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Lenin da “Materialismo ed empiriocriticismo” ai “Quaderni filosofici”

di Eros Barone

hez 2605877«Il mondo, l’unità di tutte le cose, non è stato creato da nessuno degli dèi o degli uomini, ma è stato, è e sarà un fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne»... Un’ottima esposizione dei princìpi del materialismo dialettico.

Lenin, Quaderni filosofici. 1

1. Tra la guerra imperialista e la repressione del partito bolscevico: genesi dei Quaderni filosofici

All’inizio della prima grande guerra imperialista Lenin viveva a Cracovia, allora regione polacca dell’Impero austro-ungarico, dove aveva scelto di espatriare per mantenere un collegamento diretto con la Russia in séguito all’ondata di persecuzioni politiche abbattutasi sul partito bolscevico. Sarà poi costretto a spostarsi in Svizzera a Berna, dove potrà lavorare con profitto avendo a disposizione il ricco materiale presente nelle biblioteche di questo importante centro culturale. In questa situazione di isolamento politico, che lo priva di ogni possibilità di influire direttamente sul movimento rivoluzionario, Lenin utilizzerà al massimo grado l’opportunità di svolgere uno studio teorico tendenzialmente sistematico della dialettica, di Hegel e dell’imperialismo. Si tratta di un momento estremamente importante nella maturazione complessiva del pensiero di Lenin, il cui frutto saranno le centinaia e centinaia di pagine dei Quaderni filosofici e dei Quaderni sull’imperialismo. Per usare un’immagine icastica, se è vero che Marx aveva caricato la bomba della rivoluzione, è altrettanto vero che Lenin la fece esplodere e che l’innesco di questa bomba fu fornito, alla fine del primo decennio del Novecento, dal saggio su Materialismo ed empiriocriticismo e, sei anni dopo, dalla lettura della Scienza della logica di Hegel.

D’altra parte, non vi è dubbio che, pur nella sostanziale continuità che caratterizza lo sviluppo della riflessione di Lenin lungo l’arco che la sua concezione ha descritto passando da Materialismo ed empiriocriticismo (1908) ai Quaderni filosofici (1914-1915), questi ultimi scritti segnano un approfondimento del significato e dell’importanza che l’idealismo hegeliano rappresenta come una delle fonti del marxismo. Orbene, è quanto mai noto che, nella storia del marxismo, sia i rapporti tra Marx ed Hegel sia, soprattutto, i rapporti tra i marxisti ed Hegel costituiscono una ‘vexata quaestio’. 2 È opportuno, innanzitutto, ricordare che la stesura dei Quaderni filosofici s’intreccia con il primo abbozzo di analisi dell’imperialismo, sviluppato nei coevi Quaderni sull’imperialismo. In questo senso, una lettura in parallelo di questi due testi, come quella che ha fornito Antonio Negri nel suo saggio intitolato La fabbrica della strategia, può risultare illuminante anche rispetto agli scritti filosofici di Lenin. 3 Confermando perciò la sostanziale continuità tra Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni filosofici, Lenin svolge il filo rosso della critica della “filosofia reazionaria” di Mach, in cui ravvisa un esempio paradigmatico di quella “filosofia spontanea degli scienziati” che, rientrando nel novero delle implicazioni teoriche e strategiche generate dai processi di trasformazione del modo di produzione capitalistico, caratterizza l’epoca dell’imperialismo. In questo senso, Lenin è pienamente consapevole di ciò che Marx aveva anticipato nei Grundrisse, allorché questi aveva affermato che «...nella misura in cui si sviluppa la grande industria, la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e che a sua volta, - questa loro powerful effectiveness – non è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione, ma dipende invece dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione». 4

Si spiega così l’importanza teoretica che nel commento di Lenin viene ad assumere il raffronto tra Hegel e Mach. L’empiriocriticismo di Mach, in quanto variante neopositivistica dell’idealismo, obbedisce infatti ad una logica soggettivistica che lo configura come un ‘análogon’ del trascendentale kantiano, talché, al pari di quest’ultimo, include «nella ‘parvenza’ [Schein] tutta la ricchezza del mondo» e al contempo nega «l’oggettività della ‘parvenza’», giacché rimane circoscritto nella sfera del fenomeno inteso come «contenuto dato della percezione», che presuppone «affezioni, determinazioni del soggetto, le quali sono immediate rispetto a se stesso e rispetto al soggetto». L’idealismo hegeliano delinea, invece, una logica oggettiva, «piena di contenuti»: «Hegel...esige una logica, nella quale le forme debbono essere forme piene di contenuto, forme del contenuto vivente, reale, indissolubilmente legate al contenuto». 5 Ciò può meravigliare, in quanto Mach si situa esplicitamente sul terreno delle scienze moderne (fisica, chimica ecc.). Sennonché la chiave di questo apparente paradosso va ricercata nel fatto che il kantismo, del quale la filosofia di Mach va considerata una reincarnazione in veste moderna, spezza il nesso tra l’uomo e la natura concependo la comprensione teorica e la trasformazione pratica come momenti separati, destinati a non incontrarsi se non sul piano dell’individuale, ossia di un’astrazione priva di contenuto e, quindi, arbitraria. Insomma, Lenin individua ed elimina la scissione tra la natura e la storia, che è costitutiva della filosofia kantiana: «La cosa in sé di Kant è una vuota astrazione, Hegel esige invece astrazioni che corrispondano alla cosa: “il concetto oggettivo delle cose sostituisce la loro natura stessa”; esige che – per dirla materialisticamente – esse corrispondano al reale approfondimento della nostra conoscenza del mondo». 6

L’assiomatica del materialismo dialettico non separa la natura dalla storia né le combina in modo esteriore ed arbitrario ‘ex post’ attraverso il pensiero astraente, poiché per essa «le categorie del pensiero non sono un sussidio dell’uomo, ma l’espressione delle leggi sia della natura che dell’uomo». 7 È a questo punto che Lenin, sviluppando in tutta la sua portata la polemica antinominalistica nei confronti dell’epistemologia novecentesca che era giunta a proclamare la “scomparsa della materia”, pone in questione il carattere convenzionale dei concetti scientifici come simboli “economici” dell’esperienza (meri rapporti senza supporti), la ‘fictio’ da lui già denunciata in Materialismo ed empiriocriticismo. Per il pensatore russo la scienza si configura, per contro, come un elemento nodale delle forme oggettive di quella conoscenza teorico-pratica della natura che viene posta in atto dall’uomo: da questo punto di vista, «bisogna dedurre (non prendere arbitrariamente o meccanicamente) le categorie (non “raccontando” Né “asseverando” ma dimostrando), procedendo dalle categorie più semplici, fondamentali (l’essere, il nulla, il divenire [das Werden]», poiché «dinanzi all’uomo si pone una rete di fenomeni della natura. L’uomo istintivo, il selvaggio, non emerge dalla natura. L’uomo consapevole emerge da essa, le categorie sono i gradi di questo emergere, cioè della conoscenza del mondo, i punti nodali della rete, che aiutano a conoscerla e a dominarla». 8

 

2. Il filo conduttore della critica dell’empiriocriticismo e della concezione del mondo in cui esso si inscrive

L’individuazione dell’empiriocriticismo e di Mach quale suo massimo rappresentante svolge un ruolo centrale anche rispetto alla critica dell’ideologia sviluppata da Lenin nei Quaderni, poiché la filosofia di Mach riassume un nodo cruciale della storia di quei gruppi intellettuali che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, esprimono con particolare intensità la crisi dell’egemonia culturale che aveva caratterizzato l’età liberale ed il passaggio ad una nuova epoca della storia mondiale dominata dall’imperialismo. Da questo punto di vista, ben presente nell’analisi di Lenin, l’orientamento di Mach incentrato sulla relativizzazione dei concetti newtoniani di spazio, tempo e moto assoluti attraverso un approccio storico-critico al problema della scienza è un momento tutt’altro che secondario e marginale di una più generale revisione delle idee-forza della cultura tradizionale, talché la critica della immagine meccanicistica del mondo depositata nel modello galileiano-newtoniano assume il significato emblematico di un fatto politico in senso lato. pertanto, se è vero che la concezione del mondo a prima vista si configura come l’àmbito della elaborazione di una conoscenza obiettiva del mondo, è ancor più vero che, nella realtà, essa è ciò che sorregge la conoscenza obiettiva e le fornisce il terreno primordiale su cui esplicarsi. In altri termini, la concezione del mondo condiziona a tal punto il configurarsi e la scelta dei problemi particolari, ossia dei problemi scientifici, che la soluzione di questi ultimi e i risultati così ottenuti costituiscono, ad un tempo, sia una spinta sulla ‘Weltanschauung’ stessa sia il limite ad essi immanente. Per un verso, quindi, la concezione del mondo rappresenta una unificazione, per quanto provvisoria, dei risultati dell’indagine scientifica, risultati che la concezione del mondo recepisce; per un altro verso, essa, come si è detto, esercita un condizionamento sullo sviluppo di essa indagine. Questo fa capire che la concezione del mondo contiene criteri e preferenze ben precisi: quei criteri e quelle preferenze che, ad esempio, Lenin ravvisa, pone allo scoperto e denuncia attraverso una critica multilaterale (teorica, ideologica, politica e sociale), ‘esterna’ ed ‘interna’ alla pratica scientifica, in seno all’empiriocriticismo quale modello emblematico e durevole di “filosofia reazionaria” tipica dell’età dell’imperialismo.

In sostanza, la concezione del mondo è l’espressione di concrete e reali situazioni umane, storicamente determinate, che circoscrivono, delimitandolo, il terreno della filosofia come ‘Kampfplatz’ e rivelano il carattere ‘di parte’, tutt’altro che neutrale ed obiettivo, della pratica scientifica e degli ‘éndoxa’ che guidano tale pratica e sorreggono la “filosofia spontanea degli scienziati”. Considerata dal punto di vista dell’indagine scientifica, la concezione del mondo rappresenta dunque l’inclusione di punti di vista axiologici; considerata dal punto di vista dell’esperienza e del conflitto fra i valori che la connota, essa rappresenta il tentativo, più o meno riuscito, di inserire determinati valori, propri di questa o di quella classe, in una dimensione di tendenziale obiettività della conoscenza. In tal modo, la concezione del mondo risulta essere il terreno su cui si incontrano, a seconda dei casi in una sorta di ‘concordia discors’ o di ‘discordia concors’, i due momenti idealmente distinti: quello puramente conoscitivo (= teoria) e quello axiologico (= ideologia). Puramente conoscitivo è il momento della costruzione della verità, mentre l’altro momento è quello dei valori, che definiscono le preferenze e le scelte. La distinzione è del tutto legittima in linea di principio, una volta ammesse, alla luce del materialismo storico, l’esistenza e l’esperienza della reciproca irriducibilità tra i valori oggettivi espressi e perseguiti dalle classi antagonistiche (ad esempio, tra il valore dell’iniziativa privata, su cui pone l’accento la borghesia, e il valore della pianificazione economica, che ha la priorità nell’ottica del proletariato, o fra il valore dei diritti civili individuali, privilegiati dalla piccola borghesia, e il valore dei diritti economici posti al centro degli interessi collettivi dal proletariato). Di fatto, l’intreccio in cui si presentano il momento conoscitivo e quello axiologico comporta che solo l’analisi storico-critica sia in grado di distinguerli nei casi concreti. Sennonché, quando l’analisi punta a colpire una concezione dei valori, essa, come mostra la pratica critica di Lenin, non può che attaccare la corrispondente concezione del mondo: una scala di valori, infatti, regge o cade in compagnia di questa. E qui stanno, fra le altre cose, da un lato il tipo di razionalità che è peculiare della critica etico-politica di classe condotta da Lenin e, dall’altro, il ‘pathos’, squisitamente leniniano, della negazione volontaria dell’‘ethos’. 9

 

3. L’unità organica di storia, economia e politica e la persistenza delle idee-forza di Mach nel modo di concepire i compiti e i fini delle scienze esatte

Nella riflessione di Mach vi è un tratto non-congiunturale che viene individuato proprio nell’aspetto teorico che Lenin pone sotto la sua lente critico-analitica sia in Materialismo ed empiriocriticismo che nei Quaderni. Si tratta del principio epistemologico dell’“economia del pensiero”, da cui deriva il carattere operazionistico e provvisorio delle teorie scientifiche. «Il fine delle scienze naturali», scrive Mach, «sta nella scoperta di connessioni di fenomeni. Tuttavia le teorie sono come le foglie secche, che cadono dopo aver permesso all’organismo della scienza di respirare per un certo tempo». 10 È questo l’itinerario che la filosofia della scienza seguirà per tutto il Novecento, in séguito alla crisi dell’immagine meccanicistica del mondo e alla riforma della fisica tradizionale. Lungo questo itinerario è dato incontrare, per citare le tappe più importanti, il convenzionalismo di Poincaré, in base a cui le leggi generali della scienza (principio d’inerzia, principio di conservazione della materia ecc.) non sono né enunciati controllabili attraverso esperimenti né proposizioni a priori, bensì convenzioni arbitrarie sul modo di impiegare determinate espressioni; il “criterio di verità” di Schlick, secondo cui è possibile indicare lo stesso insieme di fatti mediante vari sistemi di giudizi; gli “assiomi di coordinazione” di Reichenbach, in base ai quali una teoria scientifica è considerata come un complesso di norme atte a coordinare i concetti astratti con i fatti osservativi; il “linguaggio cosale” di Carnap, che subordina il significato di una proposizione scientifica alla somma di tutte le asserzioni empiriche da essa ricavabili; il progetto di una “scienza unificata”, proprio di Neurath; il criterio di “falsificazione” di Popper, principio in base al quale una teoria ha carattere scientifico quando è suscettibile di essere smentita dai fatti dell’esperienza. Tutta questa linea di sviluppo del pensiero epistemologico, fondata sul “compromesso bellarminiano”, 11 conferma appunto, da un lato, la persistenza delle idee-forza di Mach nel modo di concepire i compiti e i fini delle scienze esatte e, dall’altro, l’attualità teorica e la centralità strategica degli scritti filosofici con cui Lenin interviene, fin dall’inizio, nella “crisi delle scienze” per sostenere le ragioni del “materialismo militante” e combattere le tendenze reazionarie come l’agnosticismo e il conseguente fideismo, che da tale crisi non potevano non trarre alimento e legittimità.

Ma qual è l’alternativa che Lenin indica di fronte alla scissione tra razionalità e prassi e tra natura e storia, rappresentata dalla filosofia di Mach e dal modello di lavoro intellettuale ad essa sotteso? Commentando la sezione sull’oggettività, Lenin rileva nella Scienza della logica di Hegel il punto di congiunzione delle forme del processo, che la dialettica materialistica deve far proprio, inserendolo in un diverso apparato concettuale: «Due forme del processo oggettivo: la natura (meccanica e chimica) e l’attività umana che si pone un fine. Il reciproco rapporto di queste forme. I fini dell’uomo paiono all’inizio estranei (‘altri’) in relazione alla natura. La coscienza dell’uomo, la scienza (‘il concetto’), riflette l’essenza, la sostanza della natura, ma la tempo stesso questa coscienza nella sua relazione con la natura è un che di esteriore (che non coincide con essa immediatamente, semplicemente)». 12

Lenin formula allora, contestando alla radice le conseguenze metodologiche del “compromesso bellarminiano”, l’istanza dell’unità delle forme dei due processi - «Tecnica e mondo oggettivo. Tecnica e fini », riproponendo le tesi fondamentali già avanzate in Materialismo ed empiriocriticismo: la conoscenza è conoscenza oggettiva = tecnica e mondo oggettivo; l’essere domina sul pensiero = tecnica e fini. «In realtà», scrive Lenin, «i fini dell’uomo sono generati dal mondo oggettivo e lo presuppongono : lo trovano come dato, come presente. Ma all’uomo sembra che i suoi fini siano fuori del mondo e da esso indipendenti (“libertà”)». 13 È questo un esempio particolarmente chiaro del modo in cui Lenin, mutuando la sua ottica dal campo teorico del Capitale marxiano, concepisce il ruolo della prassi nella teoria della conoscenza e articola la sua analisi delle forme della società borghese moderna attraverso l’unità sintetica delle scienze della natura, dell’economia politica e della storia, saldate in modo tale da costituire, per l’appunto, un campo teorico omogeneo, di carattere universale, che garantisce l’oggettività del processo conoscitivo.

«Il concetto (la conoscenza) rivela nell’essere (nei fenomeni immediati) l’essenza (la legge di causalità, l’identità, la differenza ecc.): ecco il cammino realmente universale di tutta la conoscenza umana (di tutta la scienza) in generale. Tale è il cammino sia della scienza naturale che dell’economia politica (e della storia). La dialettica di Hegel è pertanto la generalizzazione della storia del pensiero. Sembra un compito eccezionalmente promettente quello di ricercare tutto questo, in modo più concreto e particolareggiato, nella storia delle singole scienze. Nella logica la storia del pensiero deve coincidere nel complesso con le leggi del pensiero.» 14

Lenin individua dunque nella filosofia reazionaria di Mach, che rinnova la scissione kantiana tra natura e storia, l’apparenza reale della disarticolazione delle forme del processo medesimo (natura e attività umana che si pone un fine), laddove tale disarticolazione è generata dal modo di funzionare della forma monopolistica del valore. A sua volta, l’estrinsecazione di tale forma, in quanto legge dello sviluppo ineguale, acquista sul terreno dell’epistemologia e della divisione del lavoro intellettuale un’estensione teorica tale da consentire di cogliere la portata epocale della suddetta disarticolazione tra la storia, l’economia e le scienze, prodotta, per l’appunto, dalla nuova struttura del modo di produzione capitalistico. In tal modo lo sviluppo ineguale, con le sue simmetrie e dissimmetrie, imprime un ritmo dialettico di crescente complessità al funzionamento della legge della corrispondenza tra forze produttive e rapporti di produzione, tra economia e politica, tra natura e storia.

 

4. Dalla critica dell’economia alla critica della politica: il materialismo monistico di Lenin

Al centro della ricca messe di appunti che Lenin dedica allo sviluppo del criterio della prassi nella teoria della conoscenza vi è la ricerca del punto archimedico di passaggio dalla critica dell’economia politica alla critica della politica. È allora evidente che in causa non è più l’affermazione di un legame gnoseologico genericamente inteso tra il momento teorico e il momento pratico, bensì il dispiegamento della produttività storico-concettuale della pratica politica, il cui presupposto è rappresentato dai processi di trasformazione innescati, nei rapporti fra le classi sociali, dall’epoca dell’imperialismo e dell’attualità della rivoluzione proletaria. «La prassi è superiore alla conoscenza (teorica), giacché ha in sé non solo la dignità dell’universale, ma anche la dignità della realtà immediata». Nei suoi commenti alle opere di Hegel Lenin si trova, così, a precisare il ruolo della volontà e della soggettività dentro il processo storico, rovesciando il campo teorico in cui si era mosso il marxismo della Seconda Internazionale, diviso tra determinismo meccanicistico ed eticismo neokantiano, prigioniero della insuperabile dicotomia tra scienza e rivoluzione, tra conoscenza e trasformazione del mondo.

L’attività, oggetto della riflessione di Lenin, viene da lui definita con il sintagma di volontà organizzata, senza soggetto (inteso, quest’ultimo, nel senso kantiano o machiano).

«La conoscenza... trova dinanzi a sé il vero essere come una realtà che esiste indipendentemente dalle opinioni soggettive (Setzen) . (Questo è puro materialismo!) La volontà dell’uomo, la sua pratica, intralcia essa stessa il conseguimento del suo fine... perché si separa dalla conoscenza e non riconosce la realtà esterna come vero essere (come verità oggettiva). Bisogna unificare la conoscenza con la pratica

Secondo la celebre tesi marxiana su Feuerbach, l’attività diviene, quindi, attività di trasformazione del mondo, che, per essere davvero tale, deve fondarsi su un’analisi materialistica della realtà oggettiva e delle sue contraddizioni. Lenin ripropone, a questa altezza, la problematica generale del Che fare?, concernente il rapporto tra spontaneità e direzione, tra universale e particolare, tra teoria e movimento. Prendendo le mosse dalle prime analisi scientifiche dell’imperialismo, Lenin scopre nei Quaderni che il rapporto tra teoria e pratica passa attraverso la modificazione della forma della teoria, la quale, per divenire conoscenza oggettiva, è obbligata a ricomporre le forme scisse del processo, a riappropriarsi e rispecchiare “l’onnilaterialità del processo materiale”.

Sennonché, assumendo e sviluppando sino alle estreme conseguenze questa premessa, cioè la modificazione della forma della teoria, si arriva ad inferire che, se è l’essere sociale che determina la coscienza, come afferma Marx, è poi la coscienza, in quanto prodotto della modificazione della forma della teoria, che determina la rivoluzione socialista, come afferma Lenin. Così, se il materialismo marxista è ancora un materialismo in qualche misura dualistico, Lenin sopprime questa dualità tra materia e coscienza: il suo materialismo è infatti compiutamente monistico. In un certo senso, è questo il salto filosofico formidabile che si effettua da Marx a Lenin, per il quale tutto, dal minerale all’idea, è determinazione della materia. L’azione decisiva che Lenin, facendo della teoria una forza materiale, ha esercitato sul buon esito della rivoluzione socialista è allora la prova provata dell’importanza causativa del fattore teorico-ideologico, che egli ha sempre riconosciuto, anzi che egli stesso ha personificato. La coscienza, in quanto modificazione della forma della teoria, a giudizio di Lenin non è allora un indebolimento epifenomenico dell’azione materiale, bensì una funzione squisitamente materiale di prim’ordine. Sarebbe infatti difficile riuscire a capire il passaggio che Lenin opera quando rende pubbliche le Tesi di aprile, o il passaggio politico che impone fra l’aprile e l’ottobre del 1917, o ancora l’intera interpretazione che egli dà del processo rivoluzionario russo, se non si avesse ben presente la posizione teorica che egli è venuto assumendo attraverso questi studi, condotti, come è bene rammentare, nelle condizioni del più acuto isolamento. Una posizione teorica che Lenin ribadisce nell’aprile del 1917, contro tutti i bolscevichi, pur essendo in una situazione di minoranza all’interno del partito e dello stesso ufficio politico, rovesciando la stessa ortodossia bolscevica e insistendo continuamente sulla necessità della liquidazione della fase democratico-borghese della rivoluzione e sull’insurrezione quale unica via di accesso alla dittatura proletaria concepita come prima fase della rivoluzione socialista. 15

Questo approccio integralmente materialistico e, nello stesso tempo, integralmente proattivo è l’espressione, in Lenin, di un grande principio filosofico: l’unità della pratica e della teoria. In effetti, da questo punto di vista, per citare un grande pensatore a cui il marxismo deve molto, «la volontà e l’intelletto sono la stessa e unica cosa». 16 E vale anche la pena di aggiungere che i Princìpi del leninismo sono l’esposizione magistrale delle idee del maestro fatta dal migliore e dal più grande dei suoi allievi. 17 Perciò, se è vero che per la dialettica dalla negazione della negazione non nasce il semplice annullamento, ma il principio di nuove determinazioni, la radice di un nuovo divenire, è altrettanto vero che a Lenin noi dobbiamo la dimostrazione teorica e pratica dell’importanza causale, in senso rivoluzionario, della coscienza e della teoria della rivoluzione. Detto in altri termini, Lenin è la coscienza dell’unità di pensiero e d’azione che si è fatta movimento.

D’altra parte ricostruire il concreto (il concreto come sintesi di molte determinazioni) della nuova totalità dei fenomeni del modo di produzione capitalistico richiede un potenziamento senza precedenti della funzione della teoria e della sua capacità cognitiva e previsionale. «L’insieme di tutti i lati del fenomeno, della realtà, e i loro (reciproci) rapporti: ecco di che cosa è composta la verità. [...] La dialettica delle cose crea la dialettica delle idee, e non viceversa.» 18

In questo quadro caratterizzato dall’unificazione della conoscenza con la prassi la critica dell’economia si converte in critica della politica e queste due espressioni divengono omologhe nella misura in cui entrambe pongono l’accento sulla necessità di una direzione consapevole del processo di produzione sociale da parte dei produttori, i quali pertanto devono educare se stessi all’autogoverno. A questo proposito Lenin scrive:

«Se tutti gli uomini partecipano realmente alla gestione di Stato, il capitalismo non può più mantenersi. E lo sviluppo del capitalismo crea a sua volta le premesse necessarie a che “tutti” effettivamente possano partecipare alla gestione dello Stato. Queste premesse sono, tra l’altro, l’istruzione generale, già realizzata in molti paesi capitalistici più avanzati, poi “l’educazione e l’abitudine alla disciplina” di milioni di operai per opera dell’enorme e complesso apparato socializzato delle poste, delle ferrovie, delle grandi officine, del grande commercio, delle banche, ecc.» 19

Peraltro, in Lenin non vi è alcuna sottovalutazione della critica dell’economia, poiché egli pone chiaramente l’accento sui due estremi della catena: a) la critica dell’economia fonda la critica della politica e la stessa possibilità della sua socializzazione (quindi del suo superamento); b) la critica della politica domina sempre la critica dell’economia, in quanto la politica è essa stessa un concentrato dell’economia. Polemizzando con Kievski, che confonde l’essenza economica dell’imperialismo con le sue tendenze politiche, Lenin afferma esplicitamente: «Noi riconosciamo – e del resto giustamente – il primato del fattore economico, ma interpretare questo primato à la Kieviski significa fare una caricatura del marxismo. Persino i trust, persino le banche, pur essendo ugualmente inevitabili in un capitalismo evoluto, assumono nell’epoca dell’imperialismo moderno forme concrete diverse nei diversi paesi. Tanto più risultano dissimili, nonostante la loro sostanziale omogeneità, le forme politiche dei paesi imperialistici progrediti [...]. Un’analoga varietà si avrà riguardo al cammino che l’umanità compirà dall’odierno imperialismo alla rivoluzione socialista di domani. Tutte le nazioni giungeranno al socialismo, è inevitabile, ma non giungeranno tutte allo stesso modo, ognuna darà la sua impronta originale a questa o quella forma di democrazia, a questa o quella variante di dittatura del proletariato, a questo o quel ritmo di trasformazione socialista dei vari aspetti della vita sociale». 20

Lenin pone e risolve con estrema chiarezza il problema della varietà delle “forme di democrazia” e delle “forme di transizione”: in sostanza, il problema strategico, che fa tutt’uno con il problema della transizione, della ricomposizione delle forma del processo sotto l’egemonia dei produttori, dal momento che il realismo rivoluzionario insegna che non si può «costruire il socialismo [...] con un materiale umano fantastico, né con un materiale umano particolare preparato da noi, ma con un materiale che il capitalismo ci ha lasciato in eredità. Ciò è senza dubbio molto ‘difficile’. Ma ogni altro modo di affrontare il compito è così poco serio, che non vale la pena di parlarne». 21

Due fondamentali conclusioni scaturiscono, in definitiva, dalla disàmina di alcuni temi nodali dei Quaderni filosofici di Lenin, che qui si è cercato di proporre. La prima è che l’unificazione della conoscenza con la pratica individua una risposta alla crisi degli scienziati e dei ricercatori, nella misura in cui la critica della politica passa attraverso l’àmbito specifico del loro modo di fare scienza ed esige per esplicarsi integralmente un nuovo progetto di organizzazione sociale entro cui ridefinire i propri strumenti intellettuali e le stesse finalità generali della ricerca scientifica e tecnologica. La seconda consiste nel significato strategico (e non solo congiunturale), teoretico (e non solo politico), creativo (e non solo iterativo) che la battaglia ideale contro la filosofia di Mach assume nei Quaderni filosofici, quale continuazione ed approfondimento della polemica e della elaborazione avviate in Materialismo ed empiriocriticismo. In tal senso, la “crisi delle scienze” avvenuta tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo involge un complesso di questioni che solo il passaggio dalla critica dell’economia alla critica della politica, così come viene prospettato da Lenin, consente di leggere e di affrontare in tutto il loro spessore storico e teorico.

 

5. Fra Engels, Lenin e l’epistemologia contemporanea: Geymonat, Colletti e Althusser

Negli anni Settanta del secolo scorso due eventi di notevole importanza nella cultura italiana furono l’approdo di Ludovico Geymonat al materialismo dialettico e il costituirsi attorno al filosofo torinese, il quale da tempo insegnava presso l’Università Statale di Milano, di una scuola che sostenne un nuovo approccio alla filosofia marxista, rilanciando un tema tradizionalmente poco frequentato in Italia. 22 Riflettere sul significato, sul valore e anche sui limiti di questa esperienza culturale è necessario non solo per tornare a dipanare, nell’attuale congiuntura ideologica e teorica, il filo rosso del materialismo dialettico engelsiano e leniniano, ma anche per dimostrare, in primo luogo, che il marxismo ha un nucleo filosofico proprio e indipendente che si sviluppa in relazione alla lotta teorica, quindi in ultima istanza in relazione alla lotta di classe, e, in secondo luogo, che esso è in grado di conservare la sua autonomia nella misura in cui si sviluppa sulle proprie basi. Questa specificità e originalità del modo di concepire e di praticare la filosofia è un tratto saliente del marxismo, che non può venire meno senza che venga meno la sua stessa esistenza come filosofia: da qui nasce la necessità di riprendere in esame la concezione geymonatiana del materialismo dialettico a partire dalla individuazione della centralità di due testi quali Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni filosofici che si possono considerare terreni elettivi per saggiare il significato e il valore di quella concezione.

In effetti, il primo di essi, come è ben noto, ha conosciuto nel ‘marxismo occidentale’ una tale ‘sfortuna’ (peraltro simmetrica alla ‘fortuna’ dei Quaderni filosofici) che, già per questo solo motivo, una simile sorte richiederebbe una specifica ed approfondita riflessione (per converso, come è altrettanto noto, ha conosciuto la massima auge nel marxismo orientale): comprendere e spiegare quale precisa funzione teorica abbia svolto il suo rifiuto, parziale o totale, significherebbe scrivere un capitolo non secondario della storia del marxismo. Sennonché il problema di fondo, che sottostà all’uno come all’altro caso, è lo stesso: il problema cioè della concezione leniniana della scienza, che si sdoppia nei due distinti problemi del rapporto tra scienza e filosofia, da una parte, e del rapporto tra scienza e politica, dall’altra. Basta spingere più a fondo la riflessione per capire che si tratta di un problema che coinvolge la sostanza stessa del marxismo, ossia il problema del rapporto tra la dialettica e il materialismo. Siamo dunque in presenza di un nodo che non è solo di derivazione engelsiana e che non è estraneo alla scienza del Capitale (basti pensare al citato “Poscritto” del 1873): un nodo che trova in Lenin, se non la soluzione, il grado più alto di elaborazione e di approfondimento.

Da questo punto di vista, era abbastanza chiaro, allora come oggi, che l’incomprensione di questo livello di elaborazione e di approfondimento richiedeva una definizione e precisazione delle basi filosofiche del marxismo, tanto più necessaria di fronte ai tentativi revisionistici di cercare altrove quelle basi filosofiche. Il materialismo dialettico, quale nucleo filosofico del marxismo (laddove il materialismo storico, all’interno di quella unità duale che è la teoria marxista, ne è il nucleo scientifico), viene così a trovarsi in una situazione dicotomica, scindendosi nei due elementi - il materialismo meccanicistico e la dialettica hegeliana - che, per esserne le fonti storiche, vengono riguardati come parti meccanicamente giustapposte: da un lato, la ripresa di un materialismo di tipo settecentesco, dall’altro, la dialettica marxista curvata in direzione idealistica; da una parte, quella di un materialismo grezzo, si trova allora Materialismo ed empiriocriticismo, dall’altra, quella di una dialettica hegelianeggiante, si trovano i Quaderni filosofici. Laddove, semmai, sarà bene osservare che l’operazione condotta da Lenin e poi proseguita in modo sistematico da Lukács, non è quella di hegelianizzare il marxismo, bensì quella di marxistizzare la dialettica hegeliana. In realtà, esiste un legame stretto fra questi due momenti fondamentali dell’opera teorica di Lenin, smarrito il quale si perde insieme con esso, inevitabilmente, anche il legame tra l’opera teorica e l’opera pratica di Lenin.

La posizione di Colletti, che non solo distingue ma oppone Lenin ad Engels, e insieme Materialismo ed empiriocriticismo ai Quaderni, è invece chiaramente antitetica allo stesso progetto di un materialismo dialettico, che a questo studioso non appare per nulla diverso da una ‘dialettica della materia’, talché la sua rivalutazione di Materialismo ed empiriocriticismo non si fonda sulla comprensione autentica del contenuto teorico di questo libro, ma resta legata ad una sostanziale incomprensione, giacché l’unico merito del libro sarebbe quello di essere antidialettico. 23 Ben diversa è la posizione di Althusser, a cui spetta il merito di aver pienamente riscattato lo spessore teorico di Materialismo ed empiriocriticismo e di averne motivato la dignità filosofica, che va individuata nel disvelamento della mistificazione filosofica e nel rifiuto di lasciarvisi coinvolgere (sicché le accuse di rozzezza e di dilettantismo, il senso di irritazione provato da tutti i filosofi, compresi quelli marxisti, nel leggerlo, rappresenterebbero i sintomi della rimozione che la filosofia compie della propria funzione mistificante), facendo quindi non un discorso di filosofia, ma un discorso sulla filosofia. Partendo da questa premessa, Althusser giunge poi a formulare la tesi secondo cui la filosofia non è scienza, ma lotta di classe nella teoria: tesi che trova la sua specificazione nella tesi della doppia rappresentanza operata dalla filosofia: rappresentanza della scienza presso la politica e della politica presso la scienza. La scuola althusseriana, proseguendo questa linea di ricerca fondata sulla progressiva appropriazione del leninismo, giunge poi, sul terreno della lettura analitica di Materialismo ed empiriocriticismo, ad un risultato fondamentale qual è quello consegnato da Dominique Lecourt nel saggio su Lenin e la crisi delle scienze, autentica pietra miliare, insieme con i coevi lavori di Geymonat e della sua scuola, nella storia del marxismo degli anni Settanta e, segnatamente, nella rivalutazione dei testi filosofici di Lenin.

Tornando a Geymonat, va allora sottolineata l’acquisizione più importante che il pensatore torinese ricava, sul piano epistemologico, dallo studio del materialismo dialettico di Engels, e cioè che l’intento di quest’ultimo è stato quello di fornire un fondamento filosofico al materialismo storico e che proprio in questa direzione trovano la loro piena giustificazione le tre leggi della dialettica desunte dalla Scienza della logica di Hegel. Se una critica può invece essere mossa a Geymonat per quanto riguarda la ricostruzione del materialismo dialettico in Lenin, essa concerne il fatto di aver messo in secondo piano il principio della partiticità della filosofia a favore di una pura caratterizzazione in senso epistemologico, il cui prezzo è la perdita non solo della specificità del discorso marxista sulla filosofia, ma anche della possibilità di distinguere in modo rigoroso la filosofia dalla scienza. Del resto, è questa una tendenza comune a gran parte dell’epistemologia contemporanea, alla quale Geymonat non sfugge: la tendenza a identificare la filosofia con la filosofia della scienza, dando contemporaneamente a questa, quasi per osmosi, lo stesso statuto della scienza, e configurandola come una sorta di autoriflessione critica della scienza. Comunque sia, per quanto riguarda i testi filosofici di Lenin, occorre sottolineare che il merito precipuo di Geymonat è stato quello di riconoscere con forza il contenuto teorico di Materialismo ed empiriocriticismo, da una parte, e dall’altra la continuità tra quest’opera e i Quaderni filosofici. Ciò è stato possibile a Geymonat perché egli è riuscito a ravvisare negli scritti di Lenin la portata di un intervento esplicato in una congiuntura teorica determinata, la cosiddetta “crisi delle scienze” avvenuta all’inizio del secolo ventesimo. Dunque Geymonat non ha inteso la discussa opera leniniana come un manuale di teoria materialistica della conoscenza, ma come una riflessione critica su quella congiuntura teorica, che sbocca sì in una teoria materialistica della conoscenza, non però per una mera deduzione filosofica, ma per rispondere ai problemi nati da uno stato proprio delle scienze, cioè per risolvere, alla luce del materialismo dialettico, le antinomie filosofiche della scienza contemporanea. Se ci si pone in questo angolo visuale, è allora possibile capire alcune cose fondamentali come, ad esempio, la differenza che Lenin stabilisce tra il materialismo metafisico, il materialismo spontaneo (che caratterizza il ‘modus operandi’ degli scienziati in quanto tali) e il materialismo dialettico. La dialettica ha qui un ruolo fondamentale, poiché permette di distinguere rigorosamente il materialismo di Lenin dal materialismo filosofico tradizionale e anche da quella “filosofia spontanea degli scienziati” che è, secondo Lenin, orientata nella direzione giusta, ma non è in grado, proprio perché sconta un ‘deficit’ dialettico, di difendersi dagli attacchi dell’idealismo. Se dunque il materialismo, nel sintagma ‘materialismo dialettico’, resta determinante proprio perché esprime la scelta di campo, la giusta posizione filosofica, è però la dialettica che è dominante. Pertanto, è la dialettica che risolve i problemi che il materialismo spontaneo degli scienziati non riesce a risolvere, è la dialettica che mette il materialismo in grado di difendere la scienza dall’idealismo. Se la filosofia è lotta di tendenze, ciascuna filosofia non si definisce fuori da questa lotta: e però l’attacco idealistico richiede che il materialismo si declini come materialismo dialettico. A questo proposito, è opportuno sottolineare come Geymonat rilevi il posto occupato dalla dialettica (non solo nei Quaderni ma anche) in Materialismo ed empiriocriticismo, e meritevole di un particolare apprezzamento è il suo rilievo, diretto contro chi vede nei Quaderni un mutato atteggiamento di Lenin verso l’idealismo, secondo cui «l’idealismo filosofico (o “intelligente”, come Lenin lo qualifica in un altro brano) non è quello combattuto in Materialismo ed empiriocriticismo, ma l’idealismo “oggettivo” di Hegel, il quale ha il merito di sostenere che l’essenza della realtà è conoscibile... L’antisoggettivismo del nostro autore rimane infatti immutato». 24 Detto in altri termini, la continuità tra Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni sta soprattutto nella critica a Kant e al relativismo agnostico, critica che si approfondisce e diventa più matura a mano a mano che Lenin si appropria della filosofia hegeliana. In questo senso, si può dire che vi è una contraddizione principale tra materialismo dialettico e idealismo soggettivistico, e una contraddizione secondaria tra materialismo dialettico e idealismo hegeliano (quanto meno nella congiuntura di lotta teorica in cui Lenin si trova inserito). È poi incontestabile il fatto che la rottura politica e teorica con il marxismo meccanicistico ed evoluzionistico della Seconda Internazionale (rottura nella quale rientra anche la lettura di Hegel) svolge nel pensiero di Lenin un ruolo propulsivo e risolutivo rispetto ad una dinamica ideale che già da prima si muoveva nella direzione di una interpretazione pienamente dialettica del marxismo.

Circa il paradigma engelsiano della eterna lotta tra materialismo e idealismo è inoltre doveroso osservare che tale lotta non va intesa in senso schematico, quasi che da una parte vi sia l’idealismo e dall’altra il materialismo, ma si richiede anche qui “un’analisi concreta della situazione concreta” per individuare come la lotta si svolga all’interno di ciascuna filosofia, giacché materialismo e idealismo non sono due scuole contrapposte ma due tendenze contraddittorie. Così, se Lenin può schierarsi, quando occorre, accanto a Diderot o accomunare Mach a Berkeley, ciò accade perché esiste un nemico comune e perché la filosofia non ha storia, talché non esiste distanza storica tra un idealista del 1710 e uno del 1900, e la lotta fra le due tendenze filosofiche fondamentali si riproduce uguale nel Novecento come nel Settecento. In tal modo Lenin demistifica l’apparenza di novità con la quale l’empiriocriticismo si presentava, confutando l’unica argomentazione che i “machisti russi” potessero addurre a sostegno del loro tentativo di revisione del materialismo dialettico engelsiano: che si trattasse, per l’appunto, di una filosofia nuova che poteva essere conciliata con il marxismo.

Circa poi il rapporto tra materialismo dialettico e materialismo storico, è necessario ribadire che affermare il carattere dialettico di tale rapporto non basta, poiché esso va riconosciuto all’interno di entrambi gli elementi posti in rapporto. All’immagine dei due fuochi all’interno di un’ellisse, che è stata evocata nel corso della disàmina di Materialismo ed empiriocriticismo, 25 si può quindi aggiungere, per illustrare il rapporto di complementarità e di integrazione reciproca intercorrente fra i due elementi, un’altra immagine: quella del nastro di Moebius. Quest’ultimo è un ‘ente’ topologico geometrico che si presenta come un nastro piegato su se stesso e unito ai due bordi; una volta unito, ci si accorge che la sua particolarità è quella per cui, se si segue una delle facce della striscia, si giunge a scoprire che quella esterna e quella interna sono la stessa. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta e solo dopo averne percorsi due ci si ritrova sul lato iniziale. Quindi - e questo vale anche per il rapporto tra materialismo dialettico e materialismo storico nella teoria marxista –, si può passare da una superficie all’altra senza attraversare il nastro e senza saltare il bordo, ma semplicemente camminando a lungo.

Come esempi dell’incidenza del materialismo dialettico sul materialismo storico si possono pertanto citare sia la teoria del rapporto tra struttura, sovrastrutture e prassi, la cui articolazione è data dalle categorie dialettiche di determinazione in ultima istanza, retroazione e influenza reciproca, 26 sia, per converso, la categoria stessa di materia (in questo caso prendendo le mosse da un caposaldo del materialismo dialettico per approdare ad un’ulteriore conferma della natura monistica del materialismo marxista-leninista), la quale viene profondamente trasformata dal principio, che appartiene al materialismo storico, del carattere materiale della sovrastruttura, talché la categoria di materia viene depurata delle sue connotazioni filosofiche di natura empiristica, in cui si esprime l’ideologia degli scienziati che concepiscono la propria scienza come filosoficamente fondante e mutuano nella filosofia il concetto di materia delle scienze naturali. Ma lo stesso discorso vale allora anche per le categorie di dialettica e di storicità della scienza, che, contrariamente a quanto pensa Geymonat, non si possono definire al di fuori del materialismo storico senza che venga compromessa la loro specificità e la loro funzione cognitiva. Perciò, se è indubbiamente vero che la cultura marxista, particolarmente in Italia, troppo a lungo è stata segnata da uno scarso interesse nei confronti delle scienze naturali, non bisogna d’altra parte dimenticare che il marxismo è anzitutto una scienza e che, stante la complementarità tra il materialismo dialettico e il materialismo storico che si è testé argomentata (complementarità peraltro asimmetrica, condizionata quindi dalle concrete congiunture storiche), la sua peculiarità è quella di essere una scienza rivoluzionaria e di essere allo stesso tempo una filosofia: più esattamente, come insegna Lenin sia in Materialismo ed empiriocriticismo che nei Quaderni, una pratica della filosofia.


Note
1 V. I. Lenin, Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 352.
2 Per il rapporto di Marx con Hegel, quale oggetto di un’esplicita autocoscienza critica, è da citare sia il Poscritto alla seconda edizione del Capitale (1873) sia una lettera del 1858. Riporto di séguito entrambi i testi: «Per il suo fondamento, il mio metodo dialettico non solo è differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l’opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli, sotto il nome di Idea, trasforma addirittura in soggetto indipendente, è il demiurgo del reale, mentre il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini. Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza: come un “cane morto”. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico. Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perché sembrava trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e pei suoi corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza. La cosa che più incisivamente fa sentire al borghese, uomo pratico, il movimento contraddittorio della società capitalistica sono le alterne vicende del ciclo periodico percorso dall’industria moderna, e il punto culminante di quelle vicende: la crisi generale. Essa è di nuovo in marcia, benché ancora sia agli stadi preliminari; e per l’universalità del suo manifestarsi, come per l’intensità dei suoi effetti inculcherà la dialettica perfino ai fortunati profittatori del nuovo sacro impero borusso-germanico» (K. Marx, Il Capitale, libro I a cura di D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 44-45).
«Del resto faccio dei bei passi avanti. Per es. tutta la teoria del profitto, quale è stata finora, l’ho mandata a gambe all’aria. Quanto al ‘metodo’, mi ha reso un grandissimo servizio il fatto che ‘by mere accident’ mi ero risfogliato la ‘Logica’ di Hegel. [...] Se troverò mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di rendere accessibile all’intelletto dell’uomo comune […] quanto vi è di ‘razionale’ nel metodo che Hegel ha scoperto ma, nello stesso tempo, mistificato» (Lettera ad Engels del 14.I.1858, in K. Marx-F. Engels, Carteggio, Editori Riuniti, Roma 1972, vol. III, p. 155).
3 A. Negri, La fabbrica della strategia – 33 lezioni su Lenin, Cleup – Collettivo Editoriale LibriRossi, Padova 1977.
4 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, vol. II, trad. it. di E. Grillo, La Nuova Italia, Firenze 1970, p. 400.
5 V. I. Lenin, Quaderni cit., pp. 122-123.
6 Ibidem, p. 91.
7 Ibidem, p. 90.
8 Ibidem, p. 93.
9 Contrapponendolo alla mancanza di iniziativa e di acume politico che caratterizza la nostra epoca, ha còlto bene il ‘pathos’ squisitamente leniniano della negazione volontaria dell’‘ethos’ Slavoj Žižek nel saggio intitolato Tredici volte Lenin – Per sovvertire il fallimento del presente, Feltrinelli, Milano 2003.
10 E. Mach, Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von der Erhaltung der Arbeit, Praga 1871, p. 15. Traggo questa citazione dal saggio di F. Fistetti, Lenin e il machismo – Da “Materialismo ed empiriocriticismo” ai “Quaderni filosofici”, Feltrinelli, Milano 1977, p. 60.
11 Sulla categoria storico-filosofica di “compromesso bellarminiano”, elaborata da György Lukács nel ‘magnum opus’ dell’Ontologia dell’essere sociale, si può utilmente consultare il lavoro dello scrivente, intitolato Galileo, Roberto e la verità, reperibile sulla Rete al seguente indirizzo: https://www.sinistrainrete.info/libri/15876-galileo-roberto-e-la-verita.html?highlight=WyJyb2JlcnRvIiwiYmVsbGFybWlubyJd.
12 V. I. Lenin, Quaderni cit., p. 175.
13 Ibidem, p. 175.
14 Ibidem, p. 340.
15 Per una presentazione sintetica della Rivoluzione d’ottobre si veda sulla Rete al seguente indirizzo: https://www.sinistrainrete.info/pdf/Rivoluzione_d'ottobre_PDF.pdf. A proposito dell’importanza causativa del fattore teorico-ideologico nella lotta di classe, Negri nel saggio citato osserva quanto segue: «La capacità di accelerazione e di anticipazione dei tempi che pure Lenin aveva già espresso nel 1905, si dà ora una forma più consapevole ed esplicita, sulla quale non è irrilevante il fatto di possedere questi strumenti metodologici di lettura [ossia la Scienza della logica di Hegel]. Quello che Lenin non era riuscito ad esprimere teoricamente, che aveva semplicemente alluso nella pratica rivoluzionaria nel 1905, riesce nel ’17 a dirlo con piena consapevolezza e con forza d’anticipazione. Lenin riesce cioè a rendere la dialettica uno strumento di lettura della storia reale, uno strumento scientifico alla stessa stregua di un microscopio o di un fucile» (A. Negri, op. cit., p. 111). Infine, è doveroso riconoscere che il merito di una rigorosa fondazione filosofica dell’importanza causativa del fattore teorico-ideologico nella lotta di classe, fondazione condotta alla luce di un materialismo compiutamente monistico, va attribuito al pensatore piemontese Annibale Pastore, fra i cui allievi si annoverano personalità come quelle di Ludovico Geymonat e Dario Paccino. Di questo importante pensatore (filosofo della scienza e logico), vissuto a cavallo fra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, si veda in particolare La filosofia di Lenin, Edizioni Giovanni Bolla, Milano, 1946.
16 B. Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, parte II, prop. 49, conseguenza. L’opera è consultabile in Rete al seguente indirizzo: http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/SpinozaEtica.pdf.
17 Giuseppe Stalin, ‘of course’.
18 Ibidem, p. 182.
19 V. I. Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere complete, vol. XXV, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 444.
20 V. I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economismo imperialistico”, in Opere complete, vol. XXIII, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 67.
21 V. I. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 69.
22 Ho fornito una ricostruzione critica della biografia intellettuale di Ludovico Geymonat e della parabola etico-politica descritta dalla sua scuola nei seguenti articoli, ai quali mi permetto di rinviare per un approfondimento di questo tema: < https://www.sinistrainrete.info/filosofia/12731-eros-barone-la-feconda-lezione-di-ludovico-geymonat.html?highlight=WyJnZXltb25hdCJd >, < https://www.sinistrainrete.info/marxismo/16031-eros-barone-la-dialettica-della-natura-di-engels.html?highlight=WyJnZXltb25hdCJd >, < https://www.sinistrainrete.info/marxismo/16339-eros-barone-la-filosofia-come-kampfplatz-e-l-intervento-di-lenin-nella-crisi-delle-scienze.html?highlight=WyJnZXltb25hdCJd >.
23 L’Introduzione premessa da Lucio Colletti in qualità di curatore dei Quaderni filosofici per la casa editrice Feltrinelli (1958) è, per estensione (oltre centocinquanta pagine), contenuto e tono, un vero e proprio ‘manifesto’ antihegeliano e antileninista, in cui l’allievo di Galvano Della Volpe svolge la sua palinodia per i ‘peccati’ giovanili consumati in tema di dialettica.
24 Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano 1970-1972, vol. VI, p. 113.
25 Cfr. in questa stessa sede la nota 21 del mio saggio su Materialismo ed empiriocriticismo: //www.sinistrainrete.info/marxismo/16339-eros-barone-la-filosofia-come-kampfplatz-e-l-intervento-di-lenin-nella-crisi-delle-scienze.html?highlight=WyJnZXltb25hdCJd.
26 Ho approfondito questa fondamentale teoria del materialismo storico-dialettico nel seguente articolo, al quale mi permetto di rinviare:
https://www.sinistrainrete.info/marxismo/12032-eros-barone-note-sul-rapporto-base-sovrastrutture-prassi.html?highlight=WyJlcm9zIiwiYmFyb25lIiwiJ2Jhcm9uZSciLCJlcm9zIGJhcm9uZSJd.

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