L’unità dei comunisti può poggiare su un’unica base: quella del marxismo-leninismo
di Eros Barone
«Prima di unirsi, e per unirsi, è
necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e
nettamente» (Lenin).
Abbiamo assistito alla fine di una fase iniziata, almeno in Italia, con il collaborazionismo delle sinistre sedicenti “radicali” (Prc e Pdci) rispetto alla borghesia e la loro progressiva delegittimazione rispetto al proletariato: epoca che si è conclusa con la loro scomparsa dal parlamento. La bancarotta politica, ideologica e morale delle formazioni opportuniste, non meno che la costituzione del Pd, partito della borghesia imperialista, avrebbero dovuto indurre ad una seria riflessione coloro che avevano sopravvalutato il grado di permeabilità di tali formazioni rispetto a posizioni autenticamente comuniste, ossia marxiste-leniniste, e che non si rendono ancora conto che una fase della storia del movimento di classe, legata alla nozione otto-novecentesca di ‘sinistra’, si è definitivamente chiusa.
Ciò è reso ancor più evidente dalla presenza, dentro la ‘sinistra’, di una cultura anticomunista e pro-imperialista sempre più diffusa, che ostacola fortemente lo sviluppo di un metodo e di una teoria capaci di superare il movimentismo e la pura protesta: quel movimentismo e quella protesta che sono, per dirla con Mao Ze Dong, come i palloni che, quando piove, si afflosciano. Quella che il Partito Comunista ha intrapreso è dunque una ‘lunga marcia’ verso i lavoratori, verso le fabbriche, verso gli uffici, verso le periferie, verso le scuole e le università: i tanti luoghi nei quali nessuno sa più quali siano le grandi ragioni di un partito comunista fondato sul socialismo scientifico.
Questa ‘lunga marcia’ va condotta all’insegna della parola d’ordine formulata da un grande dirigente della socialdemocrazia tedesca, un marxista della ‘seconda generazione’, August Bebel, che in questi precisi termini indicò i cómpiti del movimento di classe negli anni Ottanta del XIX secolo: «Studiare, propagandare, organizzare». Il cómpito immediato che ora si pone è quindi quello di lavorare a diffondere tra le masse, un’idea di partito comunista animata dal gramsciano “spirito di scissione”. Un’idea che, fondandosi sull'assunto dialettico che non è solo la classe a creare il partito, ma anche il partito a 'creare' la classe, si esprime nella volontà e nella capacità di tracciare una netta linea di demarcazione che separi nell’economia il lavoro salariato dal capitale, nella società il proletariato dalla borghesia, nella politica i comunisti dalla sinistra, nell’ideologia i rivoluzionari dagli opportunisti. Il Partito Comunista è nato da poco tempo e pian piano si sta sviluppando. Per svilupparsi deve però liberarsi dal pesante retaggio opportunista e revisionista delle precedenti formazioni politiche, tutte di stampo socialdemocratico, da cui è scaturito.
Che la sinistra comunista debba tornare a studiare è stato affermato e più volte ripetuto da parecchi compagni, ed è tanto più necessario quanto più è evidente l’abbandono dello studio e della ricerca che caratterizza la società italiana e le stesse istituzioni (come la scuola e l’università) preposte a tale funzione. Ma allora, se si vuole risalire una china rovinosa, la parola d’ordine da seguire torna ad essere quella formulata più di un secolo fa da August Bebel, grande dirigente della socialdemocrazia tedesca: "studiare, propagandare, organizzare". Dunque, ‘studiare, propagandare, organizzare’, sì, ma con chi? Se dovessi rispondere con paradossale franchezza a questo legittimo quesito, direi: con "Lotta comunista". È questa infatti l’unica organizzazione che abbia raggiunto nel nostro paese la massa critica per potersi definire partito. Ma come accettare ciò che non può essere accettato? Non è possibile infatti accettare né l’irriducibile antistalinismo né la scelta dell’astensionismo strategico, benché la serietà dell’impegno organizzativo, la continuità dell’intervento politico e sindacale, il rigore della elaborazione teorica e la costante propaganda del socialismo scientifico, che caratterizzano tale partito, sùscitino anche in un marxista-leninista un’indubbia ammirazione.
Ma lasciamo da parte "Lotta comunista" (anche se non so fino a che punto si potrà continuare ad ignorare una forza reale come questa, data la sua presenza nelle fabbriche, sul territorio, nel sindacato, nella scuola e nell’università…) e guardiamo all'area marxista-leninista. Ebbene, mi pare difficile negare che il panorama (teorico, politico e organizzativo) sia connotato dalla frantumazione e dalla marginalità. In effetti, come hanno affermato qualche tempo fa Gabriele e Pioppi, tra i fattori oggettivi che ostacolano l’unità dei comunisti occorre richiamare innanzitutto, per le pesanti ripercussioni che questo evento ha determinato sia nelle file del movimento operaio internazionale e dei movimenti di liberazione nazionale sia nei rapporti di forza tra gli Stati su scala mondiale, la sconfitta dell’URSS e di altri paesi socialisti ad opera della borghesia imperialista e dei suoi naturali alleati all’interno di tali paesi, cioè dei moderni revisionisti. Da qui hanno tratto ulteriore forza la spinta verso la ‘reazione su tutta la linea’, fascistizzazione inclusa, e la tendenza alla guerra, che sono connaturate all’imperialismo. Orbene, il processo di socialdemocratizzazione che ha permeato di sé l’intero movimento operaio costituisce un grande ostacolo non solo per l'unificazione dei comunisti sul piano ideologico e organizzativo, ma altresì per la stessa prospettiva rivoluzionaria. Ed è proprio un caso esemplare della conversione dialettica di un fattore soggettivo (la ricerca di una generica identità comunista) in un fattore oggettivo (il blocco della prospettiva rivoluzionaria) quello che risulta dalla rinuncia, parziale o totale, tacita o dichiarata, da parte di un certo numero di gruppi che si ritengono comunisti, alla lotta contro il revisionismo, che è invece un compito integrante e inderogabile dei gruppi che sono comunisti e marxisti-leninisti.
Sennonché il galoppante processo della degenerazione revisionista e liquidazionista del movimento operaio avrebbe dovuto imporre ai comunisti marxisti-leninisti una straordinaria capacità di costituire subito una organizzazione alternativa e di agire, cioè elaborare ed attuare un piano strategico, per polarizzare intorno ad essa la maggioranza del proletariato. Tutta l’esperienza storica del movimento operaio dimostra infatti che, senza una organizzazione rivoluzionaria, la prospettiva della rivoluzione, benché resti iscritta nella dinamica contraddittoria del modo di produzione capitalistico (assieme, per altro, a quella, che gli autori del Manifesto del Partito Comunista non tralasciano di indicare, della “comune rovina delle classi in lotta”), si chiude per un lungo periodo (si pensi al periodo, durato ben 34 anni, compreso tra la Comune di Parigi del 1871 e la prima rivoluzione russa del 1905). Inoltre, occorre sottolineare che alle difficoltà intrinseche al progetto della ricostruzione del partito comunista si somma un’ulteriore difficoltà, rappresentata dallo iato profondo, che segna in questa fase la congiuntura della lotta di classe, fra questione sociale e questione politica (per una ‘metrica’ dei rapporti fra le due questioni si pensi, da un lato, al nesso strettissimo che si pose nel ‘biennio rosso’ e, dall’altro, alla dissociazione che si ebbe negli anni ’30).
Dunque, ciò che risulta con chiarezza è che, in Italia, l’ostacolo politico che sbarra la strada alla ricostruzione del partito comunista è il revisionismo/liquidazionismo. Un grave ostacolo di natura ideologica, che richiede una risposta coerente e sistematica sul terreno del socialismo scientifico, è poi, in un ambiente, quale quello della sinistra italiana, dominato dalla tendenza a rimuovere il conflitto di classe e le concezioni che su di esso si fondano, l’eclettismo, cioè il prodotto della confusione e della disgregazione. Vi è infine un ostacolo di natura teorica, che chiama in causa le capacità di elaborazione, individuali e collettive, dei comunisti: la mancanza di un’analisi scientifica del capitalismo e dell'imperialismo contemporaneo, fondata sulla teoria marxista- leninista. Si tratta di una carenza, per l’appunto di ordine scientifico, che spiega, in larga misura, la debolezza dei comunisti, ossia la loro disomogeneità ideologica e la loro dispersione organizzativa. Ad ogni modo, lo spartiacque che separa i comunisti, che si sforzano di risolvere il problema, oggi politicamente centrale, della ricostruzione del partito rivoluzionario della classe operaia e del popolo lavoratore, dagli opportunisti, che ostacolano tale processo, è la lotta contro l’economicismo. Sia la posizione che, a livello della pratica politica, esclude dal riconoscimento della lotta di classe la necessità della dittatura proletaria (= PCI), sia la posizione che, a livello della pratica organizzativa, scinde la partecipazione al movimento di lotta delle masse dalla ricostruzione del partito (= Centri sociali e aree anarco-riformiste che gravitano su di essi) hanno la stessa radice opportunistica: l’economicismo. Sia la posizione (oggettivistica) che affida al decorso naturale della crisi economica la formazione della coscienza di classe e la conseguente ricostruzione del partito, sia la posizione (soggettivistica) che enuncia la necessità della ricostruzione del partito ma non lavora per tradurla in atto hanno la stessa radice opportunistica, benché l’una moltiplichi le mediazioni e l’altra le abolisca in un colpo solo: l’economicismo (da cui si genera il volontarismo, da cui si rigenera l’economicismo... in una sorta di ‘cattivo infinito’). Così, subordinare il percorso della ricostruzione del partito ad una specie di ‘referendum’ fra le diverse compagini è un modo di vanificare, attraverso una procedura democraticistica, il fine cui si tende, poiché in nessun caso un partito rivoluzionario può nascere da una consultazione (e men che meno da una votazione) fra gl’individui, le compagini e le organizzazioni esistenti. Altrettanto erroneo è il modo di procedere di chi, pur affermando la necessità di ricostruire il partito, confonde, in nome della giusta esigenza di ancorare tale processo alla pratica sociale, l’istanza del partito, cioè della sintesi teorica e politica delle esperienze del movimento di classe, con l’istanza, che è differente sia per grado che per natura, del fronte unico e degli organismi rivoluzionari di massa. In ultima analisi, ciò che i romantici soggettivisti (i quali scambiano i loro desideri con la realtà) e i rinunciatari oggettivisti (i quali scambiano i limiti esistenti con l’impossibilità di agire) non sono in grado di comprendere è il nesso dialettico fra teoria e pratica, fra scienza e programma, fra previsione e volontà: il nesso dialettico in virtù del quale la realizzazione della tendenza oggettiva...dipende dall’azione soggettiva del partito. Tralascio infine la posizione, ad un tempo infantile e opportunistica, di chi, in una fase come quella attuale, in cui si tratta di arrivare a costituire il partito comunista, afferma ciò che è valido per la fase successiva, ossia che “un partito comunista esiste solo se è ben radicato tra le masse ecc.”.
Dal canto mio, sono convinto che oggi più che mai, sia in linea di principio che in via di fatto, non può sussistere alcuna cesura, nel dibattito e nella ricerca che vedono impegnati i comunisti, fra il lavoro teorico, l’analisi della situazione interna e internazionale, i giudizi e gli orientamenti politici relativi ad essa, da un lato, e, dall’altro, le indicazioni organizzative e gli obiettivi di lotta che derivano dall’applicazione di tale lavoro e di tale analisi alla congiuntura attuale dello scontro di classe e, nel contempo, ne garantiscono l’ulteriore sviluppo ed approfondimento. In realtà, la forma-partito non è solo, come ci ha insegnato Lenin, uno strumento fondamentale della lotta che il proletariato conduce per la conquista della maggioranza politica della classe operaia e del popolo lavoratore, per l’abbattimento dello Stato borghese e per l’instaurazione del potere proletario, nonché per la successiva transizione alla società comunista, ma è anche una condizione essenziale della conoscenza che il proletariato acquisisce ed elabora nel corso di questa lotta. Pertanto, chi ritiene che l’unificazione delle analisi e l’approfondimento del dibattito debbano precedere l’unificazione organizzativa (= gruppetti vari di mosche cocchiere) ragiona in modo non dissimile da chi ritiene che la lotta per il socialismo possa essere ingaggiata solo dopo che l’ultimo operaio sia stato conquistato alla causa del socialismo. Parimenti, colui il quale, ragionando in modo eminentemente schematico, sostiene che prima bisogna percorrere “la via all’in su” e dopo “la via all’in giù”, ha perso di vista il grande principio enunciato da Eraclito, fondatore della dialettica, secondo cui “la via all’in su e la via all’in giù è una stessa via” e va percorsa in entrambi i sensi. Nel caso migliore abbiamo a che fare con individui del tutto privi di spirito di partito, nel caso peggiore con individui che tendono a spostare la ricostruzione del partito comunista nella immensa lontananza di un futuro indeterminato. La conclusione che ritengo di poter trarre da questa deprimente rassegna del massimalismo, del velleitarismo, del nullismo, del revisionismo e dell’opportunismo, è che l’unico partito a cui mi sento vicino è il Partito Comunista, in cui si può riconoscere il nucleo embrionale del processo di ricostruzione di una soggettività comunista nel nostro paese.
Per quanto concerne il giudizio sulla recente scissione avvenuta nel PC, riconosco che, dall’esterno (essendo io un “compagno di strada” del PC), non è semplice formulare una valutazione sulle cause e le ragioni di tale scissione, mentre non è difficile prevedere che, a questo punto, la Rete dei Comunisti è il naturale approdo degli scissionisti, ed è scontato che questo raggruppamento, che aderisce alla compagine di Potere al Popolo, tenti di fare campagna acquisti accaparrandosi questo manipolo di giovani. Ritengo però che, per le questioni che investe, per le analisi che implica e per l’orientamento che ne consegue, la lotta politica, ideologica e organizzativa che si è svolta nel ristretto àmbito del Partito Comunista non può lasciare indifferenti tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati al rilancio di una prospettiva marxista-leninista nel nostro paese. “Il partito epurandosi di rafforza”: è questo un insegnamento basilare di Stalin, che va tenuto presente. In queste ultime settimane sono state pubblicate le tesi programmatiche ed entro la fine del 2020 dovrebbe tenersi il terzo Congresso Nazionale del PC: questa sarà dunque la sede in cui, applicando correttamente il centralismo democratico, dovrà svolgersi il confronto tra le diverse posizioni e le differenti linee tattico-strategiche, confronto da cui scaturirà la linea generale del partito. Una volta approvata dalla maggioranza dei delegati al congresso, tale linea sarà poi vincolante e obbligatoria per tutti: dirigenti, quadri intermedi e militanti. Mi auguro pertanto che il prossimo congresso ponga le basi della crescita qualitativa del partito, ‘conditio sine qua non’ di una crescita quantitativa della sua influenza, secondo il corretto binomio leninista: partito di quadri / linea di massa. Insomma, riguardo alle "contraddizioni in seno al popolo" che si sono manifestate nel Partito Comunista io non sono pessimista, perché penso che debbano essere inquadrate in un processo oggettivo che tende necessariamente verso la maturazione, ovviamente fra contrasti, scontri e divergenze, di un autentico partito, indipendente marxista-leninista e rivoluzionario, che rilanci l'azione del proletariato anche in un paese politicamente, culturalmente e ideologicamente reazionario, qual è oggi l'Italia. A questo proposito, vi è un passo della hegeliana Fenomenologia dello Spirito (Firenze 1970, vol. II, pp. 117-118) che sembra confortare questa mia interpretazione circa il carattere potenzialmente progressivo che questo tipo di contraddizioni può acquisire, se il processo viene ben governato. Eccolo: "Un partito si comprova come vincitore solo perché si scinde in due partiti; e così mostra di possedere in se stesso il principio che prima combatteva, e di aver quindi tolta l'unilateralità nella quale prima sorgeva. L'interesse che si divideva tra lui e l'altro, cade ora interamente in lui, e dimentica l'altro partito, dacché proprio in questo trova l'opposizione che lo tiene occupato. Ma in pari tempo la discordia è stata elevata al superiore, vittorioso elemento, dove essa si presenta purificata. Cosicché dunque la scissione sorgente nell'uno dei partiti, pur sembrando una disgrazia, indica soltanto la sua fortuna". Si tratta di una visione teleologica, progressiva e positiva, della "negazione dialettica" che supera se stessa e si invera nella "negazione della negazione", ma, come spesso accade leggendo e meditando le pagine di Hegel, si resta colpiti dalla genialità delle sue argomentazioni dialettiche e dalla loro aderenza alla realtà.
L’esperienza storica del movimento comunista internazionale, alla quale i marxisti-leninisti apertamente si ricollegano, ci insegna che i partiti della classe operaia sono sempre stati costruiti sulla base di uno stretto legame dialettico fra l’unità teorica (i fondamenti del marxismo-leninismo) e l’unità politica raggiunta attraverso l’azione. Oggi l’azione deve tendere ad elaborare i primi elementi di una linea politica rivoluzionaria, adeguata all’attuale situazione interna e internazionale (è questo, peraltro, il solo terreno sul quale può crescere e svilupparsi anche la teoria). La prospettiva verso cui tendere è quella dell’unità organica di tutti i comunisti nel partito rivoluzionario, marxista-leninista, della classe operaia italiana: un partito con una linea politica corretta, militanti sicuri, una solida organizzazione, una preparazione teorica e politica ben salda, il quale sappia conquistarsi legami sempre più stretti con le masse. I comunisti devono quindi far propria e applicare nella presente congiuntura la massima leniniana che ho riportato nell’epigrafe di questo scritto: «Prima di unirsi, e per unirsi, è necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e nettamente» (Lenin). Ma qual è il punto archimedico di questa necessaria delimitazione? Credo che non possano esservi dubbi di sorta: esso per un marxista-leninista è l’obiettivo dell’abbattimento rivoluzionario dello Stato borghese e dell’instaurazione della dittatura proletaria quale condizione storicamente necessaria per la costruzione di una società socialista. Questo punto archimedico implica pertanto la rottura col revisionismo sulla questione che è sempre stata decisiva per distinguere un partito rivoluzionario marxista-leninista da una qualsiasi formazione politica riformista o centrista.
Mi sia infine permesso di concludere queste considerazioni, occasionate da un recente articolo del compagno Norberto Natali Contro “l’unità dei comunisti” (‘unità’ non a caso posta fra virgolette), con le parole del più grande fra i nostri maestri: «Il comunismo è una forza sociale materiale, che vince la nostra intelligenza, conquista i nostri sentimenti, salda la nostra coscienza con la nostra ragione, è una catena di cui non ci si può sbarazzare senza spezzarsi il cuore; è un demone di cui l’uomo non può trionfare che sottomettendosi a lui».
Comments
Non è grazie alla banda politica, o agli scienziati, che il comunismo si realizzerà.
L'auto-riproduzione del capitale protesta sul nascere o lo recupera, lo rigenera.
L'apertura del possibile e si manifesterà nella crisi finale che sarà l'impossibilità per il capitale di riprodursi. Ecco perché il comunismo in un paese è un'illusione.
L'unione Sovietica non ha potuto e saputo sviluppare tutte le forze produttive accumulando tuttavia un enorme capitale umano che ha manifestato la sua potenza nelle imprese spaziali e soprattutto nelle capacità scientifiche di cui la Russia oggi continua a giovarsi in campo militare e in alcuni settori di tecnologia( sistema satellitare, tecnologia nucleare e informatica sprecializzata).
La Cina ha percorso lo stesso cammino ma ha applicato pienamente i principi marxiani di sviluppare prima le forze produttive nel percorso verso il socialismo ancorandosi all a saldezza politica del controllo sulla società. Il percorso è stato il medesimo ma ex ante e non ex post è avvenuta la scelta cinese di preparare le condizioni di ricchezza materiale per l'applicazione del socialismo che è risultata di maggior successo per la mancanza di un conflitto permanente e militare con tutti i paesi capitalisti diversamente all'Unione Sovietica.La storia e l'entità dello scontro con i nemici, non la diversità degli obbiettivi,ha segnato l'esito e i percorsi dei due paesi.La cina oggi decide di iniziare il progetto dell'"armonia" e programma la crescita del benessere dei suoi cittadini e lo può fare perchè tutto il potere è concentrato nel partito comunista ancora avanguardia del popolo cinese, ancora inscrivendo nel collettivismo dimostrato a livello planetario con l'eliminazione dell'infezione( invece di preoccuparsi dei capitalisti privati nazionali) la sua profonda origine. La cina non permette ai meccanismi culturali del liberismo e dell' oligarchismo travestiti da democrazia di propaganda dei valori della borghesia di affermarsi e incrinare la solidarietà delle comunità nella società come è avvenuto nel resto del mondo capitalista: questa è la sua colpa per il mondo capitalista.
Se l'obiettivo è quindi condizionato, come ci indicava Marx, dallo sviluppo delle forze produttive allora è dalla conquista del potere politico nel solco della rivoluzione sociale il punto di partenza e di arrivo dell'intervento nella società italiana le cui forze produttive possono essere uno dei perni anche dello sviluppo di un partito rivoluzionario che le sappia separare dall'acqua sporca delle ideologie borghesi combattendone la prevalenza culturale e l'intossicazione comunicazionale senza per questo abolirne la funzione fino al grado di sviluppo che permetta il socialismo descritto da marx.
Non sarebbe ora di scendere dalla cattedra, che non ci si addice, e accettare il nostro posto, da asini, sui banchi dei discenti? Non sarebbe ora di smettere di avanzare nei confronti del partito comunista cinese arroganti pretese che celano il nostro tornaconto sotto la veste della lotta per il socialismo?
Se la Cina è sto grande paese guida del socialismo, come mai non solo non ha nessun effetto sui padroni nel conferire salari più alti e fare concessioni, non solo non sostiene gli altri partiti comunisti, ma è stata essa stessa partecipe della strategia neoliberista del capitalismo dagli anni 80' fino ad oggi, dando supporto a governi reazionari e contribuendo allo sfruttamento dei popoli in molti paesi (per non parlare del suo)? Spero che con queste domande non vogliamo cavarcela citando il solito mantra della riduzione della povertà e i soliti discorsi dei revisionisti cinesi, che descrivono una realtà completamente all'opposto di ciò che accade in Cina oggi.
L'auto-movimento del proletariato contro il denaro e l'impostura dello Stato,
Quando emerge la coscienza del proletariato è AUTOMOVENTE.
Scuse accettate. Per questa volta eviterò azioni legali............ E grazie per il suo bellissimo articolo. Se suscita così tanti commenti significa che ha colto nel segno.
E' vero, non l'ho coniato io, citavo altri.
Queste erano parole d'ordine che facevamo nostre 40/50 anni fa all'interno di una fase storica nettamente diversa e ancora oggi evidentemente sono necessarie.
il resto mi sembrano soliti rituali e liturgie.
"...la libertà di impresa..." FALSO tutte le unità produttive sia di proprietà pubblica che privata sono vincolate, in modo diretto o indiretto, al conseguimento degli obiettivi del piano quinquennale.
"...La Cina è diventata, in tempi brevissimi, una economia keynesiana , diciamo pure di un "keynesismo pesante"." VERO
"...Cosa è rimasto di marxista-leninista nella RPC?..." L'essenziale: la dittatura del proletariato (si veda quanto detto sulla libertà di impresa)
"la collettivizzazione dei mezzi di produzione è il "fondamento" del marxismo , ed in questo caso la Cina lo ha ripudiato" MAI: l'obiettivo dichiarato dell'azione del PCC è sempre rimasto, ribadito e sottolineato, il conseguimento del Comunismo
"..abbandonato nella sostanza anche se mantenuto nella forma..." si tratta di una sua (e purtroppo di molti altri, si veda la narrazione della "fine della storia") interpretazione: il PCC sostiene che alla luce degli sviluppi e delle difficoltà incontrate dalla lotta di classe a livello mondiale, l'obiettivo del Comunismo (la cui realizzazione non può che essere a livello globale) richiederà un tempo di realizzazione più lungo di quanto inizialmente previsto. Mi sembra una valutazione realistica. L'obiettivo della collettivizzazione dei mezzi di produzione in tutto il globo non è stata quindi abbandonata ma solo temporaneamente rimandata.
"... o io non ho capito nulla del marxismo..." non mi sento di escluderlo, anche se a volte si tratta di malafede: il marxismo non è l'attaccamento ad un ideale astratto ma la strategia della vittoria del proletariato mondiale nella lotta contro il capitalismo e l'imperialismo. La Cina negli ultimi 30 anni ha fatto più di qualunque altro paese per mantenere aperta questa possibilità.
"in base al marxismo leninismo, siete certi di poter bollare la Cina come paese capitalista-imperialista?"
Per quanto riguarda me, per quello che può valere, non ho difficoltà a sostenere che la RPC, non solo è un paese SOCIALISTA al 100%, ma deve essere considerata, dal momento che l'URSS, come sappiamo, non esiste più, il PAESE GUIDA del movimento comunista internazionale. L'incomprensione di questo semplice fatto, che attribuisco ad una subalternità alla narrazione imperialista della "fine della storia", cioè della vittoria definitiva del capitalismo a livello mondiale, procede da un errore, per l'appunto, di tipo opportunista, per cui la struttura economica è tutto e la struttura politica è nulla, e costituisce il più grave impedimento alla costruzione di un partito politico comunista, in occidente, in grado di incidere sui processi in corso.
Il grande problema è sempre la visione ristretta di un'avanguardia di persone il cui ruolo è quello di illuminare le masse e se non possiamo almeno cercare di migliorare il marciume.
Dov'è la coscienza del proletariato? Molto intelligente chi può dirlo.
Torniamo sempre al neud borromeo, lArgento Stato Salario.
Ma naturalmente non esiste la coscienza, eh!
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Le abiure sono simmetriche al linguagio e concetti passatisti : entrambi affossano l'idea di un nuovo progetto comunista. Tra questi commenti già DomenicoMattia Testa abbozza cose convincenti. Per proseguire il ragionamento suggerirei la lettura dell'appendice a 'il sarto di Ulm' di Lucio magri: scritta nell'87 ma estremamente attuale per motivare le ragioni di un progetto comunista. Riprendere la stessa paroa 'comunista' è a mio avviso necessario a dfficile e va fatto con molti distinguo. Qui non sono in grado di riassumere Magri, ma se non lo trovi (il libro c'è su internet ma manca proprio l'apendice) sarò felice di mandarti alcune mie 'riduzioni'.
"L'elefante nella stanza, in questo caso, è senza dubbio il giudizio sulla Cina. Si tratta di un paese capitalista/imperialista oppure di un paese socialista? Mi sembra ovvio che un vero leninista non può accettare delle solizioni intermedie"
Mentre non credo che per un marxista leninista debba valere sempre e comunque il "tertium non datur" , aggiungo che la presenza di tale elefante "in casa Rizzo" (senza offesa! ho votato per esso alle ultime europee) al momento non pare sia in alcun modo percepita. Augurandomi che la percezione avvenga quanto prima, domando: in base al marxismo leninismo, siete certi di poter bollare la Cina come paese capitalista-imperialista? Se sí, ditelo apertis verbis e poi traetene le estreme conseguenze
Aggiungo che l'unità dei comunisti marxisti-leninisti passa necessariamente per la soluzione di alcune questioni concrete (concretissime) che a loro volta sottendono, come giustamente fa notare anche l'autore, dei problemi teorici sulla natura del capitalismo (e dell'imperialismo) odierni, che, evidentemente, non sono stati ancora risolti.
L'elefante nella stanza, in questo caso, è senza dubbio il giudizio sulla Cina. Si tratta di un paese capitalista/imperialista oppure di un paese socialista? Mi sembra ovvio che un vero leninista non può accettare delle solizioni intermedie (es. post-capitalista, stato operaio-degenerato ecc.). E mi sembra altrettanto ovvio che l'agognata unità e strategia rivoluzionaria non può essere conseguita senza una presa di posizione netta e chiara su una questione così rilevante (dirimente, sarei per dire).
Un'altra, forse meno pressante ma comunque decisiva, nonchè collegata alla prima, è una spiegazione scientifica (cioè basata sulle cause e non solamente "fattuale") della fine dell'URSS. Si può concordare che essa è stata provocata dall'abbandono del marxismo-leninismo, e perciò dall'opportunismo-revisionismo; ma questa rimane pursempre una descrizione fattuale degli eventi accaduti. Bisognerà anche spiegare PERCHE' la quasi totalità dei partiti comunisti (esclusi, appunto, la cina e l'albania), abbandonarono contemporaneamente la corretta teoria rivoluzionaria.
Senza una comprensione delle cause della nostra sconfitta non sarà possibile trovare la strada verso la vittoria.