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sinistra

Le ragioni del materialismo dialettico di Lenin

di Eros Barone

lenin streetart2     1. Premessa storica

Per situare nel contesto specifico il maggiore saggio filosofico di Lenin, vale a dire Materialismo ed empiriocriticismo, bisogna tener conto di due circostanze particolarmente importanti: la condizione della cultura filosofica russa nella prima metà del secolo XX; l’interazione delle diverse formulazioni teoriche dei filosofi russi con i programmi politici che caratterizzarono sia la fase prerivoluzionaria che la fase postrivoluzionaria. In quel lasso di tempo la filosofia russa aveva seguito un’evoluzione del tutto differente da quella del resto dell’Europa. L’illuminismo non era sfociato nell’idealismo e questo non aveva dato luogo al positivismo, come in Francia e in Germania, bensì tendenze illuministiche, idealistiche e positivistiche avevano contrassegnato contemporaneamente e non senza una certa confusione la vita culturale russa. La ragione di questo ‘décalage’ storico-filosofico va cercata nel fatto che mentre la naturale evoluzione della filosofia nei paesi occidentali aveva scandito il passaggio della borghesia da classe dirigente economica a classe dirigente politica (basterà ricordare a questo riguardo la nota tesi di Stalin, per il quale l’idealismo e il positivismo corrispondono rispettivamente all’ascesa e al trionfo della borghesia), in Russia la nascita della borghesia fu un evento improvviso e per certi aspetti persino prematuro, che coprì, si può dire, l’arco di una generazione, talché la nuova classe finì col portare avanti concezioni del mondo sostanzialmente contraddittorie. In questo senso è particolarmente illuminante la letteratura russa della seconda metà dell’Ottocento, specie in alcuni scrittori come Čechov.

Allorquando in Europa dalla crisi del pensiero scientifico sorse l’empiriocriticismo, gli intellettuali russi vi aderirono con entusiasmo indipendentemente dal fatto che molti di loro fossero a quell’epoca più o meno marxisti, in quanto erano convinti di aver trovato nell’unità posta da Mach tra fisico e psichico la risposta a tutti i problemi. L’empiriocriticismo era già in se stesso l’espressione di una filosofia estremamente ambigua, ma nella complicata ‘forma mentis’ degli intellettuali borghesi dell’impero zarista esso si trasformò in un vero e proprio mito: il monismo, inteso come unità indissolubile di spirito e di materia, offriva così un comodo collegamento tra ideali filantropici e concreti interessi di classe, anche se non rendeva possibile una lucida visione delle contraddizioni della società russa e un preciso impegno politico.

Era quindi fatale che questa sorta di monismo interagisse con la più forte tendenza politica dell’Ottocento russo: il populismo. Quest’ultimo affondava le sue radici nelle vaghe aspirazioni millenaristiche del mondo contadino ed era l’espressione politico-culturale dello spirito di ribellione nei confronti dello zarismo e del programma di occidentalizzazione dell’impero intrapreso fin dai tempi di Pietro il Grande: programma che implicava l’emarginazione del mondo contadino. Da un lato, emergeva quindi il carattere, in una certa misura, scientifico e moderno della politica seguita dai diversi governi dello Zar; dall’altro, una cultura contadina, quella esaltata dai populisti, spesso arcaica e retriva. Il populismo per tutte queste ragioni non poteva non entrare in crisi e il colpo di grazia, sul terreno della lotta teorica e ideologica, fu inferto dal più illustre dei marxisti russi: Georgij Plechanov. Sennonché, a partire da quando era stata importata in Russia una filosofia, l’empiriocriticismo, che permetteva di giustificare la cultura contadina come “forma naturale” di vita associata, diventava possibile rilanciare il populismo come programma politico specifico e adatto alla situazione. Proseguendo lungo questa direzione ruralista il populismo russo avrebbe poi tentato di modificare i nuovi programmi sovietici nei confronti della classe contadina alla luce di quello che era ormai diventato il populismo scientifico, un movimento che nasceva da una doppia confusione: la confusione del populismo con un movimento proletario e quella dell’empiriocriticismo con un materialismo vero e proprio.

Le considerazioni precedenti permettono di comprendere le ragioni, per così dire, nazionali, che condussero Lenin ad impegnarsi nella confutazione dell’empiriocriticismo. Sennonché dal punto di vista strettamente politico-ideologico, l’autore di Materialismo ed empiriocriticismo non era tanto preoccupato di confutare l’empiriocriticismo in sé, dato che nel 1908 questa corrente filosofica era già stata autorevolmente contestata dall’evoluzione del pensiero scientifico con Planck e del pensiero filosofico con Husserl, quanto di neutralizzare le conseguenze, per l’appunto, politiche della sua diffusione rappresentate dal rischio di una dissoluzione del marxismo, al quale aderivano diversi seguaci di Mach, e da una pericolosa recrudescenza del populismo che avrebbe potuto acquisire basi di massa.

A questo punto, potrebbe sembrare che il saggio di Lenin abbia, comunque, svolto la sua funzione e che l’interesse che può suscitare sia principalmente di carattere storiografico, quanto meno per la cultura occidentale. In realtà, le cose non stanno così per due ordini di ragioni: a livello della cultura occidentale e, nella fattispecie, del marxismo occidentale occorre riconoscere che Materialismo ed empiriocriticismo ha avuto il merito storico di contrapporsi con grande acume critico-polemico alla svolta, prima idealistica e poi neopositivista, della cultura occidentale novecentesca, costituendo un saldo presidio del marxismo ortodosso e quindi del materialismo dialettico, che del marxismo ortodosso è parte integrante e decisiva, sul fronte nevralgico della lotta teorica e ideologica di classe; a livello della cultura italiana e, nella fattispecie, dell’italo-marxismo si può affermare che il brillante saggio leniniano non ha assolto un compito puramente ‘destruens’, ossia demistificatorio, ma ha svolto anche una fondamentale funzione ‘construens’ combattendo le variegate forme di empiriocriticismo che si sono via via manifestate, non senza trovare agganci nella carenza di materialismo della tradizione gramsciana. Tutto ciò ha provocato una perniciosa confusione di stampo eclettico intorno al reale significato del marxismo, oltre che una tendenza alla comparsa di manifestazioni millenaristiche e fideistiche, nel senso letterale dell’espressione, all’interno dello stesso movimento operaio.

 

2. Materialismo e sensismo

Per comprendere le analisi di Lenin, occorre definire in via preliminare i due differenti concetti di materialismo e di empiriocriticismo. Orbene, secondo una rigorosa terminologia filosofica può definirsi materialismo qualunque filosofia accetti l’esistenza del mondo in sé e per sé, indipendentemente dalle interazioni di questo con il soggetto umano, e concepisca pertanto il complesso dei fatti naturali come l’insieme degli elementi di una materia originaria, intesa ora in senso assolutamente statico, ora in movimento. Alla materia in movimento, nella sua più elevata forma di organizzazione, si riconduce l’origine dell’uomo e nella materia in movimento si risolve l’essenza dell’uomo. L’espressione classica del materialismo si trova nella filosofia di Epicuro, per il quale la vita umana è il prodotto di aggregati atomici in movimento e le sensazioni vere e proprie relazioni meccaniche fra gli atomi dell’anima e gli oggetti. A questo riguardo non va dimenticata l’eccezionale importanza che la filosofia di Epicureo riveste nella formazione del pensiero di Marx. 1

Profondamente diversa da quella materialistica è la prospettiva sensistica. Secondo il sensismo l’uomo non può conoscere nulla che non sia prodotto dalle sue sensazioni, cosicché può sembrare che il sensismo si identifichi con il materialismo, almeno nella misura in cui condivide con questo la polemica contro le nozioni innate, che regolerebbero i processi ideativi umani, e fra queste l’idea della divinità in nome della quale un assetto sociale può essere fondato. Ciò spiega perché nell’illuminismo francese le posizioni di Diderot e di Condillac parevano molto simili e legittimavano entrambe l’ateismo rivoluzionario. Sennonché il sensismo può ribaltarsi nell’agnosticismo più radicale, oppure può autorizzare la nascita di concezioni che vengono proposte come “naturali”, mentre sono soltanto razionalizzazioni di precise intenzioni politiche. Il caso più evidente in questo senso è costituito dalla nascita dell’economia politica nel periodo dell’illuminismo, legata alla ‘fictio’ dell’“homo oeconomicus” di Smith, insigne esponente del sensismo scozzese.

L’empiriocriticismo può essere considerato come una sottospecie del sensismo. Infatti, con il termine di empiriocriticismo si intende, a parte le differenti sfumature riscontrabili tra i suoi esponenti, una concezione filosofica che vuole fondare l’unità dell’esperienza annullando la dicotomia idealistica tra il soggetto e l’oggetto. Tale distinzione in realtà non viene annullata ma semplicemente negata, poiché si sostiene che il soggetto umano è un momento dell’evoluzione della vita, il quale è provvisto della capacità di realizzare il miglior adattamento possibile al mondo circostante, e che l’intero processo conoscitivo, dalle sensazioni ai processi ideativi, è elaborato allo scopo di rendere possibile tale adattamento. Da questa premessa consegue dunque il carattere utilitaristico del pensiero e la riducibilità delle scienze logiche ad una sorta di economia biologica. La somiglianza con il materialismo sembra allora molto stretta, specie per ciò che concerne il principio utilitaristico; tuttavia, proprio il fatto che le sensazioni siano concepite non come mezzi per osservare ciò che è esterno al soggetto, bensì come elementi essi stessi inscindibili dallo stimolo che le ha provocate, mostra chiaramente come per l’empiriocriticista non si possa parlare di una materia preesistente al soggetto umano. È da notare che la posizione degli empiriocriticisti nasce dal desiderio di non invalidare la portata della filosofia kantiana e, nel contempo, di ripristinare il valore e il senso filosofico delle scienze. L’errore degli empiriocriticisti consiste quindi, per via del loro sforzo di conciliare il kantismo con il materialismo, nel ridurre ad unità sensazioni e cause delle sensazioni, trasformando il criticismo di Kant in un sensismo e ingenerando l’idea assurda secondo cui, siccome le cose non possono esistere senza le sensazioni, queste siano un ‘prius’ rispetto alle cose stesse. Ecco perché, come osserva giustamente Lenin, il rischio che l’empiriocriticismo porta con sé non è tanto quello di un normale agnosticismo sensista, quanto quello di un fideismo metafisico assoluto. Se infatti le sensazioni sono preliminari ai dati, quelle sensazioni e in genere quelle rappresentazioni di processi conoscitivi, come i sogni e i miti, che non trovano riscontro in una realtà oggettiva, acquistano una validità assoluta. La conseguenza che da ciò discende è che le forme di esperienza religiosa e mistica vengono ad essere teoreticamente giustificate, laddove sul terreno della prassi questo significa che qualsiasi forma di populismo che si basi sulla demopsicologia diventa immediatamente un programma politico rispettabile. 2

 

3. Materialismo “in alto” e “in basso”

I rapporti tra il materialismo dialettico e il materialismo storico sono asimmetrici in quanto sono condizionati dalle specifiche congiunture della lotta di classe teorica e politica. Così, se per il particolare momento storico in cui si trovarono ad operare Marx ed Engels rivolsero la loro maggiore attenzione al compito di sviluppare il materialismo e di renderlo più completo e coerente liberandolo da tutte quelle incrostazioni idealistiche “in alto”, che sono il complemento immancabile e il contrappasso inevitabile di ogni concezione meccanicistica, e perciò rivolsero il loro interesse più verso la concezione materialistica della storia che verso la gnoseologia materialistica, misero a preferenza l’accento sul materialismo dialettico anziché sul materialismo dialettico, più sul materialismo storico che non sul materialismo storico; profondamente diverso è il compito che dall’epoca di Lenin in poi, cioè dall’epoca dell’imperialismo, si pone al pensiero marxista.

In questo periodo, infatti, «la filosofia borghese si è particolarmente specializzata nella gnoseologia e, assimilando in forma unilaterale e travisata alcune parti costitutive della dialettica (per esempio, il relativismo), rivolge un’attenzione preponderante alla difesa e alla rinascita dell’idealismo in basso e non dell’idealismo in alto». Questa constatazione, che è assolutamente vera quanto meno per il positivismo in generale e il machismo in particolare che «si sono dedicati molto di più a falsificare sottilmente la gnoseologia, contraffacendo il materialismo, avvolgendo l’idealismo in una terminologia pseudo-materialistica, e hanno prestato poca attenzione alla filosofia della storia», ha fatto sì – incalza Lenin – che taluni intellettuali, giunti al marxismo in questo periodo, abbiano «imparato meccanicamente la teoria economica e storica di Marx, senza comprenderne la sostanza, cioè il materialismo filosofico»: 3 abbiano cercato di essere materialisti “in alto” senza evitare un confuso idealismo “in basso”. Da questo punto di vista merita di essere chiarito, per le sue rilevanti implicazioni teoriche, anche il rapporto tra Lenin e Kautsky. È noto infatti che Lenin fu effettivamente, per alcuni aspetti del suo pensiero filosofico e politico, debitore verso Kautsky (così come verso Plechanov), ed è altrettanto noto che per Lenin il distacco da Kautsky e la drastica revisione di una valutazione ottimistica della forza organizzativa e ideologica della socialdemocrazia tedesca non furono agevoli e avvennero con un certo ritardo. Sennonché del legame stretto con la lezione di Kautsky vi è pure un motivo che costituisce per Lenin un titolo di merito: ed è, per l’appunto, il materialismo. Infatti, se è vero che nel primo Kautsky è dato ravvisare uno spirito scolastico, è invece del tutto falso imputargli una concezione materialistico-volgare del marxismo e, quindi, una riduzione di Marx a Kautsky, anche se gli esponenti del marxismo occidentale, da Pannekoek ad Adorno, hanno avuto e hanno tuttora la tendenza a considerare materialistico-volgare pure ciò che, negli scritti del miglior Kautsky, era semplicemente marxista.

 

4. “Un libro davvero eccellente”

«Una falsificazione del marxismo sempre più raffinata, una presentazione sempre più raffinata di dottrine antimaterialistiche in veste marxista: ecco ciò che caratterizza il revisionismo moderno sia nell’economia politica che nelle questioni della tattica, sia nella filosofia in generale che nella gnoseologia e nella sociologia». 4 Scritte centodieci anni or sono, queste parole conservano oggi tutto il loro valore di fronte ai tentativi, divenuti prassi costante, di “conciliare” il marxismo con i più recenti indirizzi della filosofia borghese. Basta pensare quanto l’idealismo eserciti ancora profondamente la sua influenza non tanto nella versione tradizionale quanto in quelle (oggi in voga) del neopositivismo, della biopolitica e dell’ermeneutica, senza contare lo sfruttamento massiccio di quel serbatoio dell’irrazionalismo che è offerto dai testi di Nietzsche e l’imperversare dell’eclettismo che contrassegna le varie tendenze del “pensiero debole” e dell’ontologia esistenziale di ispirazione heideggeriana; basta pensare a tutto ciò, si diceva, per comprendere l’importanza che questa opera di Lenin può avere ai fini di un radicale rinnovamento della nostra cultura. Sennonché il carattere eclettico e carnevalesco che marchia l’attuale filosofia borghese testimonia, proprio come accadde nel periodo a cui risale l’opera filosofica di Lenin, l’involuzione di una classe entrata ormai da tempo nella sua fase imperialistica, priva di “nemici a destra” così come priva di quel tanto di ‘universalità’, sia pur mistificata, che essa aveva incarnato nella sua fase ascendente.

E, in realtà, Materialismo ed empiriocriticismo ha in sé la forza per costituire il nucleo propulsivo di una ricerca filosofica e scientifica innervata dalla dialettica materialistica. La sua rigorosa coerenza, la sua “durezza”, l’assenza di mezzi termini fanno di quest’opera la pietra di paragone ideale per tutte quelle posizioni che sinceramente mirano a un superamento dell’idealismo nelle sue forme più cangianti: essa segna il discrimine tra il vecchio e il nuovo; è un pungolo che deve spingere i ricercatori e gli studiosi a riflettere sulla loro pratica filosofica e scientifica, prendendo almeno visione del suo sottotitolo («Note critiche su una filosofia reazionaria»); rappresenta uno stimolo potente a mettere in discussione le posizioni attuali della filosofia borghese; è, in ogni caso, un’opera che non va rimossa o relegata in soffitta, ma meditata pagina per pagina e posta al centro di un rilancio chiaro, conseguente e deciso del pensiero marxista. 5

Data l’importanza strategica che rivestono nella lotta politica e teorica le questioni affrontate a questo livello, è quindi il caso di riservare una congrua attenzione all’attività dispiegata dal grande rivoluzionario russo in campo filosofico e, segnatamente, al libro intitolato Materialismo ed empiriocriticismo che di tale attività è il frutto più sostanzioso e vi occupa il posto senza dubbio centrale. Questo libro, il cui vigore polemico e il cui valore teoretico sono potenziati dallo stile antiaccademico e, per certi versi, rude ed elementare che lo contrassegna, fu scritto nel 1908 nel periodo di riflusso e di ripiegamento che seguì la rivoluzione del 1905. La documentazione su cui poggia comprende una gran mole di scritti filosofici e scientifici, tra cui figurano, oltre a quelli prodotti da pensatori classici come Berkeley, Hume, Kant e altri ancora, quelli composti da esponenti tuttora importanti dell’epistemologia scientifica contemporanea, come Mach, Duhem, Poincaré, Boltzmann, Hertz, Helmholtz e altri.

Il fulcro di quest’opera è la teoria della conoscenza, nell’àmbito della quale Lenin difende il punto di vista del materialismo. 6 La tesi che l’autore sostiene è che gli oggetti, bicchieri, tavoli o sedie, non meno che atomi o molecole, esistono indipendentemente dal pensiero, anziché essere soltanto rappresentazioni della nostra mente. Il punto di vista opposto, che Lenin combatte, è quello rappresentato dall’empiriocriticismo di Mach e Avenarius, sotto il cui influsso si trovavano allora alcuni comunisti, come Bogdanov, Bazarov ed altri, che, avendo adottato l’epistemologia di Mach, erano diventati, all’interno della frazione bolscevica, il bersaglio della polemica di Lenin. 7

La tesi che l’empiriocriticismo sostiene è quella secondo cui affermare l’esistenza di oggetti esterni, al di là delle nostre sensazioni, significa applicare all’esperienza e alla scienza una metafisica illegittima. Per gli esponenti di questo indirizzo di pensiero, infatti, ciò che è dato e verificabile sono solo le nostre percezioni (senza distinzione di ‘dentro’ e ‘fuori’). Sennonché l’obiezione principale che Lenin rivolge a questa variante dell’“idealismo soggettivo” è che una simile tesi risale alla dottrina dell’immaterialismo spiritualistico del vescovo anglicano Berkeley, la quale si può riassumere nella celebre formula: “Esse est percipi” (l’essere delle cose coincide con il loro essere percepite da un soggetto). Grazie a questa obiezione Lenin coglie due piccioni con una fava: da un lato, mostra che l’empiriocriticismo, il quale presume, attenendosi ai soli dati della percezione, di costituire una ‘terza via’ rispetto all’alternativa tra idealismo e materialismo, è invece figlio del fideismo religioso; dall’altro, prova il nesso di implicazione che intercorre fra il materialismo, posizione filosofica esente da ipoteche religiose, e l’ateismo.

Il binomio Mach-Berkeley può apparire sorprendente, se si rammenta che Mach, oltre che un filosofo, è stato un fisico importante, a cui la ‘teoria della relatività’ di Einstein deve non poco, e che il vescovo Berkeley fu un nemico della scienza, da lui considerata fonte del materialismo e dell’ateismo. Tuttavia, l’argomentazione di Lenin non è affatto riduttiva o peregrina, come potrebbe apparire a prima vista. Proprio perché afferma con forza il valore conoscitivo della scienza e non la considera solo uno strumento o un artefatto pratico, proprio perché vede in essa, per quanto incompiuta, provvisoria e perfettibile possa essere, una descrizione della realtà e, quindi, una forma fondamentale della conoscenza, Lenin congiunge indissolubilmente il materialismo con l’ateismo: il primo, infatti, negando il ruolo delle cause finali nella conoscenza della natura, costituisce, indipendentemente dal grado di consapevolezza dello scienziato, il presupposto e il ‘modus operandi’ della scienza, di cui il secondo, sempre per gli stessi motivi, è il correlato organico e, per così dire, strutturale. È dunque difficile disconoscere la straordinaria importanza della tesi leniniana, che assume un ancor maggiore risalto se si considera che il libro in cui essa è esposta in modo ampio, approfondito e pugnace fu scritto nel pieno della “crisi dei fondamenti” della meccanica classica e della nascita dei nuovi indirizzi, di cui tenne conto: la scienza implica necessariamente il materialismo, poiché, in assenza di questo, viene a mancare l’oggettività a cui riferire le teorie scientifiche. Questa è la ragione profonda per cui la sorte dell’ateismo appare intrecciata a quella della scienza: “simul stabunt, simul cadent”.

Ma l’importanza della tesi che afferma il valore conoscitivo della scienza si può pienamente apprezzare anche attraverso il confronto con la posizione di Mach, per il quale la scienza non descrive e non spiega nulla, è solo uno strumento per correlare le sensazioni tra di loro e, in tal modo, realizzare un’“economia di pensiero” (questo è lo ‘strumentalismo’ che sarà combattuto da Popper, il maggior filosofo della scienza che abbia prodotto il Novecento). Va detto, peraltro, che la visione della scienza, che ebbe Mach, apparve riduttiva già a grandi fisici come Boltzmann, le cui riflessioni epistemologiche erano ben note a Lenin, e come Planck che, nello stesso anno in cui Lenin scrisse Materialismo ed empiriocriticismo, affermò, in aperta polemica con Mach e in consonanza con le successive prese di posizione dello stesso Einstein, che la scienza, senza realismo, 8 si dissolve.

Ma in Materialismo ed empiriocriticismo vi sono altre due teorie di Lenin, che sono costitutive del materialismo dialettico e che qui possono soltanto essere accennate. La prima è la ‘teoria del riflesso, ove Lenin ripropone la stessa istanza della ‘verità come corrispondenza’, che è quanto dire della priorità dell’essere rispetto al pensiero, fatta valere da Aristotele nel libro IX della Metafisica, in cui è dato leggere quanto segue: «Non perché noi ti reputiamo bianco, tu sei bianco davvero, ma, all’incontro, perché tu sei bianco, pensiamo il vero noi che ti diciamo tale». 9

La seconda teoria concerne il rapporto tra scienza e filosofia, a proposito del quale il rivoluzionario russo, dimostrando un acume sorprendente in un uomo che, pur essendo di altissima levatura, non era un professionista della ricerca filosofica (ma quanto spesso accade di trovare gemme di autentica filosofia nelle attività e nelle riflessioni dei ‘non-filosofi’!), distingue tra il “concetto filosofico” e il “concetto scientifico” di materia, laddove il primo si riduce ad affermare la semplice esistenza di una realtà indipendente dal pensiero, senza dire in che cosa essa consista, perché non spetta alla filosofia il cómpito di determinare come la realtà sia fatta, mentre il secondo è interamente deputato alla scienza, che è la sola che possa stabilire se quella realtà sia un corpuscolo, un campo elettromagnetico o un’altra entità ancora.

In conclusione, le osservazioni finora svolte dovrebbero essere sufficienti a comprovare, per un verso, l’inconsistenza delle critiche rivolte all’opera di Lenin dal cosiddetto ‘marxismo occidentale’, spesso tanto sofisticato quanto intriso di idealismo, e, per un altro verso, la notevole affinità, sul piano filosofico, tra l’opera di Lenin e l’epistemologia di Popper, che deriva, in buona sostanza, dalla comune posizione del realismo gnoseologico e trova un esplicito e puntuale riscontro in un passo del libro di Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, ove è dato registrare questo giudizio: «Il libro di Lenin contro l’empiriocriticismo è, secondo me, davvero eccellente». 10

 

5. La costante leniniana del materialismo tra Kant ed Hegel

L’apertura simultanea di diversi fronti, che caratterizza il testo filosofico di Lenin, se ne rende difficile la lettura, non implica però né confusione né dispersione degli argomenti. In effetti, Lenin si batte su tutti i fronti, ma sempre con le stesse armi. La principale di queste è una tesi che conferisce coerenza e unità al sistema delle posizioni difese dal pensatore russo: la tesi cosiddetta del riflesso, attinta da Engels, che costituisce l’oggetto di una ripetizione instancabile nella prima parte di Materialismo ed empiriocriticismo e che si può enunciare in questi termini: il pensiero è il riflesso del mondo esterno che esiste fuori e indipendentemente dalla nostra coscienza. Come è noto, questa tesi centrale del riflesso, che viene esposta e argomentata nei tre primi corposi capitoli dell’opera, ha dato ansa ad una controversia circa il significato filosofico, la portata politica dell’intervento del 1908 e, segnatamente, la continuità del pensiero filosofico di Lenin. I termini di tale controversia si possono riassumere nella forma di un’alternativa: è vero o no che nella prima parte di Materialismo ed empiriocriticismo Lenin sostiene contro i suoi avversari una teoria sensistica della conoscenza?

A questo proposito, alcuni interpreti pongono in risalto il fatto che l’unico riferimento filosofico preciso e particolareggiato che Lenin introduce è quello concernente Diderot come antagonista di Berkeley, e citano passi come il seguente: «La materia è ciò che, agendo sugli organi dei nostri sensi, produce la sensazione; la materia è la realtà obiettiva data a noi dalle sensazioni», 11 e altri passi analoghi, i quali sembrano confermare che Lenin ha adottato il punto di vista del sensismo e persino, per usare le sue stesse espressioni, del “sensismo obiettivo”. Altri interpreti tentano di derubricare questi passi considerandoli come una manifestazione di ingenuità filosofica o addirittura come un “errore” di Lenin rettificato ed emendato, sei anni più tardi, nei Quaderni filosofici grazie ad una lettura critica della Scienza della logica di Hegel. 12

Insomma, la critica di Materialismo ed empiriocriticismo, formulata dal punto di vista dei Quaderni filosofici, è un ‘leitmotiv’ di quell’ossimoro teorico che è il revisionismo (anti-)marxista contemporaneo. Perfino uno studioso comunista serio come Luciano Gruppi è stato incapace di prendere le distanze da essa scrivendo una prefazione nettamente derogatoria a Materialismo ed empiriocriticismo, nella quale declassa il testo a «polemica riaffermazione della teoria della conoscenza materialistico-dialettica» e arriva a confinare nelle pagine interne (per l’esattezza a pagina 13) il fondamentale sottotitolo: Note critiche su una filosofia reazionaria, peraltro espunto drasticamente dalla prima pagina della copertina.13

Altri studiosi, infine, si rifiutano a ragione di scorgere in Materialismo ed empiriocriticismo il frutto di una esagerazione polemica, ne sottolineano invece la radicale novità che esso rappresenta nella storia della filosofia e vedono nel “sensismo” di Lenin un problema di terminologia e, più profondamente, un problema di strategia filosofica connesso al fatto che Lenin si trovò ad affrontare i suoi avversari sul loro terreno e non sul proprio. Sennonché, come fa giustamente rilevare Lecourt nel suo importante saggio su Lenin e la crisi delle scienze, la problematica del “riflesso” sarà ripresa, esposta negli stessi termini, nei Quaderni filosofici, le cui tesi – è bene ripeterlo - non sono affatto in contraddizione con le tesi di Materialismo ed empiriocriticismo. 14

 

6. Il materialismo dinamico e antisoggettivistico di Lenin

La critica hegeliana della cosa in sé ha per Lenin il merito di mostrare che nel concetto di ‘cosa in sé’ può scorgersi l’effetto tipico della soluzione che Kant dà al duplice, e congiunto, problema del rapporto tra essere e pensiero (= problema ontologico) e del carattere oggettivo delle conoscenze (= problema gnoseologico): cioè la subordinazione idealistica del primo problema al secondo problema, che, in modo implicito e preliminare, risolve il primo problema nel senso del primato del pensiero sull’essere. Si ha qui una convergenza tra il percorso seguito da Lenin e il percorso seguito da Hegel nella critica a Kant.

Tuttavia si delinea subito anche una divergenza, perché Lenin risolve il problema ontologico in un senso opposto a quello hegeliano. Lenin infatti concorda con Hegel nel criticare la ‘cosa in sé’ come una “vuota astrazione”, perché la ritiene una realtà fantastica, ossia la posizione in sé contraddittoria di un essere la cui esistenza è stata cancellata dalla subordinazione idealistica del problema ontologico al problema gnoseologico. Scrive Lenin a tale proposito: «Il ‘Ding an sich’ di Kant è una vuota astrazione, ma Hegel esige astrazioni che corrispondano alla Sache [cosa]», e poco più oltre precisa: «Hegel esige (...) una logica in cui le forme siano ‘gehaltvolle Formen’, forme del contenuto vivente, reale, connesse inseparabilmente con il contenuto». 15 Ma quando Hegel sviluppa la sua critica per mostrare che la ‘cosa in sé’ impedisce di pensare che nella conoscenza umana è l’essere come logos che si esprime, l’idea assoluta che parla, Lenin sorride e passa oltre. Esprime invece il suo accordo quando Hegel osserva che porre la ‘cosa in sé’ come inconoscibile significa arrestare la dinamica della conoscenza e non poter concepire il pensiero come movimento, giacché in tal modo si assolutizza quello che è soltanto il momento di un processo.

Un altro fattore di convergenza tra il percorso di Lenin e il percorso di Hegel sul terreno della lettura di Kant consiste in ciò, che Lenin della critica di Hegel conserva l’idea secondo cui la conoscenza è un processo e i suoi oggetti sono solo momenti di trapasso. Sennonché, quando questo movimento giunge con Hegel a partorire la natura, Lenin scoppia a ridere: “ah-ah!”, chiosa in margine. Indubbiamente la concordanza tra Lenin ed Hegel risiede nella centralità della critica del soggettivismo kantiano, il che risulta evidente quando, riprendendo un passo di Hegel sulla ‘cosa in sé’, Lenin lo commenta in questi termini: «L’essenza dell’argomentazione è, a mio giudizio, che...in Kant la conoscenza separa (esclude) la natura e l’uomo, mentre in realtà li congiunge». 16 In breve, Lenin ripropone dal punto di vista del materialismo tutto ciò che nella critica hegeliana dissolve la categoria di soggetto.

È qui palese il carattere dialetticamente ancipite della critica di Lenin, che, nel rivolgersi contro l’idealismo assoluto di Hegel, ad un tempo supera e conserva il suo oggetto, estrapolandone tutte le posizioni in cui l’assoluto lavora contro il soggettivo, nel mentre respinge la categoria di assoluto nella sua configurazione hegeliana. Parimenti, a proposito della figura teoretica che riveste un ruolo fondamentale nel sistema hegeliano, vale a dire «il concetto dell’unità dell’esser differente e del non esser differente, - oppure quello dell’identità della identità con la non identità», «concetto che si potrebbe riguardare – scrive Hegel – come la prima e più pura (cioè più astratta) definizione dell’assoluto», ecco il commento di Lenin: «Hegel è (secondo Engels) il materialismo posto con la testa all’ingiù: elimino quindi in gran parte il buon Dio, l’assoluto, l’idea pura, ecc.». 17 Lenin accetta l’assoluto hegeliano in ciò che esso ha di antisoggettivistico e ‘traduce’ quest’ultimo nei termini di un “oggettivismo” che ritiene essere ìnsito nella concezione di Hegel. Eliminare “in gran parte” l’assoluto di Hegel significa allora prendere atto del bisogno che Hegel ha di questa categoria per dissolvere il soggettivismo della teoria kantiana della conoscenza, scartando ciò che di idealistico è contenuto nell’uso hegeliano di tale categoria.

Valorizzando quanto ha enucleato da Hegel in base ad un’interpretazione oggettivistica, Lenin definisce quindi il processo hegeliano come intrinseco e necessario. Egli scrive con l’enfasi che accompagna le scoperte filosofiche importanti: «Movimento e “automovimento” (NB questo! Un movimento per impulso proprio (autonomo), spontaneo, intrinsecamente necessario), “mutamento”, “movimento e vitalità”, “principio di ogni automovimento”, “impulso” (‘Trieb) al “movimento” e all’“attività”, opposizione al “morto essere”: chi crederebbe che questa è l’essenza dell’“hegelismo”, dell’astratto e ‘abstrus’ (pesante, assurdo?) hegelismo?? Questa sostanza bisogna scoprire, capire, ‘hinüberretten’, liberare dalla scorza, depurare, cosa che hanno fatto Marx ed Engels». 18

Nello scritto intitolato A proposito della dialettica il concetto or ora esposto viene così sviluppato: «L’identità degli opposti (o, forse, è meglio dire: la loro “unità”? [...]) è il riconoscimento (la scoperta) di tendenze contraddittorie, che si escludono reciprocamente, opposte, in tutti i fenomeni e processi della natura (spirito e società compresi). Condizione della conoscenza di tutti i processi del mondo nel loro “automovimento”, nel loro sviluppo spontaneo, nella loro vivente realtà, è la conoscenza di essi come unità degli opposti. Lo sviluppo è “lotta” degli opposti». 19 La dialettica si configura perciò, a questo punto, come l’orizzonte rivoluzionario dell’anticriticismo hegeliano: un orizzonte mobile che emerge in ultima analisi da una concezione dinamica del primato dell’essere e acquista la propria autonomia teoretica con lo sganciamento di quest’ultimo da quella subordinazione al problema gnoseologico che Kant ha istituito attraverso la teoria della conoscenza e il correlativo primato del soggetto.

 

7. L’importanza teoretica e storica del criterio della prassi

Come si è mostrato poc’anzi, non sussiste alcuna contraddizione tra Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni filosofici. L’anticritica del criticismo kantiano sviluppata da Hegel nel secondo testo svolge infatti lo stesso ruolo assolto nel primo dal ricorso al “sensismo obiettivo” ‘giocato’ in funzione antimachista: in entrambi i casi si punta a situare il problema ontologico al giusto posto, riconoscendo il suo ruolo fondamentale e fondativo sia rispetto all’antinomia tra materialismo e idealismo, sia rispetto al problema della oggettività della conoscenza. Identico è il ruolo di alternativa e di contravveleno all’agnosticismo delle tendenze filosofiche e scientifiche moderne, svolto in entrambi i testi dalla filosofia hegeliana, fermo restando che la maggiore ampiezza con cui essa sarà analizzata e approfondita nei Quaderni filosofici rispetto a Materialismo ed empiriocriticismo è legata al differente obiettivo che caratterizza le due opere: prevalentemente storico-analitico e di elaborazione teorica in quelli (quindi sotto il segno della negazione della negazione), essenzialmente critico-polemico e di attacco al revisionismo in questo (quindi sotto il segno della soluzione delle contraddizioni). 20 Solo facendo riferimento a questa congiuntura eccezionale, unica nella storia della filosofia moderna, è allora possibile spiegare la valutazione positiva del pensiero hegeliano espressa dai fondatori del socialismo scientifico e la funzione che la Scienza della logica ha potuto assolvere nella storia del materialismo dialettico e del materialismo storico. Ben si comprende come Engels abbia potuto affermare, in un passo ripreso anche da Lenin, che «l’essenziale per la confutazione» della teoria agnostica kantiana «è stato già detto da Hegel nella misura in cui si poteva farlo da un punto di vista idealistico». 21 In tal senso il materialismo dialettico non dirà niente di più, ma lo dirà in modo diverso, cioè dal punto di vista del materialismo.

D’altra parte, se la logica di Hegel ha svolto una funzione decisiva nella storia del marxismo, ciò dipende dal fatto che essa ha situato al suo giusto posto il problema ontologico. In tal senso è corretto affermare, ancora una volta, che tra i Quaderni filosofici e Materialismo ed empiriocriticismo non vi sono contraddizioni. E il problema che offre il punto di vista più idoneo per valutare lo sviluppo della concezione leniniana da Materialismo ed empiriocriticismo ai Quaderni è il problema dei rapporti fra teoria e prassi.

Non a caso, nell’opera del 1908, polemizzando con i machisti secondo i quali «soltanto il successo è in grado di distinguere la conoscenza dall’errore», Lenin scrive: «Per il materialista il “successo” della pratica umana dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura obiettiva delle cose che percepiamo»; 22 in altri termini, tale successo è sì un criterio di verità per le teorie, ma questa verità consiste in qualcosa d’altro, ossia nella corrispondenza fra ciò che è asserito dalla teoria e ciò che esiste nella realtà. Pertanto, il tema dell’unità teoria-prassi, che diventa centrale nei Quaderni, era già presente in Materialismo ed empiriocriticismo e l’unica differenza è che nei Quaderni esso assume un accento nuovo in quanto viene esplicitamente ricollegato a Hegel.

Tuttavia, si tratta di un approfondimento e non di una vera e propria svolta per due ragioni: in primo luogo, perché Lenin, nel riprendere il tema dell’unità teoria-prassi, pone in risalto assai più il condizionamento esercitato da quella su questa che non il condizionamento inverso (così, ad esempio, ribadisce più volte l’inefficacia a cui si trova condannata la prassi se non tiene conto dei risultati raggiunti dalla conoscenza scientifica, mentre parla in termini ben diversi degli effetti della prassi sulla conoscenza giungendo perfino a definirli come “pregiudizi”); in secondo luogo, Lenin svolge, anche nei Quaderni, la tesi dell’unità teoria-prassi stabilendo un continuo e stretto legame con ciò che accade nelle scienze della natura.

Sennonché vi è ancora chi non si perita di parlare di posizioni precostituite di Lenin e perfino di ignoranza circa i reali successi ottenuti, dall’epoca di Marx e di Engels in poi, nel campo della fisica moderna: accusa, quest’ultima, ancor oggi, forse, la più frequentemente ripetuta. Certo, singole inesattezze riguardo a determinate teorie fisiche, in Materialismo ed empiriocriticismo ve ne sono, come tutti sanno. Eppure un’accusa di questo genere è destinata a rimanere del tutto marginale, perché il libro di Lenin non è affatto una difesa della fisica classica contro le nuove acquisizioni scientifiche e contro le revisioni metodologiche che esse imponevano, ma è una critica e uno smascheramento dell’uso ideologico, reazionario o riformista, che la filosofia borghese (rappresentata spesso dagli scienziati stessi, ottimi fisici e cattivi filosofi) si affrettò a fare di quelle acquisizioni e della “crisi dei fondamenti” da esse provocata. Non soltanto non c’è in Lenin il minimo disconoscimento della “nuova fisica”, ma c’è anzi, sulle orme di un pensiero già espresso da Engels, la piena consapevolezza che la nuova fisica rende necessaria una revisione epistemologica, la quale «non soltanto non ha nulla di revisionista nel senso che si è convenuto di dare a questa parola, ma è anzi un’esigenza necessaria del marxismo». 23 Attraverso il nesso tra verità assoluta e verità relativa 24 viene inoltre salvata la storicità della scienza e, insieme, la sua verità obiettiva. In proposito è opportuno sottolineare che chi si spaventa del sintagma “verità assoluta” (inteso come concetto-limite) riduce la scienza a ideologia e cade nell’agnosticismo oppure nella mistica, questa, sì, davvero metafisica, del Soggetto assoluto. 25

A coloro, poi, che accusano Lenin di ricadere nel materialismo volgare, di non dare abbastanza risalto al “lato attivo” nel processo della conoscenza ecc., occorre rispondere facendo osservare che Lenin stesso dichiara apertamente questa intenzionale unilateralità del suo libro.

 

8. I cardini del materialismo dialettico

In conclusione, una volta esclusa l’esistenza di due filosofie di Lenin, è opportuno sottolineare che le principali tesi da lui sostenute in Materialismo ed empiriocriticismo e approfondite nei Quaderni rispetto al problema della realtà e della conoscenza, sono tesi dialettiche poste, per così dire, sotto la giurisdizione delle tesi materialistiche e fondate su di esse. Il nocciolo dell’intervento di Lenin consiste nel restaurare il giusto ordine tra queste tesi, in polemica con i bolscevichi ‘di sinistra’ che lo avevano ignorato. 41 Nei Quaderni ciò che muta è la prospettiva: le tesi dialettiche sono infatti enunciate senza schermi, a partire dalla lettura di Hegel.

Così, le diverse tesi formulate da Lenin in base al materialismo dialettico trovano la loro articolazione e la loro interconnessione in base al materialismo dialettico: la tesi fondamentale e fondativa del primato dell’essere sul pensiero; la tesi dell’antinomia tra materialismo e idealismo come caratteristica di tutta la storia della filosofia con la correlativa esclusione delle “terze vie”; la tesi della partiticità della filosofia con la correlativa esclusione della falsa neutralità della medesima; la tesi del riflesso (o rispecchiamento) come proprietà fondamentale della materia; la tesi sul carattere relativo di ogni conoscenza, in base alla quale le stesse conoscenze scientifiche, pur approssimando la realtà e avendo perciò un valore oggettivo, non riescono mai a fornircene un’immagine completa ed esauriente; la tesi secondo cui il susseguirsi di una teoria scientifica all’altra (per esempio, della fisica del Novecento al meccanicismo dell’Ottocento) non dipende dal loro carattere meramente convenzionale, bensì dal maggior approfondimento della realtà obiettiva conseguito dalle teorie nuove rispetto alle precedenti; la necessità che la prassi non si separi dalla conoscenza, se vuole davvero raggiungere le mete che si prefigge; la necessità che la teoria non proceda senza tenere conto della prassi, poiché è proprio questa a fornire le più valide verifiche dei risultati teorici; la non-definitività di alcuna prova, ragione per cui il campo delle nostre conoscenze risulta sempre aperto a nuove indagini.

A tale proposito, vale la pena di riportare il criterio metodologico che discende, quale nitido corollario, da quest’ultima tesi: «Non si deve dimenticare», questo è dato leggere in Materialismo ed empiriocriticismo, «che il criterio della pratica non può mai confermare o confutare completamente una rappresentazione umana, qualunque essa sia. Anche questo criterio è talmente “indeterminato” da non permettere alla conoscenza dell’uomo di trasformarsi in un “assoluto”; ma nello stesso tempo è abbastanza determinato per permettere una lotta implacabile contro tutte le varietà dell’idealismo e dell’agnosticismo». 26

In conclusione, se non si tiene conto della profonda continuità e insieme della differente prospettiva che caratterizza i due testi, è inevitabile finire col perdere di vista il loro oggetto e anche la natura e la portata del modo in cui Lenin interviene nel Kampfplatz filosofico per combattere il machismo e l’influenza che esso esercita sia nelle scienze contemporanee sia nelle file del partito bolscevico.

Ma in tal caso la linea portante di Materialismo ed empiriocriticismo, dove le tesi dialettiche sono subordinate alle tesi materialistiche e la “teoria della conoscenza” è posta sotto la giurisdizione di queste ultime, rischia di essere letta come la premessa di uno sviluppo in senso empiristico, e le tesi dei Quaderni come il contrassegno di una conversione di Lenin alla filosofia di Hegel. Se dunque per condurre a fondo quella lotta, Lenin ha ritenuto di potersi avvalere delle armi fornite da Hegel, la cosa non deve stupire, ove si ricordi che già Engels aveva seguito questa medesima via. Trasformare questa utilizzazione di Hegel in una conversione alla filosofia di Hegel sarebbe però assurdo, perché la realtà di cui parla Lenin è qualcosa di radicalmente diverso dalla realtà di cui parla Hegel; è senza dubbio altrettanto oggettiva, ma è essenzialmente materiale: è la realtà che viene via via rivelandosi attraverso le scienze moderne; non è una estrinsecazione dello spirito, ma è materia che produce cervello e in tal modo produce coscienza.

Del resto, la situazione era profondamente mutata ai primi del Novecento. Era ormai in pieno sviluppo un movimento neo-idealistico, largamente differenziato al proprio interno, ma tuttavia ben concorde nella pregiudiziale antimaterialistica; ed era anche in atto un tentativo di interpretazione idealistica del marxismo fondato su una lettura in chiave volontaristica delle Tesi su Feuerbach, un testo geniale ma non privo di ambiguità, specialmente se scollegato per un verso dalla ancora ignota Ideologia tedesca e per un altro verso dalla successiva evoluzione del pensiero di Marx ed Engels. Da qui nasceva la necessità, secondo Lenin, di insistere sul materialismo: anche su quel tanto di materialismo che è innegabilmente comune al marxismo e al materialismo borghese. E in questo senso va intesa la “unilateralità” che caratterizza il libro di Lenin, laddove – giova ribadirlo - è una lettura riduttiva e, in ultima analisi, fuorviante quella proposta nella prefazione a Materialismo ed empiriocriticismo dal succitato Gruppi, il quale afferma che questo libro «può essere giustamente apprezzato solo se lo si colloca nel momento storico e di lotta politica in cui e per cui esso fu concepito», e arriva a sostenere che Lenin, parlando di verità assoluta, «ha ipostatizzato platonicamente il concetto di verità ed è ricaduto nella metafisica». 27 Certo, Materialismo ed empiriocriticismo risponde anche ad un’esigenza immediata di lotta interna al movimento operaio russo (nel quale l’empiriocriticismo era penetrato con Bogdanov, Lunačiarskij ecc., ed esercitava determinati effetti politici deleteri); ma il libro ha innanzitutto un obiettivo polemico ben più vasto, che è rappresentato dalla restaurazione idealistica di fine Ottocento e del primo Novecento: un obiettivo polemico che ancor oggi, a più di un secolo dalla pubblicazione del libro, è tutt’altro che superato, poiché ancor oggi ci troviamo in pieno fiorire di commistioni tra un marxismo sempre più ‘debolista’ e i più disparati innesti (biopolitici, heideggeriani, lacaniani ecc.): commistioni il cui comun denominatore è sempre l’antimaterialismo. È dunque la lunga durata di un “momento storico” che si estende da oltre un secolo e non accenna ancora ad esaurirsi, il fattore che giustifica la necessaria unilateralità dell’opera di Lenin. D’altronde, sono proprio coloro, i quali identificano con il platonismo e con la metafisica la verità obiettiva affermata dal materialismo, che costituiscono la conferma di quanto sia ancora necessario proseguire la battaglia materialistica intrapresa da Lenin. [Lenin, dal canto suo, aveva già individuato e smascherato in modo efficace il sofisma secondo cui il materialismo, dal punto di vista dell’idealismo soggettivo, sarebbe una forma di “metafisica”: 28Spetta dunque a Lenin il merito di aver visto con estrema acutezza, e, per certi aspetti, previsto, che l’empiriocriticismo era solo il primo stadio di un’involuzione verso forme di spiritualismo “fideista”, che dalla critica metodologica interna alla scienza avrebbero portato alla negazione della scienza stessa [esemplare, in questo senso, è l’esito apertamente relativistico e, in sostanza, irrazionalistico della critica epistemologica, pur assai raffinata, svolta da Paul Feyerabend e depositata in quell’incunabolo di tale critica che è il discorso Contro il metodo].

Ma vi è di più, giacché un’esigenza fondamentale del marxismo è proprio quella di mettere, sì, al centro i problemi della critica teorica e del superamento pratico, rivoluzionario, della società borghese, ma di riconsiderare poi, partendo da questo centro, tutti gli altri campi della cultura umana e tutti gli aspetti della situazione dell’uomo nel mondo. Da un siffatto angolo visuale la riduzione del marxismo a sociologia rivoluzionaria è stata spesso presentata, ad esempio da Gramsci, in una forma che ‘prima facie’ può apparire attraente, poiché il marxismo viene configurato come una teoria autosufficiente, tale da non necessitare ‘integrazioni’ di alcun genere. L’asserzione è senz’altro giusta come ammonimento a non compiere facili pasticci tra il marxismo e l’ultima teoria borghese alla moda, senza un esame preliminare di ciò che in tale teoria vi è di scientifico (dunque oggettivamente vero) e di ciò che invece vi è di ideologico (dunque incompatibile col marxismo), e senza un’adeguata consapevolezza della novità del rapporto fra teoria e prassi istituito da Marx. L’asserzione però diventa decettiva se mira a confinare il marxismo nell’àmbito della sola critica dell’economia politica e ad escludere il rapporto fra l’uomo e la natura dall’àmbito della eurisi marxista-leninista. È allora inevitabile riconoscere che l’esclusione di tale àmbito nasce in Gramsci da una carenza di materialismo, la quale si spiega, come ha osservato Eugenio Garin, con la sua partecipazione al marxismo occidentale e alle sue tendenze idealisteggianti. 29 Basti pensare che l’esistenza del mondo esterno, indipendentemente dal soggetto conoscente e agente, è considerata da Gramsci come un pregiudizio popolare derivato dalla religione cristiana. 30. Una volta ammesso il sofisma degli idealisti, per cui il materialismo e la religione positiva sono ugualmente “trascendenza” e “metafisica” (un sofisma che, come si è già osservato, Lenin aveva decisamente respinto), 31 era inevitabile diventare in qualche misura compartecipi di quella ‘integrazione’ del marxismo nell’idealismo che pur si voleva combattere. Il materialismo, a questo punto, sarebbe, se è lecito parafrasare così Gramsci, la malattia infantile del comunismo.

Ben diversa è stata la lezione di Marx e di Engels, la cui preoccupazione principale fu quella di ‘integrare’ Darwin e Morgan nel materialismo storico e dialettico. Proprio perché è parte integrante del marxismo la tendenza ad elaborare una visione coerente del mondo e del posto dell’uomo nel mondo, sussiste in esso la ineludibile necessità di un contatto con le scienze della natura e, insieme, di una polemica contro tutto ciò che di idealistico, o di biologistico, vi è nelle concezioni filosofiche nate dalla riflessione sulle sole scienze della natura. Del resto, la necessità di un approccio critico-metodologico, per così dire, bilaterale non concerne soltanto le scienze della natura. Anche per quel che riguarda l’economia politica, Lenin, fin da Materialismo ed empiriocriticismo, da un lato ne aveva affermato con tutta chiarezza la “partiticità”; dall’altro aveva sostenuto la necessità di saper usare le tecniche più aggiornate degli economisti borghesi. 32 E aveva posto l’accento sul problema cruciale attorno a cui si svolgono il confronto e lo scontro che sostanziano la lotta teorica e ideologica di classe. Giacché in ogni rapporto tra marxismo e cultura borghese, il punto è sempre quello di vedere chi egemonizza e chi è egemonizzato: questa è, in definitiva, la lezione fondamentale, di merito e di metodo, che si ricava dal materialismo dialettico di Lenin e ne rende pienamente e fortemente attuali le ragioni.


Note
1 Per avere un’idea dell’importanza dell’indirizzo materialistico nella formazione del socialismo scientifico basti pensare alla geniale dissertazione di laurea svolta dal giovane Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (cfr. A. Sabetti, Sulla fondazione del materialismo storico, La Nuova Italia, Firenze 1962).
2 Gli esempi attuali non mancano: dal populismo leghista a quello del M5S, il cui terreno di coltura è stato preparato da quel fenomeno di alienazione allucinatoria che con felice sintagma già l’indimenticabile Franco Fortini definiva “surrealismo di massa”. Esempi cui si aggiunge, buon ultimo, il programma ancor più ‘surrealista’ partorito dal redivivo Enrico Letta nella sua veste di neosegretario del Pd, secondo il quale i problemi più urgenti del nostro paese, in una congiuntura drammatica di crisi economica, sanitaria e sociale, sarebbero il voto ai sedicenni e il ‘jus soli’.
3 V. I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 324-325.
4 Ibidem, p. 325.
5 Il pensiero marxista non ha un unico punto di riferimento centrale, come il cerchio, bensì due fuochi come l’ellisse: essi sono il materialismo dialettico e il materialismo storico. L’immagine dell’ellisse è tratta da una pregnante osservazione di Ludwig Feuerbach, secondo cui con Keplero, protagonista della “rivoluzione astronomica”, la verità da circolare è diventata ellittica. Ma essa ha anche il pregio di sottolineare, alla luce del fondamentale criterio della prassi, quel carattere dinamico della filosofia marxista-leninista che scaturisce dall’insopprimibile esigenza di non arrestare la dinamica della conoscenza e, dunque, di concepire il pensiero come movimento senza assolutizzare quello che è soltanto il momento di un processo.
6 In riferimento non solo al termine “realismo” adoperato da uno degli scrittori da lui esaminati, ma anche – si potrebbe aggiungere – all’uso lessicale invalso presso certi epistemologi contemporanei di orientamento semi-marxista, Lenin pone in risalto l’ambiguità che caratterizza tale uso e la scelta conseguente di sostituirlo con il chiaro ed esplicito termine di “materialismo”: «Notiamo che il termine realismo è qui usato in contrapposizione all’idealismo. Seguendo Engels, uso in questo senso soltanto la parola materialismo e considero questa terminologia come la sola corretta, specialmente tenendo conto che la parola “realismo” è stata logorata dai positivisti e da altri confusionari oscillanti tra il materialismo e l’idealismo» (V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 57).
7 Lenin nella prefazione a Materialismo ed empiriocriticismo definisce il sedicente “rinnovamento” della filosofia di Marx proposto da Bogdanov e dai suoi amici come un “revisionismo filosofico tipico” (Ibidem, p. 16).
8 Va da sé che in questo caso il termine “realismo” è, per quanto riguarda il significato, un mero allotropo del termine “materialismo”.
9 Aristotele, Metafisica, trad. it. a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1959, pp. 308-309.
10 K.R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, Armando Editore, Roma 2002, p. 104.
11 V. I. Lenin, Op. cit., pp. 142 e 168.
12 Ludovico Geymonat nel capitolo dedicato a Lenin del VI volume della Storia del pensiero filosofico e scientifico osserva giustamente, fra l’altro, che se i Quaderni costituissero una vera e propria svolta, non si spiegherebbe come mai Lenin abbia ripubblicato Materialismo ed empiriocriticismo nel 1920, con una nuova prefazione in cui ne riaffermava la validità. Tanto la prima quanto la seconda edizione videro infatti la luce a Pietroburgo e nacquero da una precisa intenzione politica: nel 1908 Lenin si preoccupò di esporre le proprie vedute intorno al materialismo e di confutare gli empiriocriticisti russi, almeno nella misura in cui questi potevano condizionare lo sviluppo teorico del marxismo nel vecchio impero zarista; nel 1920 l’intenzione era ancora la stessa, ma più direttamente rivolta contro il revisionismo, ossia contro quella particolare interpretazione del marxismo in termini più o meno esplicitamente idealistici, che il vecchio avversario di Lenin, Bogdanov, continuava a formulare, valendosi delle tesi tipiche dell’empiriocriticismo.
13 Vedere per credere la Prefazione di L. Gruppi a V. I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, Roma 1970.
14 Cfr. D. Lecourt, Lenin e la crisi delle scienze, Editori Riuniti, Roma 1974. Riguardo al problema qui evocato, si veda in particolare il paragrafo sulla Ripresa leniniana delle posizioni antikantiane di Hegel (pp. 70-79). Dal canto mio, ho argomentato la tesi della piena ed organica continuità della elaborazione filosofica di Lenin, così come si dispiega lungo l’arco teoretico e storico che va da Materialismo ed empiriocriticismo ai Quaderni filosofici, nell’articolo reperibile sulla Rete al seguente indirizzo: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/16525-eros-barone-buscar-el-levante-por-el-ponente.html.
15 V. I. Lenin, Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 91-92.
16 Ibidem, p. 91.
17 G. W. F. Hegel, Scienza della logica, trad. di A. Moni, t. I, Laterza, Bari 1974, p. 60.
18 Ibidem, pp. 131-132.
19 Ibidem, p. 362.
20 Per la chiarificazione del differente ruolo dialettico svolto dai concetti di ‘negazione della negazione’ (o ‘negazione dialettica’) e di ‘soluzione delle contraddizioni’, si veda in questa stessa sede il paragrafo 8 del saggio dello scrivente, La Dialettica della natura di Engels: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/16031-eros-barone-la-dialettica-della-natura-di-engels.html.
21 K. Marx-F. Engels, Opere cit., p. 1116.
22 V. I. Lenin, Op. cit., p. 136.
23 Ibidem, p. 246.
24 Cfr. V. I. Lenin, Op. cit, cap. II e passim.
25 Sul concetto leniniano di verità assoluta si veda specialmente V. I. Lenin, Op. cit., p. 132 ss. Del resto, se c’è una passione che anima Materialismo ed empiriocriticismo, è la passione per la verità obiettiva: quella verità che fu proprio il marxismo occidentale a svalutare, identificandola con l’alienazione e la “reificazione” borghese.
26 V. I. Lenin, Ibidem, p. 136.
27 Cfr. V. I. Lenin, Op. cit., p. 9.
28 Cfr. Ibidem, p. 305: «Il materialista tratta la fisica come una metafisica. Conosciamo bene questo argomento. L’ammissione della realtà oggettiva esterna all’uomo vien detta metafisica. Gli spiritualisti si uniscono ai kantiani e ai seguaci di Hume per rivolgere questo rimprovero al materialismo».
29 Cfr. E. Garin, La formazione di Gramsci e Croce, in “Prassi rivoluzionaria e storicismo in Gramsci”, Quaderno n. 3 di «Critica marxista», 1967, p. 119 ss.
30 Si veda, tra i numerosi passi che si potrebbero citare, il seguente: «Il senso comune afferma l’oggettività del reale in quanto la realtà, il mondo, è stato creato da Dio prima dell’uomo, indipendentemente dall’uomo; esso è pertanto espressione della concezione mitologica del mondo» (Quaderni del carcere, edizione critica curata da Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 1456). E poco sotto: «Senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe l’oggettività? Un caos, cioè niente…» (e si veda tutto ciò che segue).
31 Si veda in questo senso il paragrafo 5 del sesto capitolo di Materialismo ed empiriocriticismo, intitolato “Ernst Haeckel e Ernst Mach” (ibidem, pp. 341-344), in cui Lenin valorizza polemicamente, contrapponendolo alle posizioni degli empiriocriticisti, degli spiritualisti e degli idealisti, il celebre libro di Haeckel, Gli enigmi dell’universo. A questo scopo l’Autore cita con pieno consenso il seguente giudizio espresso da Franz Mehring nella recensione di tale libro pubblicata dalla «Neue Zeit», la rivista teorica della socialdemocrazia tedesca: «Fin dall’apparizione degli Enigmi dell’universo, alla fine del 1899, Mehring osservava che “il libro di Haeckel, prezioso, sia per le sue insufficienze sia per le sue qualità, contribuirà a schiarire le opinioni diventate assai confuse su ciò che è, per il nostro partito, il materialismo storico da una parte, e il materialismo storico dall’altra”».
32 «…in complesso i professori di economia politica non sono altro che dotti commessi al servizio della classe capitalistica…voi non farete neppure un passo nel campo dello studio dei nuovi fenomeni economici se non utilizzerete le opere di questi commessi» (V. I. Lenin, Op. cit., p. 337).

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Eros Barone
Monday, 22 March 2021 13:35
Grazie, Paolo, per i tuoi commenti, che si configurano come veri e propri contributi conoscitivi, utili per approfondire la questione politica, ma anche filosofica, ossia metodologica, del ruolo del sindacato nella fase di transizione e della linea del partito comunista su questo terreno. Riguardo a questo secondo aspetto è giusto sottolineare, come hai fatto tu, la centralità dell'opposizione tra materialismo dialettico ed eclettismo.
Due erano le posizioni in conflitto: quella del partito, secondo cui “i sindacati sono innanzitutto una scuola di comunismo”; quella di Trotsky, secondo cui “i sindacati sono innanzitutto un apparato tecnico-amministrativo di gestione della produzione”. Bucharin, dal canto suo, tentò di mediare tra la posizione del partito e quella di Trotsky: «Il compagno Zinoviev ha detto che i sindacati sono una scuola di comunismo e Trotsky ha detto che essi sono l’apparato tecnico-amministrativo di gestione della produzione. Non vedo nessun fondamento logico che dimostri che il primo o il secondo punto di vista non sia giusto: entrambe queste definizioni sono giuste, come è giusta la loro combinazione». Bucharin si ingegnò di argomentare la propria posizione (ovviamente eclettica) ricorrendo ad un’analogia: «Compagni, le discussioni che qui si svolgono suscitano in molti di voi all’incirca questa impressione: arrivano due persone e si chiedono reciprocamente che cos’è il bicchiere che sta sulla scrivania. L’uno dice: “È un cilindro di vetro e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così”. L’altro dice: “Il bicchiere è uno strumento che serve per bere e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così”». Lenin intervenne nella discussione prefiggendosi due obiettivi: sostenere la posizione politicamente corretta, secondo cui “i sindacati oggi sono anzitutto una scuola di comunismo”, ed educare il partito all’analisi dialettico-materialistica della realtà contro la posizione unilaterale (e perciò astratta) di Trotsky e contro l’eclettismo di Bucharin. Ecco come articolò la sua argomentazione. «I sindacati contano circa sei milioni di iscritti – questa fu la premessa -. Circa 900 di questi iscritti gestiscono attualmente la produzione. Ammettiamo pure che in un futuro prossimo tale numero aumenti di cento volte. Avremo allora una percentuale dell’1,5% di membri dei sindacati in grado di “gestire la produzione” e il 98,5% che studia e deve studiare a lungo per essere in grado di farlo. Ciò significa che i sindacati sono destinati ad essere, per un lungo periodo, principalmente una scuola di gestione della produzione da parte dei lavoratori, cioè una scuola di comunismo.» In questa prima parte dell’argomentazione Lenin dimostra che, non appena si passa dall’astratto al concreto, non appena si sviluppa, cioè, l’analisi concreta della situazione concreta, la posizione di Trotski si rivela unilaterale e campata in aria. Lenin quindi prosegue e nota, riprendendo l’esempio di Bucharin, che «Trotsky afferma che “il bicchiere è uno strumento per bere”; sennonché il bicchiere presentatoci è senza fondo». Essere unilaterali vuol dire dunque essere astratti (nel senso negativo dell’astrattezza, non in quello positivo dell’astrazione), vedere un solo aspetto dei problemi o, vedendone più d’uno, considerarne separatamente ciascuno assolutizzandolo. In definitiva, vuol dire essere metafisici (laddove la ‘metafisica’ è rispetto alla dialettica, per dirla con Aristotele e con Kant, un opposto per privazione, come la cecità e la vista). Vediamo ora come Lenin, confutato l’errore di Trotsky, passi a criticare l’argomentazione di Bucharin riprendendone l’esempio. «Un bicchiere è indiscutibilmente sia un cilindro di vetro sia uno strumento che serve per bere. Ma un bicchiere non ha soltanto queste due proprietà, o qualità, o aspetti, ma ha un’infinità di altre proprietà, qualità, aspetti, correlazioni e ‘mediazioni’ con tutto il resto del mondo. Un bicchiere è un oggetto pesante che può servire come strumento da lanciare. Un bicchiere può servire da fermacarte e da prigione per una farfalla catturata; un bicchiere può avere un valore artistico per la sua decorazione disegnata o incisa, indipendentemente dal fatto che sia adatto o no per berci, che sia di vetro, che la sua forma sia cilindrica o non del tutto, e così via. Proseguiamo. Se mi serve subito un bicchiere come strumento per bere, non m’importa affatto di sapere se la sua forma è perfettamente cilindrica e se esso è realmente fatto di vetro; m’importa invece che non vi siano fenditure sul fondo, che non ci si possa tagliare le labbra adoperandolo, ecc. Se invece mi occorre un bicchiere non per bere, ma per un uso al quale sia adatto qualsiasi cilindro di vetro, allora mi va bene anche un bicchiere con un fenditura sul fondo o addirittura senza fondo, ecc.
La logica formale (...) si serve di definizioni formali, attenendosi a ciò che è più consueto o che salta agli occhi più spesso e qui si ferma. Se, in questo caso, si prendono due o più definizioni diverse e si collegano in modo assolutamente casuale (cilindro di vetro e strumento per bere), si ottiene una definizione eclettica che si limita a indicare aspetti differenti dell’oggetto. La logica dialettica esige che si vada oltre. Per conoscere realmente un oggetto bisogna considerare, studiare tutti i suoi aspetti, tutti i suoi legami e le sue ‘mediazioni’. Non ci arriveremo mai interamente, ma l’esigenza di considerare tutti gli aspetti ci metterà in guardia dagli errori e dalla fossilizzazione. Questo in primo luogo. In secondo luogo, la logica dialettica esige che si consideri l’oggetto nel suo sviluppo, nel suo “moto proprio”..., nel suo cambiamento. Per quanto riguarda il bicchiere, ciò non è subito chiaro, ma anche un bicchiere non resta immutabile, e in particolare si modifica la sua destinazione, il suo uso, il suo legame con il mondo circostante. In terzo luogo, tutta la pratica umana deve entrare nella ‘definizione’ completa dell’oggetto, sia come criterio di verità, sia come determinante pratica del legame dell’oggetto con ciò che occorre all’uomo. In quarto luogo, la logica dialettica insegna che ‘non esiste verità astratta, la verità è sempre concreta’». Riguardo al ruolo dei sindacati, Lenin accusava Bucharin di non tentare neppure un’analisi concreta della questione, limitandosi «a prendere un pezzetto da Zinoviev, un pezzetto da Trotsky». Questo è proprio eclettismo. «I sindacati sono, da una parte, una scuola; dall’altra, un apparato; da una terza, un’organizzazione dei lavoratori; da una quarta, un’organizzazione composta quasi esclusivamente da operai dell’industria; da una quinta, un’organizzazione per branche di industria, ecc. ecc. In Bucharin non troviamo neppure l’ombra di una motivazione, di una analisi personale che dimostri perché bisogna considerare i due primi ‘aspetti’ della questione o dell’oggetto, e non il terzo, il quarto, il quinto, ecc. Perciò le tesi del gruppo di Bucharin non sono che vuoto eclettismo. Bucharin pone tutta la questione del rapporto tra ‘scuola’ e ‘apparato’ in modo radicalmente errato, eclettico.» Come si evince dalla ricostruzione della polemica intercorsa tra Lenin, Bucharin e Trotsky, l’eclettico, nel momento in cui insiste sulla necessità di tener conto di questo, di quello e di cento altre cose ancora, è, per così dire, cento volte unilaterale. Non può allora sorprendere che l’eclettismo sia sempre stato il punto di vista degli opportunisti, dei revisionisti e dei “cercatori di terze vie”. Il materialista dialettico afferma, sì, che è necessario esaminare tutti gli aspetti della contraddizione, ma afferma pure che questo è un processo infinito. Nel corso di tale esame bisogna, però, in ogni momento stabilire e precisare, sia pure come verità relativa e in riferimento alla situazione concreta, quale sia l’aspetto principale, quale la causa principale e quale il ruolo principale nella contraddizione. Del resto, la posizione di Lenin sui sindacati non nega che essi abbiano tanti ruoli e aspetti diversi, ma afferma che nella concreta fase della dittatura del proletariato, cioè della transizione dal capitalismo al comunismo, che si presentava allora in Unione Sovietica, l’aspetto e il ruolo principali dei sindacati sono quelli di scuola di comunismo. L’eclettico, invece, accusa di unilateralità questo procedimento e sostiene la necessità di considerare uno accanto all’altro, in modo indifferenziato ed empirico, tutti i particolari e le circostanze connessi all’oggetto in esame. Sennonché, data l’infinità di legami che ogni oggetto intrattiene con l’ambiente, egli finisce con l’ingolfarsi nell’affermazione dell’“infinita complessità del mondo”, scivolando nell’agnosticismo e finendo con l’abbracciare la tesi fideistica e irrazionalistica dell’inconoscibilità del mondo. E qui emerge, ancora una volta, l'irriducibile differenza tra l'eclettico e il dialettico, poiché quest'ultimo afferma, al contrario del primo, l’infinita conoscibilità (e modificabilità) del mondo.

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Paolo Selmi
Sunday, 21 March 2021 11:53
Pausa compiti e riprendo dal brano precedente il passo saliente, dividendolo per punti:

La logica dialettica ci impone un passo ulteriore.

1. Per conoscere davvero un oggetto, occorre abbracciarlo in tutta la sua interezza (охватить), studiarne tutti i suoi aspetti, i suoi rapporti col mondo esterno e, hegelianamente, le sue «mediazioni». Non riusciremo mai a farlo del tutto, ma già esigerlo da noi stessi ci aiuterà a evitare errori di valutazione e a necrotizzarci (омертвения) sulle stesse posizioni. Questo in primo luogo.

2. In secondo luogo, la logica dialettica ci impone di cogliere l’oggetto nel suo sviluppo (в его развитии) o, come lo chiama talvolta Hegel, «automovimento», e nelle sue mutazioni (изменении). Tornando al bicchiere, non ci appare subito chiaramente, ma persino un bicchiere non è sempre lo stesso, immutabile (неизменным), giacché a cambiare sono, nello specifico, la sua destinazione d’uso, il suo utilizzo effettivo, i suoi rapporti col mondo esterno.

3. In terzo luogo, una completa «determinazione» dell’oggetto deve includere TUTTA la pratica umana (e - ancora una volta! - non solo una parte, nota mia), SIA come criterio di verità (критерий истины), CHE per determinare in concreto cosa c’entra l’oggetto con ciò di cui l’uomo ha bisogno.

4. In quarto luogo, la logica dialettica insegna che «non ci sono verità astratte, la verità è sempre concreta (истина in entrambi i casi N.d.T.)», come amava dire, insieme a Hegel, il compianto Plechanov. […]

Con questo, si intende, non si esauriscono le nozioni di logica dialettica. Ma per il momento così può bastare. Possiamo ora tornare dal bicchiere ai sindacati e alla piattaforma di Trockij.


Non voleva essere un manuale per militanti, un bigino per chi doveva passare l'esame di materialismo dialettico (e c'era, a partire dalle scuole superiori... ma un po' più tardi rispetto a quando furono scritte quelle righe...), ma piuttosto un voler mettere dei paletti, un voler cercare dei "criteri di verità", per quanto essa fosse inconoscibile nella sua interezza, con lo scopo di arrivarci il più possibile vicino per approssimazione. Ed evitare posizioni unilaterali (va bene solo questo), da un lato, ed eclettiche (va bene tutto) dall'altro. Col post-modernismo di oggi queste righe cozzano come dei colpi di maglio contro un muro, lo demoliscono.

Torno ai compiti di inglese che qui la situazione madre-figlia sta precipitando... è materialismo dialettico anche questo!

ciao
paolo
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Paolo Selmi
Sunday, 21 March 2021 10:50
Caro Eros,

grazie per il tuo lavoro che si ricollega al lavoro che sto facendo... sui sindacati sovietici. E uno potrebbe dire... che ci azzecca? Molto, mi sono accorto, ma davvero MOLTO. Siamo agli inizi degli anni Venti, gli ultimi peraltro di vita di Vladimir Il'ič. Oltre a ripubblicare il suo lavoro su marxismo ed empiriocriticismo, Lenin si rende conto che il nemico NON E' ALLE PORTE, E' PROPRIO IN CASA. Non è un discorso di demonizzazione, me ne sono accorto leggendo e rileggendo i lavori di quel periodo che parlavano del dibattito sui sindacati (diskussija o profsojuzach). Lenin, ed è una cosa che ho apprezzato tantissimo e che attesta, fra le altre cose, la sua gigantezza, non demonizza nessuno. CRITICA PERO' FEROCEMENTE ATTEGGIAMENTI, MODI DI PENSARE, ESPRESSIONI. Si incazza veramente e perde le staffe. IL NEMICO IN QUESTO CASO (i profsojuz) NON SONO BUCHARIN E TROTCKIJ, con cui collaborava attivamente in altri settori, e che penso non abbiano mai perso la sua stima, almeno dalle pagine e pagine che sto leggendo per documentarmi sull'argomento (e anche questa è un'applicazione concreta del materialismo dialettico, almeno a mio avviso), MA IL LORO ATTEGGIAMENTO: una specie di esclusivismo, di assolutizzazione a oltranza, ovvero OPERAISMO portato alla MILITARIZZAZIONE del sindacato (Trotckij) ed ECLETTISMO ("Può esser questo.. ma può esser anche quest'altro" nel caso di Bucharin). E in entrambi i casi partiva l'embolo al povero Vladimir Il'ič. Perché si rendeva conto dello sfascio che attendeva la prima e la seconda linea se fossero passate.

Per farla breve, il suo atto d'amore verso la causa, verso il suo stesso popolo, verso il partito, fu in quella discussione prendere un'espressione infelice di Bucharin e, ancora una volta, trovare la pazienza e la forza di ribaltarla per cercare di far capire dove stava l'errore. La dialektika stakana (dialettica del bicchiere) è il frutto di questo. Io ci sono capitato per caso, nelle mie peregrinazioni, ma non ho potuto glissarci sopra. Siccome il mio lavoro sui sindacati è fermo ancora a qualche anno più tardi, e mi manca ancora mezzo secolo (di storia sovietica, spero! e non mia...) a completarlo, prendo il paragrafo dove tale dialektika stakana compare e lo riporto qui sotto, sperando di arricchire la discussione sull'argomento:

--- inizio paragrafo ---

Idee di transizione (e di profsojuz) a confronto: il dibattito sui sindacati

Non era l’unica concezione di sindacato, all’interno del variegato e vivace mondo bolscevico di allora. Vale la pena rammentarlo, se non altro perché già all’epoca notiamo non tanto una diversità di progetto rivoluzionario, su cui si sono già spesi fiumi di inchiostro (e di rispettive polemiche e mali di fegato, a ben vedere poco “rivoluzionari”), quanto di mutazione del ruolo del sindacato in funzione del progetto considerato.

Un’idea di rivoluzione che partiva dall’esperienza della guerra civile appena conclusa, e che prevedeva uno Stato militarizzato, presupponeva un sindacato altrettanto rigidamente disciplinato e inquadrato, sulla base del già militarizzato Comitato centrale dei sindacati dei trasporti (abbreviato cektran цектран), di cui lo stesso Trockij (all’epoca comandante dell’Armata Rossa) era a capo. Alla base di tutto, vi era un ragionamento che, nelle intenzioni dei suoi estensori, si voleva estremamente solido, fondato, e destinato a perdurare nel tempo in qualità di assunzione ideologica cardine della nuova fase da essi individuata, di un nuovo grado di sviluppo delle forze produttive e sociali: il profsojuz doveva muoversi di concerto non solo per lo stato emergenziale e di necessità, o – peggio ancora – perché lo dicevano i capi (anche perché sarebbe durato poco, oltre che poco distinguersi da antecedenti e vituperate forme di militarismo), non solo per calcolo (come ci siam detti qualche pagina fa, dal momento che avrebbe danneggiato in ultima analisi il tentativo rivoluzionario messo in atto dai lavoratori stessi, dalla stessa propria classe) ma soprattutto – ideologia fonte di legittimazione – perché lo Stato era ormai “operaio”, e in uno Stato completamente “operaio” il sindacato non poteva (e quindi doveva) rappresentare più una “controparte”. In altre parole, ci siamo solo noi, siam rimasti solo noi. Questa condizione si sarebbe verificata quindici anni più tardi, e a prezzo sappiamo anche di cosa: non era la fotografia del Paese dei Soviet nel 1921. Proprio su questo Lenin ci sarebbe tornato qualche riga più tardi. Era – stringatamente – la tesi di Lev Davidovič Trockij.

Dall’altro lato, un’idea di rivoluzione contenente una concezione piuttosto vaga di Stato nell’allora fase di “transizione” verso il socialismo (nel senso che il possibilismo rispetto a qualsiasi opzione impediva qualsiasi valutazione delle stesse, della ricaduta che avrebbero avuto sul processo di transizione e lasciava irrisolte sul tavolo tutte le questioni a esse connesse), portava a considerazioni che si volevano ecumeniche, o “cuscinetto” (bufer, буфер), ma che in realtà rappresentavano un altrettanto inconcludente, sul piano pratico (oltre che pericoloso) eclettismo. Peraltro, dal punto di vista pratico una scelta in realtà l’aveva già fatta: oltre infatti a sdoganare (“tanto diciamo tutti le stesse cose!”) la linea trotzkista, la sosteneva anche in sede di voto. Peraltro, qualche anno più tardi, i suoi esponenti sarebbero confluiti nella frazione trotzkista. Era la linea di Nikolaj Ivanovič Bucharin.

Infine, vi era un’idea di rivoluzione con una concezione ancor più vaga di Stato, concepito come variabile dipendente di una soggettività operaia che, portata all’estremo, invertiva totalmente i termini del ragionamento trotzkista, invocando il trasferimento dei poteri dallo Stato ai sindacati, inteso come unico luogo di autogestione operaia, riconosciuta a sua volta come unico momento del processo rivoluzionario. Processo che, nelle intenzioni degli estensori, avrebbe visto coincidere la “transizione” al socialismo con l’“estinzione” dello Stato stesso, sconfinando così inevitabilmente nell’anarcosindacalismo: questa era la linea della cosiddetta “opposizione operaia” (рабочая оппозиция) con a capo Aleksandr Gavrilovič Šljapnikov (1885-1937), primo Commissario del lavoro della storia sovietica e, successivamente, fucilato da Stalin e riabilitato nel 1963, e Aleksandra Michajlovna Kollontaj (1872-1952), prima Commissaria della pubblica assistenza della storia sovietica1.

Esisteva poi un’altra frazione, fuoriuscita di un’ulteriore frazione, attiva qualche anno prima, detta dei “comunisti di sinistra” (левые коммунисты), detta del “centralismo democratico” (демократический централизм), su cui non ci soffermiamo, dal momento che la sua incidenza sul dibattito sindacale era pressoché nulla.

Aggiungiamo un ulteriore dato: si trattava di una lotta di “tutti contro tutti”, ovvero ciascuna frazione non risparmiava critiche o accuse alle altre: per esempio, l’Opposizione operaia, che propugnava la rotazione dei quadri sulle linee di produzione ogni tot mesi, accusava tutti, ivi compresi i trotzkisti, di burocratismo e di favorire l’intellighenzia come classe; critica a cui Trockij replicava loro ferocemente accusandoli di aver fatto della democrazia un feticcio. Aggiungiamo, infine, un’ultima considerazione: il partito, com’è facile intuire, era tutt’altro che un blocco monolitico, e nei dibattiti di quel periodo lo stesso Lenin finì più volte in minoranza.

In tale clima, notiamo quindi come lo sforzo di Lenin non solo di ricomposizione e di sintesi, laddove ovviamente possibile, ma anche solo di districarsi fra idee, concezioni di sindacato diametralmente opposte, fosse stato tutt’altro che semplice. E richiese il massimo della sua capacità dialettica e di inquadramento analitico dei problemi, in un periodo drammatico della storia sovietica dove la guerra civile era tutt’altro che vinta, dove un membro del CC poteva permettersi il lusso di fare da ago della bilancia screditando gli altri diciotto, arrogandosi il diritto di parlare a nome del partito intero, creando divisione e minacciando scissioni e dove, come abbiam visto, il confine fra dibattito e litigiosità, fra rancori personali, questioni di potere e strumentalizzazione in tali chiavi delle divergenze politico-ideologiche, erano purtroppo realtà. In ciascuna delle quaranta pagine del suo lavoro Ancora una volta sui sindacati, sul momento attuale e sugli errori dei compagni Trockij e Bucharin (25-26/01/1921)2, Lenin non manca di sottolinearlo. Soffermiamoci però su un ferro del mestiere dell’analisi leninista che, proprio in tale sede, è presentato a un uditorio ampio con l’incoraggiamento di farne buon uso. Stiamo parlando della famosa (un tempo, oggi sepolta nell’oblio insieme a tutto il resto) “dialettica del bicchiere” (диалектика стакана), qui ritradotta e riproposta integralmente nel brano che l’ha resa celebre:

Il compagno Bucharin parla di basi «logiche». Tutto il suo ragionamento ci mostra come egli – forse, inconsapevolmente – qui si ponga da un punto di vista di logica formale, o scolastica, e non di logica dialettica, o marxista. Per chiarire questo concetto, partirò dall’esempio più semplice, che è stato lo stesso compagno Bucharin a fornirmi. Nella discussione del 30 dicembre ha detto:
«Compagni, in molte delle controversie che ci attraversano, si ha una sensazione di questo tipo: ci sono due persone che guardano un bicchiere sul tavolo devono dire che cos’è. Il primo dice: “Questo è un cilindro di vetro, e sia dannato chi dice che non è così”. Il secondo dice: “Questo è un mezzo per bere, e sia dannato chi dice che non è così”» (p. 46)
Con questo esempio Bucharin voleva spiegarmi in parole povere, come può vedere il lettore, quanto l’unilateralità possa esser dannosa. Lo ringrazio per la sua spiegazione e, per esprimergli la mia gratitudine, gli rispondo spiegandogli – sempre in parole povere – la differenza fra eclettismo e dialettica. Il bicchiere è, senza dubbio, sia un cilindro di vetro, che un mezzo per bere. Ma un bicchiere non è solo questo, non ha solo queste due proprietà, o caratteristiche, o aspetti: esiste infatti una quantità infinita di altre proprietà, caratteristiche, aspetti, interrelazioni o, hegelianamente, «mediazioni» fra il bicchiere e l’universo circostante.
Un bicchiere può essere un corpo contundente da tirare addosso a qualcuno, oppure posso usarlo come fermacarte o come gabbia per una farfalla catturata. Un bicchiere può semplicemente essere un oggetto costoso perché cesellato finemente o recante disegni artistici, e a questo punto non importerà a nessuno se si possa usare per bere oppure no, se sia fatto di vetro oppure no, se sia cilindrico oppure no, eccetera.
Allo stesso modo, se a me serve ora un bicchiere per bere, a me non importerà sapere se sia cilindrico o se sia di vetro; mi basterà sapere che il fondo non sia crepato, o che i bordi non siano scheggiati così da tagliarmi le labbra mentre bevo, ecc. Se a me, al contrario, serve il bicchiere in quanto ho bisogno di un cilindro di vetro, allora andrà bene anche il fondo crepato, anzi, andrà bene anche senza fondo, ecc.
La logica formale a cui ci si ferma, senza andare oltre, nelle scuole (e va anche bene, ma solo per le prime classi e con alcune correzioni) individua definizioni altrettanto formali, attenendosi a criteri basati sui luoghi comuni o su ciò che capita più spesso davanti ai propri occhi, e si ferma a questi. Prendiamo due o più fra queste diverse definizioni e mettiamole insieme in modo del tutto casuale (per esempio, il bicchiere di vetro e il mezzo per bere): otterremo un’ulteriore definizione, una definizione eclettica (эклектическое определение), che denota alcuni aspetti di un oggetto, e alcuni soltanto3.
La logica dialettica ci impone un passo ulteriore. Per conoscere davvero un oggetto, occorre abbracciarlo in tutta la sua interezza (охватить), studiarne tutti i suoi aspetti, i suoi rapporti col mondo esterno e, hegelianamente, le sue «mediazioni». Non riusciremo mai a farlo del tutto, ma già esigerlo da noi stessi ci aiuterà a evitare errori di valutazione e a necrotizzarci (омертвения) sulle stesse posizioni. Questo in primo luogo. In secondo luogo, la logica dialettica ci impone di cogliere l’oggetto nel suo sviluppo (в его развитии) o, come lo chiama talvolta Hegel, «automovimento», e nelle sue mutazioni (изменении). Tornando al bicchiere, non ci appare subito chiaramente, ma persino un bicchiere non è sempre lo stesso, immutabile (неизменным), giacché a cambiare sono, nello specifico, la sua destinazione d’uso, il suo utilizzo effettivo, i suoi rapporti col mondo esterno. In terzo luogo, una completa «determinazione» dell’oggetto deve includere tutta la pratica umana, sia come criterio di verità (критерий истины), che per determinare in concreto cosa c’entra l’oggetto con ciò di cui l’uomo ha bisogno. In quarto luogo, la logica dialettica insegna che «non ci sono verità astratte, la verità è sempre concreta (истина in entrambi i casi N.d.T.)», come amava dire, insieme a Hegel, il compianto Plechanov4. […] Con questo, si intende, non si esauriscono le nozioni di logica dialettica. Ma per il momento così può bastare. Possiamo ora tornare dal bicchiere ai sindacati e alla piattaforma di Trockij5.


È ora più chiara, anche a livello ideologico, la concezione leniniana di un sindacato non semplice cinghia di trasmissione, non semplice pezzo di apparato, non semplice organo di autogestione in uno Stato in via d’estinzione, ma elemento indispensabile e multifunzionale all’interno di un sistema complesso e oggetto esso stesso di una continua trasformazione, lungo la transizione rivoluzionaria al modo socialistico di produzione.

Il cosiddetto “dibattito sui sindacati” (дискуссия о профсоюзах), che occorse fra la fine del 1920 e la primavera del 1921, vide vincere la linea di Lenin: una nuova visione di profsojuz usciva così dalla Guerra civile, pronta così per affrontare gli anni della NEP.

--- fine paragrafo ---

Scappo che i compiti per la DAD mi chiamano al dovere... ma parlando delle ragioni del materialismo dialettico di Lenin mi sembrava utile questo intervento.

Grazie di tutto e
buona domenica!

Paolo Selmi
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