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Antibiotici, vaccini e pandemia

di Noi non abbiamo patria

Le crescenti preoccupazioni delle soggettività della necessità del modo di produzione capitalistico

bacteriaChe cosa ne è del progresso della medicina? In fondo [clicca qui] a questa introduzione c’è un articolo apparso sul The Economist del 21 Gennaio 2022 dal contenuto davvero allarmante (e con accenti anche sciovinisti nei confronti dei paesi dell’Asia). Il cosiddetto progresso capitalistico, il cui sviluppo della accumulazione comportava progresso tecnico e miglioramento delle condizioni di vita, seppur in maniera diseguale e combinata, ora tornano indietro come un boomerang con tutte le contraddizioni nefaste rafforzate di questo modo di produzione. La resilienza della vita alle malattie ed ai patogeni batterici o virali è in regresso. Quanto predisposto da decenni di progresso medico scientifico non sta producendo più i risultati auspicati ed anzi appare essere esso stesso fattore di concausa ed origine di una nuova emergenza sanitaria.

Le organizzazioni sanitarie del Pakistan, India e Bangladesh si trovano a fronteggiare infezioni batteriche che risultano resistenti ai farmaci antibiotici ed antimicrobici con esiti fatali. Ma sono questi stessi antibiotici ed antimicrobici usati in agricoltura o negli allevamenti intensivi ad aver prodotto dei super batteri veicolati da super microrganismi davvero resilienti ai farmaci che hanno curato malattie fatali per l’uomo negli anni ’50, ’60 e ’70 e che ora non stanno salvando più le vite come in precedenza. Le infezioni batteriche già conosciute da decenni di esperienza medica appaiono decisamente più resistenti agli antibiotici determinando un impegno sanitario quintuplicato per le cure ospedaliere e farmacologiche, e un gran numero di morti imprevisto.

L’articolo spiega la dimensione di questa nuova emergenza sanitaria, che attualmente sta provocando soprattutto nell’Asia centrale e nel Sud Est asiatico più di un milione e trecentomila morti all’anno, con la previsione che questa cifra potrebbe raggiungere la soglia di 13 milioni di morti all’anno sulla scala globale nei prossimi anni.

Il tempo del coronavirus coincide con il precipitare di una minor resilienza fisiologica generale del sistema immunitario dell’uomo capitalistico a tutte patologie. E’ un dato di fatto, infatti, che seppur si volesse dubitare dell’esistenza di una pandemia da covid19 (con tassi di mortalità ancora indefiniti ed attualmente indefinibili), di sicuro la tragedia pandemica in corso lo è per tutte le cause, i cui tassi di mortalità sono davvero elevati e in aumento. Non solo una nuova malattia virale, ma anche le conosciute infezioni batteriche che aggrediscono l’apparato respiratorio, gastro intestinale e renale che una volta erano curabili attraverso la terapia antibiotica, sono diventate più gravi a causa di un super batterio che resiste strenuamente alla terapia farmacologica antibatterica.

In questo scenario di recrudescenza delle patologie incluse quelle che si riteneva fossero ormai risolvibili con un protocollo medico di routine, la maniera in cui il modo di produzione capitalistico affronta quella che viene denominata pandemia da covid19 non può che essere quella che è nelle sue forme e fallimentare nel suo risultato. Per questo motivo affidare la salute sotto la protezione dell’accumulazione di valore non dà alcuna via di uscita, difendere il vaccino o contrastarlo non è altro che la rappresentazione della difficoltà storica del proletariato di concepire se stesso e la difesa della sua condizione generale se non come parte del capitale, concepimento che solo il percorso catastrofico del modo di produzione capitalistico può demolire.

La pandemia da coronavirus è solo uno dei fenomeni della minor resilienza fisiologica dell’uomo capitalistico agli elementi patogeni, mentre quelli economici, dei rapporti sociali e della organizzazione delle società sono di gran lunga i principali precipitatori e precipitati di questa emergenza. La vita biologica e quella dell’uomo storico sociale si è adattata ai mutamenti ambientali con una certa armonia dialettica nei confronti dell’uso delle risorse della natura nel corso di migliaia di anni. Le attività dell’uomo produttivo hanno rappresentato nel corso storico uno degli elementi sempre più decisivi nei mutamenti dell’ecosistema naturale. Nel corso dei secoli il rapporto produttivo su come l’uomo mette a sfruttamento le risorse della terra, nell’agricoltura e nell’allevamento ha comportato graduali modificazioni del mondo macro e micro biologico sostenibile, e con esso il sistema biologico immunitario ha avuto il tempo di adattarsi ai cambiamenti provocati. Ma il ritorno a quel mondo macro biologico non è più possibile, la natura per come era all’inizio della preistoria dell’uomo produttivo non esiste più ovunque. Negli ultimi tre secoli in particolar modo l’uomo capitalistico ha impresso una accelerazione di questi mutamenti attraverso l’innalzamento impressionante della produttività ai fini della necessità di una accumulazione crescente del valore sociale capitalistico complessivo. La velocità dell’impatto e del mutamento sull’ecosistema costituito dal rapporto produttivo con la natura ha reso difficoltoso il processo naturale adattivo della vita al nuovo panorama ambientale scosso dal capitalismo, l’adattamento naturale del sistema immunitario non riesce a stare dietro alla velocità con cui si esplica la produttività capitalistica se non attraverso il soccorso di una fisiologia dopata.

La scienza medica si è prefissa quindi lo scopo di assicurare prima di tutto alle classi dominanti una più specializzata prevenzione e cura all’interno dei nuovi rapporti economici e sociali, ma ad un certo punto ha dovuto estendere le misure di sanità e di cura alle classi lavoratrici alleviandole da condizioni igienico sanitarie deficitarie per rinnovare ed irrobustire la capacità vitale della merce forza lavoro da cui il capitalismo estrae il proprio valore. Di fatto la scienza medica si è trovata nella necessità di dover colmare attraverso la moderna farmacologia e la biomedicina quel gap di velocità tra lo sviluppo della accumulazione ed il processo di adattamento fisiologico all’ecosistema mutato. Così come gli OGM sembrarono essere la chiave di volta per aumentare la produttività in agricoltura e dunque combattere la fame in India, in Messico, nell’estremo Oriente e nel mondo, lo sviluppo e la produzione della merce antibiotico ed antibatterico hanno rappresentato il fiore all’occhiello del progresso capitalistico sbandierato ai popoli per quanto riguarda il benessere rafforzato della vita umana rendendo certe patologie sempre meno fatali. Lo sviluppo capitalistico può curare tutto e trovare la cura per ogni patologia: questa la declamazione trionfante della ideologia dominante sotto le sue variegate sfumature laiche o religiose.

Ma ogni progresso in questa o quella attività produttiva dell’uomo capitalistico dal punto di vista del benessere sociale e generale appare sempre più una falsificazione ideologica se osservata nel lungo periodo dei rapporti capitalistici ed alla scala globale. Le ricadute per determinata disfunzione vitale iniziano a riguardare duramente anche il mondo altamente industrializzato e sviluppato. L’incapacità attuale del farmaco antibatterico di contrastare i nuovi batteri potenziati è il risultato della produzione stessa di quella merce usata intensivamente in agricoltura, nell’allevamento e nel dopaggio del corpo umano lungo una lunga fase di decenni del processo dell’accumulazione. La sostanza antibiotica ed antimicrobica stessa è divenuta alla fine di questo ciclo l’origine di un nuovo problema.

Non è un caso infatti che stiamo assistendo nel mondo un notevole ed improvviso aumento della mortalità per tutte le cause rispetto alla media degli anni precedenti. A seconda della nuova geografia capitalistica l’aumento della mortalità è di tre cifre percentuali in certe aree capitalistiche. In Europa si stima che l’aumento medio della mortalità tra il 2020 ed il 2021 sia stato dell’80% e nella UE l’aumento è stato del 30%. Ma in alcuni specifici distretti della catena del valore, per esempio nella provincia di Bergamo, la mortalità ha avuto un eccesso di morti per tutte le cause del 570% nel periodo tra il febbraio ed aprile del 2020 paragonato alla media dello stesso periodo dell’anno per gli anni che vanno dal 2015 al 2019. Nel continente Nord Americano (Canada e Stati Uniti) l’aumento del tasso della mortalità è intorno al 40%, ma a New York tra il marzo e maggio 2020 l’aumento dei decessi per tutte le cause è stata dell’800%. La stessa Asia, la cui organizzazione razionale centralizzata, via Stato socialista o via Stato liberal democratico, avrebbe tenuto a bada il covid19 (il cui virus possiede la capacità di essere pandemico è proprio per il fatto che esso in sé sia di gran lunga meno letale della sars o dell’ebola), eppure alcuni dati approssimativi (che non comprendono la Cina) registrerebbero una aumento della mortalità per tutte le cause a tre cifre percentuali. Singapore, dichiarato dall’OMS il paese più virtuoso al mondo nel contrastare il covid19 attraverso lockdown preventivi ed organizzati e che ha registrato una mortalità da covid19 pari allo 0,2% e che ha già realizzato la terza dose vaccinale su più del 40% della popolazione, l’aumento della mortalità per tutte le cause è stata superiore del 20% (su una popolazione che è poco più superiore di 5,5 milioni). E Singapore non è un piccolo stato arretrato, esso costituisce uno dei primi cinque centri finanziari più importanti del mondo. Impossibile determinare dove finisce il covid19 e dove inizia la mattanza per il collasso dell’intero sistema che il coronavirus ha solamente aggravato.

A fronte dei dati analizzati, la stessa statistica rozzamente computa una oscillazione tra i 12,2 ed i 22,9 milioni di morti in più rispetto alle medie degli anni precedenti al 2020 (la tendenza è calcolata considerando anche il 2021 che ha visto l’aumento delle morti anche in confronto al solo 2020 in moltissimi paesi). Bisogna essere consapevoli che la statistica in questa società non può fornire un dato obiettivo, che essa solitamente descrive i fenomeni estendendo le medie anche per i paesi e/o località i cui dati sono non pervenuti o non disponibili, giudicando che se una circostanza che è avvenuta nel luogo X, probabilmente l’incidenza del fenomeno sarà più o meno uguale nel luogo Y distante a 100 Km o 500Km o che abbia caratteristiche simili. L’impossibilità ad avere una organizzazione sociale che consenta una osservazione puntuale dei fenomeni sociali (perché questa società non la può realizzare fintanto che è determinata dalla necessità economica e non da un piano razionale) il risultato analitico non può che fornire una vista statistica mediante scorciatoia. Questo è lo stesso metodo storico che ha condotto al computo dopo oltre 70 anni e più per la conta dei morti della precedente epidemia mondiale del 1918-1920[1]. Di fatto il movimento dell’accumulazione è diseguale e combinato e una certa cautela andrebbe mantenuta sempre quando si analizza un certo fenomeno sociale (perché una epidemia è prima di tutto un prodotto dell’organizzazione sociale) nel breve periodo, quando si tirano le somme secondo media ponderata, deviazione standard, deviazione ponderata e deviazione per classi di frequenza ed altri algoritmi statistici. In ogni caso è evidente che, ora come cento anni fa, siamo di fronte del venire a galla sul piano della natura e sul piano della fisiologia degli organismi viventi di tutto il precipitato di almeno tre secoli di progresso capitalistico.

Ecco perché gli Stati, rappresentanti dell’insieme variegato e concorrente delle forze capitalistiche, non possono che attuare irrazionali e contraddittorie politiche sanitarie di contrasto, che a loro volta determinano il peggioramento delle condizioni di vita e di salute proletaria. Ecco perché la scienza tout court contraddice se stessa in continuazione da due anni a questa parte. Ecco perché assistiamo al balletto delle cifre, delle conseguenze, delle statistiche e non ultimo alla affermazione il 12 gennaio 2022 da parte dell’OMS che servirebbero vaccini che davvero immunizzassero dal covid19 e non solo temporaneamente, mentre la malattia stessa provocata dal virus sars-cov-2 di fatto non è per nulla studiata come sarebbe necessario (per esempio, in Italia su 130 mila e più decessi meno di 8000 cartelle cliniche sono state analizzate, mentre sono state circa zero le autopsie eseguite sui deceduti per il virus e per gli improvvisi malori dopo la vaccinazione).

Ecco perché la terapia inizia a risultare inefficace verso la diffusione epidemica, la terapia sociale addirittura peggiore del male patogeno stesso. Ecco perché la vaccinazione di intere generazioni di fanciulli in questo scenario di crisi generale del modo di produzione capitalistico potrebbe rappresentare una catastrofe sulla fisiologia generale compromessa per le generazioni a venire, la cui accettazione del rischio per curare l’immediato fregandosene del future generazioni rappresenta il massimo grado dell’individualismo del capitalismo nella sua fase imperialista.

Perché la crisi generale del modo di produzione capitalistico in cui l’umanità si trova invischiata non può più garantirne la resilienza delle condizioni di vita al capitalismo stesso che sta compromettendo anche l’abitabilità alla vita di questo pianeta. Il movimento storico che avrebbe dovuto divenire antagonista al capitalismo secondo le previsioni dell’800 e ‘900, di fatto ha esercitato il conflitto come arma di difesa e come parte del capitale stesso. Nel tempo del coronavirus, nonostante un iniziale urlo di massa, assistiamo, in Europa e nei paesi più altamente industrializzati e ad alto volume finanziario, la gran parte del proletariato e dei lavoratori assegna una delle sue ultime “rigidità operaie” rimaste, che è la protezione della salute, alla ripartenza dell’accumulazione previo scudo vaccinale e disciplina sanitaria. Se questo accade, non è a causa di una capacità di piano e di un subdolo e convincente meme architettato soggettivamente da certe forze del capitale. Mentre il capitale impazzisce nel fare i conti con il suo rapporto determinato, due secoli hanno sedimentato nelle generazioni umane che il progresso capitalistico abbia comunque garantito salute e benessere diffuso, ne sia in ogni caso la miglior precondizione per l’umanità. L’umanità sfruttata ed il proletariato non può che reagire subendo la strategia secondo le necessità del capitale passivamente, oppure alcuni strati di esso si dirigono verso una fuga e verso il ritorno in un modo formale dei rapporti di produzione capitalistici ex ante facto negando la crisi stessa.

Stiamo assistendo alla distruzione, colpo dopo colpo, delle condizioni complessive della riproduzione della vita proletaria come lavoratore espropriato ma anche della vita stessa in sé. Questo percorso catastrofico della crisi che è dolorosissimo per i corpi proletari e di quelli razzializzati non è indolore per il capitale stesso.

Negli Stati Uniti d’America nelle settimane precedenti l’assassinio di George Floyd un numero crescente di essential worker nelle catene della logistica globale, nella GIG economy e negli impianti di macellazione lottarono spaiati ed isolati per la protezione della propria salute e delle proprie comunità denunciando uno Stato che li lasciava in balia del libero mercato senza attuare alcun protocollo di emergenza. Dietro l’apparente rinnovata delega verso le istituzioni temporaneamente latitanti, immediatamente dopo abbiamo assistito ad un netto capovolgimento di questa delega conflittuale nei confronti dello stato per la difesa della salute. La distruzione del terzo distretto della polizia di Minneapolis, il preludio della rinnovata rivoluzione negra negli Stati Uniti d’America contro il razzismo sistemico del capitalismo, del mercato e della proprietà privata e la violenza dello Stato e la mobilitazione spontanea di massa del proletariato nero e multirazziale per necessità ha dovuto sovvertire irresponsabilmente” tutte le misure di contenimento e di contrasto alla diffusione del virus imposte dai singoli stati dell’unione nord americana, perché ostativi al dispiegamento della lotta.

Da fine Novembre 2021 fino a questi primi giorni del 2022, come parte dell’insorgenza nera e proletaria multirazziale, si affianca la ribellione degli ex schiavi del Guadalupe contro la nuova aggressione neo coloniale della Francia di Macron che estende alla ex colonia l’imposizione del green pass vaccinale. Giustamente i neri delle Antille la percepiscono come tale e scuotono la piccola isola con scioperi generalizzati ad oltranza, blocchi delle produzioni, dei trasporti e di gran parte delle attività della riproduzione delle relazioni capitalistiche. E quante altre ribellioni ancora di contadini poveri, lavoratori della terra, di proletari, di operai senza riserve e di donne oppresse da un rinnovato patriarcato capitalista si sono propagate al mondo intero in quest’ultimo biennio con la stessa velocità di mutazione del coronavirus, dove l’uso mercificato delle risorse della terra sta mordendo le condizioni essenziali della sussistenza come la recente rivolta Kazaka ha dimostrato?

Di fronte al piano terapeutico cronico del capitalismo che fallisce nel suo scopo di protezione della fisiologia dell’uomo, non è possibile un ritorno ad una vita naturale, ad una coltivazione sana e ad una cura basata sulle erbe mediche del bosco (seppure nuovi atteggiamenti radicali nell’alimentazione e nell’auto cura emergono da tempo con risultati peggiorativi per la salute immediata degli individui). Anche le mezze misure auspicate per una medicina più preventiva e meno farmacologica centrica non risulta applicabile alla scala di massa nell’ambito delle relazioni capitalistiche. Perché qui la contraddizione che si sta appena aprendo nell’epoca del coronavirus è il dipanarsi dell’incompatibilità crescente e verticale della riproduzione delle condizioni della vita con il modo di produzione capitalistico come risultato determinato da un lungo ciclo storico di progresso incontrastato. L’emergenza di questa crisi apre profonde fratture nella solida ed unitaria crosta della produzione del valore, che, da sconfitti nel ‘900, abbiamo ritenuto impermeabile ed elastica a qualsiasi crisi. Questa nuova realtà implicherebbe che sarebbe necessario evitare qualsiasi forma di settarismo o di indifferenza circa quanto contraddittoriamente si esprime sotto la forma di conflitto e come obiezione di coscienza al disciplinamento sanitario imposto dai governi. Non ha infatti alcun senso indicare ai proletari che osteggiano le misure di emergenza sanitaria, che l’uomo e l’operaio per campare non può fare altro che soddisfare i propri bisogni attraverso lo scambio mercantile della propria forza lavoro con la merce capitalistica. Evidenziare la reale superiorità della merce capitalistica rispetto alle società pre-capitalistiche non ha alcun senso quando, alla prova dei fatti, si incomincia a manifestare l’evidenza pratica che la merce non sfamerà mai l’umanità. Non si può restare indifferenti e settari, aspettando un piano della lotta ideale che non c’è, a Guadalupe o nelle nuove banlieue della metropoli imperialista, sia quando la azione pratica conseguente alla sofferenza proletaria rischia di scivolare nel solco di una anti storico per un impossibile ritorno ad un passato capitalista più liberale, oppure sotto il giogo dell’anarchico piano terapeutico di conservazione reazionaria dello stato di cose presente che corre verso la catastrofe.

La tendenza dell’aumento improvviso dell’eccesso delle morti per tutte le cause è il segnale fisiologico della storica caduta tendenziale del saggio di profitto. Come nelle epoche passate questa tendenza della mortalità marca la crisi generale di un sistema. Attraverso le faglie di questa crisi si sprigiona un inedito conflitto a cominciare dalla radicalità dei neri, dei razzializzati, che non è una generica rivoluzione negra, è un condensato di ribellione proletaria meticcia multirazziale che sta anche frantumando il privilegio e la bianchezza dei proletari in pelle chiara, scuote la metropoli e morde alle caviglie le masse lavoratrici. Il movimento storico del modo di produzione capitalistico ci sta venendo in soccorso e non sotto la forma di una cura medica.

* * * *

Le infezioni resistenti ai farmaci uccidono quasi 1,3 milioni di persone all’anno.

Per capire perché, guarda l’Asia meridionale

Rumina Hasan osserva un campione di batteri prelevato da un bambino di tre giorni che soffre di febbre e convulsioni.

Quello che vede nel suo laboratorio a Karachi, la città più grande del Pakistan, è allarmante. Gli microrganismi che causano la malattia – Serratia marcescens – sono resistenti a tutti gli antibiotici disponibili.

Nel frattempo in un ospedale di Dhaka, la capitale del Bangladesh, Jobayer Chisti lotta per salvare un bambino di un mese dalla polmonite causata da Klebsiella resistente ai farmaci. Questo insetto avrebbe notevole impatto in Gran Bretagna o in America, dove la maggior parte dei casi di polmonite batterica sono facilmente curabili con gli antibiotici. Ma il 77% delle infezioni trattate dal team del dottor Chisti tra il 2014 e il 2017 riguardava batteri resistenti ai farmaci.

Le infezioni resistenti agli antimicrobici sono ora una delle principali cause di morte in tutto il mondo, secondo un rapporto pubblicato da Lancet , una rivista medica, il 20 gennaio. Nel 2019 quasi 1,3 milioni di morti sono direttamente imputabili a malattie causate da microrganismi resistenti ai farmaci. I tributi di gran lunga più alti sono stati nell’Africa subsahariana, dove 24 morti ogni 100.000 erano il risultato della resistenza antimicrobica, e nell’Asia meridionale, dove erano 22 morti ogni 100.000 (vedi grafico).

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Quando gli antibiotici, che uccidono i batteri, e altri nuovi farmaci antimicrobici, inclusi gli antimicotici, sono diventati ampiamente disponibili nei paesi ricchi negli anni ’40, hanno rivoluzionato la medicina. I farmaci antimicrobici hanno anche potenziato l’agricoltura industriale nella seconda metà del 20° secolo. Gli antibiotici non solo proteggono dalle malattie, che sono diffuse negli allevamenti intensivi; aiutano anche a ingrassare il bestiame.

Secondo i dati pubblicati lo scorso anno su Lancet , nel 2018 1,8 miliardi di persone dell’Asia meridionale stavano assumendo un quarto degli antibiotici del mondo . (Per fare un confronto, l’Africa sub sahariana, dove vivono circa 1,1 miliardi di persone, ne ha consumato poco più del 10%.) L’India è la più grande consumatrice di antibiotici per l’uomo al mondo. La loro maggiore disponibilità ha salvato vite umane, afferma Direk Limmathurotsakul della Mahidol University in Thailandia. Ma ha anche creato le condizioni perfette per far prosperare la resistenza. Più i microbi vengono attaccati dagli antimicrobici, più i primi si evolvono per diventare resistenti ai secondi. L’uso eccessivo di antimicrobici crea super microrganismi che questi farmaci non possono trattare.

Nella maggior parte dell’Asia meridionale gli antibiotici sono facili da ottenere. Possono essere acquistati in farmacia o anche al mercato, senza bisogno di prescrizione medica. Man mano che la regione diventa più prospera, più persone possono permetterseli. E i farmaci stessi stanno diventando più economici. La fiorente industria farmaceutica indiana sforna camion carichi di generici a basso costo. Un ciclo di antibiotici può costare fino a 50 rupie ($0,67), afferma Kamini Walia dell’Indian Council of Medical Research, un’agenzia governativa. Molti medici li prescrivono in modo eccessivo, brontola il dottor Chisti. Alcuni sono sciatti perché mancano di formazione o supervisione. Altri danno ai pazienti quello che vogliono perché sono clienti paganti.

Non è solo l’aumento della prosperità che porta all’uso eccessivo di antibiotici. Anche la povertà può. Gli antibiotici sono talvolta usati per compensare la scarsa igiene e assistenza sanitaria, afferma Ramanan Laxminarayan del Center for Disease Dynamics, Economics & Policy, un istituto di ricerca con un ufficio a Delhi. Le persone che bevono acqua sporca si ammalano e di riflesso prendono una pillola, che è più economica di una visita dal medico.

Il Covid-19 ha peggiorato le cose, perché molte persone credono erroneamente che si possa curare con gli antibiotici. Un recente studio di un team guidato da Giorgia Sulis della McGill University in Canada ha esaminato l’aumento delle vendite di antibiotici per adulti in India durante la prima ondata di covid-19. Hanno stimato che gli indiani nervosi hanno divorato 216 milioni di dosi in eccesso. Una lettera aperta dei medici del 14 gennaio ha criticato le autorità sanitarie del paese per l’uso “sconsiderato” e “ingiustificato” di antimicrobici in risposta alla variante Omicron. Gli antibiotici trattano le infezioni batteriche, non i virus come SARS-COV-2.

Finora, gli sforzi per evitare di alimentare i super batteri sono stati irregolari. Nel 2020 il ministero dell’ambiente indiano ha proposto di limitare i residui di antibiotici consentiti nelle acque reflue rilasciate dalle fabbriche di droga. L’anno scorso ha tranquillamente rinnegato questa promessa. Diversi antibiotici sono stati vietati per l’uso nel bestiame in Pakistan, India e Bangladesh. Nel 2019 le vendite da banco di antibiotici (per l’uomo) sono state vietate a Islamabad, la capitale del Pakistan.

Le regole spesso non vengono applicate, tuttavia, afferma il professor Hasan. Anche limitare le vendite è complicato. Mentre molti asiatici del sud prendono troppi antibiotici, altri soffrono o addirittura muoiono perché ne hanno troppo pochi, afferma il dottor Walia. Una diagnostica economica più ampiamente disponibile impedirebbe ai medici di prescrivere i farmaci sbagliati, afferma il dottor Chisti. Ma questo aiuterà solo così tanto. I lavoratori incalliti preferirebbero andare direttamente in un negozio e comprare antibiotici a buon mercato piuttosto che sborsare prima per un appuntamento e dei test dal dottore.

Una migliore igiene e assistenza sanitaria ridurrebbe la domanda di antibiotici. Una migliore formazione medica ridurrebbe l’eccesso di prescrizione. Tutto ciò rallenterebbe la diffusione della resistenza antimicrobica, rendendo milioni di sud asiatici più sani e più in grado di lavorare. Ridurrebbe anche le spese mediche. Combattere i super batteri può essere costoso, ma non farlo è ancora più costoso.


* Battling the superbug - The Economist, 21 gennaio 2022

Note
[1] Nel riconsiderare la conta dei morti per la Spagnola in Russia, lo scienziato storico ritenne non veritiera la mortalità ufficiale registrata che fu pari allo 0,2% della popolazione Russa dell’epoca. Laura Spinney nel suo libro 1918: L’Influenza spagnola – la pandemia che cambiò il mondo scrive: “Se il dato fosse corretto, la Russia avrebbe il tasso di mortalità più basso d’Europa, il che sembra controintuitivo in un paese stretto nella morsa della guerra civile, dove tutte le infrastrutture della vita quotidiana erano collassate..”. La perplessità degli storici è legittima. Infatti, nel considerare il caso di Odessa, città sul Mar Nero della Ucraina russofona già sviluppata industrialmente e socialmente avanzata per l’epoca e dotata di adeguate infrastrutture ospedaliere fin da inizio ‘900, gli storici sovietici trovarono nei vecchi registri degli ospedali della città che in quel fatidico biennio morì l’8% dei pazienti ricoverati per una strana forma di influenza, rilevando un tasso di mortalità del 2,5% sull’intera popolazione della città. Si ritenne, non senza privo di fondamento razionale, che quello 0,2% dovesse divenire almeno il 2,5% nelle principali città della Russia. Ma la Russia all’epoca era essenzialmente un immenso paese contadino arretrato e con scarsa connettività anche di mercato capitalistico dove la maggioranza della popolazione viveva dispersa nelle enormi campagne povere ed arretrate. Sulla base di alcuni dati veramente parziali gli storici scienziati mondiali e russi ritennero plausibile quindi che la mortalità nelle campagne, sprovviste di medici e strutture sanitarie, dovesse essere stata dieci volte di più, ossia pari al 25% della popolazione delle campagne. Lo stesso ragionamento venne applicato all’intera area persiana e del sub continente indiano e della Cina occidentale (avendo a disposizione solo del censimento della popolazione pre pandemia soli in particolari province), le cui strutture economiche, sociali e statuali erano praticamente collassate nel sottosviluppo in virtù del saccheggio colonialista ed imperialista. Se questo da un lato è altamente plausibile, siccome il virus capitalistico si diffonde attraverso le tratte del mercato, l’arretratezza dello sviluppo non necessariamente rappresenta una facilità di propagazione del virus capace di raggiungere tutte le popolazioni delle campagne, tanto più che il virus origina dai centri importanti della accumulazione capitalistica mondiale. Alla fine ogni pandemia nel capitalismo non può che essere il risultato diseguale e combinato per tutte le cause, una coperta mortale che si restringe per il patogeno specifico in alcune zone aumentandone quelle per tutte le cause (assenza di rifornimenti complessivi ed impoverimento ulteriore per l’interruzione del mercato e della commercializzazione delle merci), mentre si allarga per morte specifica in altre (per collasso generale delle strutture sanitarie e sociali di fronte ad una improvvisa crisi sanitaria).

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Baubaubaby
Wednesday, 26 January 2022 23:43
Importante, per chi vuole studiare, uno dei tanti studi sugli effetti dell'inoculazione di massa di questi farmaci sperimentali o pseudo-vaccini, non sterilizzanti, limitatament eimmunizzanti e soprattutto pericolosi:

https://www.researchgate.net/publication/357994624_Innate_Immune_Suppression_by_SARS-CoV-2_mRNA_Vaccinations_The_role_of_G-quadruplexes_exosomes_and_microRNAs/link/61ee1ca1c5e3103375b78c8d/download
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