Pillole di bancarotta n.2
di Alessandro Volpi *
La bolla dell’oro
La crisi profonda del capitalismo finanziario sta generando una mostruosa bolla costruita attorno all’oro, destinata a cambiare il quadro dell’economia internazionale.
Ci sono almeno tre ragioni, tra loro decisamente collegate, che favoriscono un prezzo dell’oro superiore ai 4000 dollari l’oncia.
La prima è la grande richiesta di oro da parte delle banche centrali, a cominciare da quella cinese: ormai sono scomparsi i due beni rifugi su cui costruire la tesaurizzazione del valore, rappresentati dal dollaro e soprattutto dai titoli del Debito Usa, e dunque l’oro resta il solo bene rifugio.
Ma non solo bene rifugio, l’oro diventa anche la sola reale garanzia di “conversione” monetaria per l’economia capitalista che non può permettersi una moneta in continuo deprezzamento come nel caso del dollaro. Quindi stiamo tornando rapidamente al gold standard, dove l’unica vera garanzia era costituita dalla piena convertibilità aurea.
La seconda ragione si lega alla prima. La ricerca di oro come bene rifugio non riguarda solo le banche centrali ma l’intero sistema finanziario, a cominciare dai grandi gestori del risparmio, che, in un momento di estrema incertezza come quello attuale, hanno bisogno di “stabilizzare” i loro impieghi avendo una solida riserva aurea.
La terza ragione è riconducibile alla ormai dominante struttura del sistema finanziario globale, dove i prezzi sono definiti attraverso gli strumenti derivati. In pratica, sul prezzo dell’oro si fanno milioni di scommesse, sganciate al possesso dell’oro in quanto tale, che finiscono per generare un’impennata molto più accentuata di quella, già forte, legata al mercato reale dell’oro.
Non a caso i futures sull’oro corrono di più del già altissimo prezzo dell’oro. La crisi del capitalismo finanziario, la sua scelta di puntare sulla dimensione militare stanno generando una dipendenza dall’oro che, per i suoi altissimi rendimenti, sta mangiandosi pezzi interi di economia reale.
Chi comanda in Europa
In Germania, BlackRock ha partecipazioni, sia direttamente sia attraverso fondi posseduti, comprese fra il 3 e il 10% in Commerzabank, Deutsche Bank, Continental, Adidas, Bayer, Lufthansa, Sofran, Daimler, Ag, Basf, Allianz, Siemens, Thyssen Krupp, Muniche Re, Rheinmetall, Hensholdt.
A questo complesso di partecipazioni si aggiunge una lunga lista di azioni possedute, al di sotto della soglia del 3%, in numerosissime altre società tedesche, a partire dal settore del credito e delle assicurazioni.
In Francia, la società guidata da Larry Fink detiene pacchetti azionari, di nuovo fra il 3 e il 9%, in Sanofi, TotalEnergies, Lvhm, Schneider Electric, Société Générale, Orpea. Anche qui, come in Germania e in Italia, BlackRock possiede partecipazioni inferiori alla soglia del 3% in numerosissime società francesi, con una significativa incidenza nel comparto bancario.
In Inghilterra, la società americana gestisce una serie di fondi UCITS domiciliati nell’isola, che contengono importanti partecipazioni di società inglesi, mentre registra una presenza azionaria diretta in Shell, in Netwest group e in Preqin.
Le partecipazioni in Spagna di BlackRock sono concentrate nel sistema bancario, in Bbva, Banco Sabadell, Banco Santander, Caixa Banca, dove il capitale posseduto oscilla fra il 6 e l’8%, e in una serie di altri settori ambiti dove la quota posseduta è superiore al 5%, da Iberdola, a Repsol, Enagas, Redeia, Telefonica, Grifols, Fluidra, Merlin e AM-Deus.
Un peso particolare poi il fondo americano assume in Naturgy, di cui controlla il 10%.
A questi dati generali vanno aggiunte tre considerazioni ulteriori. La prima è rappresentata dal fatto che BlackRock è il principale azionista delle società che gestiscono la Borsa di Londra, quella di Francoforte e quella di Milano.
La seconda, già accennata per il caso italiano, è riconducibile alla massiccia presenza in quasi tutti gli Stati europei di un esteso circuito di vendita degli Etf prodotti da BlackRock volti a intercettare il risparmio diffuso; a tal riguardo è opportuno sottolineare che quello degli Etf è un settore in forte crescita, con un mercato complessivo in Europa di oltre 2800 miliardi di dollari, destinati, appunto, a “catturare” una larga fetta del risparmio gestito, con oltre 11 milioni di piani di risparmio solo in Etf.
La terza considerazione consiste nel mettere in evidenza che BlackRock rappresenta soltanto uno dei tre grandi fondi americani che dominano la scena europea perché considerazioni analoghe sarebbero possibili per Vanguard e State Street, la cui azione, rispetto alla società presieduta da Fink, è costruita soprattutto sulla produzione di Etf e di fondi in cui sono contenuti rilevanti pacchetti azionari di società italiane.
Grandi manovre
Il presidente di Jp Morgan, Jamie Dimon, intervistato dalla BBC inglese, ha dichiarato con nettezza che il rischio di uno scoppio della bolla finanziaria americana è particolarmente alto; non il 10% come sostengono molti analisti – sostiene Dimon – ma oltre il 30%. Dunque, sostiene il banchiere più influente del mondo occidentale, bisognerebbe trovare alternative ai listini Usa e non pensare di gonfiare ancora le big tech con la nuova bolla dell’Intelligenza artificiale.
Per Dimon meglio guardare ad impieghi più sicuri, magari non in dollari, a cominciare dall’oro e dalla finanza di guerra. La strategia di “diversificazione”e di parziale sganciamento dalla bolla americana è cominciato; i proprietari di Jp Morgan, i grandi fondi – BlackRock, Vanguard e State Street – stanno continuando la guerra contro Trump e hanno deciso di puntare sull’amico tedesco, l’ex loro dipendente Friederich Merz. Forse qualcosa avevo capito…
Monopolio
Non serve sottolineare quanto l’Intelligenza artificiale è e sarà centrale nei processi sociali, politici ed economici. Intanto, il dato più evidente è rappresentato dal fatto che nella finanza statunitense si è costituto un vero e proprio regime monopolistico.
Amd e Nvidia, le due società che dovrebbero farsi concorrenza, hanno come principali azionisti, con una percentuale complessiva non distante dal 30%, BlackRock, Vanguard e State Street. Peraltro Amd ha chiuso un accordo con Open Ai di Sam Altman, che prevede l’ingresso della stessa Open Ai nel capitale di Amd, dopo che la società guidata da Altman aveva già stabilito un’intesa con Oracle di Larry Ellison, nel cui capitale sono ampiamente presenti BlackRock, Vanguard e State Street.
Le Big Three, poi, insieme a Altman, Ellison, Thiel, Nvidia, hanno un ruolo decisivo nel progetto federale relativo all’Intelligenza artificiale Stargate. In estrema sintesi, la bolla del prossimo futuro ha già i suoi padroni.
Crisi politiche e borse che volano
La Francia è praticamente senza governo, l’Inghilterra di Starmer procede tra mille affanni, così come la maggioranza che sorregge Merz in Germania. I dati economici dei tre paesi sono decisamente stagnanti; una situazione questa condivisa anche dall’Italia, tenuta solo molto parzialmente a galla dal Pnrr.
Nonostante questo le Borse di Parigi, Londra, Francoforte e Milano corrono. Perché?
La spiegazione è forse semplice; il valore delle società quotate è alimentato dalle iniezioni di liquidità provenienti dai grandi fondi, a cominciare da quelli Usa, dai profitti fatti dalle stesse società che si dedicano all’acquisto di prodotti finanziari forniti dagli stessi fondi, e dalla distribuzione di dividendi agli azionisti, costituiti proprio dai grandi fondi, e dalle numerose operazione di buy back, concepite per alleggerire ancora di più la tassazione dei proventi finanziari.
In altre parole le Borse vanno bene perché sono indifferenti alla politica e rispondono al potere unico dei grandi player finanziari in grado di stravolgere la realtà e di plasmarla a proprio piacimento. E’ difficile immaginare, in queste condizioni, strategie di programmazione economica legate a politiche creditizie e occupazionali.
Nella finanza occidentale, architrave della costruzione neoliberale, politica, produzione e lavoro sembrano essere sempre più residuali. Gli effetti sono inevitabili: una continua frammentazione della produzione in micro-imprese che faticano a generare reddito, una crescente indifferenza per le scadenze elettorali e la progressiva, totale dipendenza dalla “democrazia” finanziaria dei fondi, veri arbitri, attraverso la remunerazione del risparmio, delle sorti collettive.
Non a caso, il “gioiello” di BlackRock, Vanguard e State Street, la società con la maggiore capitalizzazione al mondo, pari a oltre 4000 miliardi di dollari [Nvidia, ndr], ha poco più di 35 mila dipendenti.
Non sono questioni tecniche!
Il governo Meloni sta procedendo a grandi passi verso un potenziamento della finanziarizzazione e della destinazione dei risparmi nazionali verso i grandi fondi Usa.
Due misure vanno chiaramente in tal senso.
Nei giorni scorsi, Meloni, Nordio e Giorgetti hanno varato la proposta di un nuovo Testo unico sulla Finanza, il cui principale obiettivo è rendere la Borsa di Milano più attraente e più fruibile per i grandi capitali esteri e soprattutto in grado di attirare i fondi internazionali che gestiscono il risparmio italiano.
Il progetto è chiaro: gli italiani e le italiane devono diventare soggetti finanziari attraverso la mediazione dei grandi fondi con una semplificazione delle procedure, una deregolamentazione e un abbattimento dei già scarsi controlli. Avranno salari sempre più bassi ma spereranno in un’integrazione del loro misero reddito attraverso una “democratizzazione”, guidata da governo e fondi, della finanza.
La seconda misura, ancora più clamorosa, riguarda la riforma del sistema pensionistico introducendo novità cruciali. Intanto il governo vuole introdurre l’obbligatorietà del trasferimento del Tfr a fondi privati defiscalizzati, a cui si unisce la possibilità per gli stessi fondi di scegliere, autonomamente con il silenzio assenso dei loro risparmiatori, cosa comprare, con una larga prevalenza per le azioni.
Infine, la proposta del governo contempla un processo rapido di smantellamento dei fondi pensione più piccoli per costruire “colossi”, inevitabilmente legati ai grandi gestori Usa.
Il sovranismo “italiano” si è trasformato nella più clamorosa costruzione di un processo che consegni il risparmio italiano alla finanza Usa per alimentare i titoli americani nella speranza che forniscano rendimenti sufficienti per supplire alla povertà salariale e alla fine dei servizi pubblici. Vi assicuro, non sono questioni tecniche.
La legge di bilancio e lo sceriffo di Nottingham
Fantastico. Il governo Meloni sta chiudendo la legge di bilancio che vale 16 miliardi di euro; in pratica è del tutto inconsistente, incapace di incidere sulle difficoltà della stragrande maggioranza della popolazione del paese. Anzi, di quei 16 miliardi, ben 10 provengono da tagli. Dunque, da nuova austerità e nuove privatizzazioni.
Ma c’è un aspetto che mi sembra davvero grottesco. Dei 6 miliardi di “entrate”, ben 3 dovrebbero venire dalle banche; ma in che cosa consiste realmente il “contributo” concordato dalle banche con il superministro Giorgetti? In un anticipo di imposte per 3 miliardi, appunto.
In pratica le banche pagano subito imposte future che, naturalmente, non pagheranno poi. In questo senso Meloni e Giorgetti hanno ottenuto, come massimo risultato nei confronti delle banche, un anticipo di liquidità che dovrà restituire il prossimo governo. Davvero fantastico se si pensa che le banche italiane dal 2022 al 2025 hanno realizzato quasi 165 miliardi di utili con un tax/rate medio (rapporto tra tasse pagate e utili) del 22%!!! E’ sempre più chiaro chi comanda.
E’ sempre più evidente che la Legge di bilancio ha come unico obiettivo quello di riportare il deficit al di sotto del 3% e uscire dalla procedura d’infrazione, operando tagli e inserendo misure che dovrebbero garantire benefici ma che in realtà sono di entità risibile e sostanzialmente ridotti a mere promesse, senza alcun provvedimento di carattere strutturale. Ma a cosa serve rientrare nel parametro del 3%?
Ad avere un voto migliore da parte delle agenzie di rating di proprietà dei grandi fondi Usa?
Direi di sì. Ma questo serve a pagare meno interessi sul debito? Non sembrerebbe proprio visto i rendimenti dei titoli di Stato italiani che restano decisamente assai alti? La riduzione del deficit serve ad avere più risorse dall’Unione europea?
Non sembrerebbe proprio visto peraltro che, tra poco, cesserà anche il Pnrr il cui unico risultato è stato quello di portare le stime di crescita del Pil a neppure l’1%, e il nostro paese continua a versare al bilancio europeo più di quanto riceva. Ma allora perché questo feticismo del rigore che, di fatto, non consente neppure di adeguare la spesa pubblica all’inflazione?
Giorgia Meloni, quando era all’opposizione, lanciava strali contro il Patto di stabilità e ora ne è diventata la più zelante sacerdotessa di rito draghiano. Forse servirebbe una visione politica che partisse da un dato ormai insostenibile: in Italia le entrate fiscali totali derivano per quasi il 40 % dai salari, mentre provengono dai profitti per meno del 5%: ciò avviene nonostante i profitti siano arrivati ad essere pari al 40% del Pil italiano, con un aumento in vent’anni di quasi 7 punti rispetto ai salari.
Siamo il paese dello sceriffo di Nottingham dove alle banche e alle assicurazioni si chiede se, cortesemente, anticipano le tasse che non pagheranno in futuro, dimenticando i colossali profitti e, nel caso delle assicurazioni, non considerando che l’introduzione universale della polizza sulle calamità naturali è destinata a generare entrate per una cifra oscillante fra i 2 e i 4 miliardi di euro l’anno.
Ma le tasse le paga il lavoro dipendente a cui il Patto di stabilità toglie il Welfare.







































Comments
Il tentativo di dare più importanza al mercato italiano fa ridere. A livello finanziario il mercato azionario italiano non conta nulla e basta guardare il peso del MIB all'interno di un ETF azionario mondiale. Anche considerando l'UE, quindi esclusa UK, il mercato azionario è limitato. L'unico modo per contare di più deve passare da una maggiore integrazione europea che non arriverà mai visti i sovranismi dilaganti. L'unico interesse dei singoli Paesi UE sembra essere il cercare ognuno il proprio stato valvassore (USA, Russia ecc...) visto che colmare i divari con USA e Cina sarebbe una impresa titanica e non fattibile per nessun governo che ha visione a max 5 anni.
Fermandoci alla manovrina del duo Meloni&Giorgetti, a parte i trucchi di cui il più clamoroso è il falso contributo delle banche ben descritto nell'articolo di ottima fattura per la chiarezza, vastità e complessità delle questioni toccate,
ho sentito di correzioni per evitare la bua ad alcune categorie care al cuore della destra ( forze armate, padroncini e proprietari di immobili ), per cui alla fine, gira e rigira, pagheranno sempre gli stessi. In più, con la Meloni ex sovranista stridula contro banche, colossi dell'energia, extraprofitti, sudditanza euroatlantica, abbiamo la certezza della cieca obbedienza al padrone Usa con tutto il suo pernicioso contorno. Ma noi lo sapevamo già. Più duro ingoiarlo per chi in costei ha creduto.
Un'ultima osservazione : la Lagarde si è accorta che l'Europa è divorata dall'inflazione e, pour l'image, si è fatta riprendere a fare un giro presso la gente comune a domandar dei prezzi. La nostra premier, intenta a farsi pettinare e a cambiare tailleur, invece non ha avuto ancora tempo per farsi una passeggiata ai mercati e mercatini de Roma.
Tanto per le commediole è incaricato Salvini, per ora e solo per ora, impegnato a simulare il bau bau contro i banchieri.