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Arrigo Cervetto a cinquant'anni dalla nascita di Lotta Comunista

Attilio Folliero intervista Dante Lepore

3conferenzanazionaleGAAPLivorno26e27settembre1953Cinquant'anni fa, nel dicembre del 1965, usciva il primo numero di Lotta Comunista, l'organo ufficiale dell'omonimo partito fondato da Arrigo Cervetto assieme a Lorenzo Parodi. Per parlare di Arrigo Cervetto, delle sue idee, della concezione del partito abbiamo intervistato Dante Lepore, che per anni è stato militante di Lotta Comunista; ha conoscito Arrigo Cervetto e collaborato con lui nella fondazione della sede torinese di Lotta Comunista.

Ricordiamo che Arrigo Cervetto T nato a Buenos Aires, Argentina, il 16 aprile del 1927 ed è morto a Savona il 23 Febbraio 1995. Nella foto a lato, Arrigo Cervetto durante la partecipazione alla Terza Conferenza Nazionale dei GAAP, svoltasi a Livorno il 26 e 27 settembre 1953.

 

D. Il Partito, la formazione del partito del proletariato, del partito di classe è uno degli aspetti fondamentali del marxismo. Arrigo Cervetto ha affrontato tale questione. Qual è la concezione del partito in Arrigo Cervetto?

R. Questa domanda, pur nell’apparente semplicità, è complessa, dato che riconduce alla genesi e maturazione di un problema, quello del partito di classe, che non è una mera astrazione concettuale e mai era stato precedentemente posto allo stesso modo e che lo stesso Cervetto dovette sviluppare in una complessa vicenda storica. Infatti, allorché Arrigo Cervetto affrontò questo argomento, verso la metà degli anni ’60, in un testo (Lotte di classe e partito rivoluzionario, 1964), aveva 37 anni, e Lotta Comunista era appena nata, ma già varie esperienze politiche erano state metabolizzate, senza dar conto delle quali si rischia di non capire come si  passa sostanzialmente da posizioni anarchiche libertarie al marxismo inteso come scienza del proletariato e alla conseguente concezione leninista del partito inteso anch’esso come «partito scienza».

Nei suoi intendimenti, quello scritto doveva essere il nuovo Che fare?, ossia il testo base formativo delle avanguardie rivoluzionarie nell’hic et nunc di condizioni storiche differenti rispetto a quelle del partito bolscevico, ma che a quei criteri teorici doveva comunque ispirarsi. Naturalmente a questa conclusione egli arrivava dopo la giovanile attività nelle formazioni partigiane, dal 1943, curiosamente col nome di battaglia di “Stalin” e nel PCI, cui aderiva proprio nel giorno della liberazione, e poi, nel dopoguerra rosso, a Savona, dove aveva vissuto l’adolescenza di apprendista e operaio siderurgico all’ILVA, immigrato, praticamente a ritroso, da Buenos Aires, presso i nonni. Deluso dallo stalinismo togliattiano, era uscito dal PCI nel 1946 insieme ad altri operai tra cui Antonio Bogliani. Aderiva così al comunismo libertario, la cui figura importante di grande levatura morale e culturale era Umberto Marzocchi, e dal 1948 si legava a Lorenzo Parodi e Pier Carlo Masini, col quale romperà nel 1958. Del 1950 è il Convegno di Pontedecimo della Federazione Anarchica della Liguria, che è il culmine di un intenso lavoro di studio, di organizzazione e di contatti. Una caratteristica della battaglia politica di Cervetto sarà quella dell’organizzazione, secondo il modello e lo slogan della socialdemocrazia tedesca riassunto nello slogan di Karl Liebknecht: “Studiare, propagandare, organizzare”.

Da Liebknecht mutuerà anche il motto internazionalista del primo numero di Lotta Comunista, “Il nemico è in casa nostra”. Sia i militanti della mia generazione che quelli successivi venivano formati al mito del Convegno di Pontedecimo (anche quello del marzo 1950) come nascita del leninismo in Italia. Ma era e resta una semplificazione che porta ad una distorsione. In realtà si trattava espressamente di una sterzata attivistica e organizzativa tutta interna al comunismo libertario anarchico, peraltro in crisi e in diaspora, per il quale Cervetto aveva messo insieme il suo gruppo di iniziativa «per un movimento orientato e federato», volto a dare alla FAI appunto un impulso attivista e concreto di battaglia politica, che lo portasse fuori dall’inaridimento su posizioni morali, in cui l’anarchismo anche in Italia, dopo il fallimento della rivoluzione spagnola, si era ridotto.  Da qui la collaborazione col giornale livornese L’Impulso e con quello milanese Il Libertario.

L’Impulso diventerà nel 1951 l’organo dei GAAP (Gruppi anarchici di azione proletaria), quando Cervetto presenterà, sempre a Pontedecimo, le sue Tesi sulla “Liquidazione dello Stato come apparato di classe”. Cervetto è obbligato ad immergersi nello studio di quella che poi chiamerà la «scienza delle relazioni internazionali», scrivendo quasi esclusivamente articoli sulle questioni fondamentali della politica delle potenze imperialiste impegnate nella guerra fredda, momento di forte sviluppo delle lotte anticoloniali nel quale emergeva anche il ruolo di potenza dell’URSS ancora mitizzata come patria del socialismo ma la cui natura sociale Bordiga e non solo lui additavano come industrialismo e capitalismo di Stato.

Sulla questione del capitalismo di Stato in URSS avverrà nel 1951-52 anche la rottura tra Bordiga, Damen e Ottorino Perrone, le cui rispettive argomentazioni indurranno a precisare le posizioni di Cervetto sul carattere “unitario” dell’imperialismo come sottolineato da Damen, e sullo sviluppo ineguale. Sempre nel 1951, dopo la presentazione delle Tesi, Cervetto è licenziato dall’ILVA e decide di tornare in Argentina, dove resta per un anno, in riferimento al quale non ho mai avuto notizia di cosa facesse sia in politica che come lavoro, mentre al ritorno in Italia si arrangiò accettando la proposta della Biblioteca Feltrinelli di lavorare ad una bibliografia del movimento operaio di Savona. Si dedica per qualche anno alla ricerca storica sul movimento operaio nel savonese. Per sopravvivere farà il rappresentante per la casa editrice Einaudi.

Nel 1954, dai conflitti in seno al PCI, nasceva «Azione Comunista» ad opera di Giulio Seniga, seguace di Pietro Secchia, e nel 1956, in seguito ai fatti d’Ungheria, l’opposizione al PCI si rafforzava e si dotava del giornale Azione Comunista (1956-1965), nel quale si esprimeva l’esperienza complessa del Movimento della Sinistra Comunista, in cui, con una emblematica manifestazione al cinema Dante di Milano, confluivano diverse correnti antistaliniste, i GAAP, il PC Internazionalista di Onorato Damen, i trotskisti dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari di Livio Maitan. Nel 1956, nei GAAP matura l’evoluzione in senso marxista, come si vede nel bollettino interno, L’Agitazione, cui collaborano militanti italiani e stranieri, tra cui trotschisti eretici come Daniel Guérin  e del «terzo campo» come Georges Fontenis, sostenitore di posizioni come quella di Tony Cliff ( dal 1948) sul capitalismo di Stato in URSS. Questo crogiolo di esperienze meriterebbe di essere approfondito storiograficamente perché costituisce un momento storico di decantazione che abbraccia sia una componente operaia del comunismo libertario anarchico, sia correnti consiliariste, alla Gramsci, sia luxemburghiane.

Non c’è spazio qui per ripercorrere in dettaglio la intensa vicenda di questa esperienza, che metteva insieme anche personaggi illustri e meno noti, da Danilo Montaldi a Giulio Seniga, Luciano Raimondi, Aldo Vinazza, Lorenzo Parodi, Giancarlo Masini, Bruno Fortichiari, Giorgio Galli, e che si concluse per alcuni nella forma dell’opportunismo socialdemocratico, per altri nell’ubriacatura filocinese e per Cervetto e Parodi con la determinazione di approdare alla formazione di gruppi orientati in senso leninista, da coagulare nel movimento comunista e operaio. Perciò si lavorava nella CGIL, per non chiudersi nell’astrattezza teorica e dottrinaria. Al tempo stesso sviluppando il lavoro di confronto e collaborazione in particolare con i comunisti internazionalisti di Damen, attraverso la rivista Prometeo, la collaborazione di Montaldi e l’apertura alle correnti più significative del marxismo contemporaneo, da Grandizo Munis a Cornelius Castoriadis a Socialisme ou Barbarie , nonché al marxismo dell’americana Raya Dunayevskaya e ai Quaderni Rossi di Rainero Panzieri.

Il 1957 è l’anno del I Convegno Nazionale del Movimento della Sinistra Comunista, che si tenne guarda caso a Livorno, e in cui Cervetto e Parodi presentarono le Tesi sullo sviluppo imperialistico, durata della fase controrivoluzionaria e sviluppo del partito di classe , testo considerato a giusto titolo il documento fondante del leninismo come poi sarà assunto da Lotta Comunista quando, dopo le vicende dell’espulsione di Masini e Seniga passati nelle file socialiste di Nenni, comincia la fase “leninista” del Movimento della Sinistra Comunista che difatti trasferisce la direzione di Azione Comunista a Genova, e su di esso compariranno gli articoli che poi saranno raccolti nella prima edizione di Lotte di classe e partito rivoluzionario .  “Un movimento di classe per una società senza classi” era stato il motto di Pontedecimo. 

Un partito dunque innanzitutto di classe, tutto da costruire, sia pure in condizioni difficili, mediante un accumulo di forze operato da avanguardie, o quadri, che tuttavia avevano il compito di organizzare le più ampie masse di lavoratori che il capitalismo, in forte ripresa nella fase di riconversione e ricostruzione post bellica, avrebbe concentrato di lì a poco nelle metropoli del triangolo industriale del Nord Italia. La caratteristica di questa che Cervetto concepiva come una vera e propria «macchina» organizzativa, anche attraverso la metafora del pugno, desunta dal poemetto su Lenin di Majakovskij, quasi una propria arma personale, egli la corredava teoricamente di alcuni concetti che dovevano caratterizzarne l’azione. Ridotto alla sua definizione essenziale, il Partito era il “punto di approdo della scienza”, o, per abbreviazione, « partito-scienza». Per scienza si intendeva il marxismo, ossia il materialismo dialettico.

Un approdo da non intendersi come conclusione, ma come culmine dinamico e dialettico di un processo cui cospiravano sia il metodo che la conseguente analisi strategica della formazione economico-sociale. Cervetto usava un’altra metafora per illustrare l’attività del partito leninista, quella del “laboratorio scientifico” che, appunto secondo il metodo scientifico, che è essenzialmente dialettico, da un lato doveva analizzare la sua stessa realtà e il proprio intervento in essa, dall’altro doveva individuare le tendenze emergenti nel movimento economico e sociale, e ad esse commisurare  la strategia rivoluzionaria e la tattica per sviluppare tra le masse del proletariato la diffusione sia in quantità che in qualità, della scienza. In ciò il giornale nazionale, Lotta comunista, doveva svolgere il ruolo dell’Iskra, il giornale bolscevico, ossia il ruolo di “organizzatore collettivo”. Questo aspetto negli intendimenti di Cervetto doveva avere carattere non di illuminazione e catechizzazione dall’alto, ma di vero sviluppo dialettico di processi rivoluzionari a partire dalla lotta mediante gli scioperi e la presenza del partito nel sindacato. Una visione dialettica del rapporto tra coscienza e azione che avrebbero agito in sinergia l’una sull’altra sviluppando la rispettiva incidenza nella realtà. Intorno al giornale e alla sua diffusione nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, nei quartieri operai, nelle manifestazioni pubbliche si doveva sviluppare una montagna crescente di lavoro teorico, politico e organizzativo e di reclutamento.

 

D. Cervetto assieme a Parodi fonda del 1965 il partito rivoluzionario “Lotta Comunista”. Non un partito elettorale, non un partito di massa, ma un partito di quadri. Cervetto dedica tutta la sua vita prima allo studio ed alla costituzione del partito di classe e poi alla sua diffusone. Tu hai conosciuto e frequentato Arrigo Cervetto proprio nella fase in cui dopo la costituzione, nel 1965 a Genova, inizia ad estendere la sua attività alla vicina Torino. Parlaci del metodo di Cervetto per diffondere le idee del comunismo e l’attività per far arrivare il partito in altre città in altri luoghi, o in altri paesi.

Nella risposta precedente, ho già accennato alle modalità di azione di quello che tu chiami eufemisticamente il partito in quegli anni, che non è certo Venere che nasce bella e fatta dalla spuma del mare, ma il “piccolo gruppo compatto” di leniniana memoria (2). Cervetto, che pure aveva ormai a disposizione un giornale, e che, come abbiamo visto aveva impiegato circa 20 anni per approdare al leninismo, sulla base di una analisi oggettiva e soggettiva, valutava in almeno 20 anni il tempo per la costruzione di un partito. Insomma all’inizio si trattava di meno che un gruppo di testimonianza, che non aveva affatto come termine di paragone quello dei partiti carrozzoni elettorali come era diventato in parte anche il PCI, ormai istituzione dello stato borghese democratico e costituzionale, per il quale con gli altri partiti si spartiva il finanziamento pubblico. Che il neonato partito leninista non fosse un partito elettorale non era una opzione morale né d’altro genere, ma derivava appunto da una analisi scientifica e strategica del ruolo della lotta parlamentare, la quale, a differenza dell’astensionismo di Bordiga negli anni ’20, quando c’erano ancora spazi di efficace utilizzo rivoluzionario della tribuna parlamentare, tendenzialmente sarebbe stata sempre meno decisiva ai fini della lotta di classe. Quello che accade oggi a livello europeo, e non solo, dove i parlamenti sono svuotati di sovranità nei confronti della bancocrazia e del capitale finanziario sovranazionale, era già teoricamente presente nella considerazione di Cervetto e Parodi e l’opzione che ne derivava era quella di una selezione di militanti sulla prospettiva di quello che chiamavamo appunto «astensionismo strategico»

Mi chiedi quando mi avvicinai a Lotta Comunista e quale fosse allora il lavoro di Cervetto per sviluppare il partito. Praticamente i miei approcci con Lotta Comunista furono, almeno per me e soprattutto all’inizio anche per loro casuali, attraverso la lettura del giornale che un giovane militante di Savona diffondeva a Torino, come altri nelle metropoli del triangolo industriale, nelle manifestazioni studentesche e alla mensa universitaria che sull’onda del maggio francese c’erano anche in Italia e a Torino in particolare nel periodo di occupazioni universitarie di Palazzo Campana. Venivo da un’esperienza complessa di agitazioni studentesche già nel liceo in provincia di Foggia contro il fascistume locale dei “figli di papà” e in appoggio alle rivendicazioni bracciantili, dove ero tornato a studiare dopo una brutta esperienza di un anno di immigrazione a Torino nel 1960-61 e relativo centenario dell’Unità italiana, una Torino allora piuttosto incline ad certe forme di razzismo contro i “terroni” meridionali che man mano si addensavano nelle zone fatiscenti delle soffitte e mansarde del centro storico o nei ghetti periferici.

I cartelli sui portoni d’ingresso recavano scritte terribili: “Vietato l’ingresso ai cani, ai venditori ambulanti e ai meridionali”. Avevo assistito direttamente ai fatti di piazza Statuto con le camionette scelbiane che inseguivano gli operai e li manganellavano sul marciapiedi del tribunale di via Corte d’appello di fronte al quale abitavo. Al ritorno nella città della FIAT ero iscritto alla facoltà di filosofia, ero giovane socialista, gramsciano sul piano culturale, seguivo la rivista l’Astrolabio a indirizzo di Lelio Basso e lombardiano, ma appena vidi il mercimonio elettoralistico in cui navigavano tutte le formazioni socialiste, mandai all’aria tutto, frequentavo gruppi spontanei e in particolare un gruppo sperimentale di azione nonviolenta che faceva riferimento ad Aldo Capitini che conobbi di persona a Perugia, senza disdegnare simpatie anche per certe forme armate di nonviolenza come quella di un prete dell’America Latina, Camillo Torres. Pertanto, sempre con aperture teoriche e pratiche alla rivoluzione sociale. In un momento in cui l’emotività e la superficialità caratterizzavano la politica piazzaiola e la variopinta proliferazione giornalettistica dell’estremismo di sinistra, sentivo l’esigenza di capire cose più grandi di me, di leggere dentro i fenomeni che si succedevano a ritmo surriscaldato, dalla guerra in Vietnam, allo scontro russo-cinese, alle guerriglie in America Latina, le esplosioni delle lotte dei neri in America e il loro complesso evolversi da Luther King a Malcolm X e alle Pantere Nere e soprattutto la Primavera di Praga… e tutto il resto a seguire. In quel contesto mi colpì molto la vasta e profonda visione geopolitica dell’editoriale di Lotta Comunista sulla Linea generale del capitalismo italiano, che si distingueva per l’analisi economica e lo stile molto serio e austero, al confronto della letteratura molto pirotecnica di quegli anni. Il mio gramscianesimo, coltivato dai tempi del liceo, si approfondiva e lavoravo intorno allo squilibrio Nord-Sud, alla questione meridionale.

L’obbiettivo dei pochi quadri di Lotta Comunista di allora era di selezionare dal movimento studentesco i quadri per le future lotte operaie, anche queste previste nella teoria e nella forte immigrazione che a Torino aveva già prodotto le lotte di Piazza Statuto dei primi anni ’60, che appena quindicenne avevo intravisto nella forma di quelle manganellate di cui sopra. Con me, e con un paio di altri compagni separatamente si intensificarono gli incontri e confronti e i passaggi da un compagno all’altro via via che i problemi affrontati diventavano complessi, fino a quando si giunse a combinare degli incontri con Cervetto che ovviamente nessuno conosceva neppure di nome. Cervetto, fra l’altro, non era mai ostentato e speso pubblicamente come tanti leaders di allora. Da persona molto schiva, non amava la visibilità, il mito di se stesso e la spettacolarità di tanti politicanti di oggi, al punto che, oltre le centinaia e centinaia di articoli scritti, alle decine e decine di conferenze pubbliche, molto utili, per la ricostruzione del suo percorso politico, potranno essere anche i ricordi di chi ha avuto la ventura, e per me il piacere, di conoscerlo e dialogare con lui.

I nostri primi incontri avvenivano in trattoria a Genova e guarda caso gli argomenti cadevano sui miei interessi, sullo sviluppo capitalistico in agricoltura, il rapporto nord-sud, la questione meridionale, le varie teorie allora discusse, da Gramsci a Rosario Romeo a Gerschenkron sui vantaggi dell’arretratezza economica sia per l’Italia che perla Russia. Cervetto, che mi stupiva per la chiarezza con cui dimostrava di conoscere argomenti e letture su cui io faticavo in quel tempo, in modo quasi maieutico, lasciava parlare, mi apriva via via gli orizzonti alle tesi di Trotskij sullo sviluppo ineguale e combinato (poi scoprii da solo che in verità Trotskij aveva a sua volta preso quelle tesi da Parvus). Mi propose di lì a poco un intervento ad un Convegno presso la casa dello Studente di Genova sulla tesi dello sviluppo ineguale del capitalismo come posizione leninista distinta rispetto alle tesi sottosviluppiste allora in auge.

Inutile dire che al Convegno presentai una relazione battuta a macchina che Cervetto stesso annotò. Credo che lo scopo di quei convegni, oltre ai contenuti, mirasse anche ad addestrare i quadri a parlare in pubblico e fu per me un’esperienza interessante, da cui capii per es. che non dovevo leggere il testo ma parlare a braccio. Da allora i testi mi servirono solo come canovaccio. In definitiva quello che faceva la forza dei quadri reclutati in quella generazione era la cura e il rigore dedicati alla formazione teorica dei militanti, definiti “rivoluzionari di professione”. Occorre precisare che il termine “professionale” non è da intendersi né in senso sociale né burocratico, ma nel senso di un obbiettivo cui conformare la propria vita, ossia la militanza rivoluzionaria come responsabile scelta di vita, e non luogo di chiacchieroni inconcludenti. Non c’erano infatti gerarchie o capi, ma compiti da svolgere, per cui in ogni settore di lavoro organizzato c’erano non dei “capi” ma dei “responsabili”, che rispondevano cioè ad una prassi dialettica verso il centro, costituito dal comitato provinciale, e tutti i comitati rispondevano ad un Centro nazionale. Cervetto soleva distinguere questa forma di centralismo, che chiamava dialettico, anziché democratico, dal centralismo burocratico delle organizzazioni opportuniste e staliniste, ma anche dal centralismo formale di Bordiga. In realtà, studiando bene a fondo il centralismo democratico del partito bolscevico, occorre ammettere che c’erano differenze anche sostanziali tra il centralismo bolscevico e quello messo in opera da Cervetto. Quest’ultimo contemplava una disciplina più stretta, ad es. i responsabili non erano eletti ma scelti centralmente per cooptazione, e mentre il partito bolscevico contemplava il frazionismo interno e le votazioni a maggioranza, Lotta Comunista è decisamente ostile al frazionismo e non pratica deliberazioni per votazioni.

La maniera di svilupparsi di Lotta Comunista ha seguito diverse fasi, ma sostanzialmente si è svolta in due direzioni, quella nelle fabbriche e quella sul territorio. Nelle fabbriche dove c’era qualche militante o simpatizzante si cercava di sviluppare dei “nuclei leninisti” con vari giornali di carattere rivendicativo-agitatorio e insieme di propaganda (es. Il Filo Rosso dell’ENEL, ecc.), ma vi si organizzava anche la diffusione del giornale nazionale. Sul territorio si sviluppavano i Circoli Operai, nei vari quartieri della città. Naturalmente i Circoli Operai, più numerosi erano e più funzioni avevano.

Di fatto, i circoli, più numerosi erano e più gente movimentavano e più alti risultati ottenevano e quindi alla lunga si finì per adottare il criterio di “concentrare” le forze, chiudendo i circoli piccoli e medi e aprendo quelli grandi che diventavano così, dei centri-zona, pronti ad aprirne altri circoli figli a seconda dell’occorrenza, e man mano che si formavano i militanti in grado di reggere responsabilità e ruoli loro affidati. A partire dalla metà degli anni ’80 si cominciò a espandere i circoli operai anche in altri paesi europei, col compito essenzialmente di diffondere le pubblicazioni e tradurli nelle varie lingue europee. Intanto anche l’attività editoriale si articolava e sviluppava creando Panta Rei ed altre iniziative editoriali. Ma questa è già fuori dalla tua domanda.

 

D. Torniamo al tema del partito, che rappresenta un aspetto fiondamentale per il proletariato. In sostanza, per Arrigo Cervetto il partito è un partito di classe che si estende, va mettendo radici ovunque nel mondo. Sono nati circoli operai in numerose città italiane, dopo di che anche all’estero. L’obiettivo è la rivoluzione mondiale? Sappiamo che uno dei punti fondamentali del marxismo è che non può esistere il socialismo in un paese solo, come invece hanno fatto credere ai propri seguaci e sostenitori alcuni leader. Quindi l’idea, l’obiettivo di Cervetto era formare il partito di classe e diffonderlo in qualsiasi parte del mondo, al fine di stimolare la rivoluzione? La rivoluzione nella concezione di Cervetto è una rivoluzione mondiale, da darsi contemporaneamente in più zone del mondo o una rivoluzione che magari esplode in un determinato paese e poi si espande?

R. La tua domanda, così come formulata, tocca il problema sostanziale della natura del partito mondiale del proletariato, che, nella importanza datale da Cervetto, assumeva valore strategico (parlava spesso di “partito-strategia” oltre che di “partito-scienza”) e, anche per questa ragione, di fatto era qualcosa di “inedito”, nel senso che non trovava fino ad allora un’esperienza già fatta, o momenti analoghi se si esclude quella delle tre Internazionali, e naturalmente esempi parziali come la Comune di Parigi e qualche altro esempio consigliarista e la rivoluzione d’ottobre come “rottura dell’anello debole della catena imperialista” e preludio allo sviluppo della rivoluzione proletaria nelle metropoli sviluppate capitalisticamente, appunto perché, come affermavi, è inconcepibile un’oasi economico-sociale socialista priva di legami con il mercato capitalistico mondiale. 

I giovani che si avvicinavano a Lotta Comunista negli anni a cavallo dei ’60 e ’70 erano già critici delle facili esaltazioni della rivoluzione “alle porte”, come deflagrazione onnipervasiva e volontaristica. Una visione ingenua e facilona che non portava da nessuna parte se non alle disillusioni altrettanto facili.  E Cervetto non aveva mai pensato che le rivoluzioni si potessero inventare e diffondere o che fossero il risultato della sola volontà più o meno organizzata a tavolino e come tali si potessero espandere una volta suscitate o provocate in un luogo . Queste visioni soggettivistiche, proprie anche di una componente del movimento operaio anarchico, non avevano nulla a che fare con la visione scientifica di Lenin, assunta da Cervetto, per cui le rivoluzioni sono fenomeni sociali oggettivi , che richiedono condizioni oggettive e naturalmente anche soggettive, se si vuole procedere verso obbiettivi di classe anziché verso altre mete. La prima condizione oggettiva è che non si possa più vivere nelle condizioni date dal passato, la seconda è che lo Stato non sia più in grado di esercitare il potere per conto di una classe che non riesce a esercitare organicamente il suo predominio, la terza è che la classe oppressa possieda una volontà cosciente non solo di non voler più vivere come in passato, ma anche organizzata per l’esercizio di un potere autonomo e indipendente dalle altre classi. Se si danno le prime due condizioni e manca la terza, il partito, si è di fronte ad un “ritardo storico”, ed era quel ritardo storico che Cervetto si accingeva a colmare con la formazione del partito leninista.

Certo, sappiamo cosa furono la I e la III Internazionale, rispetto alla II, sorta di Federazione di partiti nazionali, mentre la I e la III, ma anche il PC d’Italia del 1921, erano più inclini ad un centralismo e a condizioni precise di ammissione. L’elemento comune erano i congressi, ma essi erano nati quasi sempre come esperienze nazionali, spesso nettamente distinte, per via dell’ineguale sviluppo economico, sociale e politico.  E’ più che ovvio che un partito, per quanto di ispirazione strategica internazionalista, per il fatto che nasce e si innesta nel territorio nazionale che lo esprime, non può pretendere di determinare eventi mondiali e nessuno sa in che modo si svilupperà un processo rivoluzionario mondiale. Le Internazionali operaie e comuniste erano nel migliore dei casi una forma di centralizzazione di lotte, di scioperi, come quelle per la riduzione della giornata lavorativa, di azioni coordinate tra gruppi di partiti che dovevano ciascuno nel proprio paese applicare una tattica contro il comune nemico, la borghesia nazionale e internazionale e i suoi apparati statali e partiti. Il problema è che tali partiti esistano e si formino e diano vita a forme di centralizzazione mediante congressi.

Lotta comunista ha cercato di dar vita a forme di azione congiunta sia a livello nazionale con altri gruppi sia a livello internazionale. Ma in realtà in questa forma non si andava più in là di qualche singola azione contro un comune nemico (ad es. lo stalinismo e l’opportunismo sindacale), o la denuncia della politica imperialista dell’URSS sui paesi satelliti, insieme appunto a forze internazionaliste (il Maitan di prima e la IV Internazionale). Lotta Comunista ha scelto quindi di rafforzarsi come organizzazione autonoma e indipendente anche nei paesi dove la forza lavoro del capitale può liberamente circolare, in particolare nel territorio dell’Unione economica Europea e comunque dovunque può impiantarsi ed estendersi il giornale come “organizzatore collettivo”.  

Per riassumere e concludere su questo punto, è merito di Cervetto e di Lotta Comunista del primo decennio dalla fondazione del giornale l’aver chiarito la natura social-imperialista della tesi del «socialismo in un solo paese» o di quelle che furono chiamate «vie nazionali al socialismo», e dunque di aver denunciato, anche in condizioni difficili di esigua minoranza, il tradimento del fondamento internazionalista del socialismo e per questa via ridotto la stessa terza Internazionale da tendenziale partito mondiale del proletariato a strumento della diplomazia internazionale del capitalismo di stato sovietico fino allo scioglimento della stessa nel 1943. Denunciare la natura controrivoluzionaria dello stalinismo e del PCI che presentava in Italia la democrazia postfascista come l’“anticamera del socialismo” equivaleva spesso ad attrarre su di se le ire feroci di un apparato organizzativo di tutto rispetto anche sul piano militare. Era una battaglia anche di rigore storico che ricordava le malefatte dello stalinismo nella guerra civile spagnola e dello stesso Togliatti e della sua politica di feroce repressione e liquidazione del dissenso interno di interi gruppi come Bandiera Rossa e Stella Rossa fino all’assassinio di numerosi compagni internazionalisti durante la resistenza. Ricordo benissimo gli scontri, a parte quelli con i neofascisti e nazionalisti conclamati, col servizio d’ordine del PCI o di organizzazioni anche ultrasinistre staliniste e poi anche filocinesi, combattute con lo slogan “ Lenin sì/Stalin no”. Memorabile  nei primi anni ’70 fu lo scontro davanti alla università statale di Milano, cui io stesso partecipai, tra militanti di Lotta Comunista e il servizio d’ordine del Movimento Studentesco noto come i “katanga” egemonizzato da Mario Capanna e di impostazione stalinista (il loro slogan era “Lenin-Stalin-Mao tse tung”).

 

D. Un altro degli aspetti fondamentali del marxismo e quindi anche in Cervetto è "la questione dei tempi". Molti giovani si sentono rivoluzionari, pensano di cambiare il mondo, poi con il passare degli anni, alcuni da ferventi rivoluzionari si ritrovano nelle file della destra, dell’estrema destra; insomma passano ad essere dei conservatori. Gli esempi abbondano; con personaggi oggi famosi che in gioventù erano dei rivoluzionari. Ciò si deve a non aver assimilato bene questo fondamentale concetto della questione dei tempi di cui tanto parla Cervetto? Come affronta Cervetto nella sua attività teorica  e pratica la questione dei tempi? Insomma a livello pratico ad un giovane che si avvicinava a lui, o più in generale agli ideali del comunismo ed al partito leninista, cosa si promette riguardo i tempi di realizzazione del cambiamento della società attuale? Un giovane si avvicinava a lui, al marxismo con la speranza di cambiare il mondo. Come affronta Cervetto tale problema? Come si affronta questo discorso con i giovani?

R. Nella risposta precedente ho parlato delle condizioni per lo sviluppo di un processo rivoluzionario e di quello che, quando queste non si danno o non coincidono, Cervetto chiamava “ritardo storico”. In questo ordine di problemi rientra anche quello dello sviluppo “ineguale” del capitalismo. E’ un problema scientifico, che solo un approccio dialettico può impostare correttamente per giungere ad una efficace azione consapevole. Si tratta appunto di quella che Cervetto ha voluto chiamare la “questione dei tempi” che è questione “difficile” in quanto esprime l’essenza profonda dell’agire consapevole umano. Ora, questa del tempo è una delle classiche categorie scientifiche e filosofiche che ha messo alla prova i cervelli di tanti fisici e filosofi. Cervetto ha provato a dirimerla osservando soprattutto i “tempi” dei processi politici. Certo, parlare di “ritardo” storico nella formazione del partito di classe, è piuttosto ardito e non vuol certo significare che ci sia una equivalenza dei tempi e dei ritmi tra i fenomeni naturali, ma che per la parte soggettiva, per la coscienza del mutamento, qualcosa è mancato all’appello, o comunque non ha avuto la forza di interagire dialetticamente in un processo rivoluzionario e vittorioso.

Cervetto partiva in questo ordine di considerazioni da una osservazione di Amadeo Bordiga relativa alla discussione del 1926 nell’Internazionale proprio in merito alla “questione dei tempi”, su cui non è qui il caso di entrare nei dettagli. Cervetto ne traeva la conclusione che il marxismo poneva sistematicamente tale questione al centro di ogni visione strategica del movimento rivoluzionario per il fatto che nel mondo non c’è nulla di statico e i problemi sorgono proprio perché non sono astrazioni immobili, ma il prodotto di una realtà dinamica in perenne mutamento e ogni dinamica produce contraddizioni e conflitti. In conclusione, non esisteva, per Cervetto, un problema che non avesse un passato, un presente, un futuro. Era compito della scienza studiare lo sviluppo e dunque la dinamica temporale, e ciò proprio come metodo. Ciò richiede uno studio della misura stessa del tempo, del ritmo,  che a sua volta è quantità nei fenomeni economici e sociali, statisticamente quantificabili, come dimostrò Lenin per la “questione agraria”.

Naturalmente, questa istanza per così dire pitagorica (“tutto è numero”) che il capitalismo portava alle estreme conseguenze col suo vero e proprio culto della quantità, come Marx la studiò nel Capitale, era desunta da una visione che si orientava sempre più decisamente in senso dialettico (rapporto tra quantità e qualità). A volte le riunioni di centri nazionali allargati con Cervetto erano lunghi elenchi di dati statistici su questo o quel fenomeno economico o sociale. E poiché tempi e ritmi dell’ineguale sviluppo capitalistico operano nei decenni e non negli anni, è nei tempi medio-lunghi che si doveva snodare la strategia, mentre nei tempi brevi possono combinarsi vari fattori e tempi congiunturali con svolte e mutamenti di rotta imprevedibili, mutamenti che solo un partito può gestire senza farsene travolgere. Da qui l’importanza strategica del partito.

La domanda su cosa prospettare ai giovani che si avvicinano oggi a Lotta Comunista esula da queste considerazioni, perché io ne sono fuori. Per i tempi di allora perciò era una questione di orgoglio far parte di una organizzazione che non seguiva le mode effimere ma si attrezzava per i “tempi lunghi”. Lotta Comunista oggi svolge in Italia prevalentemente lavoro di reclutamento giovanile nelle università, con intenso lavoro di propaganda, corsi di marxismo. Molti di questi giovani spesso balbettano frasi fatte su un marxismo analogo a quello scolastico, ma che non ha nulla a che fare con quello che sostanziava le lotte negli anni ’60 e ’70.

 

D. Uno degli aspetti del leninismo di cui Cervetto è seguace è l’imperialismo. Puoi riassumerci la sua visone riguardo l’imperialismo?

R. Riassumere le tesi di Cervetto sull’imperialismo è un’impresa impossibile in una intervista, ma lo sarebbe anche in un’opera di studio a ciò dedicata. Cervetto non ha mai elaborato uno scritto teorico di sintesi divulgativa sulle proprie concezioni sull’imperialismo, come fece Lenin col sul “saggio divulgativo”.  Il suo poderoso lavoro (circa 1500 pagine”) su L’imperialismo unitario non è che una raccolta di articoli sulle relazioni internazionali e la geopolitica di almeno tre decenni, pubblicati pertanto nel corso di un trentennio, analisi fatta a caldo su eventi storici contemporanei.

Dal punto di vista teorico, in Cervetto non ci sono sostanziali caratteri “originali”, rispetto ai “5 contrassegni” individuati da Lenin per definire l’imperialismo come “fase suprema del capitalismo”, fase di concentrazione orizzontale e verticale, di centralizzazione del capitale, di fusione del capitale industriale e bancario per dar luogo al capitale finanziario e ai monopoli, cartelli e trusts internazionali. Questi concetti e questa realtà erano presenti già nelle Tesi del ’57 di Cervetto e Parodi, con l’aggiunta di diversi livelli di classificazione quantitativa dei vari raggruppamenti imperialisti. Anche il concetto e il termine di imperialismo “unitario” era stato dibattuto nella polemica tra Bordiga e Damen il quale ultimo non accettava una sorta di scala gerarchica tra potenze imperialiste, come faceva Bordiga che additava nella Russia un imperialismo certamente più debole per il fatto che, a dispetto della sua aggressività, non era in grado di esportare capitali come gli USA.

Quindi il grande valore dello studio di Cervetto sull’imperialismo “unitario” era la grande lucidità con cui evidenziava e smascherava la natura capitalistica di certe infatuazioni partigiane verso questo o quel paese a giovane capitalismo spesso statale (vedi gli scritti sulla “Questione Indonesiana” o quelli sulla “Teoria maoista del fronte unito”) che acquistava l’indipendenza nelle guerre dell’epoca dalla guerra fredda a quelle postcoloniali dall’Algeria al Vietnam, guerre spesso articolate intorno alla produzione delle materie prime, del petrolio in particolare. Da qui anche l’importanza delle sue analisi sulle economie dei paesi a “democrazia popolare” dell’Europa dell’est (dalla Germania Orientale alla Jugoslavia di Tito, e all’Ungheria e relativo intervento da parte dell’URSS) e dei regimi militari dell’America Latina, spesso millantati come socialismo, come quello cubano castrista. Quelli che ho citati sono solo spunti che richiamo a mente, ma aprendo il testo dell’Imperialismo unitario, sono veramente notevoli gli spunti di riflessione fatti a caldo sugli eventi di quegli anni, riflessioni che continuano in un’altra raccolta La nuova contesa imperialista che si snoda dagli anni ’80 e ’90.

 

D. A tal fine un argomento importante è la Cina; in giro ci sono ancora vari maoisti che vedono nella Cina un paese comunista. Oggi, però sappiamo che la Cina è una potenza capitalista. Anche in questo Cervetto aveva visto giusto: nei suoi scritti aveva prefigurato uno sviluppo capitalista della Cina. Ovviamente Cervetto era arrivato a tale conclusione attraverso l’analisi scientifica. Parlaci – se puoi – della visione di Cervetto sulla Cina.

R. Nelle risposte precedenti ho già accennato a questo aspetto, che come tutto il resto può essere studiato attraverso i suoi scritti. Qui basta solo notare, come tu chiedi, come vi è giunto. L’analisi di Cervetto sulla Cina cominciò con una serie di scritti su Lenin e la rivoluzione cinese, scritti sotto forma di articoli pubblicati nel 1962, quando destò stupore il contrasto sino-sovietico a cannonate sul fiume Ussuri. A Cervetto interessava studiare il modo in cui Lenin inquadrava il corso rivoluzionario democratico-borghese e populista cinese dei tempi di Sun Yat Sen per fare altrettanto col corso degli eventi sconvolgenti che nei primi anni ’60 si svolgevano sul confine russo-cinese. Imbarazzante per borghesi e opportunisti constatare che due Paesi cosiddetti “socialisti” si combattessero come accade normalmente a potenze capitaliste. Nella prefazione ad una edizione del 1969 di quel libro, Cervetto ricordava che «La controrivoluzione staliniana è partita dalla teoria del “socialismo in un paese solo”. E’ arrivata là dove non poteva che arrivare: al conflitto armato tra due paesi che si proclamano “socialisti”. Si è smascherata nel solo modo in cui si doveva smascherare: «a colpi di cannoni più che a colpi di parole». Cervetto aveva assimilato dall’analisi di Lenin sulla Cina la conclusione della inevitabilità e dell’internazionalizzazione dello sviluppo capitalistico.

 

D. Oggi anche un marxista statunitense come Loren Goldner guarda alla Cina. Ti domando, a tal proposito: Loren Goldner conosceva, conosce Cervetto? Eventualmente, sai cosa ne pensa?

R. La tua domanda è strana e curiosa. (Ndr: Dante Lepore attraverso la sua casa editrice "Ponsinmor" pubblica in Italia i libri di Loren Goldner, marxista statunitense e profondo conoscitore della realtà cinese). Mette insieme due personaggi e due percorsi completamente differenti. Un Cervetto tutto figlio del movimento operaio europeo e un intellettuale marxista sui generis della prima potenza imperialista del mondo. Non si sono conosciuti, anche se Goldner conosce le pubblicazioni di Lotta Comunista che, ogni volta che viene in Italia, si va a cercare nelle librerie. Siamo amici e qualche libro gliel’ho procurato io stesso. Goldner conosce molto bene la storia del movimento operaio internazionale. Conosce Marx di cui ha approfondito la dinamica del capitale fittizio. Un marxista originale che non lesina critiche neppure a Lenin. Conosce anche Rosa Luxemburg e Trotsky, nonché i migliori esponenti del movimento operaio americano e il consigliarismo internazionale. 

 Per quanto possa sembrare strano, conosce Bordiga e ne apprezza la originale capacità e visione soprattutto della questione agraria. Non ho avuto modo di chiedergli se conosce gli scritti di Cervetto e cosa ne pensa. Al confronto con i bordighisti italiani, questi ultimi più che boria e saccenteria non sanno tirar fuori. Ma Goldner più che altro è un viaggiatore accanito, in lungo e in largo pe il mondo, ovunque ci siano esempi di lotte operaie e movimenti anticapitalisti da conoscere, studiare e documentare. Conosce molte lingue e ultimamente si è messo a studiare il cinese. E’ stato in Argentina, in Perù, in Bolivia, e ha scritto importanti articoli sulle lotte sociali in quei paesi, dove intrattiene rapporti, come del resto ovunque dove viaggia. E’ stato in Turchia e ha scritto un testo importante sulla sinistra comunista sterminata ai tempi di Kemal Ataturk con l’appoggio dei comunisti russi. In Corea ha documentato una accanita lotta con occupazione della fabbrica Ssyang Motors di Seul per oltre due mesi e mezzo.  L’analisi di Goldner sulla Cina come prossima tappa della rivoluzione permanente è cominciata con un testo che gli ho tradotto e proseguirà finché ne avrà la forza da qui al prossimo futuro. Ad ottobre sarà in Italia dove farà un giro di colloqui e conferenze (4).

 

D. Parlaci dei tuoi inizi con Cervetto, dall’incontro con lui, come si svolgeva l’attività per sviluppare la presenza del partito a Torno, la tua città di residenza. Ovviamente è una esperienza valida per ogni realtà, riproducibile in ogni paese; per cui parlaci del metodo, dal punto di vista teorico e pratico, per costruire e diffondere il partito.

Ne ho già parlato precedentemente. Devo solo aggiungere, che dopo una serie di incontri mi fu chiesto di dare la mia candidatura per l’adesione militante. In tal modo potemmo aprire una sede in un quartiere di forte immigrazione a Torino, la Barriera di Milano, che in questi ultimi tempi è diventato un quartiere di immigrazione extracomunitaria prevalentemente nordafricana. Mi occupai delle lotte studentesche organizzando un Comitato di lotta degli studenti medi e universitari prevalentemente nelle facoltà umanistiche, mentre altri compagni si dedicarono ad un Comitato per il Politecnico di Torino che richiedeva maggiore impegno per la presenza di una strutturazione maggiore delle altre forze politiche. Reclutavo giovani nelle agitazioni studentesche nel liceo dove insegnavo come supplente non ancora laureato. Dovetti interrompere quel lavoro per partire per il servizio militare, che per me fu devastante, in quanto condusse alla rottura con mia moglie con cui ero sposato da poco.

Alla fine del servizio militare ripresi l’attività sia con gli studenti che nella Commissione propaganda. Con Cervetto ora c’era la regolare frequentazione non più individuale, ma collettiva ai centri nazionali allargati, le lunghe relazioni fatte la sera e la notte quando vedevamo già l’alba e correvamo a prendere il treno per il ritorno. I rapporti non erano distaccati, perché Cervetto ricordava tutto e chiedeva anche notizie, persino della mia compagna, in qualche pausa dei lavori, mentre si prendeva un caffè.

Le riunioni erano su vari argomenti, ricordo che per un po’ si parlò della filosofia di Kant, di Hegel, di dialettica. Ma molto articolato fu un seminario sulla strategia e sul marxismo e la questione militare, che mi appassionò al punto che l’approfondii per conto mio facendone a mia volta l’argomento per relazioni nei circoli operai che nel frattempo aprivamo in continuazione e di cui ero responsabile. Per farla breve la mia attività militante in Lotta Comunista durò 30 anni, in parte passati a Roma, e fu lì che avemmo la notizia della morte di Cervetto. 

 

D. Visto che hai conosciuto e frequentato Cervetto, per vari anni puoi dirci qualcosa dell'uomo, di Cervetto dal punto di vista umano?

R. Non ho molto da aggiungere in proposito a quanto già detto. L’umanità di Cervetto traspare dalla sua biografia, dai racconti delle persone che lo hanno conosciuto più o meno a lungo, nonché dai suoi stessi detrattori. Esistono ancora pochi studi sulla sua figura, e purtroppo i suoi archivi sono gelosamente custoditi. In bibliografia ho raccolto qualche testo (3).

 

D. Per concludere. Cervetto è morto già da vari anni, la sua attività ed esperienza rimane valida e soprattutto rimane valida la sua idea di partito, che attraversa una fase di espansione anche oltre i confini dell’Italia; sono sorti circoli operai per esempio in Spagna, Russia, o Brasile… Cervetto è o potrà essere oltre che una speranza anche un punto di riferimento per il proletariato mondiale? La tua opinione.

R. Se sia una esperienza “valida” e se la sua idea di partito sia “valida” non sta a me giudicare. I giudizi di valore specie se rilasciati da individui possono lasciare il tempo che trovano. E’ sempre la storia alla fine che stabilisce giudizi di fatto piuttosto che di valore. Ciò che Cervetto ha costruito sta li nelle ormai innumerevoli pubblicazioni sue e di chi lo ha seguito e imitato e talvolta scimmiottato, nelle azioni di lotta da lui ispirate e svolte in varie situazioni sociali, o sindacali locali e nazionali, in convegni, in centinaia di esperienze individuali, e ora tu mi dici anche in circoli operai in Spagna, Francia, Russia e Brasile, cosa che ignoravo perché sono 17 anni che non milito più in questa organizzazione. Non oso mettere a bilancio quel che io stesso sono e che in gran misura posso attribuire all’insegnamento di Cervetto, perché non penso che conti molto.

Posso quindi dire che la mia attività con Lotta Comunista ha appena superato di qualche anno la morte di Arrigo Cervetto. Quel che è maturato dopo di lui e dopo la successiva morte di Parodi è un altro capitolo, a mio parere piuttosto povero di epigoni che non sembrano all’altezza del maestro.

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Note
(1) Questa intervista è stata realizzata via internet il 3 settembre 2015 e giorni seguenti.
(2 V. I. LeninChe fare?,1902: «Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito la via della lotta alla via della conciliazione» .
(3)   GIORGIO AMICO - YURI COLOMBO, Un comunista senza rivoluzione. Arrigo Cervetto dall’anarchismo a Lotta Comunista: appunti per una biografia politica, Massari, Bolsena 2005;  GUIDO LA BARBERA, Lotta comunista Il gruppo originario 1943-1952, Milano, Lotta Comunista, 2012; GUIDO LA BARBERA, Lotta comunista Verso il partito strategia 1953-1965, Milano, Lotta Comunista, 2015; Arrigo Cervetto in Wikipedia, Url:  https://it.wikipedia.org/wiki/Arrigo_Cervetto; DINO ERBA, Arrigo Cervetto: da Bakunin a Lenin passando per Bordiga, 31/08/2012, Url:  http://connessioni-connessioni.blogspot.it/2012/08/arrigo-cervetto-da-bakunin-lenin.html
(4) L'intervista è stata realizzata via internet il 3 settembre 2015 e giorni seguenti. E' per questa ragione che si parla di un futuro viaggio di Loren Goldner in Europa; ovviamente nel moemnto della pubblicazione il viaggio in Europa di Goldner è già avvenuto. Vedere Intervista a Loren Goldner, Url:  http://umbvrei.blogspot.com/2015/10/intervista-loren-goldner.html.

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