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linterferenza

La guerra civile è già cominciata?

di Riccardo Paccosi

Il "pericolo fascismo" rappresentato dai populisti, il ""perisolo fascismo" rappresentato dai liberal: un'analisi comparativa. Premessa: la "guerra civile", almeno nei presupposti, è già cominciata

mort soldat republicain capaAvverto un clima ch’è ormai di degenerazione assoluta e, dunque, scrivo qualche ultima riga prima di prendermi un’ossigenante pausa dall’ambito mefitico e velenoso del dibattito politico. La polarizzazione ideologica tra sinistra liberal e blocco populista, sta infatti assumendo connotazioni che – in termini di logica di fondo – sono già oggi, a tutti gli effetti, di guerra civile.

Agli albori della Seconda Repubblica, qualcuno notò la situazione di degenerazione costituzionale e democratica venutasi a creare. Una degenerazione ch’era dovuta a ragioni culturali, nonché alle nefaste “riforme” in senso bipolarista delle istituzioni.

Quando nel 1994 si delinearono le due polarità dell’arco politico-istituzionale, infatti, ci trovammo dinanzi a un centrodestra che paventava il “pericolo comunista” e a un centrosinistra che paventava l’avvento d’una “destra golpista”.

A differenza di tutti gli altri paesi d’Europa, dunque, la distruzione per via giudiziaria dei partiti costituenti del Dopoguerra aveva creato, in Italia, una situazione ove il mutuo riconoscimento democratico tra le forze politico-parlamentari veniva improvvisamente a mancare. In ragione di questo clima da “guerra civile strisciante”, da allora, l’Italia divenne il paese europeo più somigliante, sul piano della polarizzazione politica interna, agli Stati Uniti d’America.

Oggi, conclusa l’esperienza della Seconda Repubblica e avviatasi una fase di transizione che ancora non lascia intravedere i contorni della Terza, assistiamo a una fase di degenerazione ulteriore. In questo nuovo ciclo storico, il mutuo riconoscimento democratico è allo zero assoluto e l’odio conseguente fra le due polarità in cui è suddivisa l’opinione pubblica ha ampiamente sopravanzato, in intensità, quello del ventennio berlusconiano.

Chi rifiuta di schierarsi con una delle due polarità, subisce coercizione e imposizione. A seconda delle opinioni ch’egli esprime e della loro maggiore o minore oscillazione in favore di una parte o di un’altra, la persona ch’è recalcitrante a schierarsi viene iscritta dagli altri frequentatori di social network – con la forza, con la menzogna, con lucida e deliberata violenza – all’interno di uno dei due schieramenti. A questo tipo di imposizione e di “arruolamento forzato” non ci si può ribellare, non si può controbattere, non si può sfuggire.

Dal momento che, come risulta evidente, siamo al cospetto di una fase storica ove la disonestà intellettuale e la diffamazione risultano essere i termini quotidiani e usuali del dibattito politico, anche questo mio intervento – quantunque analitico nelle intenzioni – subirà probabilmente la medesima sorte. A quelle pochissime persone che – d’accordo o in disaccordo con le mie idee – attribuiscono valore prioritario al concetto di AUTONOMIA, è dunque e unicamente rivolto questo scritto.

 

Il tema immigrazione, ovvero una bolla speculativa che focalizza
illegittimamente l'attenzione di tutti e acuisce il fanatismo

Analizzato il contesto di partenza, vorrei qui soffermarmi su una locuzione ricorrente, vale a dire il “pericolo fascismo” in cui starebbero transitando le democrazie occidentali e l’Italia in particolar modo.

Per “fascismo”, oggi, quasi nessuno intende la rinascita del sistema autarchico-totalitario del Ventennio e, tantomeno, la conquista della maggioranza parlamentare da parte delle piccole formazioni neofasciste oggi esistenti.

In genere, per “ritorno del fascismo”, s’intende invece un processo riformatore avviato da formazioni anche prive di afferenza storico-culturale al fascismo, nonché culturalmente supportato dall’opinione pubblica. Un processo che, progressivamente, imprimerebbe alla struttura istituzionale una sequenza di torsioni autoritarie volte, alla fine, a desostanziare e svuotare la democrazia pur mantenendone parzialmente intatto l’impianto formale e rituale.

Orbene, io sono decisamente convinto del fatto che un “pericolo fascismo” sussista. Ma la sua collocazione e la sua articolazione, ritengo siano molto più complesse di quanto enunciato e gridato dai cosiddetti “antifascisti” odierni.

Nell’esposizione per punti che segue, deliberatamente, toccherò il tema dell’immigrazione soltanto di sfuggita.

Come già altri argomenti accentranti nei decenni passati – per esempio “l’onestà” – il tema dell’immigrazione s’impone onnipervasivamente e mendacemente sull’agenda politica, cancellando ogni traccia di analisi e riflessione inerenti all’economia politica e alla struttura sociale.

A questo risultato, ritengo abbiano contribuito due concause:

1) La concezione del Ministro dell’Interno Matteo Salvini secondo cui al governare deve corrispondere una comunicazione da “campagna elettorale permanente”. Il predecessore di Salvini, Marco Minniti, aveva fatto diminuire gli sbarchi di africani in Italia del 70% nell’arco di due anni ma ora, per l’opinione pubblica e i media, il fatto che Salvini persegua il medesimo obiettivo è visto come un fatto “nuovo”. Questa dispercezione, ebbene, potrebbe essere parzialmente giustificata proprio dal comportamento di Salvini che – infarcendo la sua azione di governo con frasi rivolte alla stigmatizzazione di intere etnie come nel caso dei Rom – ammicca alla parte più intollerante del proprio elettorato, semplifica e spettaccolarizza i temi in agenda, persegue un evidente intento di acutizzare la polarizzazione dell’opinione pubblica in ragione d’un possibile e conseguente vantaggio elettorale.

2) L’opinione pubblica liberal (cioè l’area politica neo-liberale e filo-americana che ha ereditato il nome “sinistra” dalle formazioni marxiste del Novecento), d’altro canto, reagisce alle spettacolarizzazioni leghiste con isteria, esprimendo una deriva contrassegnata da razzismo sociale. Disprezzo e odio crescenti, infatti, vengono riservati non solo a Salvini, ma anche al suo elettorato.

L’area liberal, del resto, aveva decantato per decenni un’idea di determinismo storico secondo la quale la globalizzazione e i suoi fenomeni correlati altro non erano che percorsi predefiniti e ineluttabili della Storia. Schiantatasi tale idea – come già accaduto a prcedenti determinismi – contro l’irriducibile complessità del reale, la reazione della “sinistra” è stata all’insegna dell’integralismo e del suprematismo. Abbiamo cioè visto, in questi giorni, il grottesco spettacolo di un’area che si assume un ruolo di supremazia morale e che include, nella definizione di “razzismo”, tutti coloro che non ne condividono le posizioni. Oggi, chi semplicemente si dichiara a favore di una regolazione e d’una misurazione dei flussi migratori, viene additato come razzista dai liberal giacché, per questi ultimi, il deregolazionismo rappresenta l’unica prospettiva auspicabile e concepibile; rispetto a essa, quindi, essi respingono qualsivoglia tentativo di mediazione.

Dunque, occorre sottrarsi a questo imbarbarimento del pensiero sia perché i termini della discussione sono ormai completamente falsati dalla spettacolarizzazione leghista e dal fanatismo liberal, sia perché è anche arrivato il momento di denunciare il tema-immigrazione come BOLLA SPECULATIVA propria dell’infosfera. L’immigrazione ha certamente implicazioni sociali e antropologico-culturali d’immensa portata, ma che sia il principale o addirittura l’unico problema di questa fase storica, è palesemente falso. Occorre cominciare, quindi, col ridimensionare il tema e tentare di focalizzare l’attenzione sull’ambito decisamente più vasto del passaggio di fase.

 

Il "pericolo fascismo", osservando la costellazione populista

Vi è, in Italia, un “pericolo fascismo” determinato dall’attuale governo Lega-M5S?

Prima di rispondere, elenco quelli che sono, a mio avviso, i rischi per la tenuta democratica che il governo giallo-verde sta materializzando:

1) La già citata tendenza di Salvini a spettacolarizzare e acutizzare la polarizzazione, ha disvelato la malafede esistente al vertice dei governi europei: l’opinione pubblica italiana, cioè, grazie alla polemica fra Salvini e le ONG ha in qualche modo “scoperto” che le politiche inerenti ai flussi migratori di paesi come la Francia o la Spagna erano, da anni, enormemente più restrittive di quelle italiane. Malgrado questo disvelamento di un’ipocrisia “al vertice” delll’Europa federale, se continuerà la retorica generalizzante di Salvini contro Rom e altre categorie collettive, si porrà il serio rischio che l’attenzione dell’opinione pubblica si focalizzi esclusivamente verso il basso, ovvero verso il fenomeno sociale e a tutto vantaggio delle ragioni padronali di speculazione e sfruttamento che sono, invece, autentica causa e origine delle politiche deregolazioniste egli ultimi anni. Volgere l’ostilità sociale verso il basso, verso capri espitatori anziché verso i diretti responsabili è, da sempre, ciò che fanno le destre.

2) Le proposte politiche della Lega sul terreno della giustizia e del sistema penale, volgono tutte verso una torsione giustizialista e securitaria dell’esistente: diffusione di armi, riduzione degli sconti di pena, depenalizzazione del reato di tortura per la polizia e così via. Nessuno, assolutamente nessuno, fra gli operai e i disoccupati che hanno votato per Salvini, trarrà il minimo vantaggio concreto da queste misure.

Così come la sinistra propone un osceno “scambio” secondo cui i diritti civili individuali varrebbero come sostituto dei diritti sociali, la destra propone uno “scambio” non meno irricevibile: quello per cui l’insicurezza sociale ed economica viene compensata emotivamente – ma non certo materialmente – da misure securitarie in tema di ordine pubblico.

3) Le proposte del M5S volgono, come sempre, a sottrarre potere e indipendenza ai rappresentanti del popolo e verso una progressiva privatizzazione della politica.

Con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, il preesistente assoggettamento di questi ultimi alle èlite economiche si è trasformato in vera e propria dipendenza, facendo sì che oggi l’Italia muova, a grandi passi, verso l’edificazione d’un sistema lobbystico di tipo americano, ove solo chi dispone di enormi capitali può influire sulle decisioni della classe politica.

A tutto questo, si aggiunge poi l’impatto del concetto di democrazia diretta: concetto che ripugna il principio della rappresentanza collettiva e concepisce il cittadino esclusivamente come singolo individuo, solo dinanzi allo Stato. La realtà storica e la storia del movimento operaio, invece, ci hanno insegnato come solo la rappresentanza collettiva e come solo gli strumenti organizzati della mediazione – sindacati e partiti di massa – siano stati in grado, almeno in parte, di attribuire alle masse popolari un qualche tipo di potere contrattuale, ovvero un effettivo ancorché relativo potere politico.

I pericoli che ho elencato, dunque, coincidono con un “pericolo fascismo”?

In una certa misura, potremmo definire fascisteggiante, nelle forme e nella scelta delle parole, l’utilizzo spettacolare del tema-immigrazione che viene svolto da Salvini.

Ma le assai più gravi e materialmente impattanti linee d’indirizzo descritte ai punti successivi, risultano inquietanti non certo perché riferibili al fascismo: il motivo della pericolosità inscritta in quelle istanze leghiste e grilline che ho sopra descritto, consta invece del fatto ch’esse afferiscono alla destra repubblicana degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda il punto sullo smembramento della rappresentanza collettiva che ho imputato al M5S, oltretutto, va detto che gli ammiccamenti alla atomizzata “democrazia telematica” sono fortemente presenti anche nel centrosinistra (vedi intervento di Mario Monti, nel 2012, volto ad auspicare la trasformazione della democrazia in un sistema di sondaggi “just in time”).

Dunque, siamo di fronte a prospettive che mettono a rischio la democrazia, ma che o non sono specificità intrinseche del governo giallo-verde oppure rispetto a esse non emerge motivo di considerarle irreversibili (tutte le posizioni leghiste di tipo giustizialista-securitario, infatti, sono reversibili).

Dunque, di aspetti post-democratici nel governo Lega-M5S ne sussistono certamente, ma la qualifica di “pericolo fascismo” risulta, per essi, tecnicamente impropria.

 

Il "pericolo fascismo", osservando la costellazione liberal

Veniamo alla componente liberal dell’attuale polarizzazione: esistono, all’interno di essa, istanze riconducibili al concetto di “pericolo fascismo”?

Procediamo con ordine e vediamo un po’.

1) Dal punto di vista del rapporto capitale-lavoro e del welfare state, il centrosinistra non soltanto è stato artefice dei tagli di decine di miliardi alla sanità e all’istruzione, della ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro ma ha espresso, anche, una cultura politica volta a demolire il relativo potere politico e d’interdizione conquistato dalla classe lavoratrice nel secolo scorso. Oltre all’eliminazione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori con conseguente impossibilità di opporsi ai licenziamenti, abbiamo sentito ripetutamente, in molteplici occasioni, Matteo Renzi enunciare la necessità di contrarre il diritto di sciopero. Egli veniva supportato, in questa ripetizione, dagli esponenti più estremisticamente neoliberisti del suo inner circle: ad esempio Davide Serra e Oscar Farinetti.

Dunque, la sinistra liberal esprime oggi una prospettiva politica volta all’abolizione di quel poco di potere politico che la classe lavoratrice dell’Europa occidentale aveva conquistato nel secolo scorso.

Proprio come il fascismo che, nel 1926, abolì il diritto di sciopero.

2) Non sapendo come reagire alla perdita di consenso presso le masse popolari, la sinistra liberal sta marciando a passo spedito verso una prospettiva negante il principio costituzionale di sovranità popolare (vedi Eugenio Scalfari in vari editoriali, a partire dal 2016 sino a oggi) e, soprattutto, volta all’abolizione del suffragio universale.

Teorici liberal americani come il politologo Jason Brennan e la economista Dambisa Moyo, sostengono apertamente che, al fine di evitare che le masse popolari votino “in modo sbagliato” e cioè per le formazioni populiste, è necessario delimitare il diritto di voto ai cittadini più informati. In tal modo, i liberal potranno tornare a vincere e, lasciando il diritto ai più istruiti, secondo questi teorici vi sarà sì discriminazione di classe, ma non di etnia od orientamento sessuale.

Queste tesi, in Italia, sono ben lungi dall’essere inascoltate. Brennan, per esempio, ha ottenuto per l’edizione italiana del suo libro “Contro la democrazia” la prestigiosa introduzione dell’influente membro della Corte Costituzionale Sabino Cassese. D’altro canto, ciascuno è libero d’interrogare, in qualsiasi momento, un campione di propri amici di orientamento liberal: come nel mio caso, egli forse scoprirà quanto sia consistente e crescente il numero di coloro che si dichiarano concordi con l’idea di abolire l’universalità del suffragio.

Proprio come il fascismo che, nel 1934, ridusse di circa tre milioni gli aventi diritto al voto e istituì il sistema elettorale plebiscitario.

3) La sinistra, fino a quindici anni fa, scendeva in piazza contro le guerre di aggressione volute dagli Stati Uniti ai danni di altri paesi. Ciò avveniva per difendere il principio del diritto internazionale, dunque anche in casi – come l’Iraq nel 2003 – in cui gli Stati aggrediti erano retti da dittature.

Quando nel 2011 la Nato muove una guerra di aggressione contro la Libia sulla base d’un pretesto poi rivelatosi una fake news (fonte: Limes e Repubblica in vari articoli del 2011), tutta la sinistra si schiera dalla parte degli aggressori e dalla parte del diritto, da parte degli Stati Uniti, di bombardare quei paesi che essi considerano dittature.

Nel 2014, scoppia la guerra civile ucraina, fomentata e finanziata dagli Stati Uniti (fonte: il Segretario di Stato John Kerry in un’intervista del 2016). Le formazioni politiche e l’opinione pubblica della sinistra si schierano, compattamente, a favore dell’insurrezione filo-Nato e contro la Russia. Il fatto che le piazze ucraine siano egemonizzate da formazioni apertamente neonaziste come Svoboda e Pravy Sektor, non costituisce per gli esponenti della sinistra – quella stessa sinistra che accusa oggi di “rossobrunismo” gli avversari – alcun motivo d’imbarazzo.

Sempre nel 2014, si accende la crisi siriana. Anche in questo caso il fatto avviene per decisione statunitense: gli americani decidono di finanziare e armare le formazioni del terrorismo islamico per destabilizzare il paese e farne cadere il governo (fonte: documento ufficiale e secretato del Pentagono, fatto diffondere nel 2015 da alcuni senatori repubblicani). Anche stavolta, tutta la sinistra – dal PD sino a parte dei centri sociali – si schiera a favore dell’aggressione Nato.

Nel corso della crisi siriana, le fake news di propaganda imbastite dagli apparati militari americani, vengono divulgate pedissequamente da quotidiani e telegiornali, senza che venga mai svolta una sola verifica preliminare. Tutto questo raggiunge il suo punto apicale nel marzo 2018, con l’accusa al regime di Assad di fare uso di armi chimiche contro la popolazione civile. L’opinone pubblica di sinistra chiede e invoca i bombardamenti Nato sulla Siria e questi, un mese dopo, si verificano pur riducendosi, fortunatamente, ad azione dimostrativa.

Negli Stati Uniti, gli oppositori liberal alla Presidenza di Donald Trump enunciano a chiare lettere la volontà di arrivare a un confronto militare diretto tra Nato e Russia.

Dunque, la sinistra liberal esprime un’idea delle relazioni internazionali fondata sul principio di sopraffazione del più forte e sulla guerra.

Proprio come il fascismo, il cui Duce enunciava, nel 1933: “Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla”.

 

Conclusioni: verso l'autocensura?

A conclusione di questo intervento, non saprei dire se e per quanto tempo potrò continuare a svolgere attività di analisi politica sui social network o altre iniziative pubbliche.

Un articolo come quello che avete appena letto – quantunque esprimente memoria storica antifascista, quantunque duramente critico su alcune parti dell’agenda di governo Lega-M5S – verrà sicuramente accolto da alcuni liberal come “fascista” o “complice del fascismo” perché contrario ai loro dogmi e perché osteggiante il loro fanatismo.

Utilizzando lo strumento della menzogna, della pubblica gogna e della diffamazione, i liberal potrebbero benissimo scatenare una campagna contro il sottoscritto come, del resto, stanno già facendo con altre figure critiche più note di me.

Alcuni, ebbene, possono reggere un attacco di questo tipo. Altri che magari, come nel mio caso, hanno una condizione professionale collegata a relazioni diplomatico-istituzionali molto flebili, potrebbero benissimo subìre conseguenze negative sul lavoro e, quindi, essere costretti con la forza a desistere dal continuare a esprimere opinioni.

Vada come vada, ho spiegato come il nemico di classe – e della sfera umana complessivamente intesa – sia oggi in primo luogo la costellazione liberal, in quanto espressione diretta e pedissequa dell’ideologia liberista-globalista.

Le formazioni politiche populiste, invece, rappresentano una necessità storica dovuta al fallimento dell’ideologia liberista-globalista. Questo, però, non significa ch’esse siano la risposta adeguata ai fini di una reale inversione di tendenza. Di più: quando le formazioni populiste dimostrano – come negli esempi da me elencati più sopra – piena continuità con quei paradigmi neoliberali che ci hanno condotto al disastro, esse vanno finanche avversate e contrastate.

La speranza è che, dopo questa fase di contrapposizione fra globalismo e sovranismo che ha visto, almeno sul piano teorico, la vittoria del secondo o, per meglio dire ancora, la perdita di egemonia del globalismo sulla società, nel prossimo futuro l’asse della discussione dovrà spostarsi. La speranza è ch’esso si sposti verso una dicotomia più pertinente all’economia politica, ovvero verso l’assai più puntuale contrapposizione fra liberismo e socialismo.

Fino ad allora, manteniamo una posizione autonoma. Facciamo ritirate strategiche quando c’è il rischio di essere bruciati vivi. Teniamo aperta la prospettiva della ragione, della mediazione, della contraddizione.

Comments

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Fabrizio Marchi
Sunday, 05 August 2018 15:41
@Mario Galati, Caro Mario, dire che non c’è alcuna possibilità di allacciare il benchè minimo rapporto dialogico e politico con tali masse (quelle che oggi votano il M5S o la Lega), cioè la grande maggioranza dei ceti popolari, mi pare francamente un atteggiamento politicamente improponibile. Si tratta della nostra gente, non di marziani, e io penso che è con questa gente che si debba fare politica, non con un ipotetico o fantomatico proletariato che è (purtroppo) ormai solo nella nostra testa…
La verità è che oggi il “proletariato” è quel popolo lì, quello che fa discorsi rozzi, grossolani, spesso reazionari, a volte xenofobi o razzisti, che ha interiorizzato le narrazioni ideologiche dominanti, siano esse di destra o di “sinistra”, quello che ha interiorizzato il capitalismo come condizione imprescindibile dell’esistenza, quello che riempie i centri commerciali la domenica, che va allo stadio ad osannare miliardari e poi se la prende con gli immigrati…
E’ quella oggi la “classe”, cari compagni, non altro. Ed è con quella che, obtorto collo, bisogna fare i conti ed entrare in relazione. Come e in che modo non lo so, non ho la sfera magica ma non credo neanche che i comunisti possano optare per la ritirata strategica. Si tratta di fare un lavoro paziente, tenace, sul lungo e lunghissimo periodo e insinuarci tra le pieghe, tra le contraddizioni che inevitabilmente si creano e si creeranno. Ma non possiamo assolutamente abbandonare la questione del rapporto con la maggioranza delle masse popolari e di come faticosamente costruirlo. So che è di una difficoltà immane ma sarebbe un errore catastrofico non farlo. Insomma, qualcuno diceva che i comunisti devono stare tra le masse come i pesci nuotano nell’acqua. Penso che quel “qualcuno” avesse perfettamente ragione.
E’ un’impresa di una difficoltà incredibile quella che abbiamo di fronte ma non ci sono alternative né scorciatoie.
P.S. ringrazio tutti per il ricco scambio di opinioni. Questo sito (Sinistra in Rete) svolge un ruolo molto importante che apprezzo molto
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Mario Galati
Sunday, 05 August 2018 15:06
Non intendevo affatto dire che Fabrizio Marchi ha parlato di atteggiamenti indulgenti o subalterni da praticare. Soltanto che la ricerca di un rapporto e di un interlocuzione con questi settori implica un qualche riconoscimento delle loro ragioni, che non sia solo limitato al loro disagio sociale. E dunque, implica il rischio di assumere questi atteggiamenti. Direi che Eros Barone ha ragione quando dice che, allo stato, non esiste nessuna possibilità di rapporto con tali masse. Una fase di incomprensione e di scontro mi sembra inevitabile. La fase del dialogo potrà instaurarsi in seguito, sulla base di posizioni nette e definite.
Ma, naturalmente, se fosse possibile la tattica di Marchi, non avrei nulla in contrario.
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Eros Barone
Saturday, 04 August 2018 20:27
Forse non sono stato sufficientemente chiaro se Fabrizio ha capito che io definissi 'tout court' il M5S come un "partito fascista". Citando Zeev Sterneel io ho inteso richiamare il quadro generale della fascistizzazione delle istituzioni e della società, che si sta realizzando nel nostro paese, e in questo senso ho naturalmente sottolineato le interconnessioni sempre più strette che collegano fra di loro le forze motrici di questo processo. Ma se il M5S si è alleato ad un partito di estrema destra, razzista e criptofascista, come la Lega, questo qualcosa vorrà dire o no? Se i suoi capi non proferiscono verbo quando il leader 'all testosterone' - vero 'dominus' di questo governo di estrema destra - fa dichiarazioni su questo e su quello in stile mussoliniano o addirittura citando il "duce", questo qualcosa vorrà dire o no? Se la catena di episodi di razzismo più o meno esplicito che si sta srotolando nel Bel Paese (vi è infatti una cultura di destra che è radicata innanzitutto a livello antropologico, ancor prima che ideologico-politico), se questa catena, dicevo, ha un qualche rapporto con la strategia della mobilitazione reazionaria delle masse che viene coscientemente e sistematicamente perseguita dalla Lega e non contrastata dal M5S, anche questo qualcosa vorrà dire o no? Dopodiché, per usare un aforisma, anche un orologio guasto almeno due volte al giorno segna l'ora giusta (e solo per questo motivo siamo disposti ad avallare questa o quella misura dell'attuale governo?). L'ho già detto in un articolo pubblicato su questo sito, ma lo ribadisco: Lega e M5S "simul stabunt, simul cadent", poiché rappresentano le due facce, quella fascista e quella riformista, dello Stato imperialista, che - come i classici e l'esperienza storica insegnano - è lo Stato della controrivoluzione preventiva all'interno e delle guerre di aggressione all'esterno. Infine, a Luciano Pietropaolo dico che col suo giusto appello alla lotta contro il revisionismo e l'opportunismo fa piovere, almeno con me, sul bagnato. Mai come oggi, quindi in una situazione reazionaria in sviluppo e in presenza del completo disarmo politico-ideologico della sinistra cosiddetta "radicale", frutto di un trentennio di cedimenti, capitolazioni, trasformismi e tradimenti, mai come oggi, dicevo, la lotta contro il revisionismo e l'opportunismo assume il valore di discriminante essenziale e prioritaria nel campo del movimento di classe: infatti, non può dirsi né comunista né rivoluzionario chi non la faccia propria. Un'ultima postilla riguardo al rapporto con le masse che hanno votato per la Lega o per il M5S. Ebbene, in questa fase non esiste alcuna possibilità di rapporto con tali masse che, in termini reali, rappresentano poco più di un terzo del corpo elettorale, mentre è utile cercare un rapporto con l'area dell'astensione elettorale, in cui è più facile intercettare una frazione importante del proletariato. Dopodiché, restano per i comunisti ancora tre campi fondamentali d'intervento: i sindacati (sia quelli confederali sia quelli di base), il mondo studentesco/giovanile e gli immigrati. Non è poco.
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Fabrizio Marchi
Saturday, 04 August 2018 19:07
@Mario Galati: Caro Mario, aspetta, io non ho mai parlato di atteggiamenti “indulgenti” né tanto meno subalterni (ci mancherebbe altro…) alla Lega o al M5S, né penso che si debbano fare sconti nell’analizzare quelle forze politiche. Io ho fatto un discorso completamente diverso, e cioè che bisogna produrre un’analisi corretta e adeguata di quelle forze per poterle combattere efficacemente. E allora in questo senso - e qui mi rivolgo anche ad Eros Barone di cui peraltro condivido il secondo commento - credo che bollare il M5S come un movimento fascista sia un errore. Mi pare anche che ti contraddici, caro Eros, perché prima affermi che il M5S è un movimento fascista o di estrema destra, citando Zeev Sternhell, "Né destra né sinistra. La nascita dell'ideologia fascista", e poi invece fai un’analisi molto più articolata di quel movimento che condivido anche perché è la mia. Ed è appunto quella di un movi9mento interclassista, legalitario, potremmo dire “neoborghese” che si prefigge una sorta di modernizzazione del sistema politico del tutto interna, ovviamente, al sistema capitalista. Ma questa non è la descrizione di un partito fascista; stiamo parlando di un’altra cosa. Se andassimo dalla gente che ha votato i cinque stelle e gli dicessimo che il M5S è un partito fascista si metterebbero a ridere…Del resto il fatto che un movimento non sia fascista o di estrema destra non vuol dire che non sia un avversario…
E’ vero che il superamento delle categorie di destra e sinistra è da sempre una bandiera ideologica di una certa fascisteria, ma è anche vero che oggi ha assunto anche un altro significato, che è ancora più pericoloso e funzionale al sistema, che è quello del superamento delle ideologie, che è proprio l’ideologia dell’attuale sistema dominante che da tempo ha dichiarato la morte delle ideologie (con il reale obiettivo di dichiarare morto e sepolto il conflitto di classe), e che concepisce il capitalismo non come una forma storica dell’agire umano ma appunto come una condizione ontologica, naturale, come diceva lo stesso Marx. E questa è la vera grande truffa che di fatto anche il M5S, sia pure in forme subdole, alimenta. Ma questa è una cosa, dire invece che sia un partito fascista è un’altra ed è a mio parere un errore. E, come ripeto, per combattere efficacemente un avversario, devo sapere con chi sto combattendo, altrimenti giro a vuoto…
Dal canto suo, la Lega, come ho già detto, è sicuramente un partito identitario di destra, con venature xenofobe e razziste, sicuramente più riconducibile ad un partito neofascista, anche se non nel senso tradizionale del termine.
Il problema oggi è come porsi in una relazione dialettica con le masse popolari, come parlare con esse, altrimenti c’è il rischio concreto che quell’autonomia di classe si trasformi di fatto in una sorta di micro Aventino per pochissimi, magari anche con le idee chiare, ma del tutto irrilevanti. E io credo invece che i comunisti debbano porsi il problema di entrare, come dicevo, in una relazione dialettica con la realtà, cercando di capire come sia più utile ed efficace agire e allacciare un rapporto concreto con i ceti popolari, cioè con quel magma complesso, indistinto, variamente frammentato e purtroppo ideologicamente, culturalmente e psicologicamente spappolato, che ha interiorizzato per tante ragioni che abbiamo più volte spiegato, l’ideologia dominante e anche le tendenze reazionarie. Il dramma è che queste tendenze reazionarie vengono addirittura percepite da quei ceti popolari come “antisistema” e appoggiate in quanto tali. Quindi rendiamoci conto della situazione drammatica in cui ci troviamo.
Non ho ricette, sia chiaro, cerchiamo di fare luce con i piccolissimi mezzi che abbiamo prendendoci – come diceva anche Paccosi nel suo lucido articolo – insulti a destra e a sinistra, o meglio da destra e da “sinistra”, ma va bene così, non sono certo gli insulti che ci scoraggiano. Piuttosto la gravità della situazione…
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Luciano Pietropaolo
Saturday, 04 August 2018 17:42
Condivido quasi totalmente l’analisi accorata di Riccardo Paccosi (e anche l’ angoscia che ne deriva) come pure il commento di Fabrizio Marchi. Le osservazioni di Barone sono certamente giuste, ma restano secondo me confinate nel limbo di una dottrina universalmente valida, quasi atemporale, distaccata dalla contingenza, con un distacco che sembra indifferenza.
Io penso che prima di orientare la barra del timone per evitare di sfracellarsi tra Scilla e Cariddi, si debba fare chiarezza a livello di contingenza politica. Per esempio, per quanto riguarda la Lega, non serve bollarla a priori di fascismo o razzismo: dobbiamo invece chiederci per esempio se la decisione di chiudere i porti italiani alle Ong private è giusta o no. Se la riteniamo giusta (e io la ritengo tale), non dobbiamo avere paura a dichiararlo esplicitamente, incalzando comunque il governo ad affrontare le cause che stanno a monte dell’immigrazione, cercando di allargare il dibattito e non di restringerlo. Il popolo che ha votato Lega penso che questo argomento lo recepirebbe assai bene. In altri termini, non scegliamo il discorso deduttivo, ma quello induttivo, sicuramente più efficace. Solo così possiamo conquistaci il diritto di essere ascoltati senza essere insultati e messi alla porta. Questo diritto ci consentirà di criticare la Lega (e il governo) per esempio sul tema della flat tax e su tanti altri temi: lo si può verificare nelle conversazioni informali, al bar, ma anche, ahimè, nei dibattiti televisivi.
Su una cosa non concordo con Paccosi, che siamo già in uno stato di guerra civile. Non bisogna confondere la “guerra civile” condotta (fin dai primi anni 90!) sul piano mediatico dalle elites, che in realtà è una campagna elettorale permanente funzionale all’assenza di valori profondi quali quelli che erano professati durante la prima repubblica (fino al 1980 e non oltre): è l’errore che fanno quelli di “Sollevazione” quando decidono di schierarsi senza se e senza ma con il “campo sovranista populista”. Ma non bisogna nemmeno astrarsi dal contingente aspettando un risveglio proletario che potrebbe farsi attendere come Godot.
Ovviamente nessuna commistione è possibile col campo della sinistra liberale, responsabile del disastro sociale che stiamo vivendo, mentre per quanto riguarda la sinistra radicale è indispensabile la chiarezza ideologica, da verificarsi non certo sui testi di Marx, ma sulla visione di politica internazionale o di geopolitica. Per esempio non sento alcuna affinità con un militante “radicale” che consideri la Cina un paese fascista o imperialista alla stregua degli Usa e Assad un tiranno da rimuovere. In tal caso sposo la massima “meglio soli che male accompagnati” perché le facili ammucchiate sono sempre foriere di debolezza politica.
Infine ai “comunisti doc” variamente collocati sotto sigle diverse, dico che non basta rialzare un’insegna gloriosa, bisogna compiere un’analisi spietata del revisionismo che ha portato un pugno di traditori alla testa di quei partiti comunisti, cosa che pochi hanno il coraggio di fare. Ma senza questa spietata autocritica un partito comunista difficilmente potrà rinascere.
Concludo citando Paccosi: “manteniamo una posizione autonoma. Facciamo ritirate strategiche quando c’è il rischio di essere bruciati vivi. Teniamo aperta la prospettiva della ragione, della mediazione, della contraddizione.”
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Mario Galati
Saturday, 04 August 2018 14:43
Può darsi che Marchi abbia ragione nell'approccio ai settori popolari influenzati dal populismo reazionario. Ma io temo che ogni indulgenza e ogni atteggiamento "comprensivo", ogni seppure indiretta e involontaria concessione, finisca per concedere terreno alla reazione.
Più difficile è accettare la realistica prospettiva di guadagnare terreno solo lentamente, sulla base di un approccio diretto e chiaro che, certamente, in un primo tempo riceverà l'indifferenza, l'incomprensione e l'ostilità di buona parte di questi settori popolari.
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Eros Barone
Saturday, 04 August 2018 14:34
@ Fabrizio Marchi
Prima nel 2005 e poi nel 2006, commentando i 'pogrom' scatenati dalla Lega e dai gruppi di estrema destra, rispettivamente a Varese e a Binago, sull'onda di episodi di cronaca nera che vedevano coinvolti un albanese e uno zingaro, ebbi a definire la Lega, in un mio intervento pubblico sulla Rete intitolato "Piccoli Hitler", come una formazione nazifascista: fui querelato per diffamazione e mi fu richiesto, con chiaro intento intimidatorio, un risarcimento di 50.000 euro. Ho vinto sia il processo di primo grado (Varese, 2014) sia quello di secondo grado (Milano, 2017), poiché i giudici, riconoscendo la piena legittimità della critica proletaria, hanno ricondotto l'esercizio di tale diritto nell'àmbito dell'articolo 21 della Costituzione. Concludevo allora la mia memoria difensiva (che, se Marchi lo desidera, posso mettergli a disposizione) con queste parole: "In realtà, su un simile atteggiamento, ad un tempo psicologico e ideologico [mi riferivo alla politica antidemocratica e discriminatoria di esclusione sociale, protesa a colpire le componenti più deboli ed emarginate presenti nel tessuto civile del nostro paese: politica perseguita allora, e ancor più oggi, dalla Lega], frutto certamente del campo di tensioni connesso alla globalizzazione capitalistica, ma anche di una ignobile speculazione politica sui sentimenti di insicurezza, paura e disorientamento della popolazione, Primo Levi aveva già pronunciato, nella 'Prefazione' al suo libro 'Se questo è un uomo', parole che non possono essere dimenticate da chiunque abbia a cuore i destini dell’uomo in una società democratica, solidale ed egualitaria: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il 'Lager'. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano». Sennonché il nodo del contendere è il giudizio sulla natura e sugli scopi del M5S, circa la cui collocazione presuntivamente "né di destra né di sinistra" mi meraviglia che Marchi non sappia che questo è il classico 'shibbolet' di tutti i movimenti di estrema destra (cfr. Zeev Sternhell, "Né destra né sinistra. La nascita dell'ideologia fascista", 1984). Naturalmente è opportuno chiarire, innanzitutto, che i successi del M5S sono da attribuire in gran parte agli errori politici della sinistra cosiddetta 'radicale' a causa dell’organica incapacità di quest’ultima nel costruire una proposta strategica alternativa al Pd sia sul piano programmatico sia su quello elettorale. È così accaduto che, in mancanza di un’alternativa di classe, nel mentre si approfondiva la crisi (non solo di un ceto ma) di un intero sistema politico, una parte crescente dell’elettorato abbia finito col polarizzarsi sul M5S, il quale, dal canto suo, ha capitalizzato i consensi tipici di un movimento qualunquista, piccolo-borghese e interclassista, non privo di tratti reazionari. Vale la pena, inoltre, di ricordare che, a suo tempo, la collocazione alternativa al Pd fu imposta a Grillo da Bersani e soci, poiché Grillo avrebbe voluto presentarsi alle primarie, ma gli fu impedito. La collocazione endosistemica del Movimento 5 Stelle risulta poi del tutto evidente non appena ci si prende la briga di analizzare le sue rivendicazioni. Il programma di Grillo e di Di Maio, in effetti, non diverge, per l’essenziale, da quello del Pd, essendo del tutto compatibile col sistema capitalistico (ivi compreso il tanto strombazzato "reddito di cittadinanza", che è solo una variante del renziano "reddito di inclusione"). D’altra parte, se si va a vedere oltre la facciata demagogica comune a tutti i movimenti populistici (dalla Lega a Di Pietro e da questo a Di Maio) si scopre che, fatta eccezione per parole d’ordine quali legalità, pulizia ed ecologia, è difficile individuare un vero e proprio programma politico. La verità è che siamo sempre nell’àmbito delle politiche riformiste che puntano a superare la crisi di questo sistema putrido attraverso la “socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti”. Di Maio e il suo movimento sognano un ‘capitalismo umano’ e democratico, rispettoso della legalità e della trasparenza. Nondimeno, sfugge a siffatti apologeti del ‘capitalismo umano’ un piccolo particolare, tutt’altro che trascurabile: le leggi sono al servizio del potere economico e, nel quadro della crisi del capitalismo, la logica del massimo profitto è destinata ad imporsi, in un periodo di concorrenza internazionale sempre più aspra, in modo sempre più brutale. La conclusione è che il grillismo, successivamente (e ora anche assieme) al leghismo, al berlusconismo e al dipietrismo, non solo è l’ennesima maschera di quella farsa italiana del populismo che, avvalendosi delle doti istrioniche e dell’intuito politico di un ex comico, è riuscita ad intercettare il rifiuto di massa di un sistema politico-istituzionale che gira a vuoto, ma è anche l’ultima espressione, in ordine di tempo, di un aggravamento della crisi politica italiana. Di un aggravamento, non del superamento. Per quanto riguarda, infine, il rapporto con le "grandi masse" evocato da Marchi, sarebbe già un risultato importante se, attraverso l'organizzazione in un partito di quadri (e qui si apre il problema cruciale della loro formazione), il partito comunista diventasse, in prosieguo di tempo, l'avanguardia della classe, laddove Lenin osserva acutamente: "La forza di questa avanguardia è dieci, cento volte maggiore del numero dei suoi iscritti. E' possibile? Può la forza di un centinaio superare la forza di un migliaio? Lo può e la supera quando il centinaio è organizzato. L'organizzazione decuplica le forze".
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Fabrizio Marchi
Saturday, 04 August 2018 11:44
Condivido alcune delle argomentazioni sia di Galati che di Barone e altre meno. Vado ai punti di critica, naturalmente, non avrebbe senso ripetere concetti già detti sui quali si è d’accordo.
Credo ad esempio che sia improprio parlare di fascismo alle porte, per lo meno nei termini tradizionali, come lo stesso Paccosi ha spiegato nel suo articolo. Peraltro siamo di fronte a due forze politiche molto diverse fra loro, cioè la Lega e il M5S. Ed è bene che l’analisi sia differenziata.
La Lega è un partito identitario di neo destra che rappresenta la parte maggioritaria della borghesia del centro nord che non essendo riuscita ad entrare nel salotto del grande capitale internazionale, cerca di riconquistare l’egemonia politica perduta attraverso il ritorno al vecchio stato-nazione protezionista. Il collante, o meglio, il compromesso, il punto di mediazione con i ceti popolari che l’hanno sostenuta è ovviamente la chiusura e l’ostilità nei confronti degli immigrati. Si tratta di un partito che ha sicuramente delle venature in parte xenofobe e in parte razziste, e anche per questo motivo (ma non solo…) è la forza politica più vicina al fascismo storico. Però sarebbe un errore a mio parere definirla una forza fascista, diciamo un eccesso di semplificazione che oggi può essere nocivo per una corretta analisi del nemico.
Il M5S è un’altra cosa ancora che con il fascismo storico (ma anche con le sue propaggini) non ha nulla a che vedere. Si tratta di una forza interclassista (non solo come composizione sociale ma anche dal punto di vista ideologico) che fa del superamento delle categorie di destra e di sinistra (intese in questo senso come superamento del concetto stesso di conflitto di classe) il suo baricentro e che è stato abile a far passare questo messaggio dei “cittadini” contro la casta. Per le ragioni che sappiamo (sventramento di quella che una volta avremmo chiamato “classe”, oggi frammentata in mille rivoli e ridotta ad una marmellata sociale priva di ogni coscienza di classe e sbrindellata ideologicamente e psicologicamente) questo messaggio ha fatto breccia e ha raccolto il favore di larghe masse popolari. Anche se può sembrarci paradossale, il voto di massa dato al M5S da parte di larghissimi strati popolari è in qualche modo (naturalmente debolissimo) una risposta di classe. Approcciare ai ceti popolari che hanno votato M5S (e in parte anche la Lega) dicendogli che si tratta di partiti fascisti, razzisti ecc. non solo è sbagliato dal punto di vista analitico (per quanto riguarda il M5S che certamente NON è un partito socialista o di Sinistra ma NEANCHE un partito fascista) ma è anche controproducente perché di fatto ci si accoda al coro belante e ipocrita della “sinistra” politicamente corretta sia liberal che radical e si ottiene solo di allontanare ancora di più tutta quella gente dalla possibilità di riavvicinarsi ad un discorso autenticamente di classe e socialista.
Sulla questione del razzismo. Anche qui è bene NON accodarsi al coro ipocrita della “sinistra” liberal e radical politicamente corretta (responsabile dell’affermazione delle forze populiste di destra). Io credo che l’ostilità della maggioranza dei ceti popolari nei confronti degli immigrati non sia dovuta al razzismo ma ad una miscela di egoismo sociale e individuale, frutto della interiorizzazione della sconfitta storica epocale (diciamo pure disfatta) del movimento operaio. Il modo di ragionare di questa gente è il seguente, per capirci:”Le briciole della torta sono già piccole (interiorizzazione della sconfitta e del dominio del capitale) e ce le dovremmo pure spartire con questi che sono stranieri? (duplice interiorizzazione della sconfitta e adesione all’ideologia leghista)”.
Ma è proprio su questo che la Lega ha vinto e la “sinistra” ha perso, naturalmente speculando su quella interiorizzazione della sconfitta e sulla conseguente assenza di un barlume di coscienza di classe. Però sarebbe sbagliato condurre la battaglia contro il governo gialloverde basandola sull’accusa di razzismo, fascismo ecc. Oltre alla complessità di questa alleanza di cui ho già fatt5o cenno, non sarebbe capita. Al contrario, la gente oggi ci accomunerebbe a quella “sinistra” politicamente corretta che da una parte è organica al capitale e dall’altra gli parla ipocritamente di antifascismo, di lotta al razzismo, più tutta la brodaglia ideologica politicamente corretta in tutte, e sottolineo TUTTE, le sue declinazioni e con la quale è giunta l’ora che i comunisti e i socialisti del XXI secolo operino una cesura NETTA e senza indugi.
Un’ultima osservazione (mi pare che fosse Eros Barone a sollevare la questione).
Ai padroni del vapore non gliene importa assolutamente nulla di chi è ad assicurare la “governance”, cioè la pace sociale. Quello che importa è che questa venga garantita. Se gliela garantisce lo schieramento liberal-liberista o quello “populista” (di destra) gli è assolutamente indifferente. Anzi, in questa fase avrebbero sicuramente preferito che a garantirgliela fossero le forze liberal-liberiste tradizionali (PD e Forza Italia) perché più affidabili e organiche dal punto di vista ideologico e politico. Ma l’esito delle urne è stato quello che è stato. Questo per dire che a mio parere il cambio della guardia al governo del paese non è stato voluto in “alto”. Questo non toglie il fatto che questo governo non farà e non potrà fare nulla che vada realmente a minare gli interessi dei suddetti padroni del vapore. Tenteranno solo di barcamenarsi cercando di abborracciare una finanziaria che non leda gli interessi di cui sopra e riesca a portare a casa qualche briciola da redistribuire sotto forma di un abbozzo di reddito di cittadinanza ecc. Ma anche per fare questo dovranno barcamenarsi fra l’attuale amministrazione USA da una parte (che gli ha dato il benestare) e l’UE o meglio la Germania e la Francia dall’altra. Se riusciranno in uno straccio di mediazione (con delle briciole da redistribuire) il governo resterà in carica, altrimenti a mio parere sarà lo stesso Salvini, che con la questione dei migranti ha oggi il vento in poppa, ad andare ad elezioni anticipate…
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Eros Barone
Friday, 03 August 2018 21:40
I 'mostri' sono raddoppiati (al 'mostro' bicefalo PD-FI si deve ora aggiungere l'altro 'mostro' bicefalo Lega-M5S, senza contare gli altri 'mostri', 'in primis' gli USA e la UE, che campeggiano sulla scena dei rapporti internazionali) e il San Giorgio proletario, capace di combatterli e di sconfiggerli, non è per ora alle viste. Perciò, il compito dei comunisti è quello di porre al centro dell'analisi e dell'azione il tema vitale dell'autonomia di classe in una situazione reazionaria che si sta sviluppando sempre più rapidamente in direzione della fascistizzazione.
D'altra parte, è pur vero che, fin quando esiste un regime politico che non abolisce formalmente i tre fondamentali diritti da cui dipendono gli spazi di agibilità del proletariato, cioè il diritto di sciopero, il diritto di riunione e il diritto di associazione, non è possibile definire il regime esistente, per quanto possa essere orientato in senso arcireazionario, come fascista; ma è anche vero che esistono strategie più sottili e indirette, meno evidenti e altrettanto efficaci ("pseudomorfosi" e "rivoluzione passiva"), con cui la borghesia può realizzare in forme nuove, se la situazione generale della crisi del capitalismo e dei rapporti di forza tra le classi lo richiede, quella concentrazione di forze reazionarie e quella strategia d''isolamento e schiacciamento' e/o 'integrazione e corruzione' del proletariato che, attraverso il fascismo, fu realizzata dalla borghesia italiana nella prima metà del ’900. Quali che siano le oscillazioni e le incertezze che esistono nel campo della borghesia, non vi può essere il minimo dubbio sul fatto che chiunque non voglia rinunciare alla proprietà privata dei mezzi di produzione non riuscirà a disfarsi del fascismo, ed anzi, prima o poi, finirà per averne bisogno.
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Mario Galati
Friday, 03 August 2018 11:11
Paccosi non nega affatto che vi sia un'offensiva reazionaria. Ciò che sottolinea è che non è la precipua caratteristica di questa fase "populista". L'offensiva feroce contro i lavoratori, le guerre imperialiste, lo svuotamento delle democrazie è un bagaglio delle cosiddette "sinistre" imperiali, dirittumaniste (non dei veri diritti umani), neoliberiste, postmoderne, borghesi. Non è stato necessario attendere Trump per avere guerrafondai alla Casa Bianca; la Clinton, tra i due, fa la figura della belva assassina. Semmai, gli obiettivi economici del trumpismo, e del governo gialloverde al seguito, cercano delle tregue interessate (per es. con la Russia, anche in funzione anti Cina; gli esportatori italiani verso la Russia penalizzati dalle sanzioni; ecc.) che, rispetto all'offensivismo aggressivo a tutto campo dei liberals e dei nostri sinistrati "progressisti" dai bombardamenti facili, appare come ragionevole politica di pace, anche se sappiamo che non è così.
Quando Trump e gialloverdi nostrani annunciano provvedimenti a favore dei "lavoratori", sappiamo che lo fanno nell'ottica corporativa fascista e secondo la tattica della "rivoluzione passiva" (v. Renato Caputo su questo sito). Ma ciò avviene perché indotti a prendere atto della spinta sociale in tale direzione e a neutralizzarla assorbendola. La nostra "sinistra" liberista, invece, vorrebbe continuare con l'offensiva aperta, non subdola, contro i lavoratori (è tutta qua la tenzone tra PD e Governo sul cosiddetto decreto "dignità"). È di un fanatismo estremista che la rende cieca e furiosa.
Lo stesso discrimine tra razzismo e antirazzismo non rientra affatto nelle delimitazioni imposte dalla sinistra imperiale dirittumanista, con il suo moralismo compassionevole astratto e ipocrita. Infatti, il razzismo non è un sentimento dell'animo umano, magari generato dalla xenofobia, ma è un'ignobile e imbecille ideologia nata col capitalismo, legata strettamente al colonialismo, cui è funzionale. Razzismo e colonialismo sono inscindibili. Non si può capire il razzismo se non si capisce il colonialismo. Quando il "progressismo" liberal-imperialista dell'Occidente bianco e capitalista si arroga la funzione di guida morale del mondo e di intervenire dovunque gli aggradi per esportare o ripristinare i suoi valori "universali", agisce nell'ottica coloniale e razzista, poiché stabilisce e proclama la sua superiorità sugli altri popoli. A nulla vale farlo sulla base della cultura e dei valori e non su quello della biologia, poiché il differenzialismo culturista ed ed etnico è la nuova frontiera del razzismo (persino dell'estrema destra è avvenuta questa mutazione trasformistica).
Dunque, il razzismo fascio-leghista non è altro che l'appendice "popolare", la diffusione tra gli strati popolari svantaggiati e tra i lavoratori, da parte della piccola borghesia, della grande discriminazione tra popoli operata anche (e fanaticamente) dalla "sinistra" imperiale. Sinistra imperiale compassionevole dell'"accoglienza" (dopo averli bombardati e sfruttati) e fascioleghismo razzista si dividono i compiti, anche se credono di essere alternativi: gli uni creando le condizioni per lo sviluppo del grande capitale internazionale e transnazionale, per l'oppressione degli altri popoli e per i fenomeni di migrazione (che è mobilitá di forza lavoro); gli altri mantenendo in condizioni di inferiorità e di sfruttamento i migranti e, attraverso la divisione tra lavoratori migranti e autoctoni e il capro espiatorio diversivo dell'immigrazione, i lavoratori tutti.
Giustamente, Eros Barone dice che questo esito reazionario di massa è il necessario portato della realtà imperialista.
Ma il passaggio dal regime reazionario ultraliberista (formalmente democratico, ma in realtà oligarchico e ademocratico, quindi reazionario rispetto all'epoca precedente) al regime reazionario populista sarà una completa e vera fascistizzazione, anche formale?
La piccola borghesia spinge verso queste forme reazionarie di massa. Ma la grande borghesia, che ha mezzi e capacità di controllo egemonico superiori e più complessi e affinati rispetto al passato, opterá per questa forma (a parte suoi usi e concessioni strumentali contingenti e di fase); ne ha completamente bisogno? La mia impressione è che non ha ancora fatto questa scelta (come avvenne col fascismo storico).
Credo che noi non dobbiamo fare alcuna concessione al fenomeno gialloverde, ma altrettanta durezza va indirizzata alla sinistra liberal-imperialista. Bisogna svelare l'ipocrisia di entrambi i campi.
Capisco che per un comunista può apparire particolarmente odiosa la posizione di chi pretende di definirsi di sinistra, essendo, invece, un fanatico estremista reazionario, ultraliberista e imperialista, guerrafondaio e intimamente razzista dietro la vernice paternalistica e compassionevole del benestante. Ma questo non deve farci cadere nella trappola del populismo.
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Eros Barone
Thursday, 02 August 2018 18:37
L’offensiva scatenata dalle forze populiste dopo le elezioni politiche del 4 marzo pone al movimento di classe il problema della fascistizzazione, ossia, più precisamente, delle forme, delle tappe e dei tempi del passaggio da un regime di democrazia borghese ad un regime di tipo fascista. Tale passaggio (la cui visibilità non è necessariamente condizionata dall’esibizione di svastiche e di fasci littori, che pure non mancano) si sta svolgendo pressoché indisturbato sotto i nostri occhi e, almeno finora, senza che la classe proletaria e le forze socialiste e comuniste siano state capaci di esprimere una risposta adeguata al livello, alla qualità e all’estensione dell’iniziativa dispiegata dal blocco reazionario.
La sequenza dei fatti politici e sociali è impressionante: la 'santa alleanza' tra la Lega e il M5S; il farraginoso, contraddittorio e velleitario "Decreto Dignità" partorito dal ministro per lo sviluppo economico; l’'embargo' decretato e attuato 'manu militari' contro l'immigrazione extracomunitaria genericamente intesa; lo scatenamento di una violenta campagna di stampo razzista contro le persone di colore, che non ha eguali, se non, in chiave antisemita, nel periodo fascista, e che si avvale dell'impunità o della sottovalutazione ad essa garantite dalle istituzioni e dal governo; la conduzione del ministero dell'interno secondo stilemi di carattere nostalgico e secondo moduli di tipo 'western' (tutto questo da parte del leader di una formazione politica che si è appropriata indebitamente di 49 milioni di euro di finanziamento pubblico); lo sviluppo di movimenti neo-fascisti, come Forza Nuova, Casa Pound ecc.; la mobilitazione reazionaria di vasti settori delle masse popolari, ivi compresa una parte della classe operaia; le responsabilità dei riformisti, che hanno giustificato e giustificano le aggressioni imperialiste (Libia, Siria, Africa centrale), aprendo la strada al fascismo e non contrastando la fascistizzazione; il becero orientamento ultra-atlantista e il piatto allineamento alla minacciosa politica guerrafondaia del fascista Trump, che contrassegnano la linea di politica estera portata avanti, in chiave sub-imperialista, da Conte e da Salvini; l’impotenza, l’opportunismo e il nullismo della cosiddetta "sinistra radicale" (in questo momento, ad es., D'Alema sta solcando con il suo 'yaught' il Mediterraneo...).
Orbene, la fascistizzazione, facendo leva su due assi - quello politico-ideologico e quello economico-sociale or ora esemplificati - punta a trasformare in senso autoritario tutte le istituzioni statuali (dalla scuola alle forze dell'ordine e alle forze armate, dallo svuotamento dello stesso parlamento e delle altre assemblee rappresentative alla distruzione dei partiti di massa e alla degenerazione burocratica dei sindacati), poiché è organicamente connessa, nel quadro della crisi di sovrapproduzione assoluta di merci, di capitale e di forza-lavoro, alla ristrutturazione, interna e internazionale, del sistema del capitalismo monopolistico e del suo nucleo costituito dal capitale finanziario, che è la vera forza motrice della fascistizzazione. Da questo insieme micidiale di contraddizioni discende l’inevitabilità dello sbocco fascista della crisi del capitalismo: tale previsione trova conferma, da un lato, nel famoso teorema di Kalecki, per cui non è possibile combinare tra di loro più di due dei tre termini costituiti dalla terna ‘capitalismo-piena occupazione-democrazia’, e, dall’altro, nel drammatico ritardo (che assomma ad almeno sei lustri) di un partito comunista armato di teoria, disciplina, iniziativa, quadri e saldi collegamenti con la classe operaia, con i giovani e con gli strati intellettuali antagonisti. Sì, la "guerra civile" è già cominciata e il proletariato, privo di autonomia di classe, privo cioè del suo partito, ha le armi spuntate. Sennonché la condizione della borghesia non è migliore, essendo priva del suo partito di riferimento (il 'mostro' bicefalo PD-FI), ed essendo costretta a "cambiare spalla al suo fucile", utilizzando le forze populiste e gestendo la spinta ultrareazionaria che esse esprimono.
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