche insite in una determinata scelta di campo al riguardo. La trattazione del concetto indicato, da parte di Marx e Engels, si contraddistingue per una sostanziale ambivalenza, presentando quindi una caratterizzazione complessa e articolata, che sembra irriducibile sia alla sua esaltazione in quanto “levatrice della storia”, sia, di converso, alla sua eliminazione sulla base di una conciliazione “irenica” fra marxismo e pacifismo.

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trad.marxiste

Marx, il marxismo e gli storici della Rivoluzione francese nel XX secolo(1)

di Julien Louvrier

guillotine1L’autore del saggio che segue adotta un approccio rigorosamente diacronico. Partendo dalle analisi di Marx sulla Rivoluzione francese, egli dimostra come gli scritti di quest’ultimo, spesso associato a Engels riguardo a tale soggetto, siano sempre precisamente contestualizzati e legati al tentativo di comprendere il presente. È Jean Jaures, con la sua Storia socialista della Rivoluzione francese, a fornire per primo una lettura globale degli eventi rivoluzionari basata sulla griglia interpretativa proposta da Marx. Una forma di banalizzazione di questa lettura si produce in seguito, attraverso lo sviluppo della storia economica e sociale, ad opera di storici che, senza aver letto troppo Marx, conservano del suo pensiero l’idea dell’importanza determinante della realtà economica. Nel contesto della Guerra fredda, tale interpretazione «sociale» della Rivoluzione è oggetto di vigorosi attacchi e condanne, in quanto espressione di un marxismo riduttivistico. Una rimessa in causa che prende le mosse da letture privilegianti il fattore politico, le quali, tuttavia, si aprono nuovamente, dopo alcuni anni, a ricerche che ripropongono la questione delle appartenenze sociali.

* * * *

Pensare il rapporto tra il marxismo e la storiografia della Rivoluzione francese comporta l’affermazione di un’ovvietà e di un paradosso. Lo storico della rivoluzione francese, che sia marxista o meno, non può fare a meno di Marx. Per descrivere le lotte sociali caratteristiche della società di Ancien Régime, comparare l’economia francese della fine del XVIII secolo con quella di altre potenze europee, formulare delle ipotesi circa le origini della Rivoluzione, appare difficile sottrarsi al lessico e alle analisi sviluppati dal filosofo di Treviri in tutta la sua opera.

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gyorgylukacs

Un «Testamento» senza eredi. Lukács e lo stalinismo

di Matteo Gargani

In margine a una raccolta di scritti di Lukács contro lo stalinismo, che prende nome da una importante intervista del 1971, inedita in italiano. Dal 1930 in poi è presente nella produzione del filosofo ungherese la lotta per la «democratizzazione». Il tema della «trasformazione del lavoro in lavoro socialista». La radicale alterità di Lukács allo stalinismo

lukacsIl 28 giugno 1956 le maestranze degli stabilimenti Zispo di Poznań sono riunite per discutere il contenuto degli accordi raggiunti tra la propria delegazione di ritorno da Varsavia e il governo centrale. Dall’assemblea si stacca un corteo spontaneo, raggiunge il centro della città ingrossandosi, i principali edifici della città sono assaltati. Il bilancio della giornata sarà drammatico: 38 morti e 270 feriti. La lettura degli eventi di Poznań costituisce per la sinistra italiana un primo banco di prova rispetto a un fenomeno molto complesso, che nell’imminente autunno ungherese assumerà dimensioni ben più drammatiche. Al comunicato pubblicato su l’Unità del 2 luglio in cui Di Vittorio invita a interrogarsi non solo sui provocatori, ma anche sulle ragioni del «profondo malcontento» serpeggiante tra gli operai polacchi, Togliatti risponderà l’indomani con una dura spalla intitolata La presenza del nemico. Lo stesso 28 giugno, a Budapest, Lukács tiene presso l’Accademia politica del Partito dei lavoratori la conferenza La lotta tra progresso e reazione nella cultura d’oggi. Siamo appena agli inizi di quel lungo periodo di conseguenze innescato dal XX congresso del Pcus di febbraio.

Nella sua relazione all’Accademia politica, Lukács espone senza infingimenti la complicata situazione presente, gli errori del passato, le difficili sfide future. Egli presagisce che dal XX Congresso potrebbe benissimo scaturire – come effettivamente sarà – un terremoto che, alla prova dei fatti, non cambierà nulla. La strada che quindi Lukács indica nel giugno 1956 al movimento socialista mondiale è quella di un’uscita culturale e politica da sinistra alla problematica istanza di rinnovamento apertasi con l’ultimo congresso del Pcus. L’uditorio è sollecitato, sopra ogni altra cosa, a scansare la schematica immagine di socialismo e capitalismo quali indistinto campo del progresso il primo e della reazione il secondo. Lukács esorta in tal senso a riprendere lo spirito del VII Congresso del Comintern del 1935, ossia a tradurre la linea dei Fronti popolari nell’odierna lotta politica tra capitalismo e socialismo.

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ilcovile

La divaricazione del '77

Baudrillard, Camatte, Collu versus Negri, Mieli, Foucault

di Stefano Borselli

A proposito di una profezia delnociana

hopper24Quella che viene comunemente chiamata «la profezia» di Del Noce sulla inevitabile trasformazione in movimento radicalborghese, è spesso intesa come attribuita a tutto il marxismo. Per esemplificare, ecco come Vittorio Messori riassume una sua intervista col filosofo, i corsivi sono nostri:

Era prevedibilissimo», rispondeva Del Noce a chi gli chiedeva conto di queste sue virtú «profetiche». «Non occorreva davvero essere indovini: persa per strada l’utopia rivoluzionaria, l’essenza di surrogato religioso, è restato al marxismo soltanto il suo aspetto fondamentale, di prodotto dell’illuminismo scientista, del razionalismo che esclude Dio per una scelta previa e obbligata. Anche il comunismo «all’europea», dunque, si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti piú salde ed essenziali».1

La lettura dei testi delnociani mostra tuttavia che il filosofo, ben consapevole della molteplicità delle interpretazioni di Marx, accortamente non parlava del marxismo in toto, ma si riferiva ad alcune sue aggettivazioni e segnatamente a quella cosiddetta gramsciana, in sostanza al PCI:

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trad.marxiste

Genere e famiglia in Marx: una rassegna

di Heather Brown

Jenny Karl MarxMolte studiose femministe hanno avuto, nel migliore dei casi, un rapporto ambiguo con Marx e il marxismo. Una delle questioni oggetto di maggiore contesa riguarda il rapporto Marx/Engels.

Gli studi di György Lukács, Terrel Carver e altri, hanno mostrato significative differenze tra Marx ed Engels circa la dialettica, così come su molte altre problematiche (1). Basandomi su tali lavori, ho esplorato le loro differenze riguardo alle questioni di genere nonché della famiglia. Ciò è di particolare rilevanza in rapporto ai dibattiti attuali, considerato che un certo numero di studiose femministe hanno criticato Marx ed Engels per quello che considerano il determinismo economico di questi ultimi. Tuttavia, Lukács e Carver indicano proprio nel grado di determinismo economico una notevole differenza tra i due. Entrambi considerano Engels più monistico e scientista di Marx. Raya Dunayevskaya è tra le poche a separare Marx ed Engels riguardo al genere, indicando nel contempo la natura maggiormente monistica e deterministica della posizione di Engels, in contrasto con una comprensione dialetticamente più sfumata delle relazioni di genere da parte di Marx (2).

In anni recenti, vi è stata scarsa discussione intorno agli scritti di Marx su genere e famiglia, ma negli anni Settanta e Ottanta, essi erano oggetto di numerosi dibattiti. In alcuni casi, elementi della più complessiva teoria marxiana andavano a fondersi con la teoria femminista, psicoanalitica o di altra forma, nel lavoro di studiose femministe come Nancy Hartsock e Heidi Hartmann (3). Queste hanno visto la teoria di Marx come primariamente chiusa rispetto alle questioni di genere, insistendo sulla necessità di integrazioni teoriche al fine di comprendere meglio le relazioni di genere.

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consecutiorerum

La VI Tesi tra Gramsci e Althusser

di Vittorio Morfino

rauschenberg1. La VI tesi di Marx

Le Tesi su Feuerbach sono un testo con uno statuto assai particolare all’interno della tradizione marxista. Scritte da Marx a Bruxelles nella primavera del ’45 probabilmente per fare il punto sul proprio percorso filosofico, sono state pubblicate per la prima volta da Engels in appendice al Ludwig Feuerbach nel 1888 con una serie di modifiche che avevano lo scopo di facilitarne la lettura e la comprensione e nella versione originaria da Riazanov nel 1925-1926 nel I volume del Marx Engels Archiv. Queste tesi hanno avuto grande peso nella storia del marxismo, nella misura in cui, nella loro sinteticità, sembrano essere il gesto teorico inaugurale di una nuova teoria. Il compito che ci porremo all’interno di questo saggio sarà quello di tracciare un tratto di questa storia limitatamente all’interpretazione della VI tesi, mettendola in tensione tra la lettura di Gramsci e quella di Althusser.

Ma prendiamo in primo luogo in considerazione la VI tesi nella sua materialità linguistica e nella rete di relazioni che stabilisce con le altre tesi. Essa recita:

Feuerbach löst das religiöse Wesen in das menschliche Wesen auf. Aber das menschliche Wesen ist kein dem einzelnen Individuum inwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse.

Feuerbach, der auf die Kritik dieses wirklichen Wesens nicht eingeht, ist daher gezwungen: 1. von dem geschichtlichen Verlauf zu abstrahieren und das religiöse Gemüt für sich zu fixieren, und ein abstrakt – isoliert – menschliches Individuum vorauszusetzen. 2. Das Wesen kann daher nur als “Gattung”, als innere, stumme, die vielen Individuen natürlich verbindende Allgemeinheit gefaßt werden (Marx 1958: 6).

Nel pubblicare questa tesi Engels ritenne necessario proporre alcune modifiche, che non ne modificano il senso.

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effimera

Marx, moneta e capitale

Paolo Davoli e Letizia Rustichelli intervistano Lapo Berti

marxjpgQuesta mattina Effimera ripropone la lettura di una intervista davvero interessante all’economista Lapo Berti, che ha fatto parte del collettivo redazionale della rivista Primo Maggio e dell’area del postoperaismo italiano, realizzata da Paolo Davoli e Letizia Rustichelli. Ringraziamo il collettivo di ricerca indipendente Obsolete Capitalism, di cui i due autori dell’intervista fanno parte, nonché Obsolete Free Press e Rizosfera Edizioni per la possibilità di ripubblicare il testo (che potete scaricare in pdf qui:Marx_moneta_e_capitale-_intervista_con_Lapo Berti). Diamo con ciò avvio a una collaborazione con OC allo scopo di favorire fruttuosi scambi di materiali e la loro diffusione.

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L’intervista con Lapo Berti che qui presentiamo è parte del volume collettivo «Moneta, rivoluzione e filosofia dell’avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» pubblicato per Obsolete Capitalism Free Press lo scorso luglio 2016. La ricerca sulla moneta ha accomunato, certo in modo diverso, gli autori rizosferici francesi degli anni ‘60 e ‘70. Lo strumento «moneta» è stato da loro considerato come il dispositivo centrale utilizzato dalle economie di mercato del capitalismo avanzato per avviare à grande vitesse quella profonda trasformazione del regime produttivo fordista in una nuova forma di produzione altamente tecnologizzata, nonché dislocata, finanziarizzata e internazionalizzata. Non solo la Rizosfera francese ha saputo cogliere chiaramente questo cambio di paradigma economico nello stesso momento in cui si stava compiendo, ma è anche riuscita ad effettuare analisi efficaci e originali dello strumento «moneta» fin dal suo apparire nelle terre anatoliche dell’VIII secolo a.c. e nelle città greche del VII e VI secolo a.c.. La moneta, per i filosofi rizosferici, è dunque il dispositivo «accelerazionista» per eccellenza della politica di «dominio rapido» instaurato dalle nuove economie di mercato mondializzate e finanziarizzate.

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trad.marxiste

La nozione di popolo in Marx, tra proletariato e nazione

Isabelle Garo

Workers uniteLa questione europea ha rilanciato i dibattiti, in seno alla sinistra radicale, sull’internazionalismo. Si è progressivamente affermata la necessità di ripensare a un internazionalismo concreto, il quale rifiuti l’alternativa disastrosa tra il nazionalismo razzista dell’estrema destra e l’internazionalismo del capitale incarnato dall’Unione europea, rinunciando altresì alle semplificazioni di un internazionalismo astratto.

Quest’ultimo postula, proprio in ragione dell’internazionalizzazione del capitale, che sarebbero state risolte le questioni strategiche dell’articolazione degli spazi – locali, nazionali e internazionali – nella definizione di un progetto di rottura anticapitalista, e dell’appartenenza nazionale del proletariato. È a quest’ultimo problema, in particolare, che tenta di rispondere Isabelle Garo nel testo seguente, discutendo il concetto di popolo in Marx e le sue prese di posizione riguardo ai movimenti di liberazione nazionale.

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La questione del popolo in Marx è  complessa, a dispetto delle tesi troppo nette che spesso gli vengono attribuite in proposito. A una prima lettura, in effetti, si è portati a pensare che Marx costruisca la categoria politica di proletariato proprio in contrapposizione a quella classica di popolo, eccessivamente inglobante e soprattutto omogeneizzante, la quale, inoltre, occulterebbe i conflitti di classe.

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blackblog

Il fatto che il capitale abbia dei limiti, non significa che collasserà

Agon Hamza & Frank Ruda intervistano Moishe Postone

postone5Hamza & Ruda: Il tuo lavoro stabilisce una cruciale distinzione fra la critica del capitalismo dal punto di vista del lavoro e la critica del lavoro nel capitalismo. La prima implica una descrizione trans-storica del lavoro, mentre la seconda pone il lavoro come una categoria coerente - capace di "sintesi sociale" - del modo capitalista di produzione. Tale distinzione richiede che venga abbandonata ogni forma di descrizione ontologica del lavoro?

Moishe Postone: Dipende da cosa si intende per spiegazione ontologica del lavoro. Questo ci spinge ad abbandonare l'idea che ci sia, in maniera trans-storica, uno sviluppo progressivo dell'umanità che avviene per mezzo del lavoro, che l'interazione umana con la natura, in quanto mediata dal lavoro, sia un processo continuo che ci porta a continui cambiamenti. E che il lavoro sia, in tal senso, una categoria storica centrale.

Attualmente, questa posizione è più vicina ad Adam Smith che a Marx. Io penso che la centralità del lavoro rispetto a qualcosa che viene chiamato sviluppo storico può essere posta solamente per il capitalismo e non per qualsiasi altra forma di vita sociale umana.
D'altra parte, penso che si possa mantenere l'idea che l'interazione umana con la natura è un processo di auto-costituzione.

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blackblog

La critica radicale del lavoro, e la sua incompatibilità strutturale con il principio spettacolare

di Benoit Bohy-Bunel

 

spettacolo4I. La legittimità teorica e pratica della critica radicale del lavoro

Nella filosofia di Hegel (dialettica del padrone e del servo), nella filosofia kantiana (Idea di una storia universale da un punto di vista cosmopolita), e più tardi nella filosofia arendtiana (La crisi della cultura, Condizione dell'uomo moderno), per citare soltanto i tre contributi più importanti nella filosofia moderna del lavoro, il concetto di "lavoro" viene confuso con un puro e semplice "metabolismo con la natura", vale a dire: con l'atto di trasformare il materiale grezzo presente nella natura al fine di sopravvivere.

Ora, questa essenzializzazione della categoria del lavoro, definita pertanto come categoria "trans-storica", si ritrova innanzitutto nei discorsi ideologici degli economisti "borghesi", che hanno tutto l'interesse a naturalizzare le forme strutturanti il sistema capitalistico, per mantenere il pregiudizio secondo cui tale sistema sarebbe insuperabile. Infatti, nel contesto "teorico", presentare il lavoro come una dimensione "arcaica" o "originale" della vita umana "in generale", come una "attività" propria all'essere umano "in generale", come una componente originale di qualsiasi sopravvivenza umana "in generale", è un modo insidioso di presentare la  moderna società delle merci, che ha fatto di questo "lavoro" il suo principio di sintesi totalizzante, come se fosse la realizzazione logica del "destino" dell'uomo.

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resistenze1

Karl Marx, il filosofo più "mondano"

Zoltan Zigedy

marx filosofo piKarl Marx salta fuori nei posti più improbabili. Due decadi e mezza dopo che molti tra i noti intellettuali europei e statunitensi avevano gioiosamente annunciato che d'ora in avanti le idee di Marx sarebbero state irrilevanti, il Wall Street Journal ci offre un dibattito sorprendentemente misurato sul suo pensiero sotto il titolo "Il filosofo più mondano" (The Most Worldly Philosopher, 10.12.2016). L'autore, Jonathan Steinberg, rampollo emerito di Cambridge e professore all'Università di Pennsylvania, conclude così: "Marx ha lasciato un'eredità di idee potenti che non possono essere abbandonate come una obsoleta fantasia di un clima intellettuale scomparso" e ciò ha stimolato "… la crescita dei partiti Marxisti e di milioni di persone che hanno accettato quell'ideologia per tutto il corso del XX secolo. Quella era la filosofia certamente più in voga."

Mi piacerebbe credere che gli editori del WSJ, che hanno stampato il seguente occhiello sull'articolo a tutta pagina, stessero godendosi un buffo intermezzo nell'odierna patetica stagione elettorale: "Agli oppressi è concesso una volta ogni pochi anni di decidere quali particolari rappresentanti della classe dominante possano rappresentarli e reprimerli" La felice citazione, attribuita a Marx da Lenin (più probabilmente una parafrasi di Engels) non ha mai cittadinanza nei discorsi degli amici dei due mali meno peggiori i quali sbraitano ogni quattro anni che sono le elezioni a cambiare tutto.

Il professor Steinberg sfrutta l'opportunità di una recensione di un libro attuale su Karl Marx di Gareth Stedman Jones per condividere alcuni dei suoi punti di vista  su Marx. E, a giudicare da alcune delle sue attribuzioni al libro di Jones, ciò è buona cosa. Stedman Jones, come molti dei suoi contemporanei d'accademia, un tempo si riteneva una sorta di marxista, ma solo finché Marx rimase di moda.

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trad.marxiste

Lenin lettore di Hegel

di Stathis Kouvélakis

leninCome spiegare il fatto che al cospetto del disastro della Prima guerra mondiale Lenin si sia ritirato per dedicarsi allo studio della Logica di Hegel? Si tratta di un interrogativo che non ha cessato di turbare il marxismo del primo dopoguerra. Secondo Stathis Kouvelakis, svelare l’enigma dei Quaderni filosofici di Lenin, manoscritti frammentari ed eterogenei, equivale a pensare questo testo come una rettifica del pensiero del movimento operaio europeo. Vero e proprio presupposto alla sua riflessione strategica, la quale condurrà all’Ottobre 1917, il lavoro di Lenin segna un rigetto del positivismo, del meccanicismo e del materialismo volgare della Seconda internazionale. Tale ritorno a Hegel implica una rinnovata istanza rispetto alla dimensione pratica della conoscenza, alla dialettica di salti e inversioni, o ancora, all’attività in quanto processo sociale. Di fronte al crollo della socialdemocrazia, alla necessità di una ripresa, una deviazione nel campo della teoria si rende talvolta indispensabile al fine di poter ricominciare.

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Il disastro

Irruzione del massacro di massa nel cuore dei paesi imperialisti dopo un secolo di relativa «pace» interna, il momento della prima guerra mondiale è anche quello del crollo del suo oppositore storico, il movimento operaio europeo, essenzialmente organizzato nella Seconda internazionale.

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ilcovile

Marxismo e teoria della forma valore*

di Endnotes

grant2Introduzione

La forma valore del prodotto del lavoro è la forma piú astratta, ma anche piú generale, del modo di produzione borghese, che ne risulta caratterizzato come un genere particolare di produzione sociale, e quindi anche storicamente definito.1

[...] Marx era stato chiaro: ciò che contraddistingueva il suo approccio, e che fa di esso una critica piuttosto che una continuazione dell’economia politica, era la sua analisi dell forma valore. Nella sua celebre esposizione di «Il carattere feticistico della merce e il suo segreto» egli scrive:

Ora, l’economia politica ha bensí analizzato, seppure in modo incompleto, il valore, la grandezza di valore, e il contenuto nascosto in tali forme. Ma non si è nemmeno posto il quesito: perché questo contenuto assume quella forma? Perché, dunque, il lavoro si rappresenta nel valore, e la misura del lavoro mediante la sua durata temporale si rappresenta nella grandezza di valore del prodotto del lavoro? Formule che portano scritta in fronte la loro appartenenza ad una formazione sociale in cui il processo di produzione asservisce gli uomini invece di esserne dominato, valgono per la loro coscienza borghese come ovvia necessità naturale quanto lo stesso lavoro produttivo.2

Nonostante affermazioni del genere da parte di Marx, la connessione tra forma valore e feticismo — il rovesciamento perverso all’interno del quale gli uomini sono dominati dai risultati della loro stessa attività — non ha avuto un gran ruolo nell’interpretazione del Capitale fino al 1960.

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consecutiorerum

Un nuovo materialismo

di r.f.

hopper gasCon il primo numero di “Consecutio rerum” proseguiamo e approfondiamo il progetto teorico-politico che ha caratterizzato i primi sette numeri della precedente rivista “Consecutio temporum”, da noi realizzata e diretta a partire dal 2001.

Costretti a interrompere la pubblicazione della precedente rivista per la pretesa della proprietà della testata d’interferire con il nostro programma editoriale, diamo vita alla nuova “Consecutio rerum”, con una variazione di titolo lieve, ma pure significativa nel verso di una radicalizzazione del nostro intento filosofico ed etico-politico iniziale. Giacché il passaggio dalla connessione dei “tempi” a quella delle “cose” stringe il nostro percorso ancor più nella proposizione di un nuovo campo di ricerca e di critica quale vuole essere quello di un “nuovo materialismo”.

Nuovo materialismo, perché riteniamo che il vecchio materialismo, quello più celebre d’ispirazione storica e marxista, sia un paradigma teorico ormai consumato e inutilizzabile. Già lo stesso Marx, in alcune sue pagine, a dir il vero assai poco frequentate, sulle formazione storiche precapitalistiche lo aveva messo, forse inavvertitamente, in discussione. Ma per noi è chiaro che la capacità delle relazioni economiche di farsi princìpi di totalizzazione dell’intera vita, individuale e sociale, vale solo nella modernità capitalistica e che dunque decade ogni pretesa, com’è accaduto con il materialismo storico, di generalizzare la vecchia metafora di struttura materiale e sovrastruttura spirituale all’intero percorso della storia umana.