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Un tango fantasia  

di Ugo Pagano

Nell’articolo “Un suicidio al ritmo di tango argentino” pubblicato sul Sole del 27 giugno, Alberto Bisin e Michele Boldrin (B.B.) hanno affermato che la Lettera degli Economisti, di cui sono uno dei firmatari, a differenza dei contributi di alcuni noti accademici, come il premio Nobel Paul Krugman, ha il pregio di volere giustificare teoricamente e empiricamente le teorie keynesiane. Oltre alla tenzone di nFA a Villa La Pietra il dibattito sulla lettera  ha visto frattanto altri contributi che hanno coinvolto fra gli altri Claudio Gnesutta, Giulio Zanella, Sergio Cesaratto, Riccardo Sorrentino, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati. Questa breve nota non entra nel merito di questi contributi ma è solo una precisazione post-tenzone da parte di un firmatario della lettera che aveva appreso da B.B. di essere un sottoconsumista.

Nessuno di noi, in una lettera dettata dall’urgenza e dalla gravità della situazione economica, aveva l’ambizione di raggiungere un obiettivo che nelle sedi appropriate (che sono le riviste scientifiche e non le lettere ai giornali), non sarebbe raggiunto da illustri economisti keynesiani. Non meritando questo esagerato complimento, non siamo, purtroppo, in grado di offrire a Boldrin e Bisin  la doppia opportunità di evidenziare, con un solo colpo, la vera natura delle ipotesi teoriche nostre e di Paul Krugman.

Nonostante i nostri evidenti limiti, B.B. scelgono di godersi comunque questa doppia opportunità e si lanciano un solitario tango-fantasia, proprio quello che si affermava negli anni ’60 e ’70 distaccandosi dal mainstream del tradizionale tango argentino. Affermando che “l’argomento di fondo è noto come teoria del sottoconsumo”, passano con un agile volteggio a parlare di questa teoria. Così facendo, si sganciano completatamente dall’inopportuna presenza degli autori della Lettera e dell’immeritato Nobel, in modo da poter ballare il loro tango in beata solitudine. Nel loro raffinato repertorio retrò, B.B. scoprono una variante particolarmente pregiata, rarissima persino negli anni ’60 e ’70, delle teorie del sottoconsumo in cui i capitalisti, pur affamando il popolo e non vendendo le loro merci, fanno enormi profitti. Già allora, era stata messa in luce una evidente stonatura di questa musica: come si possono mai realizzare enormi profitti con merci che nessuno compra? Inoltre, sulla base dei classici lavori dell’economista Mikhail Tugan-Baranovsky, si era osservato che alcune spericolate armonie capitaliste erano comunque riproducibili. Anche in presenza di estrema diseguaglianza economica, grazie alla domanda di investimenti e al consumo di capitalisti insaziabili, si poteva raggiungere un equilibrio fra domanda e offerta.  Lanciati nella loro danza, B.B. perdono ogni contatto con la realtà e scambiano la possibilità logica delle seducenti armonie di Tugan con una previsione certa. Infine, con un ultimo casché, ci ripropongono, quasi fosse una canzone appena composta, una spiegazione delle crisi in termini di sproporzioni di settori produttivi che costituiva un altro prodotto, tanto raro quanto improbabile, in voga fra i gruppi degli anni ’60. Anche allora i loro raffinati consumatori non erano mai riusciti a motivare perché le sproporzioni sono una conseguenza invece che una  della causa di una crisi economica, né tanto meno a spiegarci perché, solo in alcune circostanze, un shock da sproporzioni provocherebbe delle crisi gravissime.

È ovvio che la Lettera degli Economisti non ha nulla a che fare con il tango-fantasia di B.B. Specialmente nel mondo moderno, in cui si è drasticamente ridotta la necessità di scorte, la carenza di domanda aggregata (sia di consumi che di investimenti) non si traduce in merci invendute, o vendute a prezzi stracciati, ma si riferisce a merci che non sono state affatto prodotte perché la domanda effettiva, attesa dalle imprese, è ben lontana dalle sue potenzialità di pieno impiego. Nei ben noti episodi che hanno scandito la crisi, la caduta della capacità di spesa degli americani ha inizialmente generato, con la complicità della deregolamentazione dei mercati finanziari, un insostenibile indebitamento privato. Quando, scoppiata la bolla speculativa, la capacità di spesa degli americani si è drasticamente ridotta, essa non è stata affatto automaticamente compensata da chi aveva aumentato la sua capacità di spesa, anche e soprattutto fuori dall’America.

Non serve una sofisticata conoscenza dell’economia matematica per capire che tutti i paesi non possono simultaneamente avere un attivo nei loro conti con l’estero e che essere in surplus non può essere scambiato per un sinonimo di una efficienza economica che tutti dovrebbero raggiungere. Partendo da questa semplice considerazione, abbiamo sostenuto che in Europa i paesi in surplus non dovrebbero aggravare, con delle politiche restrittive fondate sui tagli della spesa sociale, la debolezza della domanda aggregata. Ne risentirebbero sia le fasce sociali più deboli dei loro stessi paesi sia, ancora di più, i paesi in deficit. In proposito, riteniamo che in Europa ci dovrebbe essere un po’ più di America: auspichiamo un aumento del budget della Comunità in particolare nel settore della ricerca che è l’infrastruttura fondamentale di una economia moderna. Abbiamo, fra l’altro, messo in evidenza il nesso fra il finanziamento pubblico della open science e l’apertura dei mercati e abbiamo messo in rilievo che l’economia attuale è viziata da una forte presenza closed science e di monopoli intellettuali che bloccano il suo rilancio. Su questo ultimo argomento, Michele Boldrin ha dato dei contributi originali molto rilevanti per chiunque si voglia occupare di queste tematiche. Sarebbe troppo chiedergli di smetterla di ballare tanghi fantasia e di partecipare a un vero dibattito sulla crisi economica?

 

2 commenti

   

      Francesco Mauro scrive:    
      20 luglio 2010 alle 22:55    

      Ottima l’analogia con Tugan. Sulle fantasie di B.B. segnalo pure questa interessante intervista a Emiliano Brancaccio: http://www.emilianobrancaccio.it/2010/07/10/liberisti-amerikani-contro-la-lettera/


      Ugo Pagano scrive:    
      21 luglio 2010 alle 14:36    

      Rettifica: dopo aver letto l‘articolo di Perotti sul Sole non me la sento più di chiedere a B.B. di smettere di ballare il loro tango fantasia. Potrebbero cominciare a ballare il disco rotto di Perotti che, a differenza di BB (che hanno idee oltre che capacità analitiche!), é capace di scrivere varie cartelle senza dire una sola parola sulla crisi economica; l’unica cosa che dobbiamo sapere é che é stato in America dove una volta, con Blanchard, si é persino sporcato le mani in una marmellata econometrica…

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