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lacausadellecose

L’autunno che verrà e i polli di Renzo

di Michele Castaldo

classi sociali 1La questione sindacale ha costituito da sempre un rompicapo per le formazioni politiche di sinistra e di estrema sinistra fin dal sorgere del capitalismo e della conseguente nascita del proletariato, o classe operaia, secondo le migliori tradizioni marxiste. Si tratta di una questione spinosa che a distanza di circa 200 anni (datiamo per comodità esplicativa i primi tentativi di costituzione in Inghilterra di società di mutuo soccorso e comitati operai) non ha trovato ancora una sistemazione teorica definitiva.

L’Italia ha avuto il “privilegio” di una esperienza per una insubordinazione di alcuni settori sia del Pubblico Impiego che in aziende a partecipazione statale, durante gli anni ’70 del secolo scorso, quando si sono sviluppate una serie di organizzazioni definite di base, in alternativa ai sindacati confederali esistenti e maggiormente rappresentativi, cioè Cgil, Cisl e Uil, con un ruolo molto marginale della Cisnal che era la cinghia di trasmissione del Movimento Sociale Italiano e che non compariva nelle mobilitazioni unitarie che le tre Confederazioni indicevano, per una sua certa nostalgia nei confronti del Fascismo.

Il presupposto teorico del “basismo”, senza farla troppo lunga, era, ed è, una critica allo spirito collaborazionista della tre confederazioni con l’economia nazionale e con la Confindustria. Si trattava, secondo la gran parte delle organizzazioni “basiste”, di sindacati che avevano abbandonato la causa dei lavoratori e la loro autonomia per subordinarsi totalmente alle esigenze dei padroni. Da questo assunto teorico-politico si sanciva, perciò, la necessità di costituire nuovi organismi di base e strada facendo della formalizzazione di nuovi sindacati veri e propri.

Per fornire qualche elemento di riflessione si potrebbe citare un libro scritto da Gigi Malabarba, con la introduzione di Fausto Bertinotti, famoso sindacalista della Cgil nonché deputato e presidente della Camera, il cui titolo incorporava tutto un programma: Dai Cobas al sindacato. Il libro fu editato nel 1995, e a tutt’oggi si sono perse le tracce sia di Gigi Malabarba che di Bertinotti, oltre che di quei cobas e di tanti altri. Ma questa è un’altra storia.

Andando più indietro negli anni, vorrei ricordare che a Napoli nei primi anni ’70 del secolo scorso, mentre i tre maggiori sindacati confederali iniziavano il processo unitario, le loro categorie dei metalmeccanici, settore d’avanguardia della classe operaia italiana (almeno così si pensava allora) immediatamente si unificarono, anche se non in modo organico, in FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici). Ci fu un piccolo gruppo politico che si richiamava al marxismo-leninismo e al pensiero di Mao-Tse-Tung che definì la Flm con la sigla SUFM, ovvero Sindacato Unico Fascista Metalmeccanico. Ogni commento lo lascio non tanto al malcapitato giovane lettore d’oggi, no, ma a certi militanti canuti che da tutta un’esperienza storica non hanno tratto alcun insegnamento.

Andando più indietro nel tempo scopriamo che in Italia il padronato si adoperò – a suon di dollari provenienti d’oltre oceano – per scindere l’unico grande sindacato confederale, ovvero la Cgil.

Più indietro ancora, negli Usa, nel 1904, fu operato uno straordinario tentativo di organizzazione del proletariato da alcuni militanti che diedero vita agli I.W.W. (Industrial Workers of the World), ai quali sembrano riferirsi quelli del Si cobas oggi, che furono sconfitti da una durissima repressione poliziesca nonché da una diffusa passività operaia.

Per correttezza storiografica va ricordato che le grandi confederazioni sindacali sono state sempre precedute da grandi movimenti di massa e solo successivamente le loro rappresentanze si sono istituzionalizzate in sindacati. Dall’Inghilterra agli Usa, dalla Francia all’Italia, dalla Russia, alla Polonia degli anni ’80 del secolo scorso, è stata una regola ferrea. Per le stesse organizzazioni di “base” sorte negli anni ’70, sia nel Pubblico Impiego che nelle aziende a partecipazione statale, la dinamica fu: prima i movimenti di massa, poi i comitati, poi i tentativi di costituzione dei sindacati.

Tant’è che lo stesso Marx, che aveva già un bel po’ di esperienza quando scriveva a Bolte il 23 novembre 1871 « […] Naturalmente il fine ultimo del movimento politico della classe operaia è la conquista, da parte sua, del potere politico, a tal fine è evidentemente necessaria una organizzazione della classe lavoratrice previamente sviluppata fino ad un certo punto, che nasce spontaneamente dalle sue lotte economiche » (corsivo mio).

Fatta questa premessa, e stabilito che fra tutti i sindacati di “base” sorti negli ultimi 50 anni in Italia l’unico che merita un’attenzione particolare è il SI Cobas, non per l’eroismo dei suoi dirigenti, no, ma perché è stato espresso da un settore molto particolare, cioè quello dei lavoratori della Logistica, in una fase molto particolare, in condizioni molto particolari, fra lavoratori molto particolari.

Se mi sono deciso a scrivere queste note è perché stiamo entrando in un imbuto storico senza precedenti dove potremmo pagare a caro prezzo certe illusioni. Chi mi conosce lo sa, dico pane al pane e vino al vino, e non ho mai fatto del pettegolezzo come è costume diffuso nell’ambito dell’estrema sinistra.

Mi è capitato di collaborare per un breve periodo di tempo con il Si Cobas e sono agli atti i motivi che mi indussero a una decisione amara che sancii con uno scritto, che qui non tratterò. Ho continuato a seguire le vicende del Si Cobas e in modo particolare il livello di repressione cui sono continuamente esposti sia i lavoratori che i propri militanti.

Colgo l’occasione della separazione di Aboubakar Soumahoro (in appendice una nota di Alessio Galluppi) dalla Usb e dell’articolo di commento ad esso dedicato dal Pungolo rosso e dall’insieme dei militanti che si riferiscono sia al Si cobas che al pungolo rosso come Gcr, Pagine marxiste, Tendenza internazionalista rivoluzionaria.

Si tratta di un linguaggio, tanto nel metodo quanto nel merito, che inviterei a superare. Forse che vengono scritte cose sbagliate? No, ma il punto in questione è che si antepone l’opportunismo politico di un militante o di una organizzazione alle difficoltà che hanno in primis tutti i lavoratori. Di fronte a un modo di produzione in crisi, ma che ancora resiste, abbiamo la classe, alla quale abbiamo fatto sempre riferimento, che non solo sta arretrando paurosamente e disordinatamente, ma addirittura si sposta a destra e non solo da un punto di vista elettorale.

Cerco di essere chiaro al riguardo, non che il proletariato in modo organizzato si schieri a destra, no, ma sciolto per come prima organizzato dalla crisi, viene risucchiato dalla corrente sempre più conservativa del capitale.

Ci siamo chiesti il perché? Prendiamo atto a stento del fatto che il proletariato non mostra segnali visibili di reazione, ma la semplice constatazione dei fatti non spiegano i fatti stessi. Come mai, perché? Eppure abbiamo sparato ad alzo zero per decenni contro le organizzazioni riformiste del proletariato senza mai tentare di spiegare che forse era l’opportunismo operaio che le esprimeva. Terreno scottante. Poi finisce che grandi partiti si liquefanno, che alcuni quadri politici e sindacali vengono fagocitati dalla brama dell’accumulazione, a puntellare le maglie di quella rete fino a sfruttare in modo razzista la mano d’opera degli immigrati, attraverso quella rete infame delle cooperative in tutti i settori, senza un minimo bilancio storico, teorico e politico.

Il fatto che si scateni la bagarre politica contro la Usb, denunciando l’episodio che A. Soumahoro come il naturale cammino dell’Usb, è sintomo, mi sia consentito, di un infantilismo politico abbastanza scoraggiante. Come dire: si pone sul banco degli imputati il corrotto senza citare il corruttore, che è lui l’artefice della corruzione.

Non ho mai nutrito particolari simpatie per la Usb, la Rete dei Comunisti e Contropiano, ancor meno per l’organizzazione politica di Potere al popolo, ad esse molto vicina. E senza necessità di fare nessuna alchimia dietrologica non ci vuole molto per capire che dietro l’operazione di Soumahoro ci potrebbe essere il tentativo, da parte di segrete stanze democratiche, di utilizzarlo per tentare di controllare quello che si muove in quell’immenso mondo sommerso degli immigrati costretti a lavorare a nero e che tentano continuamente di darsi una propria organizzazione per mitigare le sofferenze di un barbaro sfruttamento in tutti i settori, fra i quali la Lostistica e l’agricoltura. Non a caso l’onorevole Bellanova a chiare lettere disse che l’agricoltura italiana ha bisogno degli immigrati come l’aria per respirare. Dunque il povero cristo nero è, nei fatti, alla mercé di giochi più grandi di lui, in modo consapevole o meno. Altrimenti detto: in alcuni casi si muove la questura con la sua rete di “collaboratori”, in altri casi si muove la politica attraverso i suoi contatti. A meno che, e ci sarebbe da meravigliarsi, A. Soumahoro non intenda porsi come alfiere contro lo sfruttamento degli immigrati di colore in Italia, contro tutti i riformismi e i patteggiamenti. Nel qual caso tanto di cappello.

Sia detto senza troppi giri di parole: ho più volte scritto e in questa sede ripeto che gli immigrati vengono fatti venire in Italia per necessità del capitale, non solo per abbassare il costo per unità di prodotto delle nostre merci, ma anche per aumentare la natalità vista la crescente infertilità degli italiani. Certi episodi la dicono lunga al riguardo, come riportava il Corriere della sera del 15 luglio: « il governo prepara l’addio alle multe milionarie per le imbarcazioni delle Ong ». Uno dei tanti gesti “umanitari” tendenti a incoraggiare l’arrivo degli immigrati, disponendo così della loro diaspora sul territorio alla mercé di accumulatori senza scrupolo, funzionali all’accumulazione generale e del Pil nazionale.

In un quadro così delineato parlare di « razzismo di Stato » come viene detto continuamente negli scritti del Pungolo rosso è un non senso, semplicemente perché negli organi dello Stato vengono trasmesse le necessità del Razzismo sociale antico in Occidente di circa 500 anni che marcia nella società, anche e forse soprattutto nelle basse sfere, dove la impersonale concorrenza capitalistica lo alimenta continuamente.

Sicché, parlare di « razzismo di Stato » equivale a rimuovere il principio cardine che alimenta il razzismo sociale e che per essere estirpato ha ben più profonde necessità della lotta, pur necessaria, contro lo Stato. Le leggi che i vari governi emanano per tenere imprigionati alle catene della sottomissione gli immigrati rispondono a quelle necessità. Salvini è il burattino, si sforza di rappresentare il razzismo presente nella società. Trump non è caduto come un meteorite sulla terra, no, ma è il prodotto di necessità oggettive del capitale presenti nella società americana. E così via.

Veniamo così alla questione che in questa sede mi interessa porre.

Più avanza la crisi più i paesi occidentali hanno bisogno di immigrati per aumentare quel famoso “esercito industriale di riserva” che serve a ricattare fino all’inverosimile il proletariato autoctono e indurlo al silenzio. Si tratta di farli appena alimentare per essere vivi il giorno successivo e tornare al lavoro. In tempo di pandemia, come quella attuale del Covid-19, ne dovranno arrivare ancora e sempre di più, nonostante Salvini. Se un operaio ha qualche sintomo di contagio si manda in quarantena, sulle navi in mezzo al mare, se uno muore peggio per lui e avanti un altro.

Il Si Cobas, come detto in apertura, ha avuto il merito di intuire che il settore della Logistica veniva abbandonato al suo destino dalle grandi confederazioni sindacali, ed è stato attratto da quei lavoratori che li hanno cercati, come dichiarò Aldo Milani l’attuale segretario. Fin qui lo straordinario merito per cui è stato poi seguito e “sfidato” da altre organizzazioni “basiste”, fra le quali la Usb. Purtroppo, però, è prevalso lo spirito di setta fra queste organizzazioni, o forse è più giusto dire è prevalso lo spirito di concorrenza e la corsa al tesseramento, ovvero al tentativo di prevalere scalzando l’altra, mettendo cioè al primo posto non gli interessi della classe che si pretende di difendere e di rappresentare, ma quelli della propria sigla, che vuol dire anche un po’ di soldi per affrontare le spese. Come dire? Così fan tutte, altrimenti come si manda avanti l’organizzazione. E allora … guerra alla guerra. Esagero? No, basta leggere quello che viene scritto nel commento e pubblicato sul sito del Pungolo rosso:

«Negli ultimi anni l’Usb ha fatto un po’ di tessere nel “settore privato”, proprio tra i braccianti ed i metalmeccanici grazie al reclutamento e all’attività di due ‘personaggi’ quali Soumahoro e Bellavita, ex-portavoce dell’opposizione in Cgil. In queste ultime settimane entrambi sono usciti dall’Usb segnalando la crisi di questa politica di reclutamento, che riflette la crisi della prospettiva politico-sindacale dell’area in cui sono Rete/Usb». Come si può ben vedere si scambiano i ruoli, il soggetto sarebbe il rappresentante piuttosto che i rappresentati.

No, cari compagni, quello che sta succedendo riflette la crisi di tutti noi e se non lo capite è grave, perché vi ponete in modo narcisistico di fronte alle oggettive difficoltà di altri, chiunque essi siano.

Il punto è proprio questo: se la torta è piccola la guerra è senza esclusione di colpi per accaparrarsi il tesseramento. E per crescere si è costretti a comportarsi da abili venditori, dove la propaganda – che è l’anima del commercio – ha un ruolo importante e se in certi casi le cifre si gonfiano un poco per renderle più appetibili, non fa danno. In alcuni casi le decine diventano centinaia, le centinaia diventano un migliaio e qualche migliaio diventano molte di migliaia. Se poi sono “diecimila” reali diventano trentamila spendibili. Si moltiplicano le bandiere per apparire più di quelli che siamo. Cioè l’arte della farsa. Quanto poi agli iscritti, si segue lo stesso principio che serve a incoraggiare l’iscrizione e la militanza. Nessuno di noi è nato ieri, dunque non raccontiamoci balle.

Tornando alla questione che stiamo cercando di esaminare, leggiamo sul sito di Contropiano, l’organo che rappresenta l’insieme della galassia politica e sindacale di una certa tendenza, un commento di Roberto Montanari che è abbastanza deprimente perché dispensa “affetto” per Aboubakar ma ritiene che il povero disgraziato abbia torto.

Ripeto ancora: non conosciamo le ragioni effettive per le quali Aboubakar abbia lasciato la Usb, ma se la linea sindacale è quella che descrive Roberto Montanari nel suo commento, e cioè che: « […] la politica è anche relazione, è anche capacità di interloquire con la parte dialogante ed assertiva dei nemici, è cercare alleanze con i sindaci, i ministri, gli intellettuali di palazzo, è anche questo, MA NON SOLO». L’immigrato sindacalista non ha fatto altro che scegliere dove può praticare più agevolmente quegli stessi criteri politici. Si iscriverà alla Cgil, al Pd, alla Caritas o dove altro ancora non ci interessa. Quello che ci preme in primis sottolineare è: riuscire ad ammettere le difficoltà che abbiamo come corrente ideale che si richiama al comunismo in questa fase, e il modo più opportuno di affrontarle che non può essere quello delle scomuniche in modo particolare da parte di chi si pone su un certo terreno come la Usb e tutta l’area di riferimento, come se fossero le organizzazioni riformiste a influenzare il comportamento del proletariato e non viceversa.

A fronte di una posizione sindacale e politica in chiara difficoltà, nonostante il trionfalismo distribuito ai quattro venti per i risultati ottenuti dai paesi dell’Est nell’affrontare il coronavirus, per aver saputo statalizzare le iniziative, si levano le durissime critiche del Si Cobas e dei gruppi politici di sostegno, fra i quali il Pungolo rosso, che attraverso la sua rivista tenta di riassumerne i contenuti teorici e politici. Ci era già capitato di leggere sul numero 2 di detta rivista una certa narrazione sulla nascita e lo sviluppo del riformismo nel proletariato:

«[…] il brillante risultato di decenni di (dis)educazione dei lavoratori più combattivi da parte dei partiti stalinisti e socialdemocratici, e delle organizzazioni sindacali ad essi collegate, che hanno sempre più a fondo “nazionalizzato” i proletari europei, imbevendoli dei primato degli interessi nazionali anche quando li incitavano alla lotta contro le forze più reazionarie».

E il modo di produzione capitalistico? Che fa? Dove si è rintanato? E’ scomparso? Insomma: da quale cattiva stella cade fra noi terreni per inquinare il proletariato? Ci eravamo illusi che la notte potesse portare consiglio, pazienza.

Come prima ho accennato non nutro nessuna particolare simpatia per l’Usb e le organizzazioni politiche che la sostengono, ma il modo di criticarla è sbagliato, cerco di spiegare perché.

La società capitalistica si caratterizza per rapporti emulativi, dove l’individuo vive sempre con la speranza, un giorno, di divenire un piccolo capitalista. Nessuna meraviglia perciò se nel corso di un paio di secoli c’è stata una evoluzione “operaia” divenuta capitalistica, come le coop in molte branche sia della produzione che della distribuzione. Nessuna meraviglia perciò che alcune coop siano sorte e si siano inserite nella Logistica con atteggiamenti razzistici con la specifica del camorrismo nei confronti del proletariato precario, nonché immigrato, di questo settore. Perché sarebbe «razzismo di Stato» come teorizzato dal Pungolo rosso? È il capitale impersonale il corruttore, è perciò l’insieme del sistema a dover saltare. Da dove nascerebbe il razzismo di Stato se non fosse in esso trasmesso dal vivo, dal profondo della società, cioè dai rapporti capitalistici?

La questione che abbiamo di fronte oggi è seria e complicata, o la si affronta in tutta la sua drammaticità o si finisce per fare la fine dei polli di Renzo e le premesse, all’interno dei gruppi di estrema sinistra, della fase precedente del modo di produzione capitalistico, ci stanno tutte.

Mettiamo allora i piedi nel piatto e diciamo che in autunno aumenteranno enormemente le difficoltà della ripresa, dell’accumulazione e del rilancio in tutti i settori. Il “paradosso” di uno scenario caotico ci presenterà un ceto medio, produttivo e non, destinato a comportarsi come variabile impazzita, perché non ha null’altro da perdere, mentre il proletariato occupato – non si scandalizzino i compagni e teorici di vecchia scuola “marxista” – saranno legati alle catene della complementarietà con un accresciuto, in maniera esponenziale, esercito industriale di riserva che agisce come la spada di Damocle sulla testa, in tutti i settori, con l’aggravante ulteriore del contagio del Covid-19, in modo particolare in alcuni settori molto problematici come quello della Logistica, dove aumenterà a dismisura il caporalato, il controllo poliziesco e dove la parte più garantita del proletariato interno non vorrà essere coinvolto nelle difficoltà dei precari.

È un quadro esagerato? Sarei felicissimo di essere smentito.

Intanto gli stessi compagni del Pungolo e delle altre sigle di riferimento scrivono:

« In autunno la crisi economica esploderà in tutta la sua devastante portata, e le possibilità di furbe vie intermedie “di lotta e di governo” si stanno bruciando. O da una parte, o dall’altra. La cruda dinamica della realtà lo imporrà anche a quei compagni che continuano a cincischiare con appelli alla unità rigorosamente privi di contenuti (che non siano minimalisti), i quali evitano con cura di affrontare i nodi di merito dell’auspicata unità, gli indirizzi politici da dare ad un’azione sindacale che sia all’altezza della più grande crisi della storia del capitalismo e dell’offensiva padronale-statale-europea in atto ».

C’è un automatismo pericoloso in quello che qui si sostiene perché i lavoratori non vivono lo stesso spirito delle “avanguardie”, ovvero che siamo già al punto «o di qua o di là». A parte che è tutto da dimostrare che siamo realmente a questo punto, non possiamo pretendere che i lavoratori ci seguano su quello che non sentono. Dunque non potranno suonare lo stesso spartito.

Verrebbe da dire: compagni cari, come spiegate la vostra proposta di patrimoniale, con tanto di conteggi, col quadro che delineate?

Quanto agli «indirizzi da dare», vorrei qui ricordare di sfuggita che negli Usa lo spartito, cioè l’indirizzo, è stato dato solo dall’improvviso movimento di massa che è scattato come una molla per l’uccisione di George Floyd. Un movimento per intensità, profondità e qualità come non s’era mai visto. Quindi smettiamola con la litania del «che fare?», del «Programma rivoluzionario», della «Teoria rivoluzionaria» e dei vari teoremi su quel che « bisogna fare », «bisogna unificare », « bisogna compattare». La questione è molto più semplice di come la vogliamo raccontare: sono le masse che si devono mobilitare e se esse non sentono la necessità di mobilitarsi, non sono poste cioè nella estrema necessità di doverlo fare, noi non le mobilitiamo con i programmi, i proclami, la teoria e i grandi appelli. E, si badi bene, neppure sollecitandoli a fare come altrove e ancor meno raccontando di un movimento antagonista che cresce in tutto il mondo.

Diciamolo una volta per tutte: il movimento rivoluzionario non è un movimento embrionale, come viene detto dal Pungolo, destinato a crescere, ma procede per sbalzi o per ondate. Sottomano abbiamo l’esempio degli Usa dove uno straordinario movimento improvviso ha espresso la sua potenzialità ed è poi rifluito. Come sono rifluite le mobilitazioni antirazziste in Europa o i Gilet gialli in Francia.

Resta la questione di fondo: se i lavoratori sono fortemente ricattati e impauriti, e per questa ragione non sono in grado di mobilitarsi perché lo scenario generale è deprimente, la colpa non sarà dei sindacati confederali ed a maggior ragione delle altre insignificanti sigle sindacali. Ripeto: sparare ad alzo zero contro il riformismo della Usb è un modo per mostrare tutto il proprio infantilismo teorico e politico in una fase in cui abbiamo bisogno di tutt’altro. I lavoratori della Logistica, iscritti o simpatizzanti del Si Cobas potrebbero avere le stesse difficoltà a mobilitarsi e non per questo definiremmo smobilitanti i militanti di questo sindacato.

Per concludere, Kissinger, un personaggio al cui cospetto tutti noi messi insieme non facciamo la sua unghia in termini di comprensione delle dinamiche della realtà sociale, a chi gli rimproverava di essere troppo concessivo nei confronti dei vietnamiti durante gli ultimi anni prima della definitiva sconfitta degli Usa, rispondeva: «non si può conquistare al tavolo delle trattative quello che si perde sul campo di battaglia». La domanda è: qual è lo stato attuale del campo di battaglia tra la “borghesia” e il “proletariato”? Siamo seri, cari compagni!

Qual è lo spirito giusto? Quale il nostro reale “che fare”? Quale il nostro spartito?

a. Denunciare il modo di produzione per tutti i disastri che continua a perpetrare da oltre 500 anni, come causa di tutti i fenomeni degenerativi dei rapporti sociali e di questi nei confronti delle altre specie della natura;

b. Organizzare quello che è possibile sapendo che il soggetto non siamo noi ma quelle parti della società che il modo di produzione sfrutta, opprime e reprime; non con la speranza di cumulare chissà quale movimento antagonista, ma per aumentare le difficoltà al movimento capitalistico in crisi.

c. Essere pronti a improvvise ondate di movimenti di masse e cogliere da essi la forza d’urto senza avere la presunzione di voler mettere preventivamente il cappello politico.

* * * *

Appendice

di Alessio Galluppi

Ho conosciuto Aboubakar Soumahoro nella prima metà dell’anno duemila. Erano gli anni in cui di fronte al ricatto del permesso di soggiorno e del suo vincolo legato al contratto di lavoro (imposti dalle varie leggi sull’immigrazione), le comunità di immigrati delle città italiane erano costrette regolarmente a scendere in piazza con l’avvicinarsi della scadenza del titolo di soggiorno. Lotte spesso autorganizzate dal basso, cui era difficile raggiungere quella estensione nazionale capace di tenere insieme l’obiettivo politico di cancellazione di tutte le leggi sull’immigrazione basate su quel vincolo ricattatorio, e la realizzazione di una lotta generale nazionale per l’ottenimento del permesso di soggiorno senza condizioni, che tutte le forze politiche bianche di fatto erano incapaci a perseguire.

Il profondo isolamento sociale e politico in cui le lotte degli immigrati si danno, ostacolano i diversi tentativi di unificare le piazze di immigrati in lotta, da Brescia a Roma, dal Nord Est al Sud Italia.

Abou, in quegli anni giovanissimo, aveva preso a cuore questa lotta e l’aveva incentrata su tre cardini: l’autorganizzazione degli immigrati a decidere e determinare gli obiettivi della loro lotta senza curarsi delle “politiche dell’alleanze” dei bianchi; la cancellazione di tutte le leggi sull’immigrazione basate sul vincolo del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro; la distruzione e l’abolizione di tutti i luoghi di reclusione degli immigrati quali i CPT, CPE, ecc. (che tante volte hanno cambiato nome negli anni, ma la cui sostanza è sempre rimasta inalterata – carceri extralegali).

Insieme a questi tre cardini c’era anche la speranza che la lotta degli immigrati potesse favorire anche la reazione dei lavoratori autoctoni, le cui condizioni andavano crescentemente precarizzandosi anche come conseguenza dell’immigrazione coatta e delle sue ricadute sulla ristrutturazione del mercato della merce della forza lavoro.

Nell’ascoltare il 5 luglio l’intervento di Abou alla manifestazione degli “Stati Popolari” di Piazza del Popolo ho provato profonda amarezza.

Non per il “presunto tradimento” di Abou che devia “la protesta” verso “la proposta”, bensì per la constatazione che la sua speranza della rottura di quell’isolamento sociale e politico degli immigrati in lotta e l’aspettativa di una reazione da parte dei lavoratori autoctoni si è vieppiù logorata. Nei magazzini della logistica i lavoratori italiani, gli “sfruttati” bianchi continuano ad “ignorare” la lotta dei propri compagni di lavoro colorati, cullandosi nell’illusione che il loro relativo e sempre più “risicato privilegio” possa non costringerli a scendere in campo. I braccianti bulgari vengono accerchiati dalla rabbia degli italiani dei quartieri popolari di Mondragone. Questa reale contraddizione porta l’Abou di ieri ad essere l’Abou della “proposta” di oggi.

Prima di guardare gli errori politici del singolo o del gruppo (che ci sono!), dunque sforziamoci a guardare il terreno materiale che spinge l’individuo o il gruppo a commettere certe giravolte, perché l’unità del fronte di classe degli sfruttati non è questione di capi, né di individui. Quanto sta accadendo negli USA, con il movimento di massa esploso dopo l’assassinio di George Floyd, ci insegna altro: che la semplice rivendicazione dei “bianchi” per l’unità degli sfruttati è perniciosa tutte le volte che sottostima i caratteri profondi del razzismo sistemico. Perciò l’unità di intenti e di lotta degli sfruttati neri, colorati e bianchi non ammette semplificazioni. Non è attraverso gli slogan che si possono superare le difficoltà obiettive che sono frutto di secoli di colonialismo.

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claudio
Friday, 14 August 2020 12:36
Nessuno mette in dubbio la caratteristica della logistica, del fatto che vi lavorano soprattutto immigrati precari e supersfruttati. Pertanto massimo rispetto e solidarietà, ci mancherebbe.
Ma la lotta dei ferrovieri, nell'ultimo mezzo secolo, è stata una delle più imponenti ed importanti: ha costretto il governo in breve tempo ad intervenire e a concedere un aumento salariale del 10%, si sono susseguite per moltissimi anni ancora, ha certificato l’azione di sabotaggio di Pci, Psi, triplice sindacale, nonché dei gruppuscoli della cosiddetta sinistra radicale, che allora veniva definita estrema, sia soprattutto perché ha dato il via alle lotte operaie autonome, in quanto in quegli anni molti pensavano che gli scioperi potessero essere proclamati soltanto dalla triplice sindacale (Cgil – Cisl –Uil), ma non dalla classe lavoratrice organizzata autonomamente!
Nonostante tutto ciò, lei -pur conoscendole molto bene, come confessa nel predente commento- si è sentito in diritto di poterle ignorare, non senza ovviamente un chiaro intento politico, che è uno di quelli che caratterizza molti di voi saputelli della sinistra cosiddetta antagonista.
Claudio Saccani
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michele castaldo
Friday, 14 August 2020 07:43
Egregio Claudio (visto che mi dà dell'egregio),
il suo commento - converrà - è molto confuso e contraddittorio.
Conosco la lotta dei ferrovieri italiani come quella dei ferrovieri francesi, ho avuto modo di conoscere Gallori e altri militanti che si sono dedicati alla causa, fra gli altri Salvatore Ricciardi, che aderì poi alle Brigate Rosse e morto di recente.
Ho scritto - e ripeto - che il Si Cobas merita un'attenzione particolare non per eroismo dei propri militanti - ATTENZIONE BENE - ma «perché è stato espresso da un settore molto particolare, cioè quello dei lavoratori della Logistica, in una fase molto particolare, in condizioni molto particolari, fra lavoratori molto particolari».
Ho omesso di descrivere le particolarità, faccio ammenda, e colgo l'occasione per precisarle: a) fase diversa da quella della lotta dei ferrovieri italiani e francesi; b) settore composto prevalentemente da micro aziende a carattere cooperativistico; c) lavoratori per lo più immigrati.
Si tratta di differenze SOSTANZIALI . Se le cosiddette avanguardie vogliono capire, di materiale per capire ce n'è a iosa. Se no ...la terra continua a girare su sé stessa e intorno al sole.
Comunque grazie per aver letto il mio articolo e di averlo commentato.
Michele Castaldo
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claudio
Thursday, 13 August 2020 22:46
Mi correggo: dopo quei dieci giorni infuocati di lotta, i ferrovieri hanno continuato a lottare per anni, prima in modo corporativo, ossia per i propri esclusivi interessi operai, poi col Comu del sig. Gallori e compagnia, a sostegno dell'azienda e del sistema.
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claudio
Thursday, 13 August 2020 22:39
Egregio Michele Castaldo, il suo scritto merita attenzione in quanto tratta molteplici importanti aspetti politici e di lotta. Premesso ciò, ritengo che non conosca, o finga di non conoscere, la storia operaia dell’ultimo mezzo secolo, se si permette di affermare che [fra tutti i sindacati di “base” sorti negli ultimi 50 anni in Italia l’unico che merita un’attenzione particolare è il SI Cobas]. “Dimentica” infatti la lotta dei ferrovieri, che dal 1/8/75 in avanti, ha dato inizio a lotte autonome operaie in molti settori e non solo in Italia. Tale lotta, partita dai Comitati Unitari di Lotta (CUdL) di Genova Brignole, su una linea di classe e non corporativa, si è poi estesa, da ferragosto e per ben 10 gg., al centro/sud, spaccando in due il paese. Essa ha interessato governo, parlamento, giornali, TV, Commissione Trasporti della Camera che, dopo adeguata analisi, ha dato ragione ai ferrovieri in lotta, e quindi, certificato l’azione di sabotaggio di Pci, Psi, triplice sindacale, nonché dei gruppuscoli della cosiddetta sinistra radicale, internazionalisti compresi, perché ... come dice lei, non ci potevano mettere il cappello.
Tornando allo scritto, mi sembra giusto condannare lo “spirito di setta” in voga non solo tra le organizzazioni sindacali di “base”, ma ancor prima fra i gruppi politici. Ad influenza il comportamento proletario è l’ideologia dominante, che ha il monopolio totalitario di tutto il sapere e pertanto determina i comportamenti. In ciò, l’opportunismo gioca ovviamente la sua parte. Sulla situazione che si presenterà dal prossimo autunno sono abbastanza d’accordo con lei, così come sulla vicenda Soumahoro, un po’ meno sulle cosiddette avanguardie. Sulle lotte degli Stati Uniti, nata dalla violenza della polizia e del potere reazionario, penso che senza organizzazione politica che abbia un chiaro indirizzo di classe ed obbiettivi di lotta adeguati, la lotta spontanea non poteva continuare a svilupparsi oltre.
Lei sostiene che “sono le masse che si devono mobilitare e se esse non sentono la necessità di mobilitarsi (?!), non sono poste cioè nella estrema necessità di doverlo fare (?), non le mobilitiamo con i programmi, i proclami, la teoria e i grandi appelli”. Qui c’è soprattutto un problema di coscienza di classe, che si sviluppa nella lotta e con l’acquisizione della teoria marxista, non certo quella raffazzonata delle cosiddette avanguardie, come lei. L’affermazione che in questo contesto fa, contraddice molta parte della sua analisi e sembra voler dire che, una volta mobilitate le masse, ci si può mettere il cappello.
Insomma, se lo scritto nel suo complesso può anche andare, le conclusioni che trae squarciano il velo. Non si tratta infatti di “fenomeni degenerativi” ma di un sistema basato sullo sfruttamento della forza-lavoro per il profitto capitalistico. Certo che “il soggetto” non siete voi, voi fate parte della media borghesia che vive dello sfruttamento proletario, è per questo che vi basta “aumentare le difficoltà (ma non troppo!) al sistema capitalistico in crisi. Suggerisce di “Essere pronti a improvvise ondate di movimenti di masse”, ma molto probabilmente all’unico scopo di poterle soffocare per tempo.
Saluti.
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michele castaldo
Thursday, 13 August 2020 08:25
Carissimo compagno,
ti inviterei a leggere con maggiore calma il mio scritto perché pongo UNA SOLA QUESTIONE contenuta - tra l'altro - nel titolo e cioè: un vecchio vizio della sinistra (quella cosiddetta estrema in modo particolare) di ANTEPORRE GLI INTERESSI DI BOTTEGA A QUELLI DI CHI SI PRETENDE DI DIFENDERE.
Quanto a Soumaoro - che non conosco - ho SOLO cercato di spiegare le ragioni che spingono una persona a una "scelta".
In realtà ho voluto dimostrare che è da stupidi scagliarsi contro l'INDIVIDUO, LA PERSONA, IL PERSONAGGIO RIMUOVENDO LE CAUSE.
Comunque ti ringrazio di aver letto il mio scritto e di averlo commentato.
Michele Castaldo
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GianMarcoMartignoni
Wednesday, 12 August 2020 22:30
Premesso che da quando sono entrato in fabbrica ( 1974 ) mi sono subito iscritto alla Flm, ed eletto delegato ( 1979 ) ho aderito alla Fiom-Cgil, non sono mai stato affascinato, da leninista, dalle organizzazioni di base.Con Gigi Malabarba, di cui ho sempre avuto la massima stima,ne abbiamo discusso più volte senza alcuna acrimonia, avendo sempre militato nella sinistra sindacale all'interno della Cgil.Vedo quello che fa il Si-Cobas, ma un conto è organizzare alcune realtà di un segmento della classe, seppur importante, un conto è organizzare il complesso della classe.Castaldo sa bene qual'è la divisione che sussiste tra i lavoratori e le lavoratrici sindacalizzati, e la parte consistente del mondo del lavoro totalmente de-sindacalizzata ed anti-sindacale per certi tratti..Quando si ragiona oggi sui livelli di coscienza della classe, non si può prescindere dal fatto che per gravi responsabilità di personaggi alla Bertinotti e il suo cerchio magico ( compreso un certo Vendola ), siamo in assenza nel nostro paese di un partito che tenti di rappresentare gli interessi della classe .Poichè non sono mai stato un tifoso del pan-sindacalismo alla Cremaschi, non mi appassiona per nulla cosa fa Bellavite o Soumahoro. Appartenere e militare in una organizzazione sindacale è qualcosa di diverso.Che L'Epresso esalti Soumahoro, ma poi con Liviadotti spinga l'accelleratore in funzione anti-sindacale., credo che chi conserva un minimo di bussola politica e culturale non possa farsi incantare dagli editoriali di Marco Damilano.
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