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linterferenza

I buoni e i cattivi (e i migranti nel mezzo)

di Norberto Fragiacomo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa interessante riflessione di Norberto Fragiacomo, di Risorgimento Socialista, pur non condividendo alcuni passaggi

berardiIl manicheismo dell’entertainment sistemico contemporaneo (informazione+politica irreggimentata) taglia con l’accetta, fra le altre, la delicata questione dei migranti: da una parte i «cattivi» che, animati da pessime intenzioni, vorrebbero chiudere ogni pertugio, dall’altra i «buoni» e accoglienti, che propugnano il c.d. diritto di migrare; sullo sfondo masse di diseredati africani ed asiatici che, oppressi da indigenza e privazioni (e sollecitati dalle paterne esortazioni di presunti filantropi, ma questo appartiene al non detto), si spostano verso il continente «bianco» a rischio della propria vita.

E’ una storia veridica quella che ci raccontano? Prima di stabilirlo tocca esaminare la situazione.

Ispezioniamo anzitutto il campo dei cattivi, ove han piantato le tende i caporioni della destra «razzista, sovranista, populista e xenofoba», che vanno da Orban a un ministro bavarese accostabile addirittura all’AfD, passando per l’eterna perdente Marine Le Pen. In Italia il loro campione è Matteo Salvini, un razzista impenitente che, essendo il vero dominus del Governo Conte – così ci ripetono quotidianamente – trascina con sé pure i 5Stelle (incasellati nell’estrema destra anche se le loro prime proposte di governo profumano di diritti sociali, dopo 30 anni di restaurazione liberista: vabbé, è un dettaglio, al pari delle accuse di «comunismo» seguite al varo del Decreto Dignità).

Cos’ha promesso lo stregone leghista al suo elettorato (in costante crescita, malgrado Repubblica)? Che gli immigrati irregolari verranno espulsi e che non ne verranno accolti di nuovi; che prima di pensare agli ultimi arrivati l’esecutivo si occuperà dei tanti italiani in difficoltà.

La coerente (con le premesse) gestione del caso Aquarius e di quello del barcone quasi-olandese ha però suscitato indignazione a sinistra e in Europa: il vicepremier e i suoi accoliti grillini avrebbero dato prova di cinismo disumano e messo in crisi, con la loro condotta, l’ordinato funzionamento delle istituzioni comunitarie (le stesse che hanno umanamente strozzato la Grecia). E’ davvero un peccato scuotere questa «Europa» formulando minacce credibili?

Al quesito ho già risposto (negativamente) migliaia di volte; mi domando, ora, se parole e opere di Salvini siano fin qua quelle di un razzista e fascista – visto che come tale viene dipinto.

Mettiamo da parte la vicenda Aquarius, che ha suscitato l’eco voluta (parlare di cinismo politico è più che legittimo, ma perlomeno non è morto nessuno, e un fascista doc avrebbe affrontato la faccenda in modo ben più sbrigativo!), e poniamoci un banalissimo quesito: che cos’è il fascismo? Anzitutto non è un’iperuranica categoria dello spirito, bensì un fenomeno politico storicamente determinato.

«Creato» da un ex leader socialista il 23 marzo 1919 come movimento reducista, patriottico, repubblicano e di estrema sinistra[1] alla prima campagna elettorale va incontro a un cocente flop: manco un eletto. Prende a spadroneggiare più tardi, quando sposa quello che sarà in una prima fase il suo blocco sociale di riferimento: gli agrari, che sono nel loro comparto – per così dire – al vertice della catena alimentare. Il giovane partito fascista mette al loro servizio le sue attitudini militari per schiacciare i mezzadri e – soprattutto – i braccianti imbevuti di socialismo. Anche la grande impresa nazionale, scottata dall’inconcludente biennio rosso, offrirà ben presto il suo appoggio condizionato al fascismo, accettandone il sostegno economico (con Mussolini al governo) ma mai la guida: l’assenza di coordinamento della produzione bellica (l’esempio dei pochi aerei da combattimento prodotti a fronte della pletora di imprese produttrici è illuminante!) ne è la riprova. Al fascio littorio si accosterà timidamente anche la piccola borghesia, spaventata dai presunti eccessi operai, ma a tener su il regime, dopo averlo innalzato, sarà una porzione maggioritaria delle classi egemoni italiane, in un’epoca che precede di decenni la globalizzazione: per conto loro i fascisti intraprenderanno una lotta di classe dall’altro contro il basso, vincendola grazie a un uso spregiudicato della violenza fisica che si somma al velleitarismo degli avversari (mal) organizzati.

E’ riconducibile il leghismo salviniano a questo modello? Finora, per fortuna, di violenza pianificata non se n’è vista, e spacciare certe rodomontate via Twitter per incitamenti pare eccessivo a chi abbia conservato un minimo di equilibrio.

Inoltre il blocco sociale su cui si fonda il successo della Lega ha caratteristiche ben diverse da quello appena descritto, e non soltanto perché tempora mutantur et homines in illis. La differenza principale sta nel fatto che quest’elettorato – che, tradizionalmente formato da piccolissimi imprenditori e operai del Settentrione, si è poi aperto alla media impresa non solo padana delusa dal berlusconismo – è composto da perdenti, costretti sulla difensiva. Non alludo soltanto a manovali, vittime delle delocalizzazioni e partite IVA fasulle: anche l’impresario brianzolo si sente oggidì un pesce fuor d’acqua nell’oceano popolato da squali sovranazionali e finanzieri da preda che, avendo denti ben più aguzzi dei suoi, possono ridurlo sul lastrico in un istante, con un clic.

Questa moltitudine, pur eterogenea perché formata da benestanti, gente che fatica e miserabili, nel mondo odierno sta in basso e il «nazionalismo»/antieuropeismo che esprime sa tanto di chiusura difensiva, ricorda i borghi murati del medioevo piuttosto che l’impeto conquistatore degli antichi romani. Alla stessa maniera l’avversione verso i migranti è dettata – se si escludono frange estreme e minimali di razzisti fanatici – non da senso di superiorità ma da timor panico. Contrabbandare slogan manco troppo originali come «prima gli italiani» per un revival del 1938 significa non capire nulla delle dinamiche in atto o (ed è ben peggio) far propaganda a beneficio del Capitale: se leghismo e fascismo hanno qualche tratto in comune (es. la difesa dell’identità nazionale) è perché sono germogliati entrambi nel medesimo continente e nello stesso Paese in situazioni caratterizzate da insicurezza economico-sociale e torbidi. Gli eredi – come ruolo – del fascismo stanno semmai altrove, e vestono con molto più gusto di un Salvini o di una Meloni che comunque, malgrado le opportunistiche profferte di amicizia, restano senz’altro nostri avversari, poiché la loro visione del futuro è antitetica rispetto alla nostra.

Al momento, dunque, la «cattiveria» dei sovranisti di casa nostra va relativizzata: al più è mancanza di generosità e scarsa propensione ad accogliere chi sta peggio, miste a fiuto elettorale.

Coi «buoni» (o buonisti) invece come la mettiamo?

Fatuo domandarsi se siano sinceri o in malafede: anche qua, come dall’altra parte, c’è gente di tutte le risme, dal sacerdote di strada al sordido profittatore che si riempie la bocca di buoni propositi e le tasche di soldi pubblici. La questione che voglio sottoporvi è un’altra: siamo/siete sicuri che quella di trasferirsi in massa in Europa sia l’opzione prediletta dalla maggioranza dei migranti d’inizio millennio?

Millenni di Storia umana suggeriscono di adottare un’altra prospettiva: nella generalità dei casi le migrazioni costituiscono un trauma frutto di altri traumi, come l’inaridimento di un territorio, un mutamento climatico (il nostro pianeta ne ha sperimentati parecchi, anche negli ultimi due millenni), la spinta inarrestabile di altre popolazioni (goti e longobardi non vennero in Italia per turismo!). Fanno parzialmente eccezione i nomadi, abituati a spostarsi da tempo immemorabile (ma poi non sempre restii alla sedentarietà: si pensi a mongoli e manciù nell’agognata Cina) – un’eccezione peraltro non più attuale, dal momento che il nomadismo come fenomeno di massa è pressoché svanito.

E’ verissimo che esistono individui o gruppi di individui che per inquietudine spirituale, spasmodico desiderio di conoscere, educazione, sete di ricchezza ecc. non sopportano di vivere a lungo in uno stesso posto, ma la generalità degli esseri umani è affettivamente radicata nel luogo di nascita, attraente o meno che sia ad occhi estranei, e desidera viverci e morirvi e – se lontana – tornare «a casa».

Se conducessimo un’indagine statistica scopriremmo – ne sono certo – che la quasi totalità dei maliani, siriani, afghani ecc. in movimento ritiene di essere stata costretta o almeno indotta ad abbandonare la terra natia e che, a fronte di condizioni divenute impossibili o insopportabilmente dure in patria, considera il periglioso viaggio per mare e per terra e il successivo precario stabilirsi in Europa «un male minore».

Dietro il c.d. diritto di migrare – che personaggi à la page ipocritamente vantano come una conquista di civiltà e che è invece il figliastro del diritto di delocalizzare – si celano drammi inimmaginabili nei salotti progressisti e dolorose separazioni: voler davvero bene a questa gente, riconoscerli come fratelli (e non come testimonial per una meschina battaglia polemico-mediatica) equivale ad augurar loro di poter prosperare nei rispettivi Paesi e a far molto di più, impegnandosi affinché il mondo possa cambiare direzione.

Guerre, carestie, miseria, esche socio-culturali e persino (in parte) il cambiamento climatico in atto non sono ineluttabili disgrazie, bensì logiche conseguenze della globalizzazione capitalista che come una piovra (perché tale è!) allunga i suoi bramosi tentacoli ovunque. Provare a recidere questi tentacoli dovrebbe essere il nostro impegno, incominciando da quel «Primo mondo» (il nostro), dove ad una crescita fantasmagorica delle risorse disponibili corrisponde una disparità distributiva sempre più marcata che alimenta giustificatissime paure e, in via indiretta, i c.d. populismi.

Solamente un’Europa capace di superare in via definitiva il modo di produzione capitalista avrebbe i mezzi per intervenire efficacemente altrove, sostituendo alle odierne politiche di predazione accordi convenienti per tutti i contraenti e rimuovendo alla radice le cause scatenanti di questo esodo biblico, devastante per chi arriva e per chi timoroso lo aspetta. Non è la carità pelosa dell’«aiutiamoli a casa loro», che quando non resta flatus vocis si traduce in magri finanziamenti che vanno ad ingrassare le èlite locali: quello che dobbiamo fare è «semplicemente» cambiare il pianeta, iniziando quest’autentica rivoluzione a casa nostra.

Utopia? Certamente: ma è un’utopia (made in Hollywood) anche questa felice e armoniosa fusione di stirpi ed etnie fra loro diversissime che illustri e altezzosi soloni buonisti danno spocchiosamente per scontata – quegli stessi, sia detto fra parentesi, che nonostante la quotidiana esibizione di buoni sentimenti ad uso del pubblico televisivo nulla trovano da ridire sulla progressiva trasformazione della povera vecchia Grecia in un Lager a cielo aperto.

Salto apparentemente di palo in frasca per poi concludere: quale atteggiamento dovremmo tenere, in Italia, nei confronti del famigerato governo giallo-verde?

Rispondo così: un atteggiamento vigile e critico, ma depurato da stolide ostilità preconcette.

Dovremmo incalzarlo sulle promesse «progressiste» (perché non rimangano lettera morta), avversarlo in quelle – come la flat tax – che beneficiano soltanto chi sta già bene; non augurarci, tuttavia, una sua repentina caduta sotto i colpi di maglio dell’establishment euro-atlantico, che ha già un Cottarelli di riserva.

Questo esecutivo, questa strana maggioranza non sono anticapitalisti, ma rappresentano per l’èlite una seccatura e una minaccia, per il semplice motivo che – magari al di là delle loro stesse intenzioni – stanno mostrando ai cittadini che uscire dai binari tracciati dal pensiero unico globalista è possibile. Se ci pensate non è poco: un mutamento di percezione da parte delle masse equivarrebbe a una svolta epocale, ma già il suo annuncio costituisce una novità sorprendente.

Sbarazzarci del «politically correct» sarebbe una conquista e un punto di partenza, perché quello marxista è il progetto politicamente scorretto per antonomasia, e nella gabbia mentale che ancora ci imprigiona non è manco concepibile.


Note
[1] Il richiamo ai Fasci siciliani di fine secolo non può essere casuale.

Comments

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Eros Barone
Wednesday, 18 July 2018 11:14
Qualche tempo fa, il governo polacco decise di togliere la pensione ai combattenti antifranchisti superstiti della guerra di Spagna, bollandoli come traditori della patria.
Si trattò non soltanto di una vergognosa ingiustizia consumata nei confronti di persone anziane, non soltanto di una meschina provocazione verso il movimento antifascista internazionale , ma anche e soprattutto di un insulto alla verità storica. Salvo che per patria si intenda non la terra dei padri, ma la terra dei padroni, degli sfruttatori e dei fascisti, come Francisco Franco. Da tempo segnalo nei miei interventi pubblici, per usare una famosa metafora, la maturazione dell’uovo nel ventre del serpente, ossia il galoppante processo di fascistizzazione dell’Europa, che si sta compiendo sotto l’apparente involucro democratico. D’altronde, i coefficienti e gli ingredienti della fascistizzazione ci sono tutti: dissolta l’ URSS, nel mondo ormai c’è solo una potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, che accentuano sempre più il loro dominio; l’oggettiva debolezza della classe operaia, connessa alla disoccupazione e al precariato diffuso, smorza qualsiasi tentativo di opporsi ai disegni padronali (solo in Italia i lavoratori precari sono quasi tre milioni, senza contare il ‘continente sommerso’ del lavoro nero); la marginalità della sinistra; la mobilitazione reazionaria della piccola borghesia e del sottoproletariato. È cosa nota che, quando i lavoratori sono deboli nei luoghi di lavoro, è più facile l’affermarsi di un movimento/regime apertamente autoritario, la cui sostanza è simil-fascista, anche se non si fregia di svastiche e di gagliardetti. Il fascismo non è un incidente di percorso della storia, esauritosi con la fine di Hitler e Mussolini, né un semplice strumento delle classi dominanti, ma è un dèmone ìinsito nella natura stessa del capitalismo, e quando e dove ci sono le condizioni si ripresenta puntualmente. Diversamente, i colonnelli della Grecia del 1967, la dittatura di Videla nell’Argentina del 1972 e il Cile di Pinochet del 1973, oltre agli altri regimi sanguinari del Sudamerica di quegli anni, non ci hanno insegnato nulla. E nulla ci ha insegnato il colpo di Stato nazifascista avvenuto in Ucraina nel 2014. Lo Stato di diritto, la Costituzione e la stessa democrazia borghese non sono affatto irreversibili. Forze potenti lavorano per creare "le condizioni della guerra e del fascismo".
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Fabio
Tuesday, 17 July 2018 19:37
Eppure ciò che ho scritto è chiaramente leggibile .

In che senso non sarei entrato nel merito ? Ho scritto che [sposa il rossobrunismo ] “Chi reifica le cosiddette culture ragionando in termini di stirpi ed etnie ( “fusione di stirpi ed etnie fra loro diversissime” ) invece che ragionare in termini di persone , persone libere di emanciparsi in uguale dignità…” . Se vuoi ti posso dare una bibliografia a supporto .

Di Lenin ho scritto che lo arruoli a tua insaputa , nel senso che , tu non lo sai , ma lo stesso Lenin sosteneva sull’immigrazione le tesi di quella sinistra radicale che tu definisci “buonisti” complici del grande capitale .

Marx lo citi alla fine , facendo credere che le tue tesi siano in linea con le sue . Non è così . Le tue tesi sono in linea se mai con quelle di Alain De Benoist , ma sono opposte a quelle di Marx.
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Norberto
Tuesday, 17 July 2018 15:33
Sulle accuse gratuite di "rossobrunismo" (definizione oggigiorno alla moda: il conformismo cresce a sinistra come un'erbaccia) non spendo pensieri né tantomeno parole: sono soltanto un comodo escamotage per squalificare a priori l’avversario cui si mira senza manco prendersi la briga di contestarlo nel merito. In termini sportivi, si direbbero un colpo basso, e sono sovente accompagnate da un atteggiamento, questo sì, squadristico. Che poi io tiri in ballo nel mio articolo Marx e Lenin è semplicemente surreale (non ci sono... e comunque mai avrei dato del "buonista" a un polemista implacabile come Vladimir I. Uljanov, anche se a suo tempo qualche furbone lo accusò di liberalismo borghese!), ma sono abituato purtroppo a “lettori” che ricamano sui testi che scrivo, sempre opinabili, le loro audaci fantasie. In ultima analisi di certi vacui anatemi non mi importa un fico secco e li rispedisco volentieri ai mittenti.
Detto questo, ribadisco quanto affermato un'infinità di volte: le critiche (civili) sono sempre legittime e spesso utili. Ad es., accetto volentieri quelle del compagno Fabrizio Marchi (con cui ho un costante e fruttuoso dialogo), così come trovo stimolanti quelle - pacate, ma senz'altro robuste - di Mario Galati.
Può darsi che io abbia dato l'impressione (ed evidentemente l'ho data, visto che le letture di Galati e Marchi sono sovrapponibili sul punto: responsabilità mia, dunque) di un atteggiamento accondiscendente, possibilista, addirittura "aperturista" nei confronti della Lega. Provo a chiarire. Gli ex padani sono senz'altro una forza di destra, che "mette insieme" padroncini, medi padroni e operai a tutto vantaggio dei secondi (che non sono affatto, però, "grande borghesia"): l'opposizione sia pur sottotraccia alle - deboli - misure antiprecariato contenute nel c.d. Decreto Dignità e la proposta di flat tax, la cui introduzione avvantaggerebbe solo il ceto medio-alto, ne sono prove inconfutabili. Questo posizionamento può in effetti suggerire una similitudine con il fascismo, che blandì la piccola borghesia dell’epoca per irreggimentarla e consegnarla docile nelle mani del padronato (più grande e influente di quello che oggi si appoggia alla Lega).
Che poi il fascismo sia di matrice piccolo-borghese sin dalla sua fondazione non mi sogno di negarlo: basta esaminare la "carta d'identità" dei sansepolcristi, Mussolini in primis. Ho solamente detto che esso fa il salto di qualità quando trova sostenitori potenti e frustrati, ma in grado di orchestrare una controffensiva in grande stile. Una similitudine con la Lega ci può stare, poiché anch’essa è germinata in ambiente piccolo-borghese, ma io noto soprattutto differenze, quelle che ho provato a indicare nell’articolo.
Non mi convince invece la presunta affinità sul tema “razzismo”: il fascismo dimostra il suo sciovinismo autentico e feroce sin dagli esordi (ad es. ai danni egli sloveni della Venezia Giulia, espressamente considerati “inferiori” e spogliati di ogni diritto, persino quello ad esprimersi nella propria lingua), mentre il “razzismo” esibito dalla Lega si limita a qualche dichiarazione “ruspante” - ma risalente all’epoca Bossi - di gente come Boso, Borghezio ecc. Va detto che negli anni ’20 essere razzisti andava di moda anche fra gli intellettuali, oggi per fortuna non più. Che Salvini sia un razzista è un assioma, per il momento non provato dai fatti: la mia impressione è che certe rodomontate siano espedienti per guadagnare ulteriore consenso, cioè marketing politico (sia pure criticabile nei contenuti), non espressione di malvagità e/o disprezzo per i “diversi”. La Lega va quindi avversata, senza però dimenticare il ruolo nefasto impersonato negli ultimi decenni da certi partiti "rispettabili" (la destra economica che va da FI al PD) che oggi l'attaccano in nome di buoni sentimenti e virtù mai praticati, e che non sono in alcun modo migliori dei salviniani (anzi!). Sono troppo morbido? Può darsi, e confesso di non condividere certi allarmismi estremi: ovviamente può darsi che mi sbagli (Fabrizio ne è convinto, ne abbiamo discusso), sarà il futuro a fare chiarezza. I miei distinguo sul fascismo nascono comunque da un'esigenza concreta: quella di contrastare la comodissima (v. sopra) via di fuga dalla realtà consistente nella creazione di un nemico mortale (il famoso "male assoluto") contro cui rivolgere le proprie armi spuntate. Non la ritengo, attenzione, un peccato veniale: rinunciare ad affrontare il Capitale per scegliersi come avversario l'ombra della sua manovalanza (perché questo il fascismo in fondo è stato) significa, consciamente o meno, fare il gioco del primo. I polli di Renzo si beccano vivacemente in piazza, ma poco vantaggio ne traggono: entrambi finiranno in pentola.
Non credo, infine, che gli italiani siano diventati "razzisti", reazionari ecc.: si avverte paura dell'altro, fastidio, esasperazione, disagio (la crisi non è arrivata invano)... non senso di superiorità. Il senso di superiorità verso la “plebe” lo scorgo semmai in certi settori di una sinistra ormai autoreferenziale, che mette all’indice chiunque non inneggi al c.d. "meticciato" (certe reazioni alla vittoria sportiva della Francia sono semplicemente grottesche: razzismo all'incontrario) o si ostini a difendere le identità culturali e locali come forme di possibile resistenza alla mercificazione/omologazione totale (io lo faccio con convinzione, e ovviamente continuerò a farlo - e se a qualcuno non sta bene, la cosa mi lascia indifferente).
Ma anche questa è una mia percezione, soggettiva come ogni altra: a differenza di quelle dei dogmatici e dei bigotti le mie tasche sono vuote di rassicuranti certezze assolute.
PS: se il meticciato piace tanto all'èlite sovranazionale e ai suoi propagandisti qualche dubbio sulla bontà della ricetta dovrebbe venire: non vorrei che "nemico del mio nemico" e perciò amico venisse considerato - da compagni anche in buona fede - il manierato Capitale, che un mondo alla Bladerunner di schiavi sradicati lo desidera, ma non certo per sentimentalismo e spirito umanitario.
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Fabrizio Marchi
Sunday, 15 July 2018 23:38
Pur ribadendo la mia criticità nei confronti dell’articolo che abbiamo comunque scelto di pubblicare, non riesco francamente a capire dove sarebbero stati tirati per la giacca Lenin e Marx nell’ambito dell’articolo, il primo per inserirlo nella cerchia dei “buonisti di sinistra” (effettivamente, per ciò che mi riguarda, omogenei se non organici al capitale, a meno di non pensare che il PD, Gentiloni, Boldrini e compagnia cantando siano qualcosa di diverso, e in tal caso sono io che chiedo a te di spiegarmi perché e come sarebbero altro…) e il secondo per inserirlo forzosamente nella schiera dei “sovranisti”.
Queste sono cose che ti stai inventando tu per polemizzare a tutti i costi e rafforzare il concetto in base al quale l’autore dell’articolo sarebbe un “rossobruno” (cioè un fascista) e forse anche il giornale che ha scelto di ospitare l’articolo (che, ripeto, è scritto da un dirigente di Risorgimento Socialista che a sua volta è parte integrante di Potere al Popolo). Dopo di che citi Fusaro (che non mi è simpatico neanche un po’…) che dice le stesse cose di Salvini il quale dice le stesse cose (secondo te…) che dice anche Norberto Fragiacomo, cioè l’autore dell’articolo. Et voilà, il sillogismo è fatto. La logica ci dice che Fragiacomo non può che essere un fascista...
Trovo questo modo di procedere decisamente penoso, devo essere sincero, sotto ogni punto di vista, politico e anche umano. Però mi rendo conto che il piacere sottile (e neanche tanto) della scomunica, è una pratica a cui a “sinistra” non si resiste.
L’accusa di “rossobrunismo” è ormai una sorta di spada di Damocle che incombe su chiunque osi (che abbia torto o ragione poco importa) affrontare temi considerati tabù nel microcosmo sempre più micro della “sinistra antagonista”. Anche se, per la verità, tale forma di scomunica è comune sia alla “sinistra” che si definisce antagonista che a quella liberal o radical (molto chic).
Non condivido diversi aspetti dell’articolo di Fragiacomo ma credo che sia comunque un contributo utile alla riflessione (per questo ho scelto di pubblicarlo) e in ogni caso trovo a dir poco stucchevole (oltre che grave) accusarlo di “rossobrunismo”.
P.S. per la cronaca, su questo sito, sono stati pubblicati moltissimi articoli di Fusaro così come di tantissimi altri che, secondo il tuo modo di vedere, non possono che essere considerati come “rosobruni”. E’ un’accusa così scontata ormai, inventatevene un’altra, così, tanto per cambiare, un po’ di fantasia…
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Fabio
Sunday, 15 July 2018 22:53
Chi reifica le cosiddette culture ragionando in termini di stirpi ed etnie ( “fusione di stirpi ed etnie fra loro diversissime” ) invece che ragionare in termini di persone , persone libere di emanciparsi in uguale dignità ; oppure chi descrive i “buonisti” di sinistra come complici del grande capitale ( arruolando , a sua insaputa , tra questi buonisti complici anche Lenin - cfr Lenin Il capitalismo e l’immigrazione operaia , 1913 ) ; oppure chi storpia brutalmente Marx facendolo passare come una specie di sovranista “politicamente scorretto” etc etc etc .. Dicevo , chi ragiona così ha certamente il diritto di farlo , ca va sans dire . Ma non è che “strizza l'occhio al rossobrunismo” ( come è stato detto in un commento precedente ) : lo sposa proprio .
Le tesi sui migranti di Fragiacomo sono simili a quelle di Fusaro . Quelle di Fusaro sono le stesse usate e divulgate da Salvini o CasaPound . Come si chiude il sillogismo aristotelico mi sembra evidente .
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Fabrizio Marchi
Sunday, 15 July 2018 20:36
Quando parlavo nel precedente commento di "interpretazione politicamente non corretta della Lega" volevo ovviamente intendere che la sua analisi della Lega è errata...
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Fabrizio Marchi
Sunday, 15 July 2018 20:27
Condivido in buona parte le critiche di Mario Galati all’articolo dell’amico e compagno Norberto Fragiacomo della direzione di Risorgimento Socialista (che, peraltro, fa tuttora parte di Potere al Popolo), e infatti abbiamo scelto di pubblicare il suo articolo specificando che non condividevamo alcuni passaggi. Fra questi –come ho avuto modo di dirgli personalmente – proprio un giudizio a mio parere troppo morbido e anche una interpretazione politicamente non corretta della Lega e della sua natura di forza squisitamente reazionaria.
Naturalmente, se lo riterrà opportuno, sarà l’autore stesso dell’articolo a rispondere nel merito, tuttavia trovo sconcertante questa pratica ormai da tempo in voga di bollare in modo sprezzante come “rossobruni” quei compagni che esprimono un parere diverso su alcuni temi elevati a veri e propri tabù. Mi riferisco, in questo caso, al commento di “Mor” che peraltro sostiene ipocritamente di essere contro ogni forma di censura ma contestualmente si chiede come mai un articolo che lui stesso ha decretato essere “rossobruno” (cioè fascista o giù di lì) possa essere pubblicato su un sito come Sinistra in Rete, implicitamente invitando a non pubblicare tali articoli, e quindi alla censura.
L’autoreferenzialità, il dogmatismo, la supponenza, l’arroganza, la chiusura mentale sono purtroppo dominanti in tutto il micro arcipelago della sinistra cosiddetta antagonista e, quel che è peggio, comunista. Mi stupisco che non si capisca che proprio questi atteggiamenti hanno provocato dei danni incalcolabili alla Sinistra e al fu Movimento Operaio.
Mi permetto, dunque, di invitare i compagni di Sinistra in Rete a non prestare attenzione a simili commenti e a continuare nel prezioso lavoro che stanno svolgendo, offrendo la possibilità di un confronto e di una elaborazione politica a tutto campo, senza steccati di nessun genere.
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Mor
Sunday, 15 July 2018 13:36
Premettendo che sono ovviamente contro la censura tranne nei casi in cui si propaganda , anche sottilmente , il razzismo ( razzismo che oggi si chiama identitarismo : perché nessuno oggi , nemmeno Hitler , potrebbe rivendicare la parola squalificata , dalla scienza e dalla storia , "razza" ; ma la sostituiscono con identità di gruppo ) .. ecco , premettendo questo , noto che trovo quantomeno beffardo venire su un sito che si chiama sinistrainrete e leggervi spesso le tesi e gli argomenti che strizzano l'occhio al rossobrunismo ( anche se espressi più finemente ) ..

E' chiaro che il fascismo storico ha avuto le sue caratteristiche irripetibili come qualsiasi altro movimento politico storico . Sarebbe quindi più corretto , verso i movimenti politici à la Salvini o LePen , parlare di neofascismo o postfascismo , come fa Enzo Traverso , nel suo recente "I nuovi volti del Fascismo" . La caratteristica principale che li accomuna è appunto l'ideologia dell'identitarimo nazionale , il nuovo nome che ha preso il razzismo nazionalista del fascismo storico .
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Vecchia_talpa
Saturday, 14 July 2018 12:25
Dunqie appoggiare il m5s come male minore per evitare il peggio di cui sono alleati? Sempre la solita logica piccolo boghese democristiana? No grazie
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Mario Galati
Saturday, 14 July 2018 11:39
Il fascismo non è stato solo un movimento politico al quale poi "aderì" la piccola borghesia, ma un fenomeno tipicamente piccolo borghese favorito, utilizzato e diretto dagli agrari, inizialmente, e dagli industriali. Esso nasceva pure dalle paure e insoddisfazioni della sua base sociale, dando una risposta reazionaria. Le analogie con il leghismo e la sua base sociale sono evidenti. Che poi non si debba utilizzare impropriamente la categoria (storica) "fascismo" per ogni fenomeno reazionario è condivisibile.
Che a questi movimenti reazionari nati in seno alla piccola borghesia e con la benevolenza (anche se appare il contrario) della grande borghesia (almeno di una sua frazione) aderiscano operai e proletari disagiati o timorosi per le prospettive, privi di riferimento alternativi, non ne cambia la natura. Inoltre, trovo esagerata la stima della componente operaia e proletaria aderente al leghismo. Anni fa leggevo di statistiche che smentivano il luogo comune della lega "operaia". Oggi il capro espiatorio distraente dell'immigrazione sta raccogliendo consensi "popolari". Ma quali strati sociali effettivi rappresentano questo "popolo"? E chi tollera o contribuisce a diffondere l'informazione che impone l'immigrazione come "priorità"? Questa ostilità contro gli immigrati, la costruzione del falso obiettivo, del capro espiatorio, nasce in seno alla piccola borghesia; è una caratteristica espressione del perbenismo piccolo borghese e della sua ideologia che tende a giustificare il sistema capitalistico e a difenderlo, offrendo una falsa causa dei problemi che genera. In questo modo neutralizza il potenziale antagonismo proletario, coinvolgendolo nella costruzione comunitaria-corporativa che esclude e sfrutta gli atti popoli (è questa la funzione e l'origine del razzismo).
Trovo del tutti fuori luogo l'indulgenza verso le pulsioni reazionarie e razziste (più che striscianti) del "popolo" che "non ce la fa". E del tutto fuori luogo è la sottovalutazione del metamessaggio (neppure tanto "meta") di slogan come "prima gli italiani". Oltretutto, slogan proveniente da veri e propri sacchi di letame che qualche anno fa scandivano "prima il nord", "forza Vesuvio" e "via i terroni". Oggi, molti cialtroni meridionali, dimentichi degli insulti subiti da questi sacchi di letame, aderiscono alla Lega e ammirano il loro molto capiente leader "nazionale". È evidente ciò che scrive Stefano Azzará sul tentativo di costruzione di un nuovo recinto della comunità degli inclusi (bianca e occidentale), herrenvolk, a fronte degli inferiori ed esclusi. Se non comprendiamo e sottovalutiamo, ponendo l'accento su questioni economiche immediate, corporative, assecondiamo certe spinte e questa operazione riuscirà.
Nel "prima gli italiani", il carattere "difensivo" di strati disagiati (ma creato e alimentato ad arte dalla piccola borghesia) ha una inequivocabile direzione reazionaria. Non si può non assumere una chiara posizione su questo.
Se è giustissimo criticare la "sinistra" del dirittumanismo liberal-imperialista, non è ammissibile questo preteso atteggiamento incalzante ma "bonario" verso un governo "contraddittorio, ma pur sempre espressione di un sentimento popolare di cambiamento". Anche il fascismo storico avanzava pretese "popolari" e "antiplutocratiche" (addirittura anticapitalistiche). Lo stesso nazismo si definiva nazional-socialista e operaio.
Non è lecito stabilire identità tra i fenomeni del passato e quelli attuali, ma analogie e tendenze sociali sì.
P.S. Se il M5S non si può liquidare sbrigativamente come parte dell'estrema destra, si può, però, e si deve, qualificare come movimento piccolo borghese, parte del movimento reazionario in atto.
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