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Lavoro di massa senza valore

di Norbert Trenkle e Ernst Lohoff

emergentiA prima vista, potrebbe sembrare che l'industrializzazione su larga scale dei paesi emergenti nel mercato mondiale - innanzitutto la Cina, l'India ed il Brasile, ma anche quella di altre regioni dell'Asia e dell'America Latina - fornisca le prove concrete che a livello mondiale non si può più parlare di una contrazione della sostanza del lavoro e del valore [*1]. Ma guardando la cosa più da vicino, tutto questo si rivela una mera finzione. Da un lato, se vista alla luce delle numerose perdite di posti di lavoro industriali nei paesi capitalisti del centro, ed ancor più nei paesi del defunto «socialismo reale», la crescita del lavoro di massa può essere relativizzata. Perfino in Cina, il paese del boom, a partire dagli anni '90 si registra un saldo negativo di quelli che sono i posti di lavoro industriali, fra l'altro perché il settore pubblico sottoproduttivo ha perduto più posti di lavoro di quanti ne siano stati creati nel settore privato [*2]. Questo fenomeno viene deliberatamente nascosto, dal momento che le imprese industriali pubbliche appaiono, viste attraverso gli occhiali ideologici del neoliberismo e quelli della sinistra tradizionale, come se facessero parte di un sistema differente, sebbene non rappresentino altro che è un'altra forma di valorizzazione nazionale capitalista. In realtà, in primo luogo, si tratta solamente dell'estromissione di queste imprese da parte di un capitale maggiormente produttivo.

Dall'altro lato - ed è questo il punto essenziale - il lavoro di massa nelle fabbriche del mercato mondiale, nelle imprese di subappalto, nelle fabbriche al nero dei paesi emergenti e nei luoghi di produzione a basso salario non rappresenta affatto in alcun modo una quantità di valore e di plusvalore così tanto elevata come si potrebbe credere a prima vista.

Perché - anche se in questo lavoro va vista una parte di quella che è la relazione globale di valorizzazione - esso viene generalmente implementato ad un livello di produttività tecnico-organizzativa assai al di sotto di quello che si riscontra nei settori centrali della produzione destinata al mercato mondiale. A livello di impresa, questo sfruttamento della forza lavoro è redditizio solo in quanto la differenza di produttività viene compensata per mezzo dei salari e degli altri costi di produttività estremamente bassi. Ma evidentemente ciò non significa che il tempo di lavoro relativamente lungo richiesto per la produzione di ciascun pezzo rappresenti una corrispondente elevata percentuale di valore. Ciò perché le merci prodotte in questo modo vengono convocate, insieme ad ogni altra merce, davanti allo spietato tribunale della misurazione del valore sociale che è in vigore; e che oggigiorno è globale ed è dettato dai settori che progrediscono al livello più avanzato di produttività.

Un promemoria: un prodotto, una merce che viene lanciata sul mercato mondiale, rappresenta esattamente la medesima quantità di valore di ogni altra merce dello stesso tipo e della stessa qualità. Se, per la sua produzione, è stato usato più di quello che è il tempo socialmente necessario, un tale eccesso di tempo viene socialmente annullato, e per questo non si trova ad essere remunerato. Se in una fabbrica al nero in Cina o in Bangladesh vengono impiegati, ad esempio, cento operai, quando, contemporaneamente, in una fabbrica ad alta tecnologia in Germania o in Giappone, ne vengono impiegati solo dieci, il lavoro dei primi cento operai impiegati rappresenta solo il valore di questi ultimi dieci operai. La delocalizzazione della produzione può essere redditizia a livello di un particolare capitale, a partire da dei salari estremamente bassi, ma in questo caso ciò non contribuisce affatto ad aumentare la massa del valore al libello della totalità della società. E questo perché anche qui possiamo dire che non è il tempo utilizzato individualmente, ai fini della produzione della merce, che determina il suo valore, bensì lo standard temporale di quella che è l'ora di lavoro sociale. Se questo standard aumenta, in seguito ad un aumento della produttività, ecco che allora il valore di tutte le merci di quel tipo si abbassa, indipendentemente dalle condizioni in cui esse sono state prodotte. Si tratta di quel meccanismo che normalmente obbliga le imprese ad uniformarsi al livello di produttività in vigore e ad introdurre quelli che sono i nuovi metodi di produzione. In linea di principio, tutto questo vale anche per la concorrenza sul mercato globale, solo che qui, contrariamente a quello che è lo spazio nazionale, possono coesistere anche quelli che sono dei livelli di produttività molto più disparati, dal momento che le condizioni di valorizzazione e di lavoro variano enormemente a seconda dei paesi, e che la differenza di produttività può perciò essere compensata a livello dei prezzi e dei costi per mezzo di uno sfruttamento feroce della manodopera, attraverso una spietata distruzione dell'ambiente, ed una svalutazione delle valute.

Un rapporto pubblicato sul settimanale "Die Zeit" mostra in maniera assai esplicita, attraverso la produzione di una maglietta dell'azienda tessile H&M, l'enorme divario esistente tra i livelli di produttività dei diversi paesi del mercato mondiale (Uchatius, 2010). L'autore segue per tutto il pianeta quelle che sono le diverse tappe della produzione di questo capo di abbigliamento, che viene venduto da H&M a soli €4,95. e cerca di sapere come viene ottenuto un simile prezzo così prodigiosamente basso. Tra le diverse cose sorprendenti, veniamo a sapere che il cotone non proviene affatto, come si potrebbe credere, dall'Africa o dall'India, ma dagli Stati Uniti. E viene raccolto per mezzo di una macchina che fornisce quello che è l'equivalente del cotone raccolto ogni giorno, a mano, da 300 lavoratori. Ovviamente, occorre tener conto del tempo di lavoro per la produzione, la manutenzione, le riparazioni, e così via, della macchina, non ché del gasolio e degli altri costi di funzionamento; ma, persino se stimiamo che tutto questo può equivalere alla metà di quella che è la produzione giornaliera, la quantità del tempo astratto corrispondente ad un kg. di cotone raccolto continua a rappresentare sempre un centocinquantesimo del tempo che viene impiegato da un raccoglitore in India. In altri termini, secondo quello che è lo standard, il lavoro giornaliero di 150 raccoglitori di cotone, sul mercato mondiale, rappresenta il valore di una sola giornata di lavoro. Benché crollino sotto il peso di quel lavoro ed operino in condizioni che non verrebbero invidiate da degli schiavi, il loro lavoro non «vale» praticamente niente, dal momento che esso dev'essere misurato secondo quello che è lo standard definito dalla macchina per raccogliere il cotone. Ed è proprio questo meccanismo strutturale che li obbliga a vendere la loro forza lavoro in cambio di una salario che basta loro appena a sopravvivere.

Nella produzione industriale, la differenza di produttività è meno importante di quanto lo sia in agricoltura, dal momento che è sufficiente rispettare solo alcuni standard tecnici. Però esiste un divario assai ampio tra le fabbriche di automobili nei centri occidentali e le stesse fabbriche in Cina, nella quale al posto delle macchine e dei robot viene impiegata manodopera a buon mercato. Il seguente esempio, che riguarda la fabbrica che si trova a Wangfeng nei pressi di Shangai, può servire ad illustrare tutto questo: «In una fabbrica occidentale, coreana o giapponese, un nastro trasportatore automatico trasporta i motori o gli elementi della carrozzeria delle automobili da un punto della lavorazione ad un altro. Mentre qui queste operazioni vengono eseguite manualmente. [...] L'azienda non spende milioni per l'acquisto delle macchine. Ma impiega del lavoratori altamente qualificati il cui salario annuale [...] è inferiore al salario mensile di quelle che sono le nuove assunzioni nelle fabbriche di Detroit» (Fischman, citato da Arrighi, 2009, p. 450). Qui è evidente, ancora una volta, che le automobili cinesi non rappresentano affatto più valore per il semplice motivo che sono state fabbricate facendo uso di più manodopera rispetto a quelle fabbricate in Corea o in Giappone [*3]. Poiché, se consideriamo la quantità globale di valore, i tempi di produzione più elevati non sono significativi, e questa fabbrica, solo per i suoi bassi salari, non è concorrenziale a livello internazionale [*4].

Vista sotto questa angolatura, l'estensione del lavoro di massa nei paesi ritardatari del mercato mondiale non rappresenta affatto un'espansione equivalente di quella che è la massa di valore, e quindi non costituisce la base di una nuova ondata autosufficiente di accumulazione capitalista. Si tratta piuttosto di una forma specifica della comparsa e dell'evoluzione della terza rivoluzione industriale. Da una parte, essa ha reso «superflue» delle masse di persone in tutto il pianeta, dal momento che la loro forza lavoro, in rapporto al livello di produttività dominante, non è più necessaria [*5]. Dall'altra, la ristrutturazione globale dei processi produttivi - che avrebbe potuto essere implementata prima per mezzo delle nuove tecnologie informatiche, della comunicazione e dei trasporti - ha aperto alle imprese la possibilità di sfruttare questa manodopera «superflua», in quanto sottoproduttiva, ma estremamente a buon mercato, nella misura in cui è redditizia a livello di impresa, in parte in concorrenza con i settori high-tech e in parte come complemento in quelle aree di produzione dove l'automazione presenta ancora dei problemi (per esempio, per il cucito nell'industria dell'abbigliamento). La differenza con il boom fordista è fondamentale. Allora, l'estensione del lavoro di massa si verificò nella produzione sulla base di una produttività ampiamente omogene. Essa si basava sullo sfruttamento di nuovi settori produttivi, situati al livello di quella che era la produttività sociale allora in vigore. Per cui l'estensione del lavoro di massa allora andò di pari passo con l'ampliamento della base del valore. Ad ogni ora supplementare di lavoro che veniva spesa, corrispondeva un'eccedenza di valore e di plusvalore. Nell'epoca della globalizzazione post-fordista, il nuovo lavoro di massa che viene generato si basa paradossalmente sul fatto che causa dello standard di produttività straordinariamente elevato ci sono milioni di persone costrette, per poter sopravvivere in qualsiasi modo, a spendere la loro forza lavoro al di sotto di questo standard. Le condizioni di vita e di lavoro di queste persone possono di certo essere materialmente paragonabili a quelle del proletariato dell'Europa pre-capitalista; ma, dal punto di vista economico, ci rimandano a qualcosa di assai differente: nelle condizioni pre-capitaliste, essendo l'impoverimento direttamente collegato al livello di produttività relativamente basso dell'epoca, lo sfruttamento del lavoro di massa attraverso la «produzione di plusvalore assoluto» rappresentava l'unico metodo di valorizzazione del capital. Ciò perché ogni aumento della produttività offriva nuovi spazi di manovra alla lotta per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Con il passaggio alla «produzione di plusvalore relativo», l'aumento dei salari, come abbiamo già spiegato, arrivò ad essere compatibile perfino con un aumento della parte del plusvalore che veniva assorbito dal capitale, pur rimanendo del tutto funzionale dal punto di vista di un'accumulazione di capitale in espansione, dal momento che era stato creato il potere di acquisto necessario alla vendita di massa dei prodotti.

Ma nelle condizioni della terza rivoluzione industriale, questo meccanismo smette di funzionare. Poiché, così come i «dannati della terra» di oggi che, tenuto conto del livello di produttività raggiunto dalla valorizzazione del capitale, in sostanza non servono più a niente, e che in seno alle imprese non giocano più nient'altro se non il ruolo di tappabuchi, i quali in qualsiasi momento possono essere rimpiazzati per mezzo della tecnologia, ecco che allora gli aumenti di produttività svolgono proprio l'effetto contrario di quello prevalso nel 19° secolo. Da un lato, fanno aumentare l'obbligo di vendersi a delle condizioni sempre più degradate, al solo scopo di continuare ad esistere in un modo o nell'altro nel contesto di questa feroce concorrenza e dei centri di produzioni altamente tecnologizzati (si veda, tra gli altri, Trenkle, 1999 et 2004 a) [*6]. Ma da un altro lato, i successi ottenuti nelle controversie lavorative, come avviene attualmente in Cina, nei siti produttivi in questione, portano inevitabilmente all'introduzione accelerata di metodi moderni di produzione. Facendo sì che oltretutto sembri che in fondo le masse di forza lavoro utilizzate precedentemente fossero superflue per la valorizzazione, e possono essere sostituite da meno forza lavoro, e facendo quindi sparire i vantaggi comparativi legati a quelli che sono i salari molto bassi. In entrambi i casi, quella che si produce è una contrazione nella massa del valore che viene prodotto dall'insieme della società. Nel primo, in quanto il lavoro di massa impiegato crolla persino al di sotto del livello di produttività in vigore, e che quindi rappresenta meno valore rispetto a prima. Nel secondo caso, perché la quantità di forza lavoro diminuisce senza che sopraggiunga alcun nuovo settore di sfruttamento del lavoro [*7].

Ma laddove non c'è alcun allargamento della base del valore, non può più svilupparsi una dinamica di accumulazione capitalista autosufficiente. L'indicatore più esplicito a tal proposito, è la profonda dipendenza della Cina, e degli altri paesi emergenti sul mercato mondiale, dalle loro esportazioni: ciò dimostra che i salari e gli stipendi che provengono dalla produzione di valore non sono per niente sufficienti a creare il potere d'acquisto necessario a creare un flusso di vendite di beni di massa. Il boom cinese è del tutto dipendente dal potere di acquisto negli Stati Uniti ed in Europa, un potere di acquisto che di certo non è essenzialmente coperto da una produzione di valore, ma che viene creato per mezzo del credito e della speculazione sui mercati finanziari. È per questo che la macchina economica cinese si inceppa immediatamente subito dopo il crack del 2008, e può essere rimessa in moto solo grazie ad un gigantesco programma congiunturale di aiuti, basato su un appello di massa al credito, da parte del governo cinese. In tal modo - e attraverso il programma congiunturale americano, anch'esso finanziato a credito - è stato sicuramente raggiunto di nuovo, rapidamente, un elevato tasso di crescita, ma il prezzo da pagare è stato un balzo in avanti dell'indebitamento interno, che è aumentato in maniera inquietante, e la creazione di un'enorme eccedenza (Roubini, 2011), che diventa ancora più problematica, dal momento che la domanda da parte degli Stati Uniti e dell'Europa diminuirà considerevolmente, a seguito dei massicci programmi pubblici di austerità messi in atto, se non rappresenteranno il preludio ad una nuova crisi dell'economia mondiale. In questo senso, l'idea secondo cui la Cina potrebbe diventare il nuovo centro dominante dell'economia mondiale è del tutto infondata. Il boom di questa regione non è mai stato fondato sulle proprie basi, ed è sempre stato dipendente dall'espansione globale del capitale fittizio. Per cui, di conseguenza, non esiste nessuna base per un'ondata di accumulazione che possa essere autosufficiente, come quella del boom fordista del dopoguerra.


Norbert Trenkle e Ernst Lohoff - Estratto da "La Grande dévalorisation. Pourquoi la spéculation et la dette de l’Etat ne sont pas les causes de la crise", Post-éditions, 2014, pp. 110-117 -

NOTE:
[*1] - È questo che, ad esempio, sostiene Michael Heinrich, nel suo articolo dal titolo rivelatore, "Il profitto senza fine": «Lo sviluppo capitalista della Cina e dell'India non è che agli inizi; in futuro, potrebbe avere benissimo una notevole influenza sull'economia e sulla politica mondiale. Se nei decenni a venire si dovesse formare, in queste regioni, una classe media con un alto potere di acquisto - è sufficiente perfino che si trattasse solo del 20 o del 30% della popolazione, mentre la popolazione rimanente vivrebbe nella povertà - questa parte della popolazione rappresenterebbe da sé sola un mercato che andrebbe da 600 a 700 milioni di persone, significativamente più grande di quello dell'Unione Europea allargata. Allo stesso tempo, l'inesauribile esercito dei poveri garantirà per decenni l'afflusso di manodopera a buon mercato. Per il capitale, nel corso del 21° secolo scarseggeranno molte cose, ma ciò non accadrà per la manodopera a basso costo. Il tasso di plusvalore crescerà a livello globale - con lo sviluppo tecnologico aumenterà il plusvalore "relativo", mentre con l'allungamento del tempo di lavoro e/o l'abbassamento dei salari reali aumenterà il plusvalore "assoluto"» (Heinrich, 2007). Dopo il crollo dei mercati finanziari del 2008, Heinrich mantiene la sua tesi. In un feroce attacco contro l'idea che il capitalismo possa collassare, scrive: «Gli Stati Uniti continuano ad essere sempre di gran lunga la più forte potenza economica del mondo, ma con i paesi di recente industrializzazione in Asia, ed in parte anche in America Latina, si sono venuti a creare dei nuovi centri di accumulazione capitalistica, che non possono più essere considerati semplicemente come dei paesi "periferici" di un'economia mondiale dominata dall'Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Essi sostituiscono, in ogni caso parzialmente, l'insufficienza della domanda americana. Questo sviluppo si vede chiaramente quando ci sono delle imprese indiane che realizzano delle acquisizioni spettacolari (la Jaguar è stata acquisita da Tata Motors, e Arcelor, la più grande impresa metallurgica europea, da Mittal Steel), oppure quando la Banca centrale cinese accumula delle enormi quantità di valuta straniera, il cui ammontare si situa ben al di sopra di mille miliardi di dollari. Il capitalismo globale competitivo sta diventando sempre più multipolare, e la cosa va di pari passo con la perdita relativa di importanza economica degli Stati Uniti» (Heinrich, 2008.) Anche Arrighi (2008), come molti altri, accetta come se fosse un fatto in sé che la crescita cinese possegga un carattere di accumulazione capitalistica autosufficiente.
[*2] - Si veda ILO, 2006, p. 359, e Rifkin, 2006, p. XXXII-XXXIII.
[*3] - Arrighi, il quale cita l'esempio della fabbrica di automobili, non si pone nemmeno la questione del valore, dal momento che rimane, in quelle che sono le sue osservazioni, a livello di prezzi e di costi.
[*4] - Nel caso della Cina, si deve aggiungere che la politica di Stato rafforza la competitività del paese svalutandone la moneta. Qui, astrarremo da tale aspetto.
[*5] - Zygmunt Bauman parla di «rifiuto della globalizzazione» come prodotto della modernità capitalistica (Bauman, 2006).
[*6] - Negli ultimi anni, il cucito ha fatto degli enormi progressi per quel che riguarda l'automazione dei processi. Se questa tendenza si dovesse rafforzare, l'industria dell'abbigliamento potrebbe rilocalizzare nei centri capitalisti l'insieme dei segmenti della produzione, cosa che avrebbe come conseguenza il fatto che dei posti di lavoro sottoproduttivi in Cina e altrove, potrebbeo sparire in massa (si veda Textilwirtschaft, 19 mazo 2009, e www.suedwesttextil.de/news/nachricht?n=486 )
[*7] - «La ditta subappaltatrice Foxconn, che opera per l'industria high-tech mondiale, è uno dei più importanti "datori di lavoro" della Cina, con circa un milione di operai che lavorano in delle fabbriche simili a caserme. L'azienda taiwanese impiega a livello mondiale un esercito di circa 1,2 milioni di operai, sono costretti ad assemblare a mano, fra le altre cose, dei gadget della Apple, della Sony, della Nintendo o della HP. Pertanto, gli ultimi giocattoli tecnologici del 21° secolo, che sono stati elevati da tempo al rango di marchi di lusso iconici per numerosi bambini della classe media dei paesi industrializzati, vengono prodotti sull'arcaica catena di montaggio risalente agli inizi del 20° secolo. Secondo Terry Gou, capo della Foxconn, tutto questo dovrebbe cambiare presto. A fine luglio, ha spiegato che in futuro un milione di robot verranno utilizzati nelle fabbriche Foxconn per svolgere i compiti "semplici e di routine", come la verniciatura e l'assemblaggio delle componenti. Attualmente, ci sono solo 10 mila robot industriali nelle imprese della Foxconn, ma dal prossimo anno il loro numero salirà a 300 mila. A partire dal 2014, verrà raggiunta la cifra totale di un milione di macchine-utensili» (Konicz, 2011 a).
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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Michele Castaldo
Wednesday, 04 December 2019 19:10
Caro Alfonso l'indirizzo è;
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Michele Castaldo
Monday, 02 December 2019 21:42
Caro Alfonso,
nel mio «Marx e il torto delle cose» - pubblicato nel 2018 (se mi dai l'indirizzo te lo spedisco aggradisse, come dicono a Roma) incentro tutta la questione teorica sulla sostanziale differenza teorica del soggetto: per Marx (del Manifesto) erano le classi, mentre me per sono i rapporti degli uomini con i mezzi di produzione che le determinano volta per volta, ovvero è dal rapporto d'assieme che si sviluppa il soggetto quale movimento storico transitorio e non eterno.
L'errore che molti teorici commettono è quello di andare alla ricerca del soggetto rivoluzionario in un gruppo di uomini, non trovandolo - in modo particolare in questa fase - vanno in crisi, e addirittura si rifugiano sotto le ali protettive della madre patria nobilitando il nazionalismo con sovranismo, poveracci.
Se osserviamo con distaccato cinismo ma con la passione dovuta possiamo leggere nei fatti - nella "periferia" che sempre più si avvicina - (in ultima in ordine di tempo è scoppiata Malta) che stanno accadendo negli ultimi mesi una cosa semplicissima: il movimento d'assieme che compone il modo di produzione capitalistico è in una crisi profonda e che dalla sua crisi si fa largo l'araba fenice, ovvero una parte imponente del suo movimento che con la sua azione aumenta la crisi dell'insieme movimento storico.
E la classe operaia? Non c'è come classe "semplicemente" perché essa per ragioni oggettive è conservativa, si aggrappa come la patella allo scoglio e guarda al capitalismo come i girasoli guardano il sole.
Quanti teorici sono disposti oggi a contestare questa mia tesi? Si facessero avanti, sarei ben lieto di sbagliarmi.
Purtroppo teorici e intellettuali non sono abituati al confronto, non discutono se non con loro stessi per bearsi allo specchio e aiutare la vendita di libri adottandoli, e obbligando "consigliando" i propri studenti di presentare magari la tesi commentando questo e/o quel testo. Mi sbaglio? L'università italiana è strapiena di questa gentaglia di "sinistra". Che interesse hanno a sostenere che questo sistema si avvia verso l'implosione quando ci vivono agiatamente? Quanti conoscono il meccanismo delle "ADOZIONI" dei libri'. Ho dovuto fare un'amara esperienza con alcuni cattedratici di "sinistra". Gli ho risposto come Eduardo de Filippo che consigliò che consigliò agli abitanti del quartiere che si lamentavano per le prepotenze del conte di fargli "nu pernacchio". «'Il pernacchio può essere di vario tipo: nel nostro caso deve essere di testa e di petto, che deve significare: caro .... tu si 'a schifezza, d'a scifezza, d'a schiefezza, d'a schifezza ' ll'uommene».
Il vero punto in questione è che finché il capitalismo cresceva, si sviluppava e cresceva economicamente, sindacalmente e politicamente la classe lavoratrice: il Pci contava 400.000 iscritti e la Cgil 4 milioni di tesserati, non come quelli di oggi, gran parte pensionati; e una Fiom che era il fiore all'occhiello del sindacalismo europeo.
Oggi che il capitalismo è in crisi, la classe operaia è alle corde, gli intellettuali brancolano come ubriachi nel buio. E se gli operai - umilmente - guardano il capitalismo ob-torto collo per necessità l'intellighenzia va alla ricerca di alibi e di assurde giustificazioni.
Mi sbaglio? Prova a leggere cosa scrivono tanti cialtroni.
Concludo dicendo: da oggi in avanti due cose sono da evitare: a) essere propositivi per correggere il modo di produzione capitalistico, con stupidaggini tipo la "decrescita felice"; b) prefigurare per il futuro, cioè per il post-capitalismo, rapporti sociali delineati. Questi due aspetti sono destinati a segnare il divario fra una visione storico-rivoluzionarie e una conservatrice e reazionaria.
Ti ringrazio che hai avuto la pazienza di leggermi.
Michele Castaldo
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Alfonso
Monday, 02 December 2019 11:41
Chiedo scusa, era Wertkritil. Autocorrettore, mai fidarsi
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Franco Trondoli
Sunday, 01 December 2019 19:33
Quoting Pantaléone:
Franco
E' certo che dove vivo, in campagna, lontano da tutto, posso fare fare!
Ho gia' taglia le pietre e coltivato la terra.
Ma come disseva Grachus Babeuf prima di Lenin: Cosa fare (ride) !
.Caro Patrick, e' bello stare in campagna, ma poi bisogna trovare il modo giusto di socializzare !. E questo anche in città !. Dovunque si viva , e' questo il problema !?. Ciao !
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Pantaléone
Sunday, 01 December 2019 18:33
Franco
E' certo che dove vivo, in campagna, lontano da tutto, posso fare fare!
Ho gia' taglia le pietre e coltivato la terra.
Ma come disseva Grachus Babeuf prima di Lenin: Cosa fare (ride) !
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Alfonso
Sunday, 01 December 2019 13:27
Mi inserisco forse male, e forse tardi. Dovevo ancora una risposta a Pantaléone : sì, le balle (di cotone, umorismo inopportuno!) mi convincono. Vizi e virtù della Weltkritik, va bene. Ma se vittime e carnefici sono indizi di un fattaccio, stiamo attenti quando usiamo il termine Valore : Christine Lagarde era ancora managing director del FMI quando ospitò Yuval Noah Harari il 6 settembre 2018, nella sede di IMF Library, e in quella conversazione, riguardo al reddito base universale risponde: "questo richiede un cambio completo di governance, di paradigma o come vogliamo chiamarlo, perché tale servizio di supporto universale o reddito o come si vuol chiamarlo richiederà un meccanismo di tassazione e di riallocazione universali basati sulla evidenza empirica di chi soffre, chi ne trae beneficio e come vogliamo per così dire riallocare VALORE per evitare caos."
[Universal Basic Income, Universal Basic Support.] That requires a complete change of governance, of paradigm or whatever you want to call it, because that US service or income whatever you call it will require a universal taxation mechanism and reallocation based on empirical evidence on who is suffering, who is benefiting and how you want to sort of reallocate value in order to avoid chaos. A me piace pensare che non le frequentazioni della signora con Sarkozy o Varoufakis la abbiano condannata al capezzale della BCE, ma la sua conclamata inaffidabilità a essere al capezzale del denaro mondiale. È tale approccio riallocativo una gabbia per baruffe che non superano la distribuzione? Peut-être. Ma tutte e proprio tutte le lotte sono state così? Quei 'pochi soldati' dei quali parla Franco?
Una ultimissima, al volissimo. Caro Michele, mi piace questo "ben più diversi". Che ne dici di "distinti", tinta diversa? La storia come l'evasione, la fuga : chi sarebbe disposto a cadere in trappola così lucidamente? E per gettare un ponte a chi non disdegnerebbe Cafiero, "gli operai sono gli unici che possono distruggere tutto, perchè tutto possono ricostruire". Se riproducono Nagasaki, o altre distruzioni di massa, e i 'pochi soldati' hanno accesso alla bomba e sono un soviet, decidono di rispondere distruzione a distruzione? Milioni di morti ammazzati a milioni di morti ammazzati? E dove lo trovi un soviet così?
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Franco Trondoli
Sunday, 01 December 2019 11:02
Quoting Pantaléone:
Poiché sappiamo che il disagio è generale nella società commerciale, l'impulso di morte è la base del capitalismo.
Non si tratta di ricomporre o migliorare l'excremento, ma di abolirlo.
Grazie Patrick, conosco un po' i temi dei quali scrivi. Teoria ne esiste tanta. È la pratica all'altezza delle teorie che manca. Ci sono tanti generali o aspiranti tali. E pochi soldati. Se dobbiamo aspettare che quasi tutti diventino generali "deve venire la barba a mia nonna !". Ciao ! Buon Seguito.
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Pantaléone
Sunday, 01 December 2019 06:50
Poiché sappiamo che il disagio è generale nella società commerciale, l'impulso di morte è la base del capitalismo.
Non si tratta di ricomporre o migliorare l'excremento, ma di abolirlo.
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Pantaléone
Sunday, 01 December 2019 06:33
Franco
Pierre Clastres La società contro lo Stato, cronaca degli indiani Guayaki, può dare quella che è un'umanità non alienata e non réificata.
Per tornare a l'uno, l'unità è stata spezzata, cioè ciò che Parmenide, Empedocle, Eraclite, prima di Socrate, prima del denaro, della divisione del lavoro, della religione.
Nell'unità del sacro, che non è il religare, che è stato sciolto dal valore dello scambio.
La schizofrenia generale lo separa dalle merci in movimento e dalla sua storia.
I primi popoli non hanno storia, non scrivono e non hanno denaro (il primo a scrivere è stato calculis).
Sono un tutt'uno in tutto il mondo nel godimento del loro essere nel mondo.
Senza voler fare l'apologia, o un ritorno.
È l'immagine che deve essere mantenuta, di ciò che è il comunismo, in primo luogo il ritorno all'Essere, quando le categorie fondamentali del capitalismo sono abolite nel comunismo planetario.
La naturalité achevée
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Franco Trondoli
Sunday, 01 December 2019 00:12
Con gli esperti di economia , e' dura , "competere come amici" , ad aspirare a essere pretententi ad un'idea di critica dell'economia stessa. In poche righe oltretutto. Ed allora svicolo su un lato antieconomico, sapendo di quanto c'è di antieconomico nell'economico, e riprendendo lo spunto interessante di Mario M. (39) ,dico questo: Proust ha sondato l'inafferrabile attimo passato, Joyce l'inafferrabile attimo presente. Con Ivan illich perdiamo un'inafferrabile futuro possibile. Da ognuno secondo le sue possibilità. Chi può integri il più possibile. Il "fondatore" dei Tempi Moderni non e' stato solo Descartes, ma anche Cervantes. Cordiali Saluti
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Paolo Selmi
Saturday, 30 November 2019 20:26
Caro Michele,

ti ringrazio moltissimo e sei stato chiaro come sempre. Io lo spero vivamente, spero vivamente che la prossima araba fenice sia questa volta, ancora una volta, dei nostri e non dei loro. Il nostro compito è accelerare la marcia dell'attuale araba fenice verso il falò che l'attende, aiutarla a non "sbagliare strada"... essere all'altezza di questo compito è la sfida che si pone di fronte a noi comunisti, nella ricerca teorica come nella pratica politica e sociale di ogni giorno. Un compito sempre più difficile. Ma non impossibile. In questo, il buon Leopardi, Gramsci e, in mezzo, Marx, ci siano sempre d'esempio, "da ciascuno secondo le sue capacità", secondo il suo percorso, secondo il suo linguaggio.

Ciao!

Paolo
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michele castaldo
Saturday, 30 November 2019 16:39
Caro, carissimo Paolo,
leggerti è non solo un piacere, ma un onore perché parli col cuore in mano, e con conoscenza. Ciò detto, in te si nascondono due straordinari personaggi: Giacomo Leopardi e Antonio Gramsci. Il povero Giacomino, come certamente saprai, ammalatosi di scoliosi, di carattere allegro e di cervello eccelso, avversava l'ottimismo di maniera nei confronti del 18° secolo. a differenza di Manzoni, schierato diversamente, e Peppino De Filippo avrebbe detto: «e ho detto tutto!».
Incorse una polemica tra i due e Leopardi impugnando i panni di Tristano ne tesseva lo spirito allegro perché si identificava in lui. Ma la critica si accanì ferocemente contro di lui dileggiandolo per il suo pessimismo causa la sua condizione fisica. Come si vede l'infamia umana ha radici antiche.
Si racconta che avendo inviato suoi scritti a un concorso, arrivò secondo mentre vinse un certo Botta, di cui si sono perse le tracce. Di quella commissione faceva parte Alessandro Manzoni.
Il Leopardi non si scompose, e rispose alle accuse di pessimismo per la sua salute fisica dicendo «la mia è una filosofia contro i progressisti liberali», ovvero innalzando e spostando il livello di scontro. Grande Giacomo!
Lui denunciava la natura dell'uomo, non diversamente da quello che scriveva Hobbes «homo lupus homini».
Il punto in questione è: la natura dell'uomo è quella descritta tanto da Hobbes quanto da Leopardi. Detta natura ha sviluppato un modo di produzione che si avvia verso la sua fine. Risorgerà dalle sue ceneri un'araba fenice (felice?) con le stesse caratteristiche? Non lo possiamo escludere a priori, e non a caso il gli oppressi si tengono questo. Ma la storia non si è mai riprodotta allo stesso modo, ecco perché tra Leopardi e Gramsci collochiamo Marx: perché un modo di produzione «necessitato e determinato» non può riprodursi perché verranno meno le ragioni che lo fecero sorgere.
Per queste ragioni, fattori oggettivi - necessità soggettive degli oppressi e sfruttati della terra, il ruolo di uno stuolo di militanti rivoluzionari che non si rassegna al capitalismo è fondamentale alla costruzione di una avanguardia ideale con i piedi per terra che punta sull'implosione per sviluppare nuovi e ben più diversi rapporti di produzione.
Spero di essere stato chiaro. Diversamente sono pronto a ulteriori chiarimenti.
Con molto affetto
Michele Castaldo
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Paolo Selmi
Saturday, 30 November 2019 14:59
Caro Michele,
grazie a te per il tuo intervento, e ce n'è di carne al fuoco! Il movimento-moto, come lo definisci nel tuo lavoro "La crisi di una teoria rivoluzionaria", che sto leggendo con molta attenzione, è impersonale... ma fatto di persone.
Una situazione molto simile a quella affrontata, ripresa e abbandonata, quindi rimessa nuovamente all'ordine del giorno, da Lev Nikolaevic Tolstoj in "Guerra e pace": un fiume carsico che sprofonda e riaffiora per tutto il suo, titanico, lavoro. In modo spesso contraddittorio, peraltro: in alcuni brani sembra volto al fatalismo ineluttabile di chi, prima della battaglia di Borodinò, sostiene che la battaglia si sarebbe fatta comunque, anche se a Napoleone e a tutto lo stato maggiore francese fosse venuto un coccolone e, gli attendenti sul campo, avessero detto: "ragazzi tutti a casa!"; in altri, invece, si muove cercando di capire, mi perdoni da lassù il buon Leone, cosa spinge questo "banco di spigole" a muoversi e a sparpagliarsi continuamente, in un continuo gioco ad incastro fra personale, che non è negato, e collettivo, che non è assolutizzato.

Oggi è sabato mattina e posso permettermi il "lusso" di andare a recuperare dalla polvere questo libro prezioso e fargli prendere un po' d'aria. In particolare, emerge, giganteggia, la figura (licnost') del Generale Kutuzov. Ma è una figura che ha ben chiaro il suo ruolo e i suoi limiti nei confronti delle centinaia di migliaia di persone che è chiamato a "dirigere"...e qui le virgolette ci stanno tutte... dirigere cosa? In piena battaglia, fra le palle di cannone che fischiavano, i tamburi che rullavano e la gente che andava al massacro,

"Kutùzov stava seduto, con la testa grigia chinata e il corpo pesante abbandonato, su quella panca coperta d'unt appeto, in quel medesimo posto dove Pierre l'aveva veduto la mattina. Egli non impartiva nessun ordine, ma soltanto diceva sì o no alle cose che gli proponevano.

Sì,sì, fate questo, - rispondeva a diverse proposte. - Sì, sì, va', colombello, guarda un po', - diceva, rivolgendosi ora all'uno, ora all'altro di coloro che gli erano vicini, oppure: - No, non fatelo, meglio aspettare, - diceva. Ascoltava i rapporti che gli venivano portati, dava ordini, quando gl'inferiori gliene chiedevano; ma, ascoltando i rapporti, pareva che non lo interessasse il senso delle parole che gli dicevano, ma qualcos'altro nell'espressione dei visi, nel tono del discorso dei suoi informatori. Per una lunga esperienza di guerra sapeva e con la sua intelligenza di vecchio capiva come sia impossibile a un solo uomo dirigere centiania di migliaia di uomini che lottano contro la morte, e sapeva che le sorti di una battaglia son decise non dagli ordini del comandante in capo, non dal luogo dove stanno le truppe, non dalla quantità dei cannoni de degli uomini uccisi, ma da quella inafferrabile forza che si chiama lo spirito delle truppe, ed egli vigilava su quella forza e la guidava, per quanto in suo potere.

L'espressione solita del viso di Kutuzov era un'attenzione concentrata, una tranquilla tensione che a stento dominava la stanchezza del corpo debole e vecchio".

(Кутузов сидел, понурив седую голову и опустившись тяжелым телом, на покрытой ковром лавке, на том самом месте, на котором утром его видел Пьер. Он не делал никаких распоряжении, а только соглашался или не соглашался на то, что предлагали ему.

«Да, да, сделайте это, — отвечал он на различные предложения. — Да, да, съезди, голубчик, посмотри, — обращался он то к тому, то к другому из приближенных; или: — Нет, не надо, лучше подождем», — говорил он. Он выслушивал привозимые ему донесения, отдавал приказания, когда это требовалось подчиненным; но, выслушивая донесения, он, казалось, не интересовался смыслом слов того, что ему говорили, а что-то другое в выражении лиц, в тоне речи доносивших интересовало его. Долголетним военным опытом он знал и старческим умом понимал, что руководить сотнями тысяч человек, борющихся с смертью, нельзя одному человеку, и знал, что решают участь сраженья не распоряжения главнокомандующего, не место, на котором стоят войска, не количество пушек и убитых людей, а та неуловимая сила, называемая духом войска, и он следил за этой силой и руководил ею, насколько это было в его власти.

Общее выражение лица Кутузова было сосредоточенное, спокойное внимание и напряжение, едва превозмогавшее усталость слабого и старого тела. )

Di solito preferisco tradurre io, scroccando e ritoccando le traduzioni di altri. E anche qui, "spirito delle truppe" (дух войска) lo avrei reso con "morale delle truppe", giusto per non dare l'idea che il buon Lev pensasse a spettri che aleggiavano sul campo di battaglia, anche "сосредоточенное, спокойное внимание и напряжение" ha un ritmo e un significato che non appare in "un'attenzione concentrata, una tranquilla tensione" e che sarebbe reso meglio con "un'attenzione, una tensione, al tempo stesso concentrate e tranquille". Ma massimo rispetto a Enrichetta Carafa d'Andria e al suo immane lavoro.

Torno al mio lavoro su Syroezin. da buon matematico, economista ed esponente sovietico della teoria dei giochi, la sua filosofia riprende il filone carsico russo che traspare nella penna tolstojana e lo associa, con gli strumenti a sua disposizione, al ruolo dell'INFORMAZIONE da un lato e della LIBERTA' DI SCELTA dall'altro: un'operaio su una taglia e cuci non ha molta libertà di scelta, così come l'addetto alla pressa, o il "meccanizzatore" (che nomi si usano ancora!) di bolle doganali. Ordine-Esecuzione. Il modellista, il caporeparto, il dichiarante doganale, hanno già PIU' INFORMAZIONI E PIÙ' LIBERTA' DI SCELTA, nell'esecuzione del compito assegnato. E così via, fino al comandante in capo. Dal suo "Da" o dal suo "Net", Kutuzov sapeva benissimo che dipendeva il destino di migliaia dei suoi uomini. E, al tempo stesso, sapeva altrettanto bene che il suo dirigere era molto diverso dal comandare un'intera catena operativa, bensì si limitava ad accelerare, frenare, deviare qualcosa che andava ben oltre il suo controllo diretto.

Ancora Tolstoj: "Ogni amministratore in tempo di calma e di tranquillità crede che soltatno per i suoi sforzi si muova tutta la compagine dei suoi amministrati, e in questa consapevolezza della sua indispensabilità ogni amministratore trova la principale ricompensa delle sue fatiche e dei suoi sforzi. S'intende che, fino a quando il mare della storia è calmo, all'amministratore-governante, che muove la sua fragile barchetta spingendo con una pertica contro la nave del popolo dovrà sembrare che, con i suoi sforzi, egli spinga la nave alla quale si appoggia. Ma appena si leva la bufera, il mare si agita e anche la nave si muove, sbagliarsi non è più possibile. La nave se ne va per conto suo, possente e indipendente, la pertica non raggiunge più la nave in movimento e l'amministratore a un tratto, dalla posizione di dominatore, di fonte di forza, passa a quella di uomo insignificante, inutile e debole" (Каждому администратору в спокойное, не бурное время кажется, что только его усилиями движется всо ему подведомственное народонаселение, и в этом сознании своей необходимости каждый администратор чувствует главную награду за свои труды и усилия. Понятно, что до тех пор, пока историческое море спокойно, правителю-администратору, с своей утлой лодочкой упирающемуся шестом в корабль народа и самому двигающемуся, должно казаться, что его усилиями двигается корабль, в который он упирается. Но стоит подняться буре, взволноваться морю и двинуться самому кораблю, и тогда уж заблуждение невозможно. Корабль идет своим громадным, независимым ходом, шест не достает до двинувшегося корабля, и правитель вдруг из положения властителя, источника силы, переходит в ничтожного, бесполезного и слабого человека. )

Solo un profondo conoscitore dell'animo umano poteva condensare, in questa immagine, la parabola del potere o, meglio, della "sensazione di potere". Torniamo a Syorezin: la tua LIBERTA' di SCELTA è potere. Aggiungo, "ogni potere è violenza sulle persone" (всякая власть есть насилие над людьми), direbbe Bul'gakov-Jeshua in Master i Margarita. Ma anche forzando, esercitando violenza, non aumento il controllo. Penso di controllare, ma non controllo. Penso di essere io a muovere la nave del popolo con la mia pertica, quando è invece vero il contrario. Me ne accorgo col mare in tempesta. Se, come Kutuzov, sono conscio di questo, ecco che la mia ENORME libertà di scelta, che mi dà l'essere nella stanza dei bottoni, mi consente di DIRIGERE, anche nel mare in tempesta, perché non avrò passato il tempo a trastullare il mio Ego facendo finta di spingere la nave, ma raccogliendo informazioni sul funzionamento della nave, sulla sua dotazione, sulla sua capacità di stivaggio, sul suo bilanciamento, di modo che sappia quando dirigerla in mare aperto, quando sottocosta, quando di poppa, quando di bolina, ecc.

Sempre tendendo presente che l'imprevisto è in agguato. LE INFORMAZIONI, che accompagnano la nostra maggiore o minore libertà di scelta, NON SONO MAI CERTE E COMPLETE. Ancora un brano:

"Alla ragione umana è inaccessibile la correlazione delle cause dei fenomeni. Ma il bisogno della ricerca edlle cause è insito nell'anima dell'uomo. E l'intelletto umano, senza penetrare nelle infinite e complicate condizioni dei fenomeni, ognuno dei quali può presentarsi come una causa a parte, afferra il primo e più comprensibile accostamento e dice: ecco la causa. Negli avvenimenti storici (dove oggetto di osservazione sono gli atti degli uomini) l'accostamento primordiale è la volontà degli dèi, poi la volontà di quegli uomini che stanno nel luogo più appariscente della storia: gli eroi storici. Ma basta penetrare nell'essenza di ciascun avvenimento storico, cioè nell'attività di tutta la massa degli uomini che parteciparono all'avvenimento, per convincersi che la volontà dell'eroe storico non soltanto non guida le azioni delle masse, ma è sempre guidata essa medesima. Parrebbe indifferente comprendere il signiifcato di un fatto storico così o altrimenti. Ma fra l'uomo il quale dice che i popoli dell'Occidente andarono verso l'Oriente perché Napoleone lo voleva e l'uomo che dice che ciò è accaduto perché ciò doveva accadere, c'è la stessa differenza che passava tra le persone le quali affermavano che la Terra sta immobile e i pianeti le si muovono intorno e quelli che dicevano di non sapere su che si mantenga la Terra, ma di sapere che vi sono leggi che regolano i moti sia della Terra che degli altri pianeti. Non ci sono e non ci possono essere le cause di un fatto storico, salvo l'unica causa di tutte le cause. Ma vi sono leggi che dirigono gli avvenimenti, in parte sconosciute, in parte afferabili da noi. La scoperta di queste leggi è possibile soltanto quando noi rinunziamo del tutto a ricercare le cause nella volontà di un uomo, appunto come scoprire le leggi del moto dei pianeti divenne possibile soltanto quando gli uomini rinunziarono all'idea dell'immobilità della Terra". (Для человеческого ума недоступна совокупность причин явлений. Но потребность отыскивать причины вложена в душу человека. И человеческий ум, не вникнувши в бесчисленность и сложность условий явлений, из которых каждое отдельно может представляться причиною, хватается за первое, самое понятное сближение и говорит: вот причина. В исторических событиях (где предметом наблюдения суть действия людей) самым первобытным сближением представляется воля богов, потом воля тех людей, которые стоят на самом видном историческом месте, — исторических героев. Но стоит только вникнуть в сущность каждого исторического события, то есть в деятельность всей массы людей, участвовавших в событии, чтобы убедиться, что воля исторического героя не только не руководит действиями масс, но сама постоянно руководима. Казалось бы, все равно понимать значение исторического события так или иначе. Но между человеком, который говорит, что народы Запада пошли на Восток, потому что Наполеон захотел этого, и человеком, который говорит, что это совершилось, потому что должно было совершиться, существует то же различие, которое существовало между людьми, утверждавшими, что земля стоит твердо и планеты движутся вокруг нее, и теми, которые говорили, что они не знают, на чем держится земля, но знают, что есть законы, управляющие движением и ее, и других планет. Причин исторического события — нет и не может быть, кроме единственной причины всех причин. Но есть законы, управляющие событиями, отчасти неизвестные, отчасти нащупываемые нами. Открытие этих законов возможно только тогда, когда мы вполне отрешимся от отыскиванья причин в воле одного человека, точно так же, как открытие законов движения планет стало возможно только тогда, когда люди отрешились от представления утвержденности земли.)

Volodja, un mio amico russo, ingegnere aerospaziale in tempo di Soviet e, in tempo di "demokracija", impiegato semplice nella ditta di trasporti che ci ordinava i ritiri di mobili italiani e complementi d'arredo destinati agli oligarchi committenti) mi disse, che ai suoi tempi, "Guerra e pace" si leggeva nelle scuole. A me venne subito il parallelo con i nostri Promessi sposi. Mi disse anche che la classe si divideva in due fazioni: i maschietti, tutti "pro guerra", quindi Urrà! Abbasso Napoleone! ecc., e le femminucce "pro pace", quindi il ballo di Natascia, la sua tormentata storia col principe Andrej, ecc. E io, tra me e me, pensavo a quanto ero stato fortunato a leggerlo, per la prima volta, a vent'anni di distanza dall'esplosione ormonale adolescenziale: non ci avrei capito nulla. In questo senso, mi basta aver già rovinato abbastanza i Promessi Sposi, che tutti mi dicono di rileggere a quest'età... e che ho talmente detestato allora da non aver superato quel blocco! Anche se mi rendo conto che avranno sicuramente ragione. Come il mio amico Vladimir non aveva più ripreso "Guerra e pace" dai tempi delle medie-superiori, pur dando ragione a me sulla bellezza del testo riletto con un po' di più di anni sulle spalle.

Concludo con Syroezin. Conoscere le leggi (закон) che governano il movimento per meglio esercitare la propria libertà di scelta, a ogni livello della catena di comando della res economica ci si trovi: questa è la chiave di lettura sul suo lavoro sulla pianificazione. Piaccia o no, questo è quello che fanno, come acutamente noti Michele nel tuo intervento, i padroni del vapore da questa parte. Non dicono "dateci i vostri soldi, quelli che vi abbiamo concesso sotto forma di salario" ma "Black Friday, solo oggi tutto a meno 20%"... non ti spiano direttamente nei movimenti, nei consumi, per spillartene ancora di più, ma ti profilano come numero-nella-massa, come briciola di sostanza viva, nelle loro statistiche per incrementare la vendita di un prodotto, fosse esso un politico da votare o un nuovo marchio di detersivi. Per loro non fa differenza. Non determinano il moto-modo di produzione attraverso un ordine "personale", "ad personam", ma attraverso una manipolazione della coscienza - da un lato - e una veicolazione dei consumi e degli stili di vita - dall'altro - che siano in grado sempre di garantire loro quel vantaggio su chi, invece, vorrebbe vederli in un campo di rieducazione a impiantare alberi dove i loro amici speculatori hanno appiccato incendi. Il nemico è il gestore privato delle autostrade, ma il nemico è anche chi, a monte, ha creato un sistema dove le strade siano intasate di macchine perché "muoversi altrimenti è impossibile". Il nemico è il centro commerciale più grande d'Europa (costruito sulle macerie dell'Ex Alfa Romeo), ma il nemico è anche chi produce capi di abbigliamento che fanno scintille, talmente sono sintetici, e che vengono venduti come se fossero di lana, il nemico è anche chi inculca il "bisogno" di acquistare, avere, possedere, per "essere".

Non può esistere alcun Socialismo con le stesse "leggi" che governano il modo capitalistico di produzione, e che ridefiniscono la nozione di "bisogno", di "valore d'uso", di "merce" e di "denaro" intorno a FETICCI costruiti sul nulla, proprio come è costruita sul nulla la nozione di "valore" di Trenkle e Lohoff così ben criticata da Carlo Rao, AlsOb e Alfonso. E finché non riprenderà una vera e propria lotta ideologica anche su questo piano, il capitalismo ho paura che farà sempre come l'araba fenice, magari non si chiamerà più capitalismo, ma sarà qualcosa di peggio, e risorgerà dalle sue ceneri (le nostre, più che altro, che siamo la sua carne da macello), sempre più forte e con sempre meno resistenza intorno.

Un caro saluto e
buona domenica a tutti!
Paolo Selmi
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michele castaldo
Saturday, 30 November 2019 10:37
Cari compagni,
ho notato che questo articolo - insieme a pochissimi altri - viene commentato con un certo accanimento, mentre nella stragrande maggioranza dei casi tutto passa sotto silenzio. Per fortuna mancano i soliti importuni di professione che privi di argomenti si dilettano a distribuire epiteti categoriali dalla sommità del sottobosco putrido.
La faccio breve.
Il tentativo dei due autori dell'articolo (che tra l'altro non conosco) è concentrato nella tesi finale quando scrivono:
«Ma laddove non c'è alcun allargamento della base del valore, non può più svilupparsi una dinamica di accumulazione capitalista autosufficiente».
Sicché lo sforzo di chi guarda in un certo modo il mondo attuale dovrebbe essere quello di capire se è in atto una tendenza che va nella direzione che indicano i due compagni o all'opposto. Non esiste cioè una terza posizione: il capitalismo o si rilancia riproducendosi continuamente oppure ristagna e implode come ogni movimento storico
Accantonata l'ipotesi che una classe potesse abbattere un movimento in ascesa, di cui era ed è complementare, ci restano due sole ipotesi: l'infinitezza del modo di produzione e il suo contrario, ovvero un movimento storico che, sfruttate tutte le sue straordinarie potenzialità, entra in crisi irreversibile e implode oppure eternità capitalistica.
L'attuale movimento giovanile contro i cambiamenti climatici è la punta dell'iceberg, ovvero l'indicatore che questo modo di produzione non solo non si può riprodurre all'infinito ma che è arrivato a un punto morto, ovvero rischia di estinguere la specie e con essa il resto degli abitanti del pianeta.
Contro questa tesi si scagliano i reazionari e gli accattoni più incalliti perché misurano l'umanità e l'insieme del globo con la loro breve vita agiata.
Ma il punto chiave non è questo, per quanto forte, no, il punto chiave è che questo modo di produzione non è più in grado di sviluppare il valore, ovvero la ragione della sua nascita e dunque della sua forza e della sua potenza, basata su un rapporto che appariva per secoli del tutto naturale, nonostante si basasse sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Questo elemento teorico centrale fu messo bene in luce da Marx, in anticipo rispetto ai suoi tempi, ma nitido nella sua analisi nei Grundrisse e nel Capitale.
Gli sciacalli hanno utilizzato il Manifesto per attaccare Marx e i tentativi "comunistici" dei popoli oppressi dal colonialismo e dall'imperialismo, ma nessuno è in grado di dimostrare che questo modo di produzione è infinito e che quest'epoca segna il punto per una nuova fase che rilanci l'accumulazione.
Chi con serietà è capace di saper interpretare le linee di tendenza della storia - come ad esempio la Chiesa cattolica - lancia continui segnali di allarme ma è legata anch'essa alle stesse leggi e dunque è impotente tanto quanto i migliori economisti, sociologi, umanisti ecc.
L'Avvenire di qualche giorno fa (26/11/19) in un articolo titolato «[...] A truccare le carte, se ci pensiamo bene, è anche la dimensione iper-competitiva ingrediente principe della tensione capitalistica, e che può tradursi in ansia paralizzante, [...] Se la denatalità è un sintomo della crisi del capitalismo» (un articolo da leggere) si può leggere: «[...] possono ancora nascere figli in una società che esprime un bisogno clinico di muri? Che sta melanconicamente delineando il proprio fine vita? [...] bisognerebbe avere il coraggio di mostrare che le due crisi, quella climatica e quella delle nascite, sono prodotte dalla stessa matrice. All'origine c'è sempre l'individuo ripiegato su se stesso, che egoisticamente definisce la propria affermazione scaricando i costi del proprio benessere su qualcun altro e non accetta una revisione degli stili di vita». Ed aggiungo: sarà proprio questa non accettazione che il modo di produzione si sfracellerà attraverso una storica implosione.
Per concludere,
un'anziano comunista, bracciante agricolo di Acerra (Na) soleva ripetere: «caro ragazzo devi sapere che i capitalisti tengono i monachi con barbe così lunghe (
portandosi la mano destra, col palmo rivolto in alto a segnarne la lunghezza, all'altezza dell'ombelico) nei conventi a studiare come imbrogliare i lavoratori». Il suo dire era in dialetto napoletano, molto più colorito e arrabbiato, ed aveva perciò tutto un'altro sapore, che lascio all'immaginazione dei compagni.
Ringrazio i compagni che avranno avuto la pazienza di leggermi e saluto affettuosamente.
Michele Castaldo
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Mario M
Saturday, 30 November 2019 09:55
Lavoro di massa senza valore, e lavoro di massa CONTRO il valore: impiegato e assorbito dall'immane burocrazia che avvolge le società moderne, per lavori inutili o per impedire il lavoro altrui: gli apparati per la sicurezza e per la privacy che rendono difficoltoso o impediscono il lavoro produttivo, le scartoffie che occorre compilare per svolgere l'attività sanitaria, didattica, e anche solo se vuoi aggiustare un bagno o un balcone in casa che confina con l'esterno (teniamo presente che più di metà del nostro reddito va a finire in tasse). Ivan Illich agli inizi degli anni '70 aveva denunciato questa involuzione della società, e spesso nei suoi scritti troviamo il termine controproduttività: quando gli apparati e le istituzioni diventano ipertrofiche e sono da ostacolo al conseguimento degli obiettivi per i quali erano nati. Il Genere e il Sesso è un libro forse considerato come antifemminista, ma a mio giudizio è un interessante testo di economia: prima dell'industrializzazione e del capitalismo l'attività dell'uomo/donna si poteva considerare come svolto in una rete di rapporti sociali, culturali, interdipendenti; e successivamente ingabbiato in uno schema di valori monetari; denuncia quindi la perdita del genere a causa del mito dell'uguaglianza fra uomo e donna, come la perdita della sinistra e della destra.
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Pantaléone
Saturday, 30 November 2019 08:30
Carlo à l'occasion on peut échanger sur FB
Patrick Roda Nice
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Pantaléone
Saturday, 30 November 2019 08:14
Un'ultima parola,
Il capitalismo è anche e soprattutto un'alienazione mentale.
In verità, non è la coscienza che ci determina, ma ciò che appare alla coscienza, il sistema di socializzazione subordinato al denaro.
Se in ognuno di noi non ci fosse questo essere primordiale la cui comunità era stata la forma sociale per migliaia di anni, saremmo solo formiche, ognuna al proprio posto, svolgendo il compito assegnatogli.
Solo che c'è questo primo essere irriducibile in noi che resiste.
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Pantaléone
Saturday, 30 November 2019 07:58
Caro Carlo
Grazie per questo testo intelligente e sincero.
Il periodo più vergognoso è stato quello di Gorbatev che ha preso gli ordini direttamente da Washington, ho visto intorno a me persone che si chiamavano comunisti e che da un giorno all'altro hanno sposato l'ideologia liberale, e si sono immersi nella letteratura di Fukuyama sull'ordo liberalismo.
Fin dall'adolescenza sono stato comunista, non tanto per il miglioramento dei consumi, ma soprattutto per la vera fine della storia, c'è una sola storia dal Neolitico, quella dei beni in movimento.
Nel 68, all'epoca molto giovane, durante lo sciopero di massa, riuscii a capire che cos'era una coscienza disimpegnata, al punto che i lavoratori non volevano più tornare al lavoro, e la fraternità di classe ci fece vedere il mondo sotto una luce del tutto felice.
Perché non dimentichiamo mai che le categorie di capitale sono il lavoro salariato, il denaro e lo Stato.
Ed è questo che dobbiamo abolire, per il ritorno alla nostra vera naturalità di godimento dell'Essere nel mondo.
Una vita una volta!
Ci scusiamo per la traduzione approssimativa.
Ciao Carlo
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Paolo Selmi
Saturday, 30 November 2019 00:15
Caro Patrick,
non ti preoccupare. Personalmente, ho imparato sulla mia pelle che c'è sempre da imparare da chiunque. Imparo da mia figlia che ha sei anni, così come ho imparato da operai cinesi, da camionisti russi, da professori universitari e da contadini di almeno tre generazioni. Poi io sono e resto comunista, loro... fatti loro, non devo catechizzare nessuno. Tanto meno convincere te, col tuo vissuto, con la tua storia, con il tuo percorso fatto di salite e discese, come tutti, che esistono altre letture della Rivoluzione d'Ottobre. Un dato però mi sembra utile anzi, essenziale, guardando al futuro. La storia sovietica, quei sessant'anni prima del tragico terzetto Andropov-Cernenko-Gorbacev (tragico perché ai primi due mancò il tempo, mentre invece il terzo ne ebbe sin troppo...), rappresenta l'UNICO esperimento al mondo di una certa lunghezza temporale di:
- transizione al socialismo
- costruzione socialistica dell'economia e della società;
laddove per socialismo si intende un sistema:
- a proprietà sociale dei mezzi di produzione
- a conduzione pianificata degli stessi e di tutta la "res economica"
- secondo una legge fondamentale del tutto opposta a quella del profitto capitalistico, che vedeva nel SODDISFACIMENTO IMMEDIATO DEI BISOGNI SOCIALI il fine ultimo dell'economia sociale.
Poi, non era quello sicuramente l'UNICO modo di condurre l'economia. E va bene. Ci sono stati errori. E va bene. Tuttavia, per criticare occorre conoscere, e per conoscere occorre studiare, entrare nel vivo, nel profondo dei meccanismi, trovare eventuali falle ed elaborare metodi e tecniche innovative per eliminarle, superarle, migliorare il sistema. Qui, invece, si butta via il bambino con l'acqua sporca.
La burocrazia è una brutta bestia, ma lo è anche nel capitalismo. Lo era nella Russia di Dostoevskij (Il sosia, le double, Двойник) e di Gogol' (Il naso, Le Nez, Нос) e lo è nella Russia di oggi, che di quei tempi ha soltanto la musica dell'inno. Paradossalmente, lo fu meno nell'URSS perché i movimenti di "promozione" e "avanzamento" (Выдвижение) permisero in quei decenni a milioni di operai e contadini di diventare quadri dirigenti, creando una mobilità sociale inesistente prima di allora e inesistente tutt'oggi, in piena "demokràcija". questo CON TUTTI I LIMITI, i difetti, gli errori cui ho già accennato. Mi fermo qui.
Ciao!
paolo
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Pantaléone
Friday, 29 November 2019 18:48
Caro Paolo
Dobbiamo sempre imparare anche da un rivoluzionario controrivoluzionario come Lenin.
Tuttavia, poiché la spaccatura è aperta, ne approfitterò con rispetto.
Sentiti libero di correggere se mi sbaglio.

I sovietici come organi che incarnano la volontà popolare erano incompatibili con la dottrina bolscevica.
Lenin lo usava per rovesciare lo stato imperiale.
Poi ha costruito il suo stato di puro stile bolscevico.
cioè una dittatura di un numero molto limitato di rivoluzionari professionisti e disciplinati sulla massa caotica.
Tuttavia, non sopprimeva i sovietici, che venivano conservati e sfruttati come simbolo decorativo del loro dominio.
E così il sovietico rovesciato diventa il simbolo giustificante della dittatura della burocrazia.
E questa menzogna coprirà tutti i PC, che introducono gli stessi processi di abuso di significato.
Un inganno che farà molto male agli autentici comunisti.
Perché l'obiettivo é¨ raggiunto naturalezza, non Stakhanov.
Bona serrata
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Pantaléone
Friday, 29 November 2019 18:23
Penso che sia correlato, l'aumento della produttività grazie alla tecnologia, permette di produrre di più e più velocemente, con meno manodopera viva, abbassa i prezzi di vendita, se il prezzo di vendita è sceso è che contiene meno valore.
A livello del proprietario della fabbrica c'è un aumento del valore aggiunto, ma a livello globale c'è una diminuzione del valore aggiunto.
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Pantaléone
Friday, 29 November 2019 18:21
Je pense que c'est lié, l'augmentation de la productivité grace à la technologie, permet de produire plus et plus vite, avec moins de travail vivant, cela abaisse les prix de vente, si le prix de vente à baissé c'est qu'il contient moins de valeur.
Au niveau du propriétaire de la fabrique il y a augmentation de plus value, mais au niveau global il y a baisse de la valeur.
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AlsOb
Friday, 29 November 2019 17:10
Riprendo brevemente le illogiche e confusionarie affermazioni dei due superficiali articolisti che disinvoltamente manipolano categorie marxiane che non padroneggiano a partire da una nota di Carlo Rao:
"Alsob (commento 12) rimane basito dinanzi all’affermazione di L. e T. che “si produce una contrazione nella massa del valore”. Francamente neppure io ho chiaro cosa vogliano dire i due autori! Provo a interpretarli, con una mia congettura, partendo da un altro passaggio del loro articolo:
“Se in una fabbrica al nero in Cina o in Bangladesh vengono impiegati, ad esempio, cento operai, quando, contemporaneamente, in una fabbrica ad alta tecnologia in Germania o in Giappone, ne vengono impiegati solo dieci, il lavoro dei primi cento operai impiegati rappresenta solo il valore di questi ultimi dieci operai. “
Secondo me, si stanno riferendo alla caduta tendenziale del saggio di profitto, ma cercano..."
La situazione è anche peggiore giacché sono convinti che il valore si crei e scompaia nel nulla, in una sorta di gioco dei tre bussolotti. Avrebbero avuto l'opzione di dire che il plusvalore si redistribuisce a livello mondiale anche nell'ambito di stesse industrie che usano tecnologie diverse (il che per certi versi darebbe conto della famosa tesi del global saving gut), invece cortocircuitando valori e prezzi annichiliscono parte del valore delle industrie a maggiore L/C per essere il valore di riferimento della merce quello socialmente necessario e perciò quello definito dall'industria tecnologicamente più avanzata. Pertanto dalla personale tesi secondo la quale vi è contrazione della massa di valore prodotto (o per il succitato magico annichilimento derivante del differente rapporto L/K o per effetto del progresso tecnologico) concludono che il non incremento della base di valore determina il declino della accumulazione capitalistica.
Con simili personaggi da bar sport turisti del grandissimo Marx si perde solo tempo.
In termini e parole marxiane infatti le cose non sono molto misteriose, il valore non sparisce magicamente e se si accettassero le assunzioni dell'economia volgare tutto andrebbe provvidenzialmente a posto. Vi è solo il non trascurabile dettaglio che il valore di scambio deve realizzarsi, il che non accade in modo fluido. Il trilione di dollari di deficit di bilancio USA è la "manna dal cielo" con il denaro fornito dalla FED per agevolare il processo, altrimenti per gli schiavi liberi sarebbe un disastro.
I due autori occorre riconoscerlo hanno una infarinatura di questo e lo inseriscono nella loro contraddittoria macedonia. Tra altre esilaranti declamazioni compunti senza senso del ridicolo notano (saltando magicamente in questa parte da valori a potere d'acquisto a salari) che "i salari che arrivano dalla produzione di valore sono insufficienti" come se la scoperta dell'acqua calda fosse diventata un generale grande valore.
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Pantaléone
Friday, 29 November 2019 09:20
Nel 2019 possiamo dire che c'è certamente una grande crisi sociale, ma non c'è una crisi del capitalismo, poiché c'è un accumulo di capitale di forma superiore.
I super-ricchi potranno vivere nel loro mondo scollegato da tutta la società, se non per forzare questo modello di accumulo, non ridistributivo, affidandosi a enormi mezzi di "contenimento" con tecnologie oppressive.
La questione del ruolo storico del proletariato è davanti a noi, finché il capitalismo non ha raggiunto le condizioni di autoabolizione.
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Pantaléone
Friday, 29 November 2019 08:55
Caro Carlo
E questa è la domanda, il ramo speculativo del capitale, può compensare il declino del valore del settore produttivo (una cosiddetta valutazione di successo) e più precisamente per l'1% più ricco che sono i diretti beneficiari, perché per coloro che sono i diretti beneficiari, non dimentichiamo che non c'è crisi, ma un adattamento del modo di accumulazione, il cosiddetto capitale fittizio si materializza in particolare nella speculazione immobiliare, aumentando il prezzo al m2 sproporzionato rispetto al reddito, in misura tale che il diritto di proprietà comincia ad essere rivisto, ad esempio l'esclusione della proprietà del terreno, il proprietario avrebbe solo il godimento dei muri, nel tentativo di contrastare l'eccessivo prezzo della speculazione.
L'impressione monetaria il riacquisto di attività da parte della banca centrale elimina il rischio, i mercati sono solo in aumento, se si continua la logica presto con una sola azione potremmo comprare una casa.
Possiamo quindi constatare che il capitale di borsa si sta concretizzando, ovviamente in un settore che è anche altamente speculativo.
Tutto quello che scriverò è un po' approssimativo, ma la linea di fondo del problema che sto affrontando è riuscita a superare la crisi iniziata negli anni '70?
Grazie ancora per il tuo intuito.
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Paolo Selmi
Friday, 29 November 2019 08:23
Ciao Carlo, grazie mille per questo commento integrativo e che fa il punto in modo completo su quanto discusso finora.
Et ciao Patrick, tu as bien compris, je n'ai rien d'autre à ajouter à ce sujet... anche perché i fondamentali li abbiamo sviscerati abbastanza bene! :-)
Qualcosina, per la verità, ci sarebbe da aggiungere, ma più dal punto di vista dell'evoluzione storica del fenomeno che da quello della descrizione/analisi del fenomeno in sé: in altre parole, l'aggiunta NON contraddice ma, mi si perdoni il gioco di parle, "aggiunge".
1. Al punto 5. Carlo giustamente introduci l'imperialismo. Mi ricordo ancora come, probabilmente a corto di altri argomenti, un certo Bertinotti disse poco meno di vent'anni fa al suo partito che l'imperialismo era una categoria obsoleta... non lo direi, neppure oggi, del FEUDALESIMO, che sopravvive come modo di produzione all'interno del più ampio, capitalistico, contenitore, su gran parte della crosta terrestre, influenzandone in modo più o meno percepibile l'andamento... figuriamoci l'imperialismo! Ma tant'era, e qui mi rivolgo a Patrick, che dalla sua Francia magari non era venuto a sapere di questa grande "innovazione" teorica dell'italico topolino, allora segretario di un partito già sulla buona strada per quell'autoestinzione che sarebbe seguita, di lì a poco.
Torniamo a bomba: l'imperialismo alza artificialmente un'asticella che, SE LE COSE FOSSERO LASCIATE ANDARE "NATURALMENTE", SENZA ALCUN INTERVENTO, dovrebbero portare anche i capitalisti stessi a porsi la domanda: "ma noi cosa siamo qui a fare? Ma facciamo il socialismo, molliamo tutto, non ne vale più la pena, e andiamo tutti su un atollo del pacifico o a Sant'Elena a chiudere i nostri giorni prima che magari ci pensi la plebe a mandarci da qualche altra parte".
Quindi, niente autoestinzione del capitalismo, niente passaggio "naturale". Il capitalismo nasce "grondando sangue", cresce e si sviluppa nella stessa maniera, e SOPRAVVIVE sempre così.
Al punto 7) metterei dell'elenco di Carlo metterei "guerre". Complesso militare industriale, capitalismo monopolistico di Stato e blocco di potere politico-finanziario.
Creo una società dove per fare 10 km al giorno serve la macchina, dove ti faccio anche l'applauso se la usi per muoverti in paese e, giusto per non farti venire cattivi pensieri, non faccio funzionare né treni né trasporto pubblico di alcun genere. O li metto a tariffe insostenibili, continuando con gli "aiuti di Stato", "ecoincentivi", "cassa integrazione" alla cieca per favorire ristrutturazioni selvagge, a foraggiare i miei amici.
Dall'altra parte, quella degli amici, il capitalista industriale NON CREA MACCHINE FATTE PER DURARE, ma crea macchine che durino AL MASSIMO 10 anni, poi tenerle in vita diventa solo una questione di collezionismo perché ogni pezzo di ricambio costa come un decimo di una macchina nuova. Nel frattempo, qualche legge fatta dai primi mette fuorilegge la macchina prodotta dai secondi, e quindi la macchina dura anche 5 anni. L'innesto di una mentalità consumistica fa il resto.
Infine, il capitalista finanziario, che magari nel frattempo si è pappato il capitalista industriale e lo controlla, anche con un "misero" 6% sul capitale azionario, dice... "qui si guadagna poco", e taglia su tutto. "Ma così muore anche la pianta..." sembra dire il capitalista industriale, che nel frattempo è - non mi viene in mente nessuno in questo momento! - rimasto indietro sulla R&S (magari sulla macchina elettrica?)... nessun problema... una bella fusione con chi invece è avanti e il problema non si pone più... e tutto quanto ne consegue. "Non ti va bene? Chiudo il rubinetto e vado a far soldi da un'altra parte... poi quando sei a terra ti compro per un piffero e un paffero, ti uso AL LIMITE come "marchio" se tira (vedo, a un certo punto, i magazzini dove lavoro riempirsi di televisori AKAI, dico "azz!" e penso allo stereo galattico che mi sognavo negli anni Ottanta, a uno stereo paura che aveva un suono che mi sarei costruito una casa intorno solo per avere quello stereo... e poi la cosa mi puzza e vado un po' più a fondo; guardo l'etichetta e vedo che la merce è importata a tre paesi più in là dal mio; vado su internet, e scopro che la AKAI non esiste più da anni, che é un marchio controllato da una Holding finanziaria di Hong Kong e che anche tu, se cacci il dovuto, puoi fare stereo cinesi con marchio AKAI e venderli dove vuoi, meglio, dove ti dicono che puoi venderli).

"Nelle auto prese a rate Dio è morto..." cantava Guccini. Qui, Patrick, si riferiva a un'Italia dove tutto si comprava staccando "cambiali". Ci avevano fatto anche un film. Era un'Italia ancora in bianco e nero. Oggi, tuttavia, sembra che ci siamo tornati. CON UNA GRANDE DIFFERENZA. Che IL SIGNOR FIAT E' DIVENTATA UNA FINANZIARIA. Che guadagna non solo dalla vendita, ma anche dal LEASING. Non hai tutti i soldi per farti un macchinone (gamma Alfa, non andiamo più in su)? Ma qual'è il problema? Facciamo un leasing con la mia finanziaria. 300-400 euro al mese e anche tu andrai in giro col tuo macchinone. Aumentando la rata, o la durata del Leasing, lo fai anche con le BMW, con le Mercedes, con tutti: meglio, con tutte le loro finanziarie.
Ecco quindi che il capitalista finanziario SI ASSICURA E PRELEVA COSTANTEMENTE quote di PLUSVALORE, ceduto mensilmente come salario operaio. L'operaio, l'impiegato, non li vede neanche quei soldi, come non vede nemmeno quelli del mutuo. Aggiungo, dopo 3 anni la macchina "la puoi pure cambiare"! Non serve pagarla fino alla fine. Le troviamo noi un altro mercato, tu comincia a pagare 300-400 euro al mese per un altra. Basta che paghi... Siamo oltre la logica della "macchina presa a rate".

Qui mi fermo, ovvero mi fermo alla speculazione operata dal capitale finanziario che tiene in vita quello industriale controllandolo e appropriandosi DIRETTAMENTE di quote di plusvalore che, una volta, gli sarebbero finite in tasca per via indiretta.

Poi c'è la speculazione sulla speculazione. produco 1 dollaro di valore e ne creo 3 in maniera fittizia. qui il valore c'entra poco. è fumo su fumo, bolle che si gonfiano e, prima o poi, esplodono. Ma non è questo il focus delle riflessioni che stiamo conducendo in questi commenti, davvero a mio parere molto costruttivi.

Un abbraccio e buona giornata a tutti!
paolo
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carlo rao
Friday, 29 November 2019 03:43
cioè una specifica organizzazione produttiva basata sulla “estrema” divisione sociale del lavoro, che è appunto quella capitalistica sviluppata. Quanto a ciò che accennavo, nel mio primo commento, riguardo la determinazione del profitto in rapporto al plusvalore, lo amplia e specifica più chiaramente Paolo Selmi nel suo ultimo commento (il 19).
Alsob (commento 12) rimane basito dinanzi all’affermazione di L. e T. che “si produce una contrazione nella massa del valore”. Francamente neppure io ho chiaro cosa vogliano dire i due autori! Provo a interpretarli, con una mia congettura, partendo da un altro passaggio del loro articolo:
“Se in una fabbrica al nero in Cina o in Bangladesh vengono impiegati, ad esempio, cento operai, quando, contemporaneamente, in una fabbrica ad alta tecnologia in Germania o in Giappone, ne vengono impiegati solo dieci, il lavoro dei primi cento operai impiegati rappresenta solo il valore di questi ultimi dieci operai. “
Secondo me, si stanno riferendo alla caduta tendenziale del saggio di profitto, ma cercano (confusamente) di aggirare questa definizione, forse spaventati dalle polemiche infinite che si sono abbattute su questa tesi di Marx. Occorre innanzitutto chiarire che il declino del saggio di profitto non è causato solo dall'aumento della composizione organica del capitale, ma più in generale dal processo stesso di accumulazione capitalistica, data la sua tendenza ad aumentare la domanda di forza-lavoro e quindi il livello dei salari, che innalzandosi riduce la quota di plusvalore di cui si appropria il capitalista. Ciò comporta una diminuzione di quello che Marx definisce “esercito industriale di riserva”, il cui scopo nel ciclo economico è primariamente di premere sugli occupati tenendone bassi i salari; in una economia dove vi è la piena occupazione il profitto in termini relativi al capitale complessivo impiegato tende a diminuire, anche se in termini assoluti (massa) può aumentare. E' in primo luogo per questo motivo che nel ciclo capitalistico a una fase di forte accumulazione e di piena occupazione segue invariabilmente una fase di crisi, con aumento della disoccupazione e conseguente diminuzione dei salari; perciò le crisi sono una delle contromisure adottate dal capitalismo per frenare la caduta del saggio di profitto. Marx definì questa caduta solo come “tendenziale”, nel senso che i capitalisti sarebbero stati in grado di controbilanciarla costantemente, o almeno per lunghi periodi. Marx individua i seguenti fattori in controtendenza alla caduta del saggio di profitto:
1) Aumento del grado di sfruttamento del lavoro per aumentare il plusvalore.
2) Compressione del salario al di sotto del suo valore.
3) Svalorizzazione del capitale costante: il suo stesso accrescimento ne riduce il valore.
4) La sovrappopolazione relativa, ottenuta sia delocalizzando la produzione in paesi con forza-lavoro a basso costo, sia con l'immigrazione di manodopera allo scopo di ricostituire un esercito industriale di riserva.
5) Il commercio estero. Prodotti importati a basso costo, quindi in grado di abbassare il valore sia dei beni-salario sia dei mezzi di produzione. In questa contromisura è implicito lo sviluppo della fase imperialista del capitalismo.
6) Aumento del capitale produttivo di interesse, in particolare l’investimento in obbligazioni o azioni e più in generale in attività creditizie e finanziarie.
Se, e ribadisco il “se”, L. e T. intendono che oggi il sistema capitalistico fronteggia un declino del saggio di profitto, allora penso ritengano che ad agire come controtendenza sia in particolare il punto 6, l’ambito finanziario e creditizio. Su Sinistrainrete è apparso un articolo di Thomas Meyer in cui si affronta (in modo piuttosto “colorito”) il dibattito svoltosi in questi anni sulla rivista Krisis. Da quel che ho capito, e in estrema sintesi, Robert Kurz e i due autori dell’articolo che stiamo commentando concordavano sul fatto che a fronte di una caduta del saggio di profitto stesse agendo come contromisura l’accentuazione estrema dell’ambito finanziario, in particolare sul versante che già Marx definiva come “capitale fittizio”, ma poi si sono divisi già anni fa (prima che Kurz morisse) sugli esiti della faccenda; Kurz riteneva che il profitto ottenuto con la finanziarizzazione estrema avesse le gambe corte, si disvelasse rapidamente come fittizio, certificando una sorta di “crisi ultima” del capitale, mentre L. e T. sembrano ritenere che l’aspetto finanziario consenta al capitale di recuperare quel profitto che la crisi della valorizzazione del lavoro tende a fargli perdere, in linea con la tesi marxiana della caduta tendenziale, tanto che il Meyer chiosa che grazie a L. e T. oggi la rivista Krisis ha abbandonato la teoria della crisi!
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carlo rao
Friday, 29 November 2019 03:37
In pratica, come si distribuisce la forza-lavoro nei diversi rami produttivi. Come nota Alfonso (commento 4): “se usi dati fisici, non arrivi al valore”, perché la chiave nel ragionamento marxiano è il termine >>sociale
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carlo rao
Friday, 29 November 2019 03:27
[ segue dalla fine del mio commento 24] : In pratica, come si distribuisce la forza-lavoro nei diversi rami produttivi. Come nota Alfonso (commento 4): “se usi dati fisici, non arrivi al valore”, perché la chiave nel ragionamento marxiano è il termine >>sociale
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carlo rao
Friday, 29 November 2019 03:21
Riguardo a quel che dice Pantaléone (commento 10). Si, interpreti correttamente. La riduzione di un qualsiasi lavoro concreto a un comune denominatore, in tal senso una unità “astratta” di lavoro, consente, nello schema marxiano, di capire come sul mercato possano scambiarsi le mele con le pere, nell’era economica nella quale mele e pere sono prodotte nella sfera propriamente industriale. Dice Marx nella sua polemica contro Proudhon:
“Che la quantità di lavoro serva di misura del valore a prescindere dalla qualità, presuppone che il lavoro semplice sia divenuto il perno dell’industria. Presuppone che tutti i lavori si siano eguagliati a causa della subordinazione dell’uomo alla macchina e dell’estrema divisione del lavoro;….per cui non si deve più dire che un’ora di un uomo vale un’ora di un altro uomo, ma piuttosto che un uomo di un’ora vale un altro uomo di un’ora. Il tempo è tutto; l’uomo è tutt’al più l’incarnazione del tempo.”
Per Marx il lavoro astratto è la sostanza del valore, come ambito qualitativo della teoria del valore; l’ambito quantitativo della teoria è invece, come egli stesso dice:
“la grandezza del valore [ che ] esprime...il legame che esiste fra un certo bene e quella parte del tempo complessivo del lavoro sociale che viene richiesta dalla sua produzione.”
In pratica, come si distribuisce la forza-lavoro nei diversi rami produttivi. Come nota Alfonso (commento 4): “se usi dati fisici, non arrivi al valore”, perché la chiave nel ragionamento marxiano è il termine >>sociale
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Pantaléone
Thursday, 28 November 2019 22:37
Postone respinge l'idea che il proletariato sia il depositario del rovesciamento storico.
Ma non siamo obbligati a concordare con lui, oggi è la tendenza a pensare che la lotta di classe è Marx del XIX secolo e che la classe è una struttura interamente di concezione capitalista.
E' dimenticare la reificazione, l'alienazione e la coscienza.
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Pantaléone
Thursday, 28 November 2019 22:25
Erreur de traduction, il s'agit de plus value et non de bonne volonté
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Pantaléone
Thursday, 28 November 2019 22:23
https://www.resistenze.org/sito/ma/di/fo/mdfojb21-021234a001.pdf
Gracie
Quello che mi è sembrato logico è che la tendenza al ribasso dei primi profitti, a causa di aumenti di produttività, elimina il lavoro vivo e quindi la buona volontà può solo diminuire continuamente, passiamo al settore speculativo.
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Pantaléone
Thursday, 28 November 2019 22:11
Buonasera Paolo Selmi
e grazie per il vostro commento molto informativo.
In effetti, ho notato un punto essenziale del suo esempio, che è che un settore può assorbire una quota della plusvalenza di un altro settore a livello di plusvalenza globale e che i capitalisti partecipano tutti insieme alla divisione della plusvalenza globale. Di conseguenza, i lavoratori non sono sfruttati solo dai padroni con cui sono stati assunti, ma, in ultima analisi, dall'intera classe dei capitalisti. ”
Se intuitivamente avevo circa che cos'è la concorrenza, la guerra del profitto, e l'impossibilità del lavoro morto di assorbire il lavoro vivo.
La mia comprensione dei guadagni di produttività e di ciò che ne è seguito.
Davvero molto molto molto molto stimolante, questo articolo che faccio una copia e incolla e lavorerà su di esso in modo che le cose sono chiare per me, se si dispone di riferimenti di lettura, vi sarò grato.
Grazie mille con tutta la mia considerazione.
NB
Ciò che non mi è chiaro è che una volta che un settore guadagna in produttività rispetto ad un settore a bassissima produttività, per questo motivo per avvicinarsi al valore medio, è il tempo necessario affinché tutto si adatti al 25%?

Patrick Rodà
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Paolo Selmi
Thursday, 28 November 2019 18:02
Pantaléone,
bon soir! Non voglio complicare ulteriormente, anzi il contrario. Provo a riportarti quello che tradussi, a suo tempo, dal manuale di economia politica sovietico:
https://www.resistenze.org/sito/ma/di/fo/mdfojb21-021234a001.pdf
“Supponiamo che in un settore che produca lo stesso tipo di prodotto, ad esempio biciclette, ci siano tre gruppi di imprese, diversi per livello tecnologico e organizzazione del lavoro e delle attività produttive. Nel primo gruppo di imprese, quelle tecnicamente migliori, sono impiegate in media 25 ore di lavoro per produrre una bicicletta; nel secondo gruppo, di livello intermedio, ne servono 50 e nel terzo, quello peggiore, 75. Poniamo inoltre che la maggior parte di biciclette sia prodotta nelle imprese di livello medio. L’impiego di lavoro socialmente necessario, che determina l’entità del valore merce, sarà allora di circa 50 ore e questa sarà la base che determinerà il prezzo di mercato delle biciclette. A questo prezzo venderanno le imprese del secondo gruppo, ma anche quelle del primo e quelle del terzo, con queste conseguenze: le imprese migliori non solo copriranno le loro spese, ma otterranno un guadagno aggiuntivo, corrispondente alle 25 ore lavoro per bicicletta che risparmiano sul tempo di lavoro socialmente necessario; le imprese peggiori, viceversa, con i proventi derivati dalla vendita copriranno solo 50 delle 75 ore che impiegano per la produzione di un singolo pezzo e finiranno in perdita.” (p. 32)

“L’impiego di lavoro socialmente necessario, che determina l’entità del valore merce, sarà allora di circa 50 ore e questa sarà la base che determinerà il prezzo di mercato delle biciclette.”

Ti prego di tenere presente questa frase. Andiamo ora a p. 50 e, a seguire, alle pp. 51 e 52:
“Ogni capitalista si sforza di ottenere un saggio di profitto il più alto possibile. A causa di ciò entrano in conflitto gli interessi dei diversi capitalisti, che danno quindi origine a un’aspra guerra di concorrenza, dove i più forti hanno la meglio sui più deboli. Ogni settore dell’industria capitalista si compone di imprese diverse per grandezza e per livello tecnico di produzione. Questo indubbiamente incide sulla grandezza del valore merce unitario. La concorrenza fra le imprese appartenenti allo stesso settore industriale (concorrenza infrasettoriale) porta i diversi valori merce unitari a uniformarsi verso un unico valore sociale di mercato. Alla sua base sta il tempo di lavoro socialmente necessario, che a sua volta è determinato dai tempi di produzione delle imprese che producono la maggior quantità di merci di quel dato tipo. A questa concorrenza bisogna aggiungere quella fra i diversi settori, o concorrenza intersettoriale. Ogni settore si differenzia dagli altri non solo per ciò che produce, ma anche per il livello tecnico di produzione. Ciò significa che nei vari settori dell’economia vi è una differente composizione organica del capitale, il rapporto cioè tra capitale costante e variabile (c/v), che riflette le differenze di livello tecnico di produzione. Le differenze di composizione organica del capitale fra i vari settori portano, a parità di capitale investito, a una presenza ineguale del lavoro vivo negli stessi. Per questo motivo, anche se le rimanenti condizioni di produzione resteranno identiche per tutti i settori, tuttavia la massa di plusvalore prodotta sarà diversa a seconda che un’impresa appartenga o meno a un settore ad alta composizione organica di capitale. A questo punto un’azienda con un alta composizione organica di capitale, se si trovasse a vendere la merce per il suo valore, avendo un basso valore di capitale variabile (v) e quindi un basso plusvalore (m) si troverebbe con un saggio di profitto (p') minore. Viceversa, un’azienda a bassa composizione organica di capitale avrebbe, dato l’alto plusvalore, un saggio di profitto maggiore. La realtà tuttavia è diversa.”

Non proseguo col copia-incolla perché, davvero, è più comodo leggerselo in PDF, ci sono tabelle ecc.

Si pongono a confronto imprese capitalistiche a diversa composizione organica di capitale, meccanica, tessile e conciaria. Si introduce il concetto di saggio medio di profitto. Si inizia a parlare di prezzo di produzione.

Qui cito nuovamente: “Il prezzo di produzione è il perno attorno al quale oscillano i prezzi di mercato. Nel nostro esempio il prezzo di produzione è coinciso con il valore merce solamente nel caso dell’industria tessile, mentre in quello dell’industria meccanica lo supera di 10 unità e in quello dell’industria conciaria è inferiore di 10 unità” (p. 52)

La tabella sotto lo dimostra. Sfruttando i propri operai con lo stesso saggio di sfruttamento ma accusando una maggiore composizione di capitale costante, il conciario dovrebbe mettere il suo prodotto a 130 (70 di c + 30 di v + 30 di m). Invece, siccome il prezzo di produzione è dato da k (costi di produzione a capitale fisso+variabile) + saggio medio di profitto (20%), il prezzo è 120. 120-130=-10, il conciario deve scendere di 10.

Vado avanti con la lettura del testo ed evidenzio, in modo un po’ barbaro, la parte a mio avviso saliente:
“E’ lecito a questo punto concludere che questa mancata coincidenza fra prezzi di produzione e valori merce neghi la validità della legge del valore in un sistema capitalista, confinandone l’applicabilità solamente alla sfera della produzione mercantile semplice? Assolutamente no, tale conclusione è errata. Nella società capitalista sviluppata, dove le merci sono scambiate non semplicemente come prodotti del lavoro, ma in quanto prodotti del capitale, la legge del valore agisce sotto forma di legge dei prezzi di produzione. Il prezzo di produzione non è altro che valore sotto altra forma.

--- inizio ---
Aumentando la scala di misurazione alla società intera il totale dei valori merce coincide con il totale dei prezzi di produzione, così come coincide anche il totale dei plusvalori con il totale dei profitti. Il profitto medio è plusvalore, ridistribuito fra i diversi settori, proporzionalmente alle quantità di capitale che sono state investite in essi. Semplificando, è come se tutto il plusvalore si riversasse in un unico grande calderone e, successivamente, fosse ripartito fra i vari capitalisti secondo le dimensioni dei loro capitali.
--- fine ---

Questo provoca inevitabilmente sproporzioni fra i capitalisti stessi: i padroni delle industrie conciarie non sono entrati in possesso di tutto il plusvalore prodotto nel loro settore, viceversa i capitalisti delle ditte meccaniche non solo si sono impadroniti del plusvalore uscito dalle mani dei loro operai, ma anche di parte di quello prodotto dagli operai delle concerie. Questa ridistribuzione naturalmente avviene in modo spontaneo e del tutto inconsapevole, senza un qualche intervento attivo dei capitalisti. Le leggi di concorrenza, che regolano i flussi di plusvalore, non sono sottomesse al controllo dei capitalisti. Qual è quindi la conclusione? Da un lato, i capitalisti alla caccia del profitto conducono una guerra di concorrenza, che si trasforma in una “guerra di tutti contro tutti”; dall’altro, essi prendono parte tutti insieme alla spartizione del plusvalore complessivo. Di conseguenza, i lavoratori non sono sfruttati unicamente dai padroni presso cui sono stati assunti ma, in ultima analisi, dall’intera classe dei capitalisti. ”

J'espère que ce que j'ai écrit pourrait t'aider. Sinon, informez-moi. Et excusez moi pour mon français.

Merci pour tout et
Ciao!
Paolo
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Pantaléone
Thursday, 28 November 2019 17:04
Moishe Postone dà questa spiegazione e cito testualmente così com'è:
...la quantità di valori d'uso prodotti per unità di tempo, riducendo così il valore unitario di ogni merce. Ma il valore totale prodotto durante ogni ora rimane lo stesso. E' qui che entra in gioco la nozione di tempo astratto. Perché l'aumento della produttività e la concomitante diminuzione dell'orario di lavoro socialmente necessario, non appena si diffonde, "ridefinisce l'orario di lavoro sociale normativo" (p. 425).....
Ciò significa che se un agricoltore raccoglie 1 tonnellata di cotone per 100 ore di lavoro e un altro agricoltore con una macchina ne raccoglie 1 tonnellata per 10 ore, il valore di una tonnellata sarà determinato su 10 ore/tonnellata.
Sei d'accordo con questo esempio?
Salutations amicale
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Alfonso
Thursday, 28 November 2019 11:33
Caro Pantaléone, torno sulla tua risposta. Marx mi pare intendesse "medio" nella determinazione del lavoro astratto in un senso diverso da quello della formazione del saggio medio di profitto. Perché, non ci arrivo. Tu cosa ne pensi?
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Alfonso
Thursday, 28 November 2019 11:23
Caro Pantaléone, scusami, avevo anche storpiato il tuo nome! Ho una proposta per tutti (c'è un po' di umorismo, è vero) : sapete quanto siamo prigionieri del feticismo, possiamo disquisire per anni sul valore ma si impone e preme "tutto giusto, ma che vuol dire In Soldoni? " Uno yankee che si rispetti direbbe : Metti i soldi dove hai la bocca. Prima o poi, arriviamo a mandarci reciprocamente a quel paese. Proposta : ribaltiamo la sequenza, mandiamoci affa prima, subito. Così ce la togliamo di torno e possiamo comunicare serenamente. Che ne dite?
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Pantaléone
Thursday, 28 November 2019 10:33
Caro Alfonso
Ciao Carlo,
Mi scuso non capisco appieno tutto ciò che è scritto in particolare, le forme umoristiche, parlo pochissimo italiano, insomma passiamo.
Il mio punto di vista riguardava la duplice natura del lavoro, concreto/astratto.
Il lavoro viene ridotto in unità di tempo, intellettuale o manuale, ed è questa unità di tempo di lavoro (indipendentemente dalla velocità di esecuzione) che riduce le disparità ad una singola unità di valore.
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Paolo Selmi
Thursday, 28 November 2019 08:21
Caro Alfonso,

che bella immagine quella dello Smol'nyj. Ci sono stato, e su quella scalinata, alle sei di sera, con le luci che cominciavano a spegnersi, il museo in chiusura, e la maggiorparte dei visitatori che se ne era già andata, nel silenzio più totale. Nel leggere quella targa commemorativa (e ringraziare quell'entità superiore che mi aveva fatto imparare q.b. la lingua in cui era scritta quella anonima targa commemorativa, raro caso in cui, nella vita dei Selmi, qualcosa cade al tempo giusto e non fuori tempo), mi sembrava di sentire ancora i passi e il brusio di quel giorno e, a fianco, di scorgere i due personaggi del quadro di Vladimir Serov "Palazzo d'inverno preso" (Зимний взят, 1954, qui in entrambe le versioni https://the-morning-spb.livejournal.com/59045.html), che, in quella sigaretta a "lavoro finito", si prendevano una meritata pausa fra la battaglia appena trascorsa e quelle a venire. Son passati quindici anni ma quel giorno me lo ricordo ancora. E mi ricordo anche che mi dissi (e mi dico tutt'ora) come ero fortunato a essere lì, cane sciolto che proseguiva la sua ricerca, fra un container e l'altro, fra una ralla corta e una ralla lunga, fra le dieci di sera e le undici, non obbligato da nessuno a scrivere lavori tipo "il complesso di Edipo ne La madre di Gorkij" o "Dalle lunghe trecce alle gonne corte: la lunga marcia delle donne cinesi verso l'autodeterminazione", piuttosto che fare copiaincolla di qualche copiaincolla sulla OBOR, pur di "pubblicare" stando però attento a non pestare i piedi a nessuno.
Quindi si, continuerò decisamente a "sognare i Soviet". Hai detto giusto. La mia non è e non sarà mai un'operazione nostalgia, se non del futuro. Ciao!

Caro AlsOb, ti ringrazio della citazione sul capitale finanziario. Se ne parla veramente poco, ora non riesco a recuperare nei pochi minuti rimasti prima del timbro i riferimenti bibliografici che avevo cercato in un altro, peraltro recente, commento, su come i novecenteschi "capitani d'industria" siano ormai relegati ad "amministratori delegati" di mezzi di produzione ormai in mano a banche e a finanziarie. Non c'entra invece nulla con questo discorso, ma con la colonizzazione dei "saldi italici di fine stagione", sono recentemente andato a controllare lo stato di alcuni contenitori per vedere se era possibile ritirarli, sul sito del VTE a Genova. https://online.psagp.it/
Mi cade l'occhio sulla scritta sotto: "PSA Genova Pra' S.p.A - Società sottoposta a direzione e coordinamento di PSA International Pte. Ltd. – Singapore"... e penso a quei sue soldati sulla scalinata, a quella sigaretta fra una battaglia e l'altra, e al lavoro che è ancora tutto lì davanti, anzi, più "davanti" oggi che allora.

Buona giornata a tutti!
Paolo
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Alfonso
Thursday, 28 November 2019 07:25
Caro AlsOb, questa cosa dello scimmiottare la legge di Say mi ha ricordato un passaggio della intervista a Cesaratto per il suo libro Sei Lezioni, quella del ricordo di Garegnani. Sono prolisso, ma Garegnani era famoso per come si attenesse al modello grano-grano, il che rimanda al calcolo di Jacob presentato da Marx nel Capitale e ovviamente a un gruppo di operai, forse gli stessi a cui diceva spesso che certo i padroni erano ladroni ma anche non lo fossero stati questo non avrebbe cambiato le leggi fondamentali. Cesaratto ricorda come Keynes avesse calcolato in che misura il capitalismo manca di domanda aggregata. Peut etre. Ma Marx, nel suo esempio, non dice che profitti decime eccetera occorrono per finanziare ospedali asili e case di cura, le cui contropartite fanno parte integrante dei salari (e ben lo sapeva chi lottava negli anni settanta). Ossia, sempre supponendo che il prezzo del prodotto sia uguale al suo valore comporta anche questo, che il salario corrisponda al valore, a quanto alla specie serva per vivere. Ancora Kautsky lo ricordava : gli anziani, tutti? nostri; i malati, tutti? nostri; i bambini, tutti? nostri. Infatti, al termine della citazione che ho riportato dal cap 7, Marx non salva neanche uno scellino per la domanda aggregata. Grazie
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AlsOb
Wednesday, 27 November 2019 23:21
QueQuesta è una descrizione contraddittoria e bizzarra del capitalismo contemporaneo fatta mediante un disinvolto uso delle categorie di valore e plusvalore, descrizione che non a caso si vorrebbe suffragare con la citazione del folclorico Roubini. È un confuso esercizio di perdita di tempo che come osserva Carlo Rao può solo terminare in una equivoca e comicamente contraria alle intenzioni critica della teoria del valore lavoro.
L'affermazione secondo la quale si "produce una contrazione nella massa del valore", con la quale si vorrebbe spiegare la diminuzione della dinamica di accumulazione capitalistica è priva di valore scientifico. Se si volesse scimmiottare la famigerata legge di Say si potrebbe dire che l'offerta in valore crea sempre la sua domanda in valore.

Molto opportuna e arguta la riflessione di Paolo Selmi in merito alla finanza e al credito privilegiato di cui godono i capitalisti e i capitalisti finanziari: il privilegio di creare e godere di moneta privata a vantaggio di pochi rappresenta e rafforza la differenza di potere tra classi e l'assenza di uguaglianza. Per certi versi seppur basato sulla moneta privata il credito facile concesso a tutti è stato una necessaria forma di democratizzazione del credito nel capitalismo contemporaneo.
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Alfonso
Wednesday, 27 November 2019 22:42
Caro Pantaleone, sono curioso. Potresti ampliare su lavoro astratto e tempo (unitario)?
Caro Paolo, ora vado a dormire, ma ti prego, non immaginare il sciur brambilla, il quale riesce a immaginarsi da solo come il dollaro di Henry Ford. Continua a immaginare il Soviet : pensa, se ad ascoltare Marx esporre i calcoli di Jacob ci fossero stati settanta operai agricoli, e si fossero guardati l'un l'altro e poi si fossero scoperti allo Smolny con Lenin a dir loro che da ora in poi la lotta tra socialismo e imperialismo diventa faccenda di vita o di morte, ecco, se oggi succedesse questo...insomma, 'immaginiamo ancora una volta una associazione...' Festina lente
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Pantaléone
Wednesday, 27 November 2019 21:24
Carlo
Ciao.
Se ti ho letto correttamente, penso che nella tua analisi, ciò che unifica la produzione di pane per scarpe o di lavatrice è il lavoro astratto ridotto ad un'unità di tempo.
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Paolo Selmi
Wednesday, 27 November 2019 16:05
Ti ringrazio Alfonso, davvero.

E' lavoro volontario, che necessiterebbe di ben altro impegno (a tempo pieno) e ben altro impiego di forze (sia quantitativamente, perché la mole di lavoro di traduzione e analisi dei materiali presenti sulla rete in argomento, tutti inediti, è davvero tanta, sia qualitativamente, perché il Teorema di Lagrange non l'ho fatto neppure alle superiori e, per esempio, in un testo che ho recentemente affrontato per capire a cosa si riferisse il nostro capocordata, occupava un intero capitolo: allora, per non avere alla fine lo sguardo della mucca che vede passare il treno, proprio quello e non altri, ci sarebbe bisogno di un gruppo di studio più ampio, con divisione di compiti e di lavoro precisa e punto periodico della situazione, ecc.).

E invece mi tocca capire a grandi linee di cosa stiamo parlando, giusto per non fare la faccia della mucca che vede passare il treno, distillare l'essenziale, ripromettermi fra trent'anni con la freschezza e la lucidità di un ultrasettantenne pensionato, coi neuroni bruciati dal lavoro e non solo (comunque e sicuramente più lucido di ogni sera alle 22 circa), di dare analisi 1 e analisi 2, e riprendere quindi l'analisi puntuale anche di quelle parti che - per ora - rinvio a tempi migliori. Anche perché, se è vero che ora i calcolatori fanno operazioni che Kantorovic eseguiva a mano, e altre che si sognava, è anche vero che l'elaborazione dati presuppone una capacità di programmazione, di elaborazione di algoritmi e codificazione degli stessi, che non è per nulla scontata.

Mah, sfogo così, estemporaneo... forse Analisi 1 non è così brutto come lo dipingevano i miei ex compagni di scuola... :-)

Ciao!
paolo
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Alfonso
Wednesday, 27 November 2019 13:41
Caro Paolo, e caro Carlo, al volo anch'io purtroppo (per ora).
Il lavoro sul Piano è prezioso, anzi incommensurabile. Lo seguo con graaaande attenzione (cerco di evitare ogni termine che accenni al valore, quindi se non interessa è buono). Del passo citato, è più furbo di quanto appaia a prima vista. Ricardo si era sempre trovato di fronte alla ineluttabilità di sopprimere una classe (almeno). Perchè poi Marx, ed Engels, avessero questa fissa di settanta, o settantuno, se volete possiamo farci due risate sopra. Cras iterabimur
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Paolo Selmi
Wednesday, 27 November 2019 11:48
Caro Alfonso,
una osservazione "al volissimo". Senza volerlo, mi sono incrociato con la mia risposta alle tue e, ancor più involontariamente, mi sono già incamminato sulla risposta alla tua domanda su valori, prezzi e pianificazione.

Il lavoro che sto conducendo sul libro di Syroezin cade, fortunatamente, "a fagiuolo"...
Prendi proprio le pagine che cito nel primo intervento. Lì trovi lo schemino della composizione del prezzo.
Quindi
- "minimo vitale per andare avanti", originale "sebestoimost' " della azienda A (costi vivi + ammortamenti)
- utile percentuale riconosciuto, o "pribyl' " (che restava nell'azienda come mensa, dopolavoro, doposcuola, ambulatori, ecc.) della azienda A
- sebestoimost' della azienda B immediatamente successiva nella catena di produzione/distribuzione
- pribyl' della azienda B
così via. In più:
- Tassa di circolazione o "nalog na oborot" (tipo iva, ma molto "tipo", giusto per capire che andava allo Stato per pagare scuola, case, sanità, difesa, p.a., ecc.)
=======================
Prezzo finale.

Dove interviene la rendita differenziale? Come in quella fondiaria individuata da Marx. Il prezzo è quello dato dal prodotto nel terreno meno fertile, con meno acqua, ecc., perché altrimenti il capitalista (nel caso di Marx) non produce più, e il grano serve, quindi occorre che i padroni si mettano d'accordo fra loro che oltre un tot non si può scendere col prezzo. E quel tot è basato sul prezzo di produzione più alto. E quello che si trova in un terreno dove basta smuovere un po' la terra per veder venir su il mondo? Ciccia! Tanta ciccia! Ovvero rendita differenziale, differenziale perché c'è chi ha il campo sfortunato, chi ha il campo mediamente fortunato, e chi ha il campo fortunatissimo: il primo tira fuori il saggio minimo di profitto senza il quale chiude tutto, il secondo già qualcosa di più, il terzo deve stare attento perché qualcuno si farà vivo prima o poi a chieder di prender parte alla sua ricchezza.

Novozilov parte da qui per la sua riflessione sui prezzi pianificati. Abbiamo fatto tutto il conto sopra descritto.
Quindi: prendiamo l'acciaieria più disagiata, non quella che ha il fiume che gli scorre sotto per fare il raffreddamento "a gratis", ci deve stare dentro coi costi.
calcoliamo quelli (ivi compresi i salari), ovvero il sebestoimost', calcoliamo il pribyl', poi a cascata con tutte le parti fino al prezzo al dettaglio.
E l'acciaieria che si trova sul Volga? Si troverà la rendita differenziale, ma quel "tesoretto" non se lo intascherà il capitalista, visto che non ci sono capitalisti nel paese dei Soviet. Verrà reinvestito immediatamente e non necessariamente "in loco". quindi investimenti, magari nella zona disagiata, per renderla meno disagiata, per costruire un canale che porti l'acqua "a gratis" nell'acciaieria, oppure un altoforno di nuova concezione che ciucci meno acqua per raffreddare, ecc.

Doppio vantaggio: a quel punto il costo di produzione diminuirebbe e i prezzi finali calerebbero, con un doppio beneficio, sia per l'utilizzatore finale (una azienda che ha bisogno di tondini per farli diventare semilavorati o prodotti finiti), sia per per la collettività-Stato che si trova prodotti finiti a minor costo, quindi case più economiche, opere di cantieristica a minor costo, ecc.

Usciamo dal Paese dei Soviet e torniamo al nostro sciur Brambilla che ha scoperto che "far fare le cose fuori costa meno"... anche quella è "rendita differenziale", PERCHE' POI QUI IL PREZZO DI VENDITA NON CALA, è qui il punto, e tutta la differenza se la intasca. A questo punto, da 15 anni a questa parte, si innestano processi di progressivo "livellamento" (in basso), per cui abbiamo anche "esternazionalizzazioni di ritorno" (tipo "quasi quasi, mi conviene ritornare a farli qui") o passaggi dalla RPC al Bangladesh, o all'Etiopia, ANCHE da parte peraltro dei capitalisti cinesi stessi che "esternalizzano" e TRIANGOLANO il prodotto finale con la vendita allo stato estero di merce viaggiante con destinazione finale UE. Insomma, questo è un "gioco" sempre più per grandi capitalisti, in grado di concentrare quantità immense di capitale, tirare il collo ai fornitori, i quali lo tirano ai loro dipendenti-schiavi, ecc.

Altro elemento: il capitale finanziario. Chi consente ai capitalisti di "concentrare quantità immense di capitale"? La finanziaria che gli fa credito. E anche la sua rendita parassitaria, e le logiche che da essa ne conseguono (non importa fare un buon prodotto, ma un prodotto che renda... questo cambia TUTTA la logica della vulgata capitalistica su libero mercato, concorrenza, vince il migliore, ecc.)

Mi fermo qui... momentaneamente. Ciao!
paolo
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Paolo Selmi
Wednesday, 27 November 2019 09:47
Cari Alfonso e Carlo,
grazie per essere intervenuti e, ancora una volta, davvero mi dispiace che quanto potrebbe emergere da questo commento vada a morire poi con questa pagina, non ci sia da nessuna parte un forum pubblico dove lavorare collettivamente su una traccia, ogni tanto trarre qualche conclusione utile e ripartire da quella per proseguire con successive analisi. Davvero è un peccato perché l'argomento è molto importante, a mio avviso.

Dunque Alfonso, parto da un punto che vede chiunque d'accordo, ovvero che il saggio di sfruttamento coinvolge il solo capitale variabile e non quello costante (i macchinari), e da un dato attuale ancora oggi, ovvero che il saggio di sfruttamento di un lavoratore è grosso modo del 100%, ovvero che arrivati al 15 del mese il lavoratore finisce di creare valore per il suo salario e comincia a rimpinguare il portafoglio del padrone: in altre parole, su due ore lavorate, una per me e una per il padrone. L'esempio di Marx che tu proponi dal Capitale è valido ancora oggi.
Quindici anni fa, traducendo un manuale di economia politica sovietico, mi ero proprio soffermato su questo punto.
https://www.resistenze.org/sito/ma/di/fo/mdfojb21-021234a001.pdf
pp. 39-40

Detto questo, ritorniamo a trent'anni fa, quando si era appena scoperchiato il vaso di Pandora (fine del socialismo reale e apertura delle gabbie di mezzo mondo geografico e demografico (anche più di mezzo) alla proprietà privata dei mezzi di produzione e all'accumulazione capitalistica.

Si crea una situazione di questo tipo, che descrivevo già 15 anni fa alle pp. 101-2 della traduzione di quel manuale

Una situazione che consentiva di importare nella UE abbigliamento a 5 dollari al pezzo, con sopra già l'etichetta cartacea di eur 19.99 (prezzo ottico)
Alla pp. 109 descrivevo (analogamente al caso di HM, ma con meccanismi meno complessi dato il potere di acquisto e l'economia di scala con cui lavorano gli svedesi) il procedimento che vale per tutte le esternalizzazioni, e che riporto qui per comodità:
"Piccola ditta lombarda ordina 57 mila maglioni dal Bangladesh, distribuiti su 3 container, spediti quindi via mare. Un maglione costa franco porto di partenza (FOB) dollari 1,2 (= € 0,98 a un cambio che per comodità assimiliamo a quello doganale del mese in cui questa importazione è avvenuta, ovvero 1,2225 nell’ottobre 2005) per un totale fattura di: pz. 57.000 x $ 1,2 = $ 68.400 Paga $ 8.400 di nolo marittimo che, tradotto in Euro e distribuito sul costo unitario, è pari a: $ 8.400 / 1,2225 = € 6871,17 / 57.000 = € 0,12. Il dazio dal Bangladesh è 0%, pertanto l’IVA che paga allo Stato è pari al 20% della base imponibile (valore merce preso “al valico”, quindi compreso di nolo). Pertanto l’IVA è eguale a: $ 68.400 + $ 8.400 = $ 76.800 / 1.2225 (Cambio doganale 10/05) = € 62822,09 x 20% = € 12564,42. La quota che va allo Stato è € 12564,42 che, distribuito sul costo unitario, equivale a: € 12564,42 / 57.000 = € 0,22. Le spese addebitategli dalla casa di spedizione dal porto al magazzino cliente (trasporto, operazione doganale, magazzinaggio), anche nel ricarico più usuraio, non superano i € 4000. Questi, divisi anch’essi per pezzo, incidono per la strabiliante cifra di: € 4000 / 57000 = € 0,07Facciamo ora il totale di quanto il capitalista, imperialista “in erba”, impegna per un singolo maglione: € 0,98 + € 0,12 + € 0,22 + € 0,07 = € 1,39 Calcolando che lo stesso maglione si troverà sul mercato italiano a partire da non meno di € 15 (saldi e svendite di fine stagione) e che contabilmente l’IVA non è un costo, non è difficile calcolare il profitto".

A questo punto, a mio avviso, è utile introdurre un concetto che Marx impiega per la rendita fondiaria (rendita differenziale di I tipo) e per apprezzare la differenza fra VALORE e PREZZO (ovvero, la differenza che il capitalista intasca nel vendere a un prezzo come se il prodotto fosse fatto in Italia senza che sia fatto in Italia).
Affronto ampiamente qui l'argomento:
https://www.academia.edu/40396441/La_semina_e_il_raccolto._Ricerche_analisi_e_traduzione_integrale_di_Pianificabilit%C3%A0_pianificazione_piano_di_Ivan_Michajlovi%C4%8D_Syroe%C5%BEin_II_parte_IV_capitolo
cogliendo l'occasione della traduzione di un saggio di Novozilov (p. 239 e succ.). Lì si parla di economia sovietica. Immaginiamoci la nostra, dopo l'apertura del vaso di Pandora...

Scappo.
Grazie a entrambi e a tutti una
buona giornata!
paolo
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Alfonso
Wednesday, 27 November 2019 09:07
Caro Carlo, messaggio due. Anche riguardo la seconda parte, cogli bene nel segno della storia delle lotte per il salario, in particolare degli anni rivendicativi, con la sinistra sindacale e le teorie neoricardiane a supporto. Dunque, aspettando un parere di Paolo (stuzzicarlo a livello della pianificazione, non guasta), la questione si sposta : verso la superficie (o la fenomenologia) con i prezzi, verso il profondo, portando la Kritik sul valore stesso. Grazie
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Alfonso
Wednesday, 27 November 2019 08:58
Caro Carlo, hai evidenziato uno dei principali ostacoli che Ricardo trovava nel suo modello grano-grano : se usi scellini e sterline come numerario, il modello (per Ricardo era un modello, per Marx i calcoli di Jacob sono reali) non funziona; se usi dati fisici, non arrivi al valore. Sraffa, Garegnani, Pasinetti e altri neoricardiani hanno provato con la merce-tipo, nel tentativo di approssimarsi a una soluzione praticabile nella politica economica (o dovremmo dire nella Economia Politica?). Ma se consideri il totale, la somma dei prezzi equivale (non a caso rispunta l'uso del concetto di 'vale') alla somma dei valori. A meno che (e qui vorrei mi seguissi in qualche 'immaginiamo che...') ci si trovi davanti a diversi valori : chi determinato dal tempo di lavoro necessario per produrre (appena passato), chi dal tempo di lavoro necessario per riprodurre (presente e appena futuribile). Per aspera
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carlo rao
Wednesday, 27 November 2019 02:57
“...Il plusvalore, sempre supponendo che il prezzo del prodotto sia eguale al suo valore...” A me pare che Marx fosse ben consapevole del fatto che i prezzi di mercato delle merci solitamente non corrispondono alla misura del valore-lavoro che è occorso per produrle, dal momento che se così fosse i profitti ottenuti realizzandole sul mercato sarebbero troppo diversi tra loro, in ragione della diversa composizione organica dei settori produttivi da cui le merci provengono. Egli riteneva tuttavia che proprio la concorrenza sul mercato avesse lo scopo di livellare i profitti tra i vari rami produttivi attraverso la determinazione di un saggio medio del profitto, il quale a sua volta sottintendeva a monte la determinazione di un saggio medio del plusvalore; dunque ogni singolo ramo produttivo poteva realizzare un plusvalore e un profitto al di sotto o al di sopra della media, ma per l'insieme di tutti i rami produttivi la somma totale del plusvalore era uguale alla somma totale del profitto. In questo contesto per spiegare i prezzi occorre determinare a monte il saggio medio del plusvalore, e ciò lo si ottiene solo se conosciamo il valore- lavoro incorporato nelle merci che costituiscono i “beni salario”, tolte le quali abbiamo il sovrappiù di cui si appropria il capitalista. Purtroppo anche il valore di queste merci ovviamente si presenta sul mercato come prezzo, per cui si deve premettere come dato proprio ciò che si vorrebbe trovare!
Quanto a Lohoff e Trenkle, i loro spunti di analisi del capitalismo attuale sembrano condurre, forse loro malgrado, a una critica della teoria del valore-lavoro, non più adatta a districarsi nel dominio del capitale finanziario; o almeno, se non utilizzassero quella teoria le loro conclusioni guadagnerebbero in coerenza. Che vi sia un poderoso sfruttamento dei lavoratori è un fatto che in quanto tale non mi pare abbia bisogno di una qualche legittimità scientifica formale, dal momento che più di due secoli ormai di lotte operaie durissime lo certificano; le dinamiche salari / profitti e il confronto sulla distribuzione dei redditi ci direbbero più cose se non ci ostinassimo a voler trovare sottostanti e “celati” valori e plusvalori, che poi, se non trovati, fanno dire ai due autori che “il lavoro [oggi] è senza valore”.
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Alfonso
Tuesday, 26 November 2019 22:34
Caro Paolo, un paio di osservazioni. Quanto dici avrebbe avuto una risposta se Ricardo avesse avuto ragione riguardo il commercio internazionale. Ma non funzionava come avrebbe voluto lui, economie socialiste allo sbaraglio.Ti propongo un problema matematico semplice semplice, una versione del modello grano-grano, tratto dal Capitale Libro I Capitolo 7 nella traduzione italiana.
[Tieni presente che Marx era fermamente convinto della adeguatezza dello sviluppo delle forze produttive in Inghilterra per il socialismo, quindi con una situazione del genere puoi passare al socialismo, devi solo prendere il potere.]

Per il 1815 il Jacob dà il seguente calcolo, molto difettoso per la previa compensazione di molte voci, ma sufficiente per il nostro scopo; si suppone che il prezzo del grano sia di 80 scellini al quarter, e che il rendimento medio sia di 22 bushels all’acro, cosicché l’acro rende 11 sterline.
Produzione di valore per acro
Sementi grano: Lst 1, scell 9 (in scellini: 29)
Concime: Lst 2, scell 10 (in scellini: 50)
Salario: Lst 3, scell 10 (in scellini: 70)
Totale anticipato: Lst 7, scell 9 (in scellini: 149)

Decime, fitti, tasse: Lst 1, scell 1 (in scellini: 21)
Rendita: Lst 1, scell 8 (in scellini: 28)
Profitto del fittavolo e interesse: Lst 1, scell 2 (in scellini: 22)
Totale plusvalore: Lst 3, scell 11 (in scellini: 71)

Il plusvalore, sempre supponendo che il prezzo del prodotto sia eguale al suo valore, viene qui distribuito fra le differenti rubriche, profitto, interesse, decime, ecc. Per noi queste rubriche sono indifferenti. Le addizioniamo e otteniamo un plusvalore di 3 sterline e 11 scellini. Poniamo eguali a zero, come parte costante del capitale le 3 sterline e i 19 scellini di sementi e di concime. Rimane un capitale variabile anticipato di 3 sterline e 10 scellini, al posto del quale è stato prodotto un neovalore di 3 sterline e 10 scellini più 3 sterline e 11 scellini.
Dunque p : v ammonta a una somma eguale a Lst 3, scell 11 / L.st.3, scell 10, più del cento per cento.
Il lavoratore adopera più della metà della sua giornata lavorativa per la produzione d’un plusvalore che varie persone si distribuiscono fra loro con differenti pretesti.

Fine citazione. Che Marx abbia scritto questo brano prima o dopo aver chiesto a Engels come caspita facevano per gli ammortamenti, non saprei. Ad maiora
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Paolo Selmi
Tuesday, 26 November 2019 18:47
Molto interessante, anche se alcuni punti andrebbero approfonditi.

Gli autori, per esempio, fra i 10 operai tedeschi e i 100 della fabbrica in nero cinese o bengalese, non citano la TERZA opzione, forse la più usata inizialmente (dal momento che dovevano essere garantiti gli STESSI standard qualitativi):
TRASLO le macchine e IMPIEGO manodopera locale. Risultato: abbiamo i 10 operai cinesi o bengalesi sulle macchine dove prima stavano i 10 operai tedeschi! "Fuit Troia", avrebbe detto qualcuno...

E' quello che è successo, per esempio, allo stabilimento TOFAŞ (Türk Otomobil Fabrikası A.Ş) di Bursa, dove producono la Fiat Tipo. Stesse catene, stessa tecnologia di Mirafiori (per le auto da comuni mortali) e, all'inizio di quest'anno, la 500.000ma Fiat Tipo è uscita fuori dalle sue linee (https://www.investireoggi.it/motori/fiat-tipo-prodotte-mezzo-milione-di-unita-in-turchia/).

Introdurre nuova tecnologia, inoltre, comporta dei costi di ammortamento, in termini di capitale fisso, NON indifferenti. A Mirafiori fanno, per le auto NON da comuni mortali, la LEVANTE. Han fatto vedere le linee nella prima puntata di Operai di Gad Lerner. Linee completamente automatizzate e avveniristiche. Per una macchina da ottantamila euro che consente di recuperare, negli anni e grazie alle esportazioni, l'investimento operato (ovvero il pagamento del lavoro socialmente necessario più il saggio di profitto di tutte le aziende coinvolte nella produzione dei macchinari completamente robotizzati presenti in ogni punto della linea), senza che nessuno parli minimamente di "esternalizzare". Parliamo poi di FERRARI. E lì, addirittura, il lavoro torna a essere hi-tech e artigianale, persino nelle cuciture dei sedili: e nessuno pensa a uscire dalla cosiddetta "Motor Valley" per esternalizzare. Ma parliamo di Ferrari e Lamborghini.

Gli autori poi citano la ricerca sulla maglietta di H&M e il cotone che non è raccolto a mano in loco, ma esportato dagli USA nei paesi dove, di fatto, avviene un "conto lavorazione". Ci può stare, anche se non è sempre così (nel senso che l'approvvigionamento avviene anche a livello locale, altrimenti ci si dovrebbe chiedere per cosa la Cina resti il secondo produttore mondiale, destinato peraltro a diventare primo https://www.usda.gov/oce/forum/2018/commodities/Cotton.pdf; stesso discorso vale per esempio per l'India, che NON importa dagli USA il cotone e fornisce lo stesso ai Paesi limitrofi che, per l'appunto, eseguono lavorazioni contoterzi), così come su H&M e sulle grosse multinazionali andrebbe aperto un capitolo a parte per le GROSSE RIDUZIONI sul costo unitario che impongono ai terzisti grazie all'impiego, in ogni settore del ciclo produttivo, di un'economia di scala da centinaia di migliaia di capi alla volta, che impone ai loro fornitori di ridurre il saggio di profitto unitario per recuperare poi in termini di massa di denaro assoluta che entra nelle loro casse.
Ed è il "cucito" il momento fondamentale di creazione di valore di un capo di abbigliamento. Lo ammettono anche gli autori quando parlano di "quelle aree di produzione dove l'automazione presenta ancora dei problemi (per esempio, per il cucito nell'industria dell'abbigliamento)."
Una macchina "taglia e cuci" la puoi usare in Bangladesh, a Shenzhen, a Prato o a Castelvolturno. Non è un caso che gli ultimi due posti facciano concorrenza ai primi due: basta trovare gli schiavi che stiano sopra di essa 16 ore al giorno e mangino e dormino a fianco della stessa.

Insomma, prima di parlare di "lavoro di massa senza valore" andrei con i piedi di piombo. Casomai, ed è questa la sfida, a mio modestissimo parere titanica, e titanica è dir poco, il processo produttivo è talmente parcellizzato, delocalizzato, schiavo di logiche che spesso non sono neppure dettate da logiche di accumulazione "tradizionale", da capitale industriale, ma dal capitale finanziario che vi pompa denaro fresco per continuarlo a spremere come un limone, che è difficile coglierne tutte le sfaccettature, compierne un'analisi a 360 gradi che non sappia già di vecchio appena uscita in stampa. Ma è una sfida che non possiamo prenderci il lusso di perdere.

Paolo Selmi
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