L'«intelligenza» americana e la pazienza di Confucio cinese
Una riflessione sul caso NVIDIA-DeepSeek
di Andrea Pannone
In questo scritto Andrea Pannone si domanda se l'enorme enfasi posta nei giorni scorsi sulla nuova start-up DeepSeek e sulla forza competitiva dell’intelligenza artificiale cinese non abbia coperto, almeno in parte, un’intenzionale strategia finanziaria promossa dai grandi fondi di investimento (i soliti BlackRock, Vanguard, State Street, ecc.), di cui l’improvviso crollo del titoli di NVIDIA — azienda leader nella produzione di chip AI — a Wall Street, a fine gennaio, ha rappresentato in realtà solo un tassello. Tale strategia, qui si sostiene, avrebbe innanzitutto lo scopo di rilanciare la fiducia nell’AI (artificial intelligence) occidentale e nei titoli delle principali aziende tecnologiche americane, allo scopo di procrastinare il più possibile l’innesco di una nuova grande crisi finanziaria.
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Il crollo (momentaneo) di NVIDIA
La vicenda che muove il nostro interrogativo è nota: il 27 gennaio 2025 il titolo NVIDIA, quotato sul Nasdaq, è stato travolto da un’ondata di vendite segnando a fine seduta un calo del 17% a 118,58 dollari (con un minimo a 116), dopo aver aperto a 124,80. Nvidia ha perso circa 589 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato, registrando la più grande flessione percentuale nella sua storia. Il 3 febbraio 2025, il titolo ha toccato un minimo di 110,20 dollari, dopo aver raggiunto un massimo annuale di 147,94 dollari il 7 gennaio dello stesso anno.
La versione dominante, con poche eccezioni, è che questa caduta sia stata influenzata in primo luogo dalla crescente concorrenza della Cina nel settore dell'intelligenza artificiale, paese in grado di mettere in discussione la leadership USA su questa tecnologia e sulle moltissime attività economiche che potrebbero beneficiarne dell’uso.
In particolare, la startup cinese DeepSeek ha lanciato modelli di AI a basso costo, sollevando forti dubbi sulla necessità di investimenti elevati in hardware e infrastrutture e mettendo a rischio la sostenibilità degli investimenti già pianificati in queste aree da NVIDIA e da altre grandi aziende tecnologiche.
Tra i vari osservatori, ad esempio, Michael Roberts ha affermato: «DeepSeek è un siluro che ha colpito le magnifiche sette aziende hi-tech statunitensi sotto la linea di galleggiamento. DeepSeek non ha utilizzato i chip e il software Nvidia più recenti e migliori; non ha richiesto grandi spese per addestrare il suo modello di intelligenza artificiale a differenza dei suoi rivali americani; e offre altrettante applicazioni utili. DeepSeek ha costruito il suo R1 [il suo nuovo modello di AI; NdR] con i chip NVIDIA più vecchi e lenti, che le sanzioni statunitensi avevano consentito di esportare in Cina»[1].
Le Big Three dietro al crollo: più che un’ipotesi
Ad ogni modo, dopo il tracollo, le azioni di NVIDIA Corp hanno iniziato a risalire mercoledì 5 febbraio, raggiungendo quota 130 dollari in soli due giorni di contrattazioni. Al 20 febbraio 2025, momento della scrittura di questo articolo, il prezzo era salito a 140,07 dollari, con un recupero del 18,3% rispetto al 27 gennaio. Inoltre, gli analisti hanno rivisto al rialzo il target price medio di NVIDIA, portandolo a 174 dollari[2].
A parte il probabile anticipo del lancio di nuova serie di prodotti che, almeno nei propositi, costituiscono un apparente miglioramento tecnico della scheda grafica proposta dall’azienda[3], l’elemento che ha coinciso con la ripresa degli acquisti del titolo sembra essere attribuibile all’annuncio di un forte aumento delle spese di capitale (75 miliardi di dollari) da parte di Alphabet Inc (leggi Google) — grande acquirente dell’hardware per l’AI di cui NVIDIA è principale fornitore — che ha superato le aspettative degli analisti e ha attenuato i timori di un rallentamento della spesa per l’intelligenza artificiale dell’occidente.
Essendo la vicenda estremamente dinamica e interconnessa a molteplici piani di analisi mi limito fondamentalmente a due osservazioni.
La prima. Il 27 gennaio i trader hanno venduto allo scoperto le azioni di Nvidia, scommettendo sul calo del titolo e guadagnando profitti record per un totale di circa 6,6 miliardi di dollari, il più grande movimento giornaliero mai registrato dal titolo azionario, secondo la società di analisi dati Ortex[4]. Ora, i principali azionisti di NVIDIA e le relative quote azionarie sono riassunti nella tabella seguente (basato su dati aggiornati al 30 settembre 2024):

Pacchetto azionario NVIDIA
La tabella mostra che solo i tre principali fondi di investimento detengono insieme oltre il 20% delle azioni, cosa che denota un considerevole potere sulle decisioni chiave dei grandi conglomerati aziendali moderni, grazie alla dispersione azionaria, al voto per delega, al peso istituzionale e ad alleanze strategiche con altri investitori[5]. Sebbene i soggetti in questione tendano a seguire strategie di investimento a lungo termine, finalizzate a mantenere e far crescere il valore dei loro portafogli, il volume delle azioni movimentate in un solo giorno è stato tale che è difficile dubitare che essi siano tra i responsabili più probabili della valanga di vendite allo scoperto, come anche i principali beneficiari dei profitti. Questo anche in virtù: a) della loro già ridotta esposizione al titolo; b) del timing delle vendite coincidente con notizie negative (DeepSeek); c) dell'entità delle perdite riportate dai fondi hedge[6].
Vero è che il valore dei titoli ha continuato a diminuire nei giorni successivi al 27 gennaio ma, come abbiamo visto, i detentori delle azioni hanno potuto più che recuperare le perdite in pochissimo tempo.
Seconda osservazione. Sebbene la governance di Alphabet sia strutturata per preservare il potere dei suoi co-fondatori, Larry Page e Sergey Brin, nella pratica i grandi fondi — tra cui BlackRock e altri — controllano il 19,65% del capitale azionario dell'azienda al 30 settembre 2024 (fonte). Questi investitori istituzionali forniscono ad Alphabet, così come alle principali Big Tech quotate sul NASDAQ, la linfa finanziaria necessaria per mantenere la propria posizione dominante e generare rendimenti anche al di fuori del core business. Se un fondo come BlackRock o Vanguard decidesse di ridurre significativamente la propria esposizione in Alphabet, l’effetto sul valore di mercato sarebbe notevole, condizionando le scelte del management[7]. È dunque ancora una volta evidente l’influenza degli stessi fondi sulle decisioni strategiche dell’impresa. È anche vero che gli annunci di elevate spese in conto capitale all’inizio dell’anno spesso sono più un segnale strategico che un impegno rigido, lasciando spazio per correzioni in base all’andamento reale del business. Un esempio recente di questa dinamica si è già visto con diverse Big Tech (tra cui Meta e Amazon e la stessa Alphabet), che hanno inizialmente annunciato ingenti spese per data center, intelligenza artificiale e infrastrutture, salvo poi ridimensionarle a causa dell'aumento dei tassi d’interesse e di una maggiore pressione sulla redditività. Scopriremo presto (basterà guardare il bilancio di fine anno di Alphabet) se questa ipotesi risulti vera anche questa volta. Intanto l’effetto annuncio di Alphabet guidato dai fondi ha fatto subito risalire i titoli di NVIDIA verso livelli piuttosto elevati.
In conclusione, più che la sfida competitiva per i «clienti» globali dell’AI, la vicenda che stiamo analizzando sembra riflettere, in primo luogo, la capacità di indirizzare e organizzare le convenzioni speculative grazie alla messa in moto di aspettative in grado di autorealizzarsi se accompagnate da un adeguato volume di liquidità. Liquidità che, attualmente, solo pochi soggetti economici sono in grado di mobilitare[8]. Tale liquidità permette anche di continuare a sostenere gli investimenti produttivi nell’AI, indispensabili per mantenere elevata la fiducia degli investitori finanziari nelle aziende tecnologiche, di cui proprio quei soggetti hanno il controllo[9]. Non è affatto detto, però, che le risorse liquide disponibili, ormai riversate dai grandi fondi su quasi tutte le imprese quotate nello S&P 500, siano in grado di alimentare molto a lungo il gioco dell’AI, settore le cui prospettive di crescita reale sono, almeno per ora, trainate essenzialmente dallo sviluppo di nuovi sistemi d’arma e di sorveglianza, in un contesto geopolitico alimentato, spesso ad arte, dalla continua minaccia di uno scontro finale tra le grandi superpotenze (vedi ad esempio le notizie che riguardano proprio Google). La fine del gioco, d’altra parte, per la pervasività nelle società moderne delle tecnologie ICT, di cui l'AI rappresenta la frontiera più avanzata, innescherebbe probabilmente una spirale negativa difficile da controllare, con effetti dirompenti sui mercati finanziari e sulle economie di tutto il globo.
Proprio nel tentativo di scongiurare o ritardare questa conclusione e di incrinare al contempo il monopolio finanziario delle Big Three, che, a mio parere, vanno lette l'operazione annunciata da Donald Trump il 21 gennaio 2025 per creare Stargate — una joint venture tra OpenAI, SoftBank e Oracle volta a sviluppare infrastrutture avanzate per l'AI negli Stati Uniti — e l'offerta di 97,4 miliardi di dollari da parte di un consorzio di investitori guidato da Elon Musk per prendere il controllo di OpenAI, azienda leader nell’intelligenza artificiale generativa. L’idea di Stargate, scatola ancora apparentemente priva di capitali adeguati, riflette l’intenzione di Trump di creare un ecosistema di finanziamento e sviluppo nel settore dell'AI alternativo al potere delle grandi istituzioni finanziarie e tecnologiche, spesso accusate di avere un orientamento politico sfavorevole alla sua agenda. Tale ecosistema dovrebbe auspicabilmente essere capace di attirare flussi di capitale dall’estero in grado di sostenere il corso del dollaro, unica possibilità per continuare a gestire l’immenso debito federale USA. Dal canto suo Musk, anche se ufficialmente critico con il progetto Stargate per l’opacità delle sue reali risorse, potrebbe voler consolidare il controllo su un asset chiave dell’AI per poi utilizzarlo come leva finanziaria proprio in quella direzione. OpenAI è infatti già una delle realtà più avanzate nel settore, e con il giusto accesso ai finanziamenti (ad esempio, tramite collocamenti azionari o partnership mirate), potrebbe trasformarsi in una piattaforma fondamentale per sostenere lo sviluppo delle infrastrutture di Stargate. Sarà interessante seguire nei prossimi mesi il corso degli avvenimenti e capire se queste mosse saranno efficaci per contrastare l'enorme potere finanziario e infrastrutturale già accumulato dalle Big Tech sotto il controllo dei grandi fondi[10].
La forza e la pazienza cinese
Quanto fin qui sostenuto, ovviamente, non vuole disconoscere affatto la portata della «minaccia» della Cina alla leadership degli Stati Uniti sui mercati internazionali, non solo con riferimento all’AI ma anche ad altre tecnologie avanzate (ad esempio, telecomunicazioni 5G/6G, biotecnologie ed editing genetico, veicoli elettrici, guida autonoma, ecc.). È noto che già dal 2000 Pechino aveva cominciato a promuovere la strategia «Xinchuang» («nuova creazione») per trasformare il paese in un leader globale nell’innovazione e nella tecnologia, fattori cruciali nella competizione sui mercati internazionali. Ad ogni modo la crisi del Covid e le crescenti incertezze geopolitiche degli ultimi anni hanno spinto sempre di più Pechino a sviluppare un mercato interno robusto e autonomo per i chip e altre tecnologie chiave, riducendo la dipendenza dalla tecnologia straniera e mitigando i rischi associati a potenziali limitazioni o sanzioni commerciali esterne[11]. A questo fine, le aziende cinesi hanno cominciato a studiare metodi alternativi per sviluppare l’AI attraverso ricombinazioni di chip tecnologicamente meno potenti e avanzati rispetto a quelli di ultima generazione in modo di evitare la dipendenza da un solo tipo di hardware. Contemporaneamente Pechino ha recentemente introdotto nuove linee guida per cui i microprocessori statunitensi di Intel e AMD verranno gradualmente eliminati dai PC e dai server governativi, mentre è stata avviata, contemporaneamente, una campagna per sostituire la tecnologia straniera con soluzioni nazionali. È in questo contesto che ha potuto prendere corpo una nuova piattaforma di intelligenza artificiale come DeepSeek, una soluzione che sembra offrire numerosi vantaggi, tra cui:
a) quello di ottimizzare il consumo energetico in modo mai visto prima, grazie alla ridotta mole di calcoli necessari ad arrivare a un risultato omologo rispetto a ChatGpt e agli altri modelli di AI già esistenti;
b) quello di utilizzare un modello semi-open source, e quindi di avere maggior possibilità, rispetto alle soluzioni AI occidentali, di essere implementato e migliorato da ricercatori e programmatori di tutto il mondo.
A ogni modo, sebbene la direzione intrapresa riveli prospettive promettenti, permangono incertezze sulla reale sostenibilità delle soluzioni tecniche adottate dalla start up di Hangzhou[12], così come, più in generale, sulla possibilità di conseguire in breve tempo l’autonomia dell’IA cinese dall’hardware delle imprese statunitensi, in particolare dalle GPU di ultima generazione per l’addestramento dell’AI (vedi nota 1), settore in cui NVIDIA resta leader indiscusso[13]. Colmare questo gap richiederà comunque significativi investimenti da parte di Pechino che necessiteranno tempo per essere portati a termine.
Mentre a livello nazionale questi investimenti appaiono giustificati, su scala globale potrebbero, nel tempo, generare sovracapacità, ossia una condizione in cui l'offerta di AI supera la domanda, con un'intensificazione delle guerre dei prezzi. La prospettiva risulta concreta in virtù del fatto che i decisori politici di Stati Uniti, Arabia Saudita, Giappone, Germania, Regno Unito e UE hanno tutti recentemente annunciato enormi investimenti pubblici in questo campo, che si sommano ai già consistenti investimenti programmati dal settore privato. Come osservato di recente da Susan Ariel Aaronson su Fortune, nel prossimo futuro il problema della sovracapacità potrebbe trasformare l'AI nel «nuovo acciaio» dell’economia globale. A questo va aggiunta la considerazione che una massiva diffusione dell’AI potrebbe accelerare l’automatizzazione di molte attività, riducendo la necessità di lavoro umano in diversi settori economici, con effetti di stagnazione sui salari e sulla domanda aggregata.
Nel frattempo, la Cina può attendere con pazienza, seguendo gli insegnamenti di Confucio, il momento in cui il «cadavere del nemico» americano passerà davanti ai suoi occhi. Gli Stati Uniti, infatti, sono sempre più costretti ad alimentare la percezione che l'AI e le tecnologie occidentali possano continuare a rilanciare le proprie economie e farli tornare all'avanguardia. Inoltre gli States sono costretti a immettere costantemente liquidità nei mercati finanziari per ritardare il più possibile l’esplosione di una nuova crisi globale. In un simile quadro, anche sorprese come quelle di DeepSeek, al di là della qualità della sua soluzione tecnologica, possono contribuire ad alimentare il gioco delle parti[14], non senza il supporto di una sapiente narrazione mediatica[15]. Questo almeno fino a quando sarà possibile.







































Comments
A Benjamin , Cameron, Preve, Thumberg, ex Papa Francesco (ma l'elenco è molto piu' lungo anche se insufficiente), l'ultimo riconoscimento per essere stati profeti di sventura , inascoltati.
Il pilota automatico dell'ipercapitalismo tecnofinanziario ,(appoggiato e sostenuto da destra e sinistra), ci sta portando dritti verso il collasso e la distruzione totale.
Si dovrà iniziare a pensare nuovamente alla critica delle armi ? qualcuno lo sta già dimostrando, chiaramente sono coloro che hanno il dominio o l'egemonia saldamente nelle loro mani.
Oggi solo con le denunce o le indignazioni e le manifestazioni non si va piu' da nessuna parte. Proprio nessuna.
Ripeto, 10 anni passano in fretta.