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trad.marxiste

Lavoro digitale e imperialismo

di Christian Fuchs

Tonitza on the verandaÈ trascorso ormai un secolo dalla pubblicazione di L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916) di Lenin e L’economia mondiale e l’imperialismo (1915) di Bucharin, i quali, insieme a L’accumulazione del capitale (1913) di Rosa Luxemburg, identificavano l’imperialismo come una forza e uno strumento del capitalismo. Era l’epoca della guerra mondiale, dei monopoli, delle leggi antitrust, degli scioperi per gli aumenti salariali, dello sviluppo da parte di Ford della linea di assemblaggio, della Rivoluzione d’Ottobre, di quella messicana e di quella, fallita, tedesca, e tanto altro ancora. Un momento storico che ha registrato la diffusione e l’approfondirsi della sfida globale al capitalismo.

Questo articolo si pone l’obiettivo di esaminare la divisione internazionale del lavoro attraverso le classiche concezioni marxiste  dell’imperialismo, estendendo tali idee alla divisione internazionale del lavoro nell’ambito della produzione di informazioni e tecnologie dell’informazione odierne. Argomenterò la tesi secondo la quale il lavoro digitale, in quanto nuova frontiera dell’innovazione e dello sfruttamento capitalisti, ha un ruolo centrale nelle strutture dell’imperialismo contemporaneo. Attingendo a questi concetti classici la mia analisi mostra come, nel nuovo imperialismo, le industrie dell’informazione formino uno dei settori economici più concentrati; come iper-industrializzazione, finanza e informazionalismo vadano di pari passo; come le società multinazionali dell’informazione siano radicate negli stati-nazione ma operino globalmente; e infine, quanto le tecnologie dell’informazione siano divenute uno strumento di guerra.(1)

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dialetticaefilosofia

Mitologie e deficit antropologici nel pensiero di Marx e dei marxismi

Roberto Finelli

Janssens Dutch Interior1.    E’ la questione dell’individuazione, della messa in valore della soggettività, rispetto ad una più tradizionale questione sociale, che costituisce oggi, io credo, la linea più durevole e feconda dei movimenti di emancipazione dell’ultimo cinquantennio e la linea di apertura di un possibile futuro in cui le relazioni umane non debbano continuare ad essere mediate e consentite dalla sola mondializzazione delle merci e del capitale. Sulla questione della soggettività, delle sue istanze più esistenziali ed emozionali che non sociali, molto ha avuto a dire e pensare la tradizione più illuminata e rigorosa del femminismo, del pensiero di genere e della differenza, malgrado la resistenza all’ascolto e al confronto praticata al riguardo da molti ambiti dell’emancipazione intellettuale e sociale. Ma, a mio avviso, è soprattutto alle scienze della psicoanalisi nel loro complesso, guardando con maggiore attenzione al freudismo e allo junghismo e con molto maggiore sospetto verso il lacanismo, che siamo debitori di acquisizioni nuove e ulteriori rispetto al tema della costituzione della soggettività personale, in una linea di debito che anche qui spesso non è riconosciuta quanto invece combattuta e marginalizzata. Le scienze psicoanalitiche ci consegnano infatti un arricchimento e una complicazione del concetto di libertà come di quello di società che arricchiscono e nello stesso tempo complicano la già ricca tradizione moderna su questi temi. Libertà ora viene a significare, più che assenza o riduzione da vincoli esterni, limitazione o affrancamento da vincoli interni.

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operaviva

Sul divenire culturale del general intellect

Danilo Mariscalco

Pubblichiamo qui un saggio tratto da Vita, politica, rappresentazione. A partire dall’Italian Theory (a cura di P. Maltese e D. Mariscalco), volume appena arrivato in libreria per le edizioni ombre corte

isaiatraspC’è almeno un segmento della cosiddetta Italian Theory, quello che va dalle prime (con)ricerche sulla informazione valorizzante sino alle più recenti esplorazioni del paradigma bioeconomico o capitalismo cognitivo, che ha alimentato e metabolizzato la prassi politica antagonista. È nota, almeno dopo le genealogie offerte da Roberto Esposito e da Dario Gentili, la specificità conflittuale della differenza italiana, la sua capacità – che ne spiegherebbe, almeno in parte, la fortuna internazionale – di indagare i piani della vita, della storia, della politica1 e di fornire, contestualmente, una «ontologia dell’attualità»2. È altresì riconosciuto, come nel caso di Michael Hardt3, o del Negri che ritorna, dopo un ventennio, sul suo Marx oltre Marx4, il debito del pensiero radicale italiano nei confronti delle lotte politiche degli anni Sessanta e Settanta. Ciò che si intende focalizzare in questa occasione argomentativa è, in particolare, la collocazione teorico-pratica del movimento del ’77, sul piano specifico delle sue emergenze culturali e comunicative, all’interno del Radical Thought, dunque nel suo rapporto con la lettura già operaista del general intellect marxiano, in quel caso sostanziata dal fecondo incontro con alcune categorie del post-strutturalismo francese e da una rinnovata analisi critica delle esperienze delle avanguardie artistiche del Novecento, e successivamente posta a fondamento delle ipotesi, formulate dal post-operaismo, sui dispositivi di sussunzione biopolitica, e sulle linee di fragilità, del vigente regime di produzione post-fordista.

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la citta futura

Dalla filosofia della prassi alla concezione materialistica della storia

di Renato Caputo

Proseguendo la nostra introduzione alle opere filosofiche giovanili di Marx, analizziamo in particolare la critica al materialismo naturalistico di Feuerbach, che pure aveva profondamente influenzato la sua presa di distanza critica dall’idealismo della sinistra hegeliana. Il superamento dialettico della filosofia di Feuerbach è alla base dell’elaborazione della filosofia della prassi e del materialismo storico, due aspetti decisivi del marxismo

c79437b55c5c9951dea9dd78facc22a7 LNel 1845 Marx pubblica con Engels La sacra famiglia, inaugurando un sodalizio intellettuale che durerà 40 anni fino alla sua morte. Contro l’idealismo speculativo o lo spiritualismo della sinistra hegeliana, Marx ed Engels si battono per un umanesimo reale. Mentre Hegel, pur muovendo idealisticamente dal pensiero astratto, in molti luoghi della sua filosofia aveva descritto in modo realistico i rapporti fra gli uomini, i giovani hegeliani hanno, secondo Marx ed Engels, finito con il radicalizzare proprio gli aspetti idealistici della filosofia hegeliana.

Sempre nel 1845, costretto a trovare rifugio a Bruxelles, Marx scrive le 11 Tesi su Feuerbach pubblicate postume, in cui prende le distanze dalle conclusioni della riflessione filosofica di quest’ultimo, sostenendo che non è sufficiente individuare nella vita terrena l’origine dell’alienazione religiosa. In effetti, a parere di Marx, se si vuole veramente eliminare quest’ultima occorre trasformare radicalmente quella vita terrena, quella realtà socio-economica che rende necessaria l’evasione degli oppressi in un paradiso artificiale in cui non ci sarà posto per miseria e sfruttamento.

Inoltre Marx sviluppa una critica a Feuerbach dal punto di vista gnoseologico, in quanto quest’ultimo aveva posto come centrale per la conoscenza l’intuizione sensibile di contro al razionalismo della tradizione idealistica, ma non aveva colto l’aspetto realmente essenziale, ovvero l’importanza dell’attività pratica per l’attività teoretica, cosa che invece, sebbene in modo astratto, aveva compreso Hegel.

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lanatra di vaucan

"Ormai solo il (non) lavoro ci può salvare"

Una lettura del Manifesto contro il lavoro del Gruppo Krisis

di Massimo Maggini

netravail2Il testo che presentiamo è stato scritto poco dopo la piccola odissea della edizione italiana del “Manifesto contro il lavoro“, apparso nel 2003 per i tipi di DeriveApprodi. La pubblicazione di quel libro nel nostro paese non fu così semplice, nonostante l’argomento “accattivante” e gli autori decisamente interessanti, la cui elaborazione trovava già allora ascolto in molte parti del mondo. L’originale era apparso in Germania nel 1999, e la traduzione italiana venne pronta poco dopo, soprattutto grazie a Giancarlo Rossi, ottimo traduttore del testo tedesco. Il mio ruolo in tutta la vicenda fu di impegnarmi a fondo nel reperire l’editore disponibile ad “accollarsene” la pubblicazione italiana: dopo aver bussato per almeno due anni a molte case editrici, grandi o piccole che fossero, la spuntai al secondo giro con DeriveApprodi (perché al primo approccio neanche con loro ero riuscito a cavare un ragno dal buco). Questa casa editrice si mostrò molto interessata a pubblicare il libro, tanto provocatorio quanto denso e prezioso, che così apparve in Italia nel 2003. In questa edizione vennero aggiunti, in più rispetto a quella tedesca, due ottimi articoli, uno di Robert Kurz (La dittatura del tempo astratto) e uno di Norbert Trenkle e ancora Robert Kurz (Il superamento del lavoro), entrambi magnificamente tradotti da Samuele Cerea, ed infine una bella post-fazione di Anselm Jappe (Il gruppo Krisis, la critica del lavoro e il ‘primato civile degli italiani).

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la citta futura

L’attualità della riflessione del giovane Marx

di Renato Caputo

image 1 vectorized 1L’opera di Karl Marx (1818-1873) ha avuto un’eccezionale influenza sulla formazione del mondo contemporaneo, tanto che durante il secolo breve l’accettazione o meno delle sue teorie ha costituito un vero e proprio discrimine in ambito non solo politico, ma più in generale culturale. È stato certamente fra i pensatori più influenti della storia della filosofia, dell’economia, della sociologia, della storiografia e delle scienze politiche. In alcuni Paesi le sue opere sono state pubblicamente bruciate e sono tutt’ora vietate, in altri sono divenute un’ideologia di Stato, al punto d’assurgere al ruolo svolto precedentemente dalla religione. 

Il successo dell’opera marxiana è indissolubilmente legato ai rapporti di forza fra le classi sociali, a dimostrazione di una tesi fondamentali della sua Weltanschauung in cui la teoria è indissolubilmente legata alla prassi: i prodotti del pensiero non possono essere considerati come se fossero a sé stanti, dotati di una storia autonoma, ma sono parte integrante dei rapporti sociali che si sono stabiliti nel corso storico fra gli uomini, profondamente condizionati dagli interessi materiali ed economici. Il sorgere e la fortuna del pensiero di Marx sono legati, dunque, indissolubilmente all’emergere e all’acquisire coscienza di sé come classe del proletariato moderno, ovvero dei lavoratori salariati che per riprodursi sono costretti a vendere come merce la propria capacità di lavoro.

Marx è nato a Treviri (Trier) nella Germania occidentale nel 1818, assegnata dopo il Congresso di Vienna alla Prussia, in una famiglia borghese. Siamo in piena Restaurazione anche se forti sono in questa città universitaria al confine con la Francia le influenze della Rivoluzione francese.

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effimera

Le pillole azzurre del capitale

di Cristina Morini

Una lettura del libro di Federico Chicchi, Emanuele Leonardi e Stefano Lucarelli Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale (Ombre Corte, pag. 126, 12 euro)

matrix2L’algoritmo definitivo del futuro, ovvero la produzione di predizioni che ci riguardano distillate da informazioni sulla nostra esistenza raccolte attraverso la rete, sta lì, acquattato nelle varie infomacchine digitali che usiamo. “Saprà tutto quello che siamo riusciti a insegnargli sulla vita umana” rappresentando “uno strumento di introspezione fantastico: uno specchio, uno specchio digitale, uno specchio capace di prendere vita”[1]. Secondo alcuni frontiera del biopotere foucoltiano, si configura come un lavoro invisibile che, utilizzando le determinazioni che vengono dai nostri dati e percorsi online, si propone prossimamente di afferrare i pensieri che abitano gli arcipelaghi preconsci, non ancora affiorati alla consapevolezza in forma di desiderio compiuto o immaginazione: “l’accelerazione infosferica porta, per così dire, l’inconscio alla superficie della relazione sociale contemporanea”[2], seguendo le parole di Franco Berardi. Futuro della macchina che evoca e genera un processo di inveramento delle idee, prova a materializzarle e a indirizzarle commercialmente per trarne profitti e ottenere “individui liberi ma condizionati” (l’accento sta sull’avversativo). Nel frattempo, Kenneth Griffin di Citadel e James Simons di Renaissance Technologies hanno raggiunto l’apice della classifica 2015 dei gestori hedge found proprio utilizzando strategie algoritmiche elaborate dai computer, con guadagni di 1,7 miliardi di dollari ciascuno e rendimenti intorno al 15 per cento.

Così, insomma, scopriamo vivendo che le previsioni sulla redditività e il potere di controllarle sono il vero valore nell’economia finanziarizzata contemporanea: “il valore del capitale immateriale è essenzialmente una finzione borsistica”[3], aveva sottolineato André Gorz.

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contraddizione

Dov'è il comunismo?

Profitto, plusvalore, guadagno e ricchezza reale

Gianfranco Pala

klimt121È il caso di rammentare sùbito – onde evitare tanti equivoci nati da una lettura troppo affezionatamente ammiratrice di Marx – che lui quando coniò il titolo del futuro iv libro storico del Capitale <“Teorie sul plusvalore”> lo pensò unicamente in quanto rivolto alla ricerca, del tutto tralasciata o ignorata dagli economisti borghesi (classici e volgari), dell’“origine sociale del profitto” —— ovvero del guadagno dell’imprenditore [proprietario privato] capitalista in sèguito allo scambio contro denaro di merci ottenute entro quello specifico modo di produzione. Ma devono essere chiare due questioni, sia che: 1) questa particolare analisi è circoscritta soltanto al modo di produzione e circolazione della merce capitalistica (dove c’è valore e plusvalore); 2) un qualsiasi proprietario privato, in altri modi di produzione (per ora solo precedenti, i <futuri> per la loro significazione sono ineffabili), può trasformare il mero denaro che possiede, in qualsiasi altro oggetto che desideri o trarne eventualmente un vantaggio monetario. Tuttavia unicamente la rappresentazione del capitale in denaro diviene tale solo e soltanto se esso denaro\capitale è funzionalmente legato a comprare come merce la forza-lavoro altrui per valorizzarsi: ma un vantaggioso guadagno monetario [che gli agenti e i contabili del capitale denotano come “profitto” – e per Marx il tasso del profitto ha cause empiriche e forme diverse dal tasso di plusvalore che pure lo determina concettualmente] si può ottenere in tanti modi diversi dall’uso funzionale della forza-lavoro altrui non pagata, cioè dall’aver trasformato quel <denaro in quanto tale> in capitale per far produrre plusvalore mediante pluslavoro.

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la citta futura

La teoria marxiana del valore. Le confutazioni

di Ascanio Bernardeschi

Se si legge Marx con le lenti di Ricardo, la sua teoria appare contraddittoria. Occorre invece avere chiara la sua netta rottura con l'economia classica

382b8d3782570445d756f78552586f35 LLa difficoltà o l'impossibilità di misurare gli oggetti non implica che essi non esistano o che non siano regolati da determinate leggi. Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, nello stesso istante, sia la posizione che la velocità di una particella. Però la teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà di misurare il lavoro sociale necessario a produrre una merce oppure di stabilire a quanto tempo di lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro complesso, maggiormente specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il mercato a stabilire il tempo lavoro necessario a produrre una merce. Se la misura immanente del valore è il tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è il denaro, quale rappresentante di ricchezza astratta e quindi di un certo tempo di lavoro. È il mercato che verifica se e in che misura il lavoro prestato è lavoro socialmente necessario. Così pure, Marx non si è mai sognato di cercare di risolvere il “puzzle” [1] della riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, limitandosi casomai a indicare come ciò sia possibile in via teorica. Anche nei suoi esempi numerici, ha quasi sempre utilizzato il denaro come misura del valore. La sua teoria non serve a determinare in vitro il valore delle merci, ma a scoprire le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e metterne a nudo le contraddizioni. Essa deve essere valutata sulla base della sua capacità o meno di raggiungere questo obiettivo e naturalmente sulla base della sua coerenza interna.

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ist onorato damen

Saggio medio del profitto e prezzo di produzione

di Giorgio Paolucci

marx engels2Abbiamo deciso di ripubblicare l’articolo Saggio medio del profitto e prezzo di produzione perché in esso, al di là delle più recenti modificazioni capitalistiche e degli avvenimenti, spesso dolenti, della storia mondiale, l’analisi ivi espressa sulla «formazione del saggio medio di profitto in relazione al processo di formazione dei prezzi» resta più che valida, anzi, diremmo, operante: in primis tale articolo, edito sul numero 5 della IV serie della rivista «Prometeo» (settembre 1981), riproponendo la posizione di Marx con estrema esattezza e puntualità, funge da lettura propedeutica per chiunque volesse tentare una comprensione storica dei fenomeni della «concentrazione dei mezzi di produzione», «del fenomeno della caduta tendenziale del saggio di profitto», e di quella che, circa trenta anni fa, era già la «crescente espansione del dominio parassitario del capitale finanziario».

In contrasto con le tesi degli economisti liberali e dei corifei del capitale, i quali volevano utilizzare il terzo libro del Capitale per sminuire la teoria del valore-lavoro, i «rilievi critici» di Marx a Ricardo vengono riproposti in Saggio medio del profitto e prezzo di produzione per ribadire con chiarezza come la «formazione di un saggio del profitto implica che i prezzi delle merci differiscano dai loro valori». Un assunto di primaria importanza se si vuole concepire, con Marx, la realtà economica odierna, in cui la «forza imperialistica», esercitata da ognuno dei vari centri di potere della borghesia mondiale, viene utilizzata al fine di incidere sulla «ripartizione» del «plusvalore complessivo», cioè mondiale.

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sinistra

Marx 1881, il marxismo creativo e i “quattro enigmi” della storia contemporanea

di Roberto Sidoli, Massimo Leoni, Daniele Burgio

Un carteggio sull'Effetto di sdoppiamento. In calce a questo scritto le domande rivolte agli autori

marxdisegnocongiornaleCaro Fabio, nel rispondere al tuo scritto – fin troppo generoso nei nostri confronti – vogliamo per il momento concentrarci solo su due distinte tematiche, e cioè:

- Il rapporto tra marxismo e teoria dell’effetto di sdoppiamento, con il derivato primato della sfera politica (Lenin, “Che fare?”, 1902 e sulla successiva polemica contro Trotsky e Bucharin, nel 1920/21);

- Quale sia l’utilità politica, a cosa serve concretamente la tesi dell’effetto di sdoppiamento, con la sua analisi dell’epoca “sdoppiata” del surplus dal 900 a.C. fino a i nostri giorni.

- Sulla prima questione, sottolineiamo subito che il primo e finora ignorato precursore della teoria dell’effetto di sdoppiamento è stato Karl Marx, in un suo geniale lavoro del 1881 che semi-marxisti russi quali Plechanov, Axelrod e Vera Zasulich occultarono e nascosero vergognosamente per quasi quattro decenni e che venne invece pubblicato in Unione Sovietica nel 1924.

Infatti all’interno della bozza e stesura provvisoria della sua lettera del marzo 1881 indirizzata a Vera Zasulich, il geniale rivoluzionario tedesco analizzò anche la dinamica generale di sviluppo delle millenarie comuni rurali (la “comune agricola”, nella terminologia usata da Marx), notando tra le altre cose che «come… fase ultima della formazione primitiva della società, la comune agricola… è nello stesso tempo fase di trapasso alla formazione secondaria e, quindi, di trapasso dalla società basata sulla proprietà comune alla società basata sulla proprietà privata.

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blackblog

Si comincia col denaro e si finisce col denaro

di Michael Roberts

Recensione di: Fred Moseley, 'Money and totality', Brill, 2016, pp. 436, £102

money5Negli ultimi due anni, una delle tendenze principali dell'economia mondiale è stata il crollo del prezzo del petrolio sul mercato globale. Da un picco che superava i $100 al barile, il prezzo è crollato fino al di sotto dei $30 e si trova ancora intorno ai $40. La spiegazione di questa caduta del prezzo, come era stato previsto dall'economia ufficiale, è semplice. C'è stato un mutamento nella domanda e nell'offerta di petrolio. Perciò gli economisti ora discutono su quale sia il fattore principale: l'incremento dell'offerta o la diminuzione della domanda.

Ma quest'analisi del prezzo di una merce e di quanto valga a livello della domanda e dell'offerta - come viene insegnato da tutti i libri di testo di economia all'università - nel migliore dei casi è superficiale. C'è una battuta che gira negli ambienti degli investitori finanziari, quando si discute sul perché il prezzo delle azioni di una qualche società sia improvvisamente crollato: "Be', c'erano più venditori che acquirenti" - talmente vero fino ad essere tautologico.

Cos'è che spiega perché un barile di petrolio costa $40 e non $1? Perché 100 graffette costano $1 ed un'automobile costa $20.000? In altre parole, dobbiamo capire cos'è che fa sì che qualcosa sul mercato venga valutato al di là della semplice domanda ed offerta; ci serve una teoria del valore. A partire da questo, possiamo cominciare a spiegare il funzionamento di un'economia capitalista, dove ogni cosa viene prodotta per essere venduta.

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 contraddizione

Il punto di vista della palla

Un mondo trasformabile guardando con meraviglia la realtà sociale

di Gianfranco Pala

“Proprio perché si è rimasti all’oscuro circa la natura della società umana,
ci troviamo ora di fronte alla possibilità di un totale annientamento del pianeta."

[Bertolt Brecht, Scritti teatrali, Einaudi, Torino (1957)]

bansky 3L’enorme differenza specifica marxiana rispetto al feticismo economico che l’ha preceduto – anche quello che si è fondato sull’eccedenza della produzione agricola <materiale nella natura> – sta precisamente, come si preciserà meglio fra poco, nel fatto che gli umani mutano insieme alla natura. Epperò – come dice Bertolt Brecht, qui da assumere in via generale [cfr. Scritti teatrali, Einaudi, Torino 1962 (vol. unico), giacché fu da lui formulato nei suoi riferimenti <particolari> al teatro epico di contro al tradizionale teatro drammatico convenzionale borghese] (per ulteriori considerazioni cfr. il §.5. la dialettica dell’intelligenza generale) – il marxismo della maniera materialistica fu da lui appreso direttamente da Marx e Engels, e si attaglia perfettamente a tutto il mondo reale, ossia al vero e proprio, ma malamente detto, <ambiente> in quanto “condizioni circostanti naturali” nel quale vivevano gli umani. “Questo mondo era senza dubbio già apparso in precedenza, ma non come elemento a sé stante, bensì soltanto nella prospettiva del personaggio centrale”. E codesto personaggio, perciò, assume il carattere dell’individuo – di qui ecco l’<individualismo metodologico> – attorno al quale deve ruotare, in sua escludente funzione, tutto il sistema rappresentato — un <ambiente> illusorio non si può modificare, è statico, morto, giacché l’unica azione vivificante è dell’umano, che opera al posto ma entro il mondo reale. Per l’individuo-che-conta (si pensi al capitalista che decide ogni cosa alle spalle dei produttori) non importa affatto l’oggettività reale ma soltanto ciò che lui soggettivamente percepisce [in una accezione di “percezione”, come si dirà, che non è quella etimologica latina derivata da per e capĕre, ossia “prendere conoscenza”, capire (ma anche materialmente prendere un oggetto, denaro in pagamento, salario o pensione, ecc.)].

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ilrasoiodioccam

La nuova 'Storia del marxismo' in Italia

di Paolo Favilli

Nella "Storia del marxismo" (Carocci, Roma 2015, 3 voll.) recentemente uscita a cura di Stefano Petrucciani si ripresenta la possibilità di riesaminare la storia del marxismo alla luce del sistema di relazioni che sorregge le sue diverse forme. Entro questo contesto sono almeno due i problemi che vanno posti: quello del rapporto fra riforme e rivoluzione e quello del nesso fra filosofia e marxismo

marx on your mind 001 74676 210x2101) I tre agili volumetti che compongono questa Storia del marxismo, pur inserendosi in una tradizione consolidata e di lungo periodo concernente i modi di fare storia dell’«oggetto» in questione, presentano interessanti spunti di originalità nel panorama complessivo della produzione storica frutto del clima della Marx Renaissance. Ho usato l’espressione produzione storica, ma, come vedremo proseguendo nel discorso, il termine storia, proprio nell’ambito della tradizione cui ho fatto sopra riferimento, necessita di essere meglio precisato. Qual è, però, il peso della dimensione storica nel contesto di quella riflessione generale su Marx ed il marxismo che è stata chiamata Marx Renaissance?

La Marx Renaissance è, indubbiamente, un fenomeno di estrema importanza che oggi ha travalicato anche l’ambito degli studi per diventare, ad esempio, elemento centrale di una delle più importanti manifestazioni artistiche mondiali: la Biennale di Venezia del 2015. Il «cardine» del programma è stato «l'imponente lettura dal vivo dei tre volumi di Das Kapital di Karl Marx. «Porto Marx alla Biennale perché parla di noi oggi», ha detto il curatore della mostra veneziana[1]. La sfera degli studi, la sfera dell’arte, la sfera dell’alta cultura in genere, però, appare separata dai processi di mutamento che interessano lo stato di cose presente.

Il fenomeno della Marx Renaissance comincia a delinearsi pochissimo tempo dopo la proclamata morte del pensatore di Treviri, non casualmente in concomitanza con i primi sinistri scricchiolii delle crisi finanziar-recessive degli anni Novanta.

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sinistra

Contro un facile spirito di assimilazione

Antonio Pagliarone

Danilo Montaldi, “Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970”, Cooperativa Colibrì 2016. [Via Coti Zelati, 49 – 20037 Paderno Dugnano (Mi), email: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.]

14290752 ascoltare il lavoro italia 1961 2011 19 maggio 4Il Centro Luca Rossi ha curato la ripubblicazione del “Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970” di Danilo Montaldi edita da Quaderni Piacentini nel 1976 che venne stampata in circa quattrocento copie. Ricordo di averne comprata una, ormai relegata in soffitta, proprio quell’anno, quando frequentavo, come tutti i giovani scapigliati di Milano, la libreria Calusca di Primo Moroni in Corso di Porta Ticinese. Primo, che conosceva benissimo le tendenze dei frequentatori, mi indicò il volumetto dalla copertina rossa dicendomi che leggendolo ne sarei stato entusiasta. Aveva ragione. Avevo scoperto l’esistenza di Danilo Montaldi attraverso il necrologio scritto da Sergio Bologna su Primo Maggio nel 1975 in occasione della sua morte piuttosto strana.

Quando finì la bagarre giovanile degli anni 70 decisi di raccogliere gli articoli più interessanti di Danilo Montaldi per farne una raccolta dal titolo Bisogna Sognare (da un suo vecchio articolo apparso su Azione Comunista) e chiesi a Primo Moroni di pubblicarla. Ne fu entusiasta e mi spronò ad andare avanti. Ho passato intere giornate all’Istituto Feltrinelli di Milano come un topo a spulciare giornali e riviste ingiallite per recuperare gli interventi più significativi del vecchio cremonese. Ho accumulato una montagna di fotocopie e mi preparavo ad organizzare il volume quando presi contatto con Arturo Peregalli che mi spronò ulteriormente dandomi un supporto indispensabile al lavoro, che nel frattempo si era arricchito di altri articoli grazie al contributo dell’archivio monumentale di Arturo. Purtroppo Primo Moroni mi informò che l’opera non poteva essere pubblicata dalla Calusca a causa dei soliti problemi di denaro.

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blackblog

La crisi del valore di scambio

La scienza come forza produttiva, lavoro produttivo e riproduzione capitalista

di Robert Kurz

trouvailles2387Il saggio di Robert Kurz, "La crisi del valore di scambio", che di fatto fonda la Critica del Valore, viene scritto e pubblicato per la prima volta nel 1986, quasi trent'anni fa. In quel saggio, Kurz sosteneva che il sistema produttore di merci si trovava in quella che era la sua crisi finale in quanto, con l'avvento della terza rivoluzione industriale - quella della microelettronica avvenuta a partire dagli anni 1960 - la produzione globale di plusvalore da crescente diventava decrescente.

Secondo Kurz, la rivoluzione dell'informatica e della comunicazione portava con sé un aumento straordinario della produttività del lavoro, dalla quale conseguiva non solo una riduzione significativa del valore globale prodotto, ma anche una riduzione ancora più significativa di plusvalore per unità di ricchezza materiale. Riduzione che non poteva più essere compensata dall'aumento della produzione di merci, ossia dalla crescita della ricchezza materiale.

La tesi era esplosiva: dal momento che il sistema capitalista è mosso dall'accumulazione di capitale, e dal momento che il capitale accumulato non può più essere aumentato in maniera persistente attraverso l'acquisizione di un volume crescente di plusvalore, ecco che allora il sistema, nella sua totalità, entra necessariamente in agonia, pur continuando, tuttavia, a sopravvivere, con conseguenze devastanti per tutti gli esseri viventi.

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la citta futura

La teoria marxiana del valore. Seconda parte

di Ascanio Bernardeschi

III. Capitale e plusvalore

Il Capitale è un rapporto sociale camuffato da cosa, da denaro in costante frenesia di autoespandersi. In realtà si tratta di lavoro non pagato che si accresce grazie al lavoro non pagato. Date la sua potenza sociale e la sua smania di accumulazione, straripa, sussumendo sotto di sé ambiti sempre nuovi e distruggendo progressivamente ogni forma di socialità non mediata dal mercato

b7bca45bde7511e36d009c009edb72be LNella circolazione della merce (M-D-M), il denaro funziona solo da medium dello scambio fra merci. Il primo e l'ultimo termine del ciclo sono due merci di uguale valore. Il movente dello scambio è l'appropriazione di un diverso valore d'uso. Anche nella produzione capitalistica questo è un aspetto inevitabile del processo di scambio. Però non spiega il fondamento dell'accumulazione e con essa dei principali fenomeni tipici de modo di produzione capitalistico.

Con il capitale si sviluppa ulteriormente la contraddizione della merce. Il denaro, come rappresentante generale della ricchezza astratta, diventa denaro in perenne smania di accrescersi. Questo è il fine ultimo del movimento, mentre lo scambio fra merci diviene il mezzo.

La circolazione del capitale si presenta nella seguente forma

Denaro – Merce – Denaro (D-M-D').

Col denaro si acquistano delle merci (D-M), costituite dai mezzi di produzione e dalla forza-lavoro, e dopo la produzione si rivende il prodotto (M-D').

All'inizio e alla fine del ciclo c'è quindi la stessa merce, il denaro, e lo scopo non può essere la trasformazione qualitativa, il cambio fra due valori d'uso, ma solo l'incremento quantitativo del denaro. D', quindi ha il significato di D più un delta, un suo incremento. Questa forma espone correttamente l'anima della produzione capitalistica, quale accrescimento ricchezza astratta fine a sé stessa.

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testata.covile

Barcellona, Baudrillard, Camatte, Collu, Debord, Fusaro, Preve, Tronti (e altri)

british museumNota introduttiva. Questa raccolta di brani nasce sulla scia di alcuni articoli pubblicati sul Covile che si sono occupati di autori di area marxista critica, non conformi alla lettura scolastica di Marx. Proprio a partire dai testi marxiani si sono in effetti sviluppate molteplici linee di pensiero accomunate da una visione critica della modernità e, in maniera meno omogenea, anche della tecnica; posizioni certamente opposte a quelle consuete e progressiste, ma non meno legittime.

Parliamo di aree e movimenti formatisi negli anni sessanta del secolo scorso intorno alla lettura dei Grundrisse1 , quando da un lato l’espandersi del capitalismo — che andava trasformando non solo le strutture economiche ma anche quelle antropologiche delle società— dall’altro le contraddizioni dell’esperienza sovietica posero la necessità di risalire alle origini del marxismo, non tanto per darne una lettura piú autentica quanto per elaborare originali linee interpretative e proposte attinenti alla nuova realtà.

Ci riferiamo in particolare a quattro centri di pensiero e iniziativa: i situazionisti {Henry Lefebvre, Guy Debord, Jaime Semprun, Raoul Vaneigem, Jean Baudrillard}, il gruppo intorno alla rivista Invariance { Jacques Camatte, Gianni Collu, Giorgio Cesarano}, gli operaisti {Raniero Panzieri, Mario Tronti, Toni Negri}, la scuola di Louis Althusser {Gianfranco La Grassa, Costanzo Preve (da cui Diego Fusaro)}. Non trattandosi di aree completamente separate, ma di una specie di grande laboratorio, è una storia ancora da ricostruire quella del loro interscambio — idee, letture, persone — che fu forte e continuo e in qualche modo si è protratto fino ai nostri giorni (vedi la ripresa da parte di Preve 2 e Fusaro di alcuni temi di Invariance, segnatamente su dominio reale e comunità).

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ilcomunista

Marx e la rivoluzione del 1848*

Irene Viparelli

1. Premessa

Lar9 philippo 001zChe influenza ebbe la rivoluzione europea del 1848 sulla teoria marxiana? Quale fu il suo contributo specifico? In che misura fu un evento determinante? La strada maestra per addentrarsi nel cuore di questo problema sembra essere fornita dal temporaneo abbandono della militanza politica, compiuto da Marx agli inizi degli anni Cinquanta. Sicuramente il mutamento del contesto storico, la vittoria della controrivoluzione in tutta Europa, la repressione, l’esilio londinese furono tutti fattori che ebbero un’importanza decisiva. Vi fu però anche una motivazione squisitamente teorica, un radicale mutamento nella prospettiva strategica marxiana1.

«Nel caso di una battaglia contro un nemico comune non c’è bisogno di nessuna unione speciale. Appena si deve combattere direttamente tale nemico, gli interessi dei due partiti coincidono momentaneamente, e, com’è avvenuto sinora così per l’avvenire, questo collegamento, calcolato soltanto per quel momento, si ristabilirà spontaneamente»2.

L’imperativo dell’alleanza di tutte le forze democratiche, centrale nel Manifesto, sembra ormai, dopo la rivoluzione, avere ben poco di strategico; il vero compito dei comunisti rivoluzionari è piuttosto la lotta proprio contro queste alleanze ibridatrici che, lasciando evaporare le differenze di classe, dissolvono l’autonomia del proletariato e ne distruggono la coscienza e la forza rivoluzionaria.

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la citta futura

La teoria marxiana del valore

di Ascanio Bernardeschi

Primo di una serie di articoli sulla teoria marxiana del valore. Il compito della scienza è di svelare la differenza fra l'apparenza dei fenomeni e l'essenza delle cose. Anche la legge del valore ha questo fine. Le differenze tra Marx e gli economisti classici per quanto riguarda il metodo e gli scopi dell'economia politica. Alcuni concetti basilari per permettere ai “non addetti” di seguire il successivo svolgimento riguardante alcuni nodi più dibattuti della teoria marxiana. Le categorie economiche, trattate dagli economisti che vanno per la maggiore come oggetti naturali, non sono altro che rapporti sociali camuffati

I. A cosa serve?

4d579989f459a06bb4be6c39e1df5046 LNel libro III del Capitale, confutando l'apparente obiettività della “formula trinitaria” – secondo la quale il valore delle merci sarebbe originato dalla somma della retribuzione dei cosiddetti fattori produttivi (profitti, salari e rendite), mentre è vero l'esatto contrario, cioè che sono queste ultime voci di reddito che reperiscono la propria fonte nel valore delle merci, in quanto quest'ultimo viene tra di esse distribuito successivamente alla propria realizzazione – Marx ebbe ad affermare che “ogni scienza sarebbe superflua, se la forma fenomenica e l’essenza delle cose coincidessero immediatamente [1].

Infatti i fenomeni che percepiamo sono spesso delle manifestazioni di leggi che sfuggono ai sensi e che solo la scienza può svelare, mentre possiamo cadere in errore se confondiamo queste manifestazioni con l'essenza, cioè con i meccanismi che ci stanno dietro. Anche l'osservazione empirica non accompagnata da una robusto impianto teorico, per esempio l'accertamento statisticamente oggettivo della correlazione tra due fenomeni, può trarre in inganno in quanto può condurre a stimare in maniera invertita il rapporto causa-effetto tra le due grandezze.

Forse è utile fare un esempio. Secondo l'esperienza dei nostri sensi, tutti i corpi hanno un peso che si avverte in quanto su di essi agisce una forza, tanto maggiore quanto maggiore è il loro peso, che li attrae verso il suolo.

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marxxxi

Le prefazioni del Manifesto

Colpo d'occhio sullo sviluppo del marxismo in Italia

di Francesco Galofaro

marx engelsIntroduzione

Perché scrivere una nuova prefazione di un testo? Con Genette (1987) sappiamo che ogni prefazione ha la funzione di orientare l'interpretazione del lettore. Se è così, le introduzioni al Manifesto del partito comunista costituiscono un documento di eccezionale interesse: dicono molto del modo in cui questo scritto, piccolo ma pericoloso, è stato interpretato nel corso dei suoi quasi 170 anni di vita. Un periodo in cui è stato continuamente ristampato mentre mutavano le sorti del movimento dei lavoratori, della filosofia marxista e delle forme di Stato che ad essa si ispiravano e si ispirano tutt'ora. Wikipedia conta una sessantina di edizioni italiane, ma basta dare un'occhiata al catalogo opac per rendersi conto che il computo è largamente incompleto. Fortunatamente, il numero delle prefazioni e delle introduzioni è minore; nonostante questo non è stato possibile reperirle tutte. Il nostro criterio è stato il seguente: abbiamo effettuato un campionamento di grappoli di testi a distanza di più o meno cinquant'anni. In questo modo si sono evidenziate alcune funzioni interessanti delle prefazioni:

- Bilancio della storia del movimento dei lavoratori dal 1848;

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manifesto

Il passaggio dialettico a un’opera aperta

Sandro Mezzadra

Assente da decenni dagli scaffali, torna nelle librerie il libro del filosofo Helmut Reichelt «La struttura logica del concetto di capitale» (manifestolibri). Un saggio ritenuto ormai un classico che ha aperto la strada a una «nuova lettura» di Karl Marx

6clt marx marx qjTra le diverse forme che assunse negli anni Sessanta del Novecento, e in particolare attorno al 1968, il «ritorno a Marx» in Europa, ve ne sono almeno due che hanno continuato a esercitare una grande influenza nei dibattiti critici internazionali: la rilettura del Capitale promossa da Louis Althusser e l’operaismo italiano. Meno nota, quantomeno in Italia, è un’altra linea interpretativa, che si è venuta formando nella Repubblica Federale Tedesca – dall’interno della Scuola di Francoforte ma anche in polemica con i suoi esiti – e che ha finito per consolidare una specifica variante del «marxismo occidentale».

I lavori di Alfred Schmidt, Hans-Georg Backhaus, Helmut Reichelt, che sono all’origine di questa linea interpretativa, sono stati almeno in parte tempestivamente tradotti in Italia, e hanno contribuito ad alimentare la discussione (accademica e non) su Marx negli anni Settanta. Ma nella temperie del decennio successivo, quando la restaurazione imperante nel nostro Paese ha nei fatti bandito Marx e il marxismo dalle Università e dai cataloghi delle grandi case editrici, di questi autori si sono un po’ perse le tracce. E non ha ricevuto particolare attenzione il progressivo emergere, a cui ha dato un contributo fondamentale il lavoro di Michael Heinrich (la sua introduzione ai tre libri del Capitale è stata tradotta nel 2012 in inglese, per la Monthly Review Press), di quella che oggi viene definita Neue Marx-Lektüre, «nuova lettura di Marx». Tanto in Germania quanto nel mondo anglofono (e in particolare negli Stati Uniti) questa particolare interpretazione di Marx è al contrario al centro di vivaci dibattiti, con esiti che possono talvolta apparire sorprendenti.

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lanatra di vaucan

I primi cedimenti del feticismo delle merci

di Daniele Vazquez

old school new strategy2Nel 1970 Fredy Perlman, nel numero 6 della rivista “Telos” rivalutava le teorie dello storico ed economista sovietico Isaak Rubin per cui tutta l’opera di Marx non sarebbe “una serie sconnessa di episodi, ciascuno con un problema che sarà abbandonato poi in seguito”1. Dai Manoscritti del 1844 fino al Capitale, dal giovane Marx idealista al Marx maturo e realista, vi sarebbe una fondamentale continuità. Marx ha cambiato e affinato concetti, modificato terminologia, ma non ha mai abbandonato la direzione dei suoi studi e il suo stile, inseguendo un capovolgimento, un quid pro quo che per Rubin è “La teoria del feticismo della merce […] la base dell’intero sistema economico di Marx, e in particolare della sua teoria del valore”2. Perlman cita diverse volte un passaggio dei Manoscritti: “L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea”3.

Nei Grundrisse troviamo lo stesso modo di incedere del discorso nel capitolo sul processo di circolazione del capitale a proposito del lavoro oggettivato che si presenta come mezzo di sussistenza del lavoratore: “Tutti i momenti che si contrapponevano alla forza-lavoro viva come forze estranee, estrinseche, e che, sotto certe condizioni da essa stessa indipendenti, la consumavano, la utilizzavano, sono ora poste come prodotto della stessa forza-lavoro viva“4 , anche se “il prodotto del lavoro, il lavoro oggettivato a cui proprio il lavoro vivo ha dato una propria anima, si fissi poi di fronte ad esso stesso come un potere altrui”5.

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la citta futura

Ateismo nel cristianesimo

di Renato Caputo

Stimolati dai più recenti avvenimenti, che riportano tragicamente al centro dell’attenzione il complesso rapporto fra religione, ideologia, società e politica, ritorniamo sul rapporto fra filosofia marxista e religione cristiana. Dopo aver affrontato in precedenti articoli la questione nel giovane Marx richiamiamo ora l’attenzione sui suoi significativi sviluppi nella riflessione filosofica sul cristianesimo di Ernst Bloch

f717befa527fe33477b3aff196b18d13 LChe la visione del mondo mitologico-religiosa continui a segnare, anche in modo eminentemente tragico, la vita sociale e politica a livello internazionale, credo sia sotto gli occhi di tutti. Per quanto possano essere sovradeterminati, inconsapevolmente, da interessi più profondi di carattere strutturale, ossia socio-economico, per quanto possano essere strumentalizzati da dinamiche geopolitiche, è indiscutibile che dei giovani che si immolano “volontariamente”, uccidendo degli altri esseri umani per i quali non nutrono un odio specifico, non possono che farlo sul fondamento di credenze di carattere religioso. Per altro, come è altrettanto noto, la destra nei paesi a capitalismo avanzato, tende a giustificare la guerra imperialista (co-responsabile di questa micidiale spirale fatta di colonialismo e poi imperialismo neocolonialista-terrorismo-guerra di civiltà) proprio richiamandosi ai valori della tradizione cristiana.

Come abbiamo visto la stessa dialettica politica nazionale e la questione decisiva dei diritti civili continuano a essere ostaggio di un pesantissimo retaggio mitologico-religioso, che spesso costituisce uno dei principali argini alla soluzione non solo sul piano universale della ragione di tali problematiche, ma anche sul piano del diritto formale.

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ilcomunista

Dialogo sopra un minimo sistema dell'economia

A proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli

Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro

frankghery cm 170x200 oliosutela 2013Questo articolo, Dialogo sopra un minimo sistema dell’economia – a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli, fu messo insieme, sistemato e redatto da Gianfranco Pala, per la rivista  Marxismo oggi, 3, Milano 1993. La parafrasi del Dialogo galileiano qui scelta trae spunto da una serie di circostanze. Innanzitutto, è da considerare in maniera un po’ sarcastica l’esagerata importanza che, per seguir le mode, negli anni trascorsi fu data all’opera di Sraffa che, conseguentemente è stata qui definita come “sistema minimo” dell’economia; all’opposto, ma forse proprio per quell’esagerazione pregressa, è altrettanto ingiustificata la dimenticanza in cui essa è stata poi gettata, tanto più se la si compara con le “nuove” mode dell’economia neoliberista dai “tratti demenziali”, come la connoterebbe Brecht. Tuttavia, l’abbandono e la successiva sedimentazione del dibattito intorno a Sraffa può oggi costituire un elemento vantaggioso per riparlarne post festum (e post mortem).

In secondo luogo, per ciò che interessa maggiormente i comunisti, vi è da soppesare il ruolo, che è stato attribuito alla teoria di Sraffa e alla “sraffologia” in genere, da giocare contro il marxismo in un supponente “superamento” o “approfondimento” o “rafforzamento” o “miglioramento” di quest’ultimo; e quel ruolo, in quanto assegnato allo sraffismo nei caldi anni 1960\70 in Italia, ha da essere guardato con legittimo sospetto, in quanto l’ideologia dominante, mascherata a sinistra, cercava di accreditare così la presunta “crisi del marxismo”, epperò presentandola dal di dentro di quella che veniva suggerita come una delle possibili letture del “marxismo-senza-Marx.