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La scienza è un campo di battaglia
di Noi Restiamo
In questi ultimi giorni, la diffusione del Coronavirus a livello nazionale sembra registrare una diminuzione diffondendo un senso di speranza sul fatto che il peggio sia passato. Tuttavia, al momento non si è ancora trovata la cura al virus Covid-19, ma solo un modo per rallentare i contagi e i decessi, ossia attraverso l’isolamento forzato di massa, il quale però non può essere sostenibile sul lungo periodo.
Da settimane sono al lavoro ricercatori di tutto il mondo per trovare un vaccino che comunque realisticamente non potrà essere pronto prima di un anno. In questo contesto, sta circolando una narrazione fuorviante della scienza come neutrale e benefica per tutti. Una narrazione a cui non dobbiamo abboccare.
Una premessa di metodo
Quando diciamo che “la scienza non è neutrale” e benefica per tutti non intendiamo dire che questa non abbia una valenza conoscitiva assoluta. Dal nostro punto di vista la scienza è in grado di descrivere la realtà oggettiva con processi di approssimazione successiva che vanno a definire i limiti delle teorie passate.
Questi processi, se svolti con il metodo scientifico, non dipendono dai soggetti che li realizzano, ovvero ogni ipotesi deve poi essere confrontata con la durezza dei fatti e l’ipotesi è tanto più valida quanto più il confronto con i fatti è ripetibile nel tempo, nello spazio ed è indipendente dai soggetti che eseguono il confronto.
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Coerenza del materialismo: variazioni filosofiche sullo stato di cose presente
di Eros Barone
La morte rappresenta per il pensiero un oggetto necessario e impossibile. Necessario perché tutta la nostra vita ne è segnata; impossibile perché non vi è niente, nella morte, da pensare. Accade perciò che, quando la realtà e le immagini della morte giungono ad occupare interamente la nostra percezione – è questo il caso delle conseguenze psicologiche prodotte dall’attuale pandemia -, un unico sentimento giunge a dominare il nostro animo.
Mi riferisco, in primo luogo, al problema del male, poiché, come scrive il Manzoni nei capitoli dedicati alla peste, «noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile». 1
E, a proposito del silenzio uniforme che caratterizza la quarantena, sempre nei Promessi Sposi troviamo una ‘espressione che si attaglia perfettamente al nostro stato attuale, là dove l’autore evoca, per descrivere gli interludi fra gli orrori della peste e gli orrori della guerra, il subentrare di “una quiete spaventata”... 2 la stessa che esala in queste settimane dal profondo silenzio dei nostri centri urbani, rotto soltanto dalle sirene delle autoambulanze.
Si dirà: è un grande scrittore che paga il suo debito all’ideologia religiosa. Eppure si tratta di descrizioni e di narrazioni che raggiungono non solo i vertici dell’arte letteraria, ma anche quelli di un realismo asciutto, potente, aspro (non indegno di quello che innerva le descrizioni delle pestilenze in Tucidide o in Lucrezio). 3
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“Una app per tracciare il covid-19”. Siamo sicuri?
di redazione di Codice Rosso
A partire dall’inizio del mese abbiamo posto ad alcuni amici storici una serie di domande sul rapporto tra emergenza covid-19 e uso emergenziale delle tecnologie. Le domande poste non erano una vera intervista quanto una traccia che serviva per stimolare la discussione. Ci ha risposto un esperto, che vuol rimanere rigorosamente anonimo, con un intervento decisamente interessante che spiega come, tramite un’emergenza come la pandemia da coronavirus, si pongano le condizioni per “nuove tecnologie politiche” piuttosto che innovativi sistemi di controllo. Pubblichiamo qui le cinque tracce di partenza e successivamente l’intervento del nostro esperto che ringraziamo vivamente.
1) Dall’inizio dell’epidemia stai seguendo eventuali adozioni di tecnologie che possono ledere la privacy anche dopo la crisi o trovi la situazione veramente spiazzante?
2) La sorveglianza tramite uso dei droni da parte delle amministrazioni locali ha fatto nascere tanti modelli “società di controllo fai da te”. Quali sono secondo te le derive più pericolose di questo modello?
3) dal tuo personale punto di osservazione quali sono le tendenze più pericolose nei dibattiti sui social, quelle che possono fare opinione pubblica per favorire soluzioni pericolose contro la privacy?
4) Pensi che soluzioni “cinesi” e “coreane” di controllo sociale a causa dell’epidemia possano essere adottate in Italia e andare oltre l’emergenza?
5) infine un commento a questa notizia https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/03/31/nasce-la-task-force-tecnologica-contro-il-virus-un-team-con-74-esperti_ffdf7852-0def-4711-82f7-c79677fbe0ac.html
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Perché i certificati di compensazione fiscale non sono (e non possono essere) “debito”
di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini
Da diversi anni, come componenti del Gruppo della Moneta Fiscale, proponiamo l’emissione di Certificati di Compensazione Fiscale (CCF) quale strumento per rilanciare l’economia italiana nel rispetto delle vigenti regole europee[1]. Di recente, ne abbiamo sostenuta l’adozione anche per un’accelerazione della lotta alle conseguenze economiche del Covid19, senza che ciò aggravi la situazione debitoria del Paese[2].
In altre sedi, abbiamo più volte chiarito che i CCF non costituiscono debito alla luce dei criteri di contabilità stabiliti dall’Unione Europea e articolati nei regolamenti Eurostat (si veda appendice)[3]. E proprio al fine di evitare la confusione cui facilmente dava luogo l’uso della parola “credito” contenuta nel nome originariamente attribuito allo strumento, abbiamo preferito sostituirla col termine “compensazione”, peraltro perfettamente appropriato alla natura tecnica dello strumento, che è rimasta del tutto identica alla concezione iniziale.
Con quest’articolo s’intende tornare sulla natura non di debito dei CCF, avvalendosi di ulteriori fonti finanziario-contabili.
I crediti fiscali
In sintesi, i crediti fiscali sono distinti tra “pagabili” e “non pagabili”. I secondi, che danno diritto esclusivamente a detrazioni o compensazioni, non sono mai stati considerati debito e non vi è ragione alcuna, se non di vieta opposizione politica, per cambiare orientamento.
Le uniche obiezioni che si cerca di trovare, ad ogni costo, si appoggiano su aspetti marginali e malfermi, che in questa sede saranno meglio puntualizzati.
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La dittatura del lavoro nel capitalismo
di Bollettino Culturale
Rubin e il posizionamento della teoria del valore al centro della teoria di Marx
Negli anni ‘20 Isaak Rubin scrive i suoi saggi sulla teoria del valore marxista. Una lettura del lavoro di Marx, in particolare del Capitale, che si concentrava sulla teoria del feticismo della merce, considerata inseparabile dalla teoria del valore. Non è che il feticismo della merce rivela le relazioni di riproduzione che stanno dietro le categorie materiali, ma che:
“è più preciso esprimere la teoria del valore al contrario: in un'economia mercantile capitalista, i rapporti di lavoro della produzione tra uomini acquisiscono necessariamente la forma-valore delle cose e possono apparire solo in questa forma materiale; il lavoro può essere espresso solo in valore. Qui il punto di partenza non è il valore ma il lavoro.”
Rubin è interessato a dimostrare che, sebbene assuma una forma materiale ed è correlato al processo di produzione, il valore è una relazione sociale tra le persone. Nella sua analisi, "il valore rappresenta il livello medio attorno al quale fluttuano i prezzi di mercato e con cui i prezzi coinciderebbero se il lavoro sociale fosse distribuito proporzionalmente tra i vari rami della produzione" ripristinando l'equilibrio grazie al mercato e al suo sistema di prezzi.
Pertanto, il lavoro appare come lavoro distribuito quantitativamente e come lavoro socialmente equalizzato, cioè "come lavoro "sociale", inteso come la massa totale di lavoro omogeneo ed uguale in tutta la società". Per Rubin il lavoro avrebbe un ruolo regolatorio:
"La legge del valore è la legge dell'equilibrio dell'economia mercantile". Con l'aumento della produttività, il lavoro riduce il lavoro socialmente necessario per produrre un bene, il valore unitario di quel bene viene ridotto e si generano cambiamenti nella distribuzione del lavoro sociale tra i vari rami della produzione. La sequenza sarebbe la seguente: Produttività del lavoro-lavoro astratto-distribuzione-valore del lavoro sociale.
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Irriverenze storiche dal tempo del contagio
di Giorgio Gattei
Perché le epidemie?
Sono confinato in casa da giorni come se fossi un mafioso agli arresti domiciliari, io che non ho commesso alcun reato di mafia. Dicono che l’isolamento domestico favorisca la riscoperta dell’interiorità, ma a me proprio non succede e invece avverto solo una sorda rabbia contro quel giudice che così mi ha condannato. Ma chi è mai questo giudice? Questa volta non c’entra affatto la Storia con la S maiuscola, come nel caso delle guerre che ci cascano addosso, ma è invece la Natura, anche lei con la N maiuscola, che ci ha travolto nei suoi movimenti inconsulti. Non ci avevo mai pensato in precedenza, ma nella mia segregazione casalinga ho avvertito che la Natura, che pure ci crea, non ci ama affatto e ci vorrebbe tutti morti, e non soltanto individualmente (come prima o poi arriva comunque a fare), ma come specie, come intero genere umano. Per questo, nella costrizione domiciliare che sto soffrendo, mi sono ritrovato a condividere il “pessimismo cosmico” di Giacomo Leopardi, di cui ho riletto non tanto le poesie (con quell’Infinito ultra-celebrato e iper-cerebrato che poi non è altro che una fuga tutta di testa, hippy ante litteram, dal “natio borgo selvaggio”), bensì le Operette morali che sono uno straordinario prodotto letterario, sebbene avrei qualcosa da dire su di un linguaggio che non è più il nostro, in cui la filosofia leopardiana si presenta al suo meglio (mentre invece nel suo Zibaldone di pensieri io mi ci perdo…).
Queste Operette sono state pubblicate definitivamente a Napoli nel 1835. Perchè Leopardi ce l’aveva poi fatta a fuggir da Recanati e dopo un vario girovagare aveva raggiunto finalmente una metropoli, com’era Napoli a quel tempo, sulla quale incombeva pur sempre minacciosa la silhouette di quello “sterminator Vesevo” che aveva già annichilito Pompei, Ercolano ed Oplonti.
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Verso il 25 Aprile. Riflessioni urgenti sulla necessità di rompere il vetro e tornare in strada
di Wu Ming
Oggi, 21 Aprile, celebreremo a modo nostro l’anniversario della Liberazione di Bologna. Non in “telepresenza”, ma nello spazio fisico. Niente “convocazioni”, ci muoveremo da soli, prendendoci in prima persona le responsabilità del caso.
Vogliamo fare qualcosa anche il 25 Aprile. A tale proposito, ecco alcune riflessioni.
Pochi giorni fa, a Torino, due auto e due jeep dei carabinieri hanno inscenato una vera e propria retata per prelevare, perquisire e multare un militante del Centro Sociale Gabrio, reo di aver distribuito un volantino davanti a un supermercato, nell’ambito della raccolta di beni di prima necessità SOSpesa, organizzata per aiutare chi è in difficoltà economica.
L’altroieri, sempre a Torino, l’incrocio tra corso Giulio Cesare e Corso Brescia è stato occupato da uno squadrone misto di forze dell’ordine ed esercito, decine di divise, allo scopo di accerchiare e portare via di peso quattro compagne/i, colpevoli di aver contestato il trattamento inflitto a due giovani immigrati. Tutt’intorno, per strada e alle finestre, molte persone protestavano per l’eccessivo dispiegamento di forze e la tracotanza degli uomini in divisa.
Media e politici hanno subito giustificato l’operato di agenti e soldati dicendo che a monte c’era lo scippo di una collanina. Come se, partendo da un aneddoto di microcriminalità individuale, fosse accettabile una simile escalation.
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Di bocciature, voti e altre amenità
di Mauro Piras
Lo dico subito: questo è uno sfogo. Una reazione irritata a una serie di cose che abbiamo dovuto sentire in giro sulla scuola in queste settimane, nel pieno dell’emergenza. Una reazione ai luoghi comuni, alla pigrizia intellettuale, ai riflessi condizionati, o forse a una visione reazionaria della scuola talmente radicata nella cultura dell’italiano medio (del giornalista medio, del politico medio, dell’opinionista medio) che neanche ce ne rendiamo più conto. “È un 6 politico!”, “Se li promuoviamo tutti non c’è più serietà!”, “Così si deresponsabilizzano gli studenti!”, “Il lavoro dei docenti non ha più nessuna dignità!”, “Non ha più senso mettere i voti!”. Ecc. Tutto più o meno riassumibile nel sommo principio: “Signora mia, non c’è più la scuola di una volta!”. Cosa piuttosto commovente, a dire il vero, perché, a parte il caso ormai raro di qualche quasi ottuagenario brontolone, la maggior parte di questi spropositi viene pronunciata da gente come me, cinquantenni che hanno fatto la scuola degli anni ottanta, semisgangherata, che hanno fatto un esame di maturità superleggero, con due materie all’orale di cui una a scelta e l’altra pure, che non hanno mai vissuto sulla propria pelle un’emergenza di questo genere. Quindi quello che segue è un tentativo di tradurre in frasi leggibili la serie di contumelie e insulti che attraversano la mia mente quando leggo o sento quelle cose.
Primo, il “6 politico”. Che dire? Che non c’entra niente, che parlare di “6 politico” in questo contesto è solo sciatteria, approssimazione, pigrizia linguistica. L’espressione è venuta fuori appena si è iniziato a parlare di promuovere tutti.
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Cambiare il mondo con un virus
Geopolitica di un’infezione
di Fulvio Grimaldi
Dovrebbe uscire a giorni, quando riapriranno le librerie tutte e sarà disponibile nell’ e-commerce, questo mio instant-book sull’ Italia e un po’ di mondo nell’era del coronavirus (Zambon Editore,160 pp, €12.00), Ve ne darò tempestivo avviso.
Viviamo nella morsa di coloro a cui è capitato di poter assumere un comando assoluto, senza precedenti, sulla nostra vita, sui nostri diritti fondamentali, violando Costituzione e ogni legge giuridica, morale, civile, umana. E’ il racconto di fatti, con relative riflessioni e analisi, che hanno alterato il nostro modo di vivere e di pensare come era successo solo nel capovolgimento che, con i successori di Costantino, a partire dal quarto secolo dopo Cristo, uccise una civiltà. Molto meno vi si può paragonare quanto abbiamo subito sotto occupazioni straniere, o nel fascismo.
Tutta questa catastrofe nella quasi totale assenza di resistenza, come, invece, la percepiamo manifestarsi, alla faccia dei media occultatori, in altri paesi a noi vicini. Il tritapensiero, nel quale siamo stati inseriti da molti anni, ha di nuovo spurgato il dogma. Il libro annovera voci di scienziati, osservatori, pensatori liberi, che non si piegano alla terrificante manipolazione in atto. Riporta dati che smentiscono l’alluvione di propaganda intimidatrice cui ci sottopone il complesso scientifico-mediatico che si è completamente messo sotto i piedi la politica.. E, soprattutto, contiene una vasta disamina, che il lettore giudicherà azzeccata o meno, su cosa e chi ha preceduto, determinato, guidato, l’operazione coronavirus e su quali prospettive si prova a trarne sul piano dei rapporti di potere, sulle libertà individuali, collettive, nazionali e sugli assetti economici, sociali e geopolitici che ne dovranno sortire.
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L’Unione Europea uccide più del covid-19
di Massimiliano Bonavoglia
L’indice S&P, che era precipitato da 3390 a 2190, sembra segnare una parziale ripresa del tonfo dovuto al COVID-19. Questa risalita viene tuttavia definita una Bull trap, ossia una falsa ripartenza da un interessante articolo di Chris Vermeulen che, comparando l’attuale pattern grafico (schema di andamento) con quelli degli ultimi 150 anni, conclude che l’attuale ripresa sia solo apparente, una bull trap, ossia una trappola che ingabbierà il toro (che in finanza rappresenta il valore in salita). Come mostra il grafico, prima del ritorno alla sensatezza di un mercato impazzito, sarà molto probabile un nuovo minimo su S&P500.
Se questa funesta previsione fosse vera, saremmo legittimati a pensare che il peggio per i mercati internazionali deve ancora arrivare. Gli ultimi interventi delle banche centrali (FED BCE e non solo) hanno adottato il Quantitative Easing, ossia l’allentamento quantitativo volto ad agevolare innanzitutto gli Stati nazionali entrati già nel 2019 in recessione, riduzione dei tassi di interesse, acquisto di titoli di Stato, di titoli finanziari, di corporate bonds (ossia titoli di grandi aziende mediante gli ETF) eccetera. Tutto questo prima del blocco forzato che oggi si estende a circa quattro miliardi di persone nel mondo, che ha fermato le produzioni globali e rallentato di due terzi i consumi. Per un sistema economico fondato essenzialmente su consumi, produzione di beni e obsolescenza programmata, questa situazione è indubbiamente preoccupante per la sopravvivenza del sistema stesso, oltre che degli esseri umani. Basta guardare gli indici del petrolio, che hanno segnato un nuovo minimo nonostante gli sforzi dell’OPEC di limitare le produzioni, per compensare il calo vertiginoso della domanda.
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Il Coronavirus e il crollo della modernizzazione
di cybergodz
Proponiamo qui un testo proveniente dall’ambiente intellettuale tedesco che ruota intorno alla “Critica del valore”.1 Gli estensori, Roswitha Scholz e Herbert Böttcher, appartengono più precisamente all’area che ha come punto di riferimento la rivista Exit e il sito www.exit-online.org.
La Critica del valore si basa sulla tesi per la quale il capitalismo, che è essenzialmente valorizzazione di valore, è giunto al suo limite estremo, oltre il quale non può più andare. Questo a causa soprattutto della competizione capitalistica, la quale ha traghettato il mondo verso quella che è stata definita “terza rivoluzione industriale”, caratterizzata da una produttività a trazione iper-tecnologica e microelettronica.
Le nuove esigenze di questa esasperata produttività capitalistica richiedono una forte razionalizzazione dei costi, quindi l’espulsione di massa di “forza-lavoro” (come definisce l’economia capitalistica coloro che lavorano) dalla produzione, ma anche degli esseri umani in generale se non dal consorzio umano tout court, sicuramente dalla vita sociale e dai suoi benefici – quando ci sono. La onnipervasiva capacità produttiva, incredibilmente elevata, di merci a costi estremamente contenuti satura i mercati esistenti, che non sono più in grado di assorbire in modo redditizio le merci prodotte, e impedisce che se ne aprano di nuovi, ancora rispetto alla redditività necessaria. Al tempo stesso mina la “domanda” (sempre per usare questa odiosa terminologia commerciale) in quanto impoverisce il potere d’acquisto della potenziale platea di consumo, a causa proprio – come già sottolineato – della sua espulsione dal “contesto produttivo”, inteso anche in senso lato. Tutto questo genera, secondo la Critica del valore, una crisi senza ritorno.
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Covid-19 e Costituzione
di Gaetano Silvestri
1. Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”
L’epidemia da Covid-19 ha prodotto in Italia una emergenza “vera”, che ha riattualizzato il problema – che si era posto anche negli anni del terrorismo fascista e brigatista – della compatibilità di misure eccezionali, a tutela della collettività, con i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione repubblicana, con la forma di governo parlamentare basata sulla separazione dei poteri e con il sistema costituzionale delle autonomie. Troppo spesso politici, giornalisti e tuttologi di vario genere hanno abusato del termine “emergenza”, al solo scopo di dare enfasi retorica ai propri discorsi, per ritrovarsi poi puntualmente impreparati quando si verificano autentici stati di necessità, che reclamano risposte rapide ed efficaci dalle istituzioni. Di qui una ridda di atti normativi e amministrativi, di annunci mediatici e di commenti “a caldo”, che quasi sempre aumentano la confusione, ingenerando equivoci difficili da superare perché ormai entrati nel senso comune.
Sul piano del diritto costituzionale, un primo equivoco, di carattere generale, è prodotto dall’affermazione che una situazione di emergenza richieda la sospensione, ancorché temporanea, delle garanzie, personali e istituzionali, previste dalla Costituzione. Tenterò di dimostrare che non si deve sospendere nulla, ma che invece sarebbe sufficiente, per fronteggiare lo stato di necessità, applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale, senza vagheggiare revisioni e tirare in ballo la sempre fascinosa teoria di Carl Schmitt sulla sovranità che spetta a chi comanda nello stato di eccezione.
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Per non dimenticare
di Giancarlo Scarpari
Il 31/12/2019 la Commissione sanitaria di Wuhan segnalava all’OMS l’esistenza, in quella località della Cina, di casi “di polmonite ad eziologia sconosciuta”; il 9/1/2020 l’origine del morbo veniva identificato in un nuovo “coronavirus correlato a quello della Sars” ed analoghi episodi venivano segnalati anche in Thailandia, Giappone e Corea del Sud; il Centro Europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (ECDC), confermando quelle notizie,riteneva peraltro “moderato” il rischio che quel morbo potesse diffondersi in Europa.
Il 22 gennaio, tuttavia,in Italia, con una circolare inviata, tra gli altri, alle Regioni ed a taluni ordini dei medici, il ministro della Salute Speranza forniva una serie di indicazioni sul nuovo coronavirus, prescrivendo all’occorrenza, da parte dei sanitari, l’uso di “mascherine a protezione facciale” (quelle chirurgiche) e, in certi casi, di quelle “a protezione rinforzata” ( quelle denominate FFP2).
Il 30 gennaio L’OMS comunicava che era in atto un’ “epidemia prodotta dal nuovo coronavirus” e dichiarava lo stato di emergenza globale; lo stesso giorno, due turisti cinesi in viaggio in Italia venivano riconosciuti “positivi” al virus e ricoverati in gravi condizioni in un ospedale romano.
Da allora, dunque, la notizia del morbo e della sua capacità infettiva diviene ufficiale e fa il giro del mondo, suscitando reazioni differenti. Non nasconde la sua soddisfazione il Segretario al Commercio americano Wilbur Ross, che il 31 gennaio annuncia che l’epidemia produrrà “un’accelerazione dei ritorni dei posti di lavoro negli USA”; i media dei paesi europei, preoccupati soprattutto della Brexit e delle sue conseguenze, si limitano a sottolineare che gli stranieri fuggono dalla Cina; il governo italiano, già dal 30 gennaio, con una delibera del Consiglio dei ministri, dichiara a sua volta lo stato di emergenza per 6 mesi, mentre il ministro della Salute blocca completamente il traffico aereo con quel lontano paese.
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Adesso, davvero, basta!
Comunicato AMPAS del 21/4
di Medicina di Segnale
Con serenità, ma anche con determinazione, i medici del gruppo della medicina di segnale (735 iscritti all’AMPAS, la nostra associazione, di cui tanti impegnati in prima linea), preoccupati per le possibili derive autoritarie in atto, desiderano fare chiarezza circa la possibilità che siano lesi dei diritti costituzionalmente garantiti per i cittadini.
1. Lesione libertà costituzionalmente garantite
In questo periodo sono stati gravemente lesi alcuni diritti costituzionali (la libertà di movimento, il diritto allo studio, la possibilità di lavorare, la possibilità di accedere alle cure per tutti i malati non-Coronavirus) e si profila all’orizzonte una grave lesione al nostro diritto alla scelta di cura. Tutto questo in assenza di una vera discussione parlamentare, e a colpi di decreti d’urgenza. Ci siamo svegliati in un incubo senza più poter uscire di casa se non firmando autocertificazioni sulla cui costituzionalità diversi giuristi hanno espresso perplessità, inseguiti da elicotteri, droni e mezzi delle forze dell’ordine con uno spiegamento di forze mai visto neppure nei momenti eversivi più gravi della storia del nostro paese.
Ora sta entrando in vigore un’app per il tracciamento degli spostamenti degli individui, in patente violazione del nostro diritto alla privacy, e che già qualcuno pensa di utilizzare per scopi extrasanitari.
Ma tra le lesioni più gravi ai nostri diritti costituzionali spicca quella legata al diritto di scelta di cura, ben definito sia nella costituzione che nel documento europeo di Oviedo. Noi medici siamo colpevoli di non aver adeguatamente contrastato, due anni fa, una legge che toglieva al pediatra di fatto ogni dignità e autonomia decisionale.
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Finanziamento delle politiche e scenari del debito dopo il covid-19
di Riccardo Realfonzo
La strada maestra per finanziare le politiche contro la crisi indotta dal coronavirus consiste nel finanziamento da parte delle banche centrali[1]. La monetizzazione dei nuovi deficit statali, infatti, permette di disporre della leva finanziaria per attivare le risorse necessarie a costo zero e senza appesantire il debito pubblico dei Paesi. Questa è la principale soluzione praticata nel mondo per fronteggiare l’emergenza, dagli USA alla Cina, dalla Gran Bretagna al Giappone. L’eurozona dovrebbe seguire il medesimo percorso, prevedendo un piano europeo anti-virus e politiche fiscali concertate tra gli Stati, adeguatamente finanziate dalla BCE[2]. Ciò potrebbe avvenire con varie modalità tecniche e soluzioni legali, anche mediante l’acquisto di titoli di debito comune (eurobond o recovery bond) da parte della BCE. D’altronde, in una fase recessiva come quella che si prospetta, non possono nemmeno essere paventati rischi inflazionistici. Una alternativa al finanziamento della BCE, ma si tratta di un second best, potrebbe essere l’emissione dei titoli di debito comune verso il mercato[3]. Questa seconda possibilità non è certo a costo zero, ma comunque permetterebbe di non contabilizzare una crescita del debito pubblico dei singoli Paesi. Al contrario, il ricorso al Fondo Salva-Stati (MES), non solo è a titolo oneroso ma soprattutto determina l’erogazione di crediti che vengono contabilizzati nel debito pubblico dei Paesi che li ricevono.
La discussione in Europa è ancora aperta sulla possibilità che vengano adottati strumenti di finanziamento comuni, che non determinino crescita del debito.
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Mettersi in gioco, organizzare le lotte dentro – e fuori – la filosofia
Un appello per la “Fase 2”
di Andrea Muni
Una lotta dentro la filosofia. […] Tale scontro andrebbe preso a mio parere molto sul serio, se si vuole ampliare lo sguardo sulle pratiche e avere uno sguardo microfisico sulla situazione […] . Sembra banale osservare che se si parla di filosofia occorre innanzitutto intendersi bene sul ruolo e lo statuto della filosofia stessa e del cosiddetto filosofo. […] Il “filosofo” non è mai del tutto esterno a un dispositivo disciplinare, inteso come disciplinarità storica della filosofia in quanto sapere e come apparato istituzionale,in cui si produce la sua pratica di pensiero. Senza una chiarificazione critica di questo suo stare nel medesimo tempo dentro e fuori dalla disciplina, corriamo il rischio di fare del filosofo una figura mitizzata e magari, proprio per questo, assai vicina alle logiche del padrone.
Pier Aldo Rovatti, da Foucault docet in “The Italian difference”
La Fase Uno della riflessione “culturale” sull’emergenza che tutti stiamo vivendo sta per concludersi. Presto giungerà il momento, grave, di prendere posizioni nette, pratiche e personali, di carattere etico-politico. Posizioni che sveleranno se e fino a che punto molti pensatori sono davvero all’altezza delle proprie parole.
Sta scadendo il tempo per interpretare le cause, per attardarsi in pur raffinate analisi sulle ricadute esistenziali (positive e negative) di una reclusione che ormai – si spera – sta volgendo al termine. Incombe ora piuttosto su ognuno di noi l’obbligo – l’urgenza della cultura e della filosofia “impegnate” – di costruire tempisticamente nuove strategie di lotta e di comunicazione da giocarsi nei mesi e negli anni a venire.
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“L’Italia deve dire no al Mes. Senza di noi la Ue si scioglie”
di Alessandro Di Battista
L’ex deputato del M5S: “Proveranno a farci indebitare e a metterci all’angolo, ma abbiamo carte da giocare, come il rapporto con la Cina”
Caro direttore,
l’emergenza COVID-19 e l’inconsistente reazione dell’Europa – sopratutto se paragonata agli interventi economici cinesi, britannici e nordamericani – ha trasformato in euroscettici anche i più ferventi fanatici dell’Unione. Tuttavia non vi è nulla di puro nelle loro conversioni. Politici e commentatori senza spina dorsale seguono il vento e prendono posizione solo dopo aver letto l’ennesimo sondaggio commissionato e, spesso, pagato con denaro pubblico. Oggi, per la stragrande maggioranza degli italiani, l’Unione europea è un’organizzazione inutile per non dire dannosa. Per questo una schiera di sepolcri imbiancati da sempre trombettieri del sistema inizia a usare termini che fino a poche settimane fa utilizzavano solo quelli che lorsignori accusavano di populismo.
«Che Europa è se non c’è solidarietà adesso?» si domanda Romano Prodi. Francamente la solita Europa, l’unica che conosciamo, quella che ha strangolato la Grecia per depredarla. Fino al 2057, infatti, 14 dei principali aeroporti greci (tra cui Corfù, Creta, Zante, Rodi, Mykonos e Santorini) saranno gestiti dalla Fraport, un colosso dei trasporti tedesco con sede a Francoforte i cui azionisti principali sono il Land dell’Assia, la holding della città di Francoforte, Lufthansa e la merchant bank americana Lazard. Anche l’aeroporto di Atene è saldamente in mano teutonica, o meglio lo sarà fino al 2046, quando scadrà la concessione ad AviAlliance, società aeroportuale con sede a Düsseldorf. Gli aeroporti greci hanno permesso alla Fraport, tra il 2017 e il 2018 di aumentare i ricavi del 18,5%. «Non vi è nulla di male, è la logica del profitto» potrebbe obiettare qualcuno.
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Le radici socialiste del sovranismo costituzionale
di Jacopo D'Alessio
“In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla” (Tesi XVIIa – A).
[…] Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra momenti diversi della storia. Ma nessuno stato di fatto è, in qualità di causa, già perciò storico. Lo diventa solo successivamente attraverso circostanze che possono essere distanti migliaia di anni da esso. Lo storico che muove da qui cessa di lasciarsi scorrere tra le dita la successione delle circostanze come un rosario. Egli invece afferra la costellazione in cui la sua epoca è venuta a incontrarsi con una ben determinata epoca anteriore. Fonda così un concetto di presente come quell’adesso, nel quale sono disseminate e incluse schegge del tempo messianico” (Tesi – VI).
Walter Benjamin
1. Antefatto. La contraddizione attuale
Il seguente articolo si propone di introdurre uno dei filoni storico-politici più importanti che hanno segnato il sovranismo, nella fattispecie la galassia costituzionale e neo-socialista. Ciò è avvenuto in seguito alla crisi economica, nel 2008, proveniente dai subrimes americani i quali, colpendo l’Europa, hanno dato luogo, anche in Italia, ad una rinnovata e collettiva coscienza di classe. Il primo grande contributo scientifico, che mise in luce l’impotenza delle istituzioni europee nel salvaguardare il lavoro e la società italiana dalle aggressioni del capitale a causa dei suoi choc esogeni, conseguì dalla precoce analisi giuridica dell’allora sconosciuto professore universitario Stefano D’Andrea (2011) (1).
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La giusta patrimoniale e i suoi nemici
di coniarerivolta
Siamo ancora nel pieno della tempesta, con l’emergenza sanitaria che continua a mordere. Ma problemi almeno altrettanto drammatici sono all’orizzonte, poiché si apre una fase di crisi economica in cui serviranno tantissime risorse per finanziare le misure di sostegno al reddito, di supporto all’occupazione e di rilancio dell’economia necessarie ad evitare un disastro sociale. Una domanda sorge spontanea: come paghiamo il conto e chi lo deve pagare? Una delle possibilità ventilate è quella di un’imposta patrimoniale. Ma questa opzione è davvero possibile dentro il quadro istituzionale europeo? Cerchiamo di capirci qualcosa.
Un’imposta patrimoniale è una tassa che colpisce non il reddito delle persone, bensì la loro ricchezza accumulata. L’idea è quella di prendere i soldi lì dove stanno, nelle tasche dei ricchi, anziché sbattere il muso sul muro di gomma che le istituzioni europee hanno posto alla possibilità di ricorrere alla leva del debito. La patrimoniale viene dipinta come la soluzione ideale per risolvere una vera e propria emergenza, evitando di scontrarci con i problemi sistemici che ci impongono dall’alto la scarsità delle risorse: sfuggire al ricatto del debito evitando di contrarre debito, e andando a prendere quelle risorse, in tempi brevissimi, direttamente a casa dei ricchi, o meglio sul loro conto in banca. Un’opzione che avrebbe il doppio effetto positivo di supplire al fabbisogno finanziario necessario e, allo stesso tempo, praticare una redistribuzione delle risorse dall’alto al basso: un potente strumento di gettito fiscale immediato e, contemporaneamente, di giustizia sociale.
Purtroppo, i ricchi sono ricchi anche perché non si lasciano prendere così facilmente e, come ci insegna anche la storia recente del nostro Paese, le imposte patrimoniali implementate fino ad oggi sono ricadute regolarmente sulla testa della classe lavoratrice.
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Dieci punti sul coronavirus: la trinità tecnologica e il nuovo mondo
di Piotr
Storicamente le pandemie hanno forzato gli esseri umani a rompere col passato e reimmaginarsi il mondo. Questa non è differente. E' un portale, uncancellotra un mondo e il prossimo. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinando le carcasse dei nostri pregiudizi e dell'odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e idee morte, dei nostri fiumi morti e dei cieli fumosi dietro di noi. Oppure possiamo camminare con leggerezza, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo. E pronti a lottare per esso.
(Arundhati Roy)
1. Preludio indiano: la prima divinità
Dopo un decennio di frequentazione di Calcutta i miei amici indiani mi dissero che avevo iniziato a capire il Bengala (non l'India, ma il Bengala). Qualche disinvolto, ma prestigioso, giornalista dopo un soggiorno di due settimane si è sentito in diritto di scrivere un libro per “spiegare” l'India. Risibile, ma le cose vanno così. Quando c'è il prestigio c'è il prestigio. Non è vero?
Dopo due decenni abbondanti di frequentazione di quell'enorme e complicato Paese, ho capito un'altra cosa: l'India, e più in generale il subcontinente indiano, è un immenso campo di sperimentazione.
Nel dicembre del 2016 io stesso fui testimone di un violento esperimento sociale: la demonetizzazione, cioè la pressione per far utilizzare obbligatoriamente la “moneta di plastica”, ossia le carte di debito e di credito. Ne parlai in un articolo intitolato “India: laboratorio mondiale per la demonetizzazione forzata” [1]. Le considerazioni conclusive sull'esperimento di cui ero stato testimone erano queste:
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Chi governerà la crisi sociale?
di Alessandro Mustillo
La gestione della pandemia e delle sue conseguenze è un enorme terreno di scontro, che sta amplificando in un solo colpo tutti i fenomeni da tempo in atto, connaturati con le logiche capitalistiche proprie della fase di sviluppo odierna del capitalismo, tanto a livello nazionale che internazionale.
Dietro ogni dichiarazione, ogni provvedimento ci sono scontri tra interessi di classe, scontri interni alle stesse classi dominanti, conflitti di carattere capitalistico tra imprese e società concorrenti, proiezione internazionale di questo scontro internamente al mercato comune europeo e alle sue istituzioni, e sul sistema delle alleanze internazionali.
Solo due giorni fa il politologo D’Alimonte, in un’intervista su Formiche.it rispondeva così ad una domanda sulla necessità di un governo di unità nazionale: «per far ripartire il Paese andranno prese decisioni difficili, dolorose e politicamente costose per l’assunzione delle quali sarebbe opportuna la condivisione dei rischi e delle relative responsabilità» D’Alimonte individua in Draghi la figura giusta a guidare il Paese:
«ha competenze indiscutibili la cui autorevolezza e il cui prestigio sono riconosciuti ovunque, in Europa e nel mondo. E l’Italia in questo momento ha il disperato bisogno di accrescere la propria reputazione internazionale. Anche a Bruxelles ovviamente, dove i suoi rapporti e le sue capacità diplomatiche potrebbero risultare fondamentali nell’ottica di un pieno sostegno dell’Unione al rilancio dell’economia italiana». [1]
Il politologo concludeva la sua intervista ringraziando Conte per il lavoro svolto, ma non ritenendolo la persona necessaria, né la sua maggioranza idonea, a guidare la fase futura.
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Governance e conflitto sociale nel tempo della pandemia
di Cinzia Arruzza e Felice Mometti
Scioperare per la propria vita
Lunedì 29 marzo gli operai della General Electric hanno protestato per le migliaia di licenziamenti annunciati dai manager della compagnia, chiedendo invece una riconversione della produzione e ponendo una semplice domanda: «se la GE ci affida l’incarico di costruire, testare e fare la manutenzione di motori per aerei su cui viaggiano milioni di persone, perché non dovrebbero ora affidarci l’incarico di costruire dei semplici ventilatori?»
Questo è stato uno dei tanti scioperi, più o meno legali, che i lavoratori di diversi settori hanno portato avanti nel mondo. Un’ondata di scioperi a marzo ha costretto il governo italiano a interrompere la produzione di beni non essenziali, anche se quella battaglia non è ancora vinta del tutto. I lavoratori di Amazon e di altre aziende della logistica hanno protestato e scioperato in Francia, Italia, Stati Uniti e in molti altri paesi per via delle scarse condizioni sanitarie dei luoghi di lavoro e la mancanza degli standard di protezione personale, mentre i lavoratori dei settori «non essenziali» hanno interrotto la produzione, usato il congedo per malattia o semplicemente hanno smesso di presentarsi a lavoro, rifiutandosi di rischiare la propria vita in nome dei profitti delle varie compagnie. Chris Smalls, uno degli organizzatori della protesta nel magazzino Amazon di Staten Island, poi licenziato come atto di ritorsione da parte dell’azienda, scrive questo in una lettera aperta a Jeff Bezos: «a causa del Covid-19, ci viene detto che i lavoratori di Amazon sono la ‘nuova Croce Rossa’. Il fatto è che i lavoratori non vogliono essere eroi. Siamo persone normali. Io non ho una laurea in medicina. Non sono stato preparato a operazioni di primo soccorso. Nessuno dovrebbe chiederci di mettere a rischio la nostra vita per venire al lavoro. Eppure, ci viene chiesto. E qualcuno deve prendersi la responsabilità di questa cosa. E quella persona è lei».
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Coronavirus, crisi economica, Europa
Bollettino Culturale intervista Vladimiro Giacché
Vladimiro Giacché è nato a La Spezia nel 1963. Presidente del Centro Europa Ricerche dall’aprile 2013.
Nel settore finanziario dal 1995, sino al 2006 ha lavorato presso il Mediocredito Centrale, dove ha ricoperto nel tempo i ruoli di responsabile dell’ufficio sviluppo risorse umane, assistente del Presidente, responsabile del servizio studi e relazioni esterne e del servizio revisione interna. Dal 2006 al 2007 è stato responsabile dello staff tecnico di Matteo Arpe, Amministratore Delegato di Capitalia. In Sator dal 2008, è stato responsabile affari generali di Sator S.p.A. e della funzione di internal audit di Sator Immobiliare SGR S.p.A.
É attualmente responsabile della funzione di internal audit di Arepo BP S.p.A. e membro del Consiglio di Amministrazione di Banca Profilo S.p.A.
Studi universitari svolti a Pisa e Bochum (Germania), laurea e dottorato di ricerca in filosofia con il massimo dei voti alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Principali pubblicazioni: Finalità e soggettività. Forme del finalismo nella Scienza della logica di Hegel (1990), Storia del Mediocredito Centrale (con P. Peluffo, 1997), La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (2008, 3a ed. 2016), Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato (2012; ed. tedesca 2013), Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (2013; ed. tedesca 2014, ed. francese. 2015) e Costituzione italiana contro trattati europei. Il conflitto inevitabile (2015). Nel corso degli anni ha curato saggi economici e politici di Marx e Lenin, pubblicando spesso articoli scientifici su riviste italiane e straniere.
Il suo ultimo libro è "Hegel: la dialettica".
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Moneta, consumi e risparmi ai tempi del coronavirus
di Maurizio Caserta1
Quello che segue è un piccolo diario della crisi e delle sue fondamentali implicazioni economiche, via via che le questioni si sono presentate all’interesse di ciascuno di noi. Si alternano le preoccupazioni immediate con quelle di prospettiva. Poi sintetizzate nella riflessione finale. Non ci sono valutazioni politiche, ma solo questioni ‘contabili’.
1.
La crisi comincia con una decisione delle famiglie di comprare di meno. Escono meno, viaggiano meno, rinviano gli acquisti non essenziali. In tempi di incertezza sulla sicurezza dei consumi e sulla possibilità di goderne è meglio restare più liquidi e rinviare a tempi migliori. Ciò fa crescere le scorte invendute dei commercianti e dei produttori. Se fosse un comportamento passeggero delle famiglie, i commercianti e i produttori potrebbero considerare questa oscillazione come una oscillazione di breve durata facile da assorbire nel ciclo delle vendite. Ma l’incertezza delle famiglie va sui produttori e sui commercianti, i quali sospenderanno gli ordini già fatti in attesa di capire che succederà. Parte cosi il perverso meccanismo de-moltiplicativo del reddito. Un’iniziale flessione della domanda di beni e servizi si allarga a macchia d’olio investendo l’intera economia. Se poi quella flessione diventa azzeramento perché quello stabilimento (negozio o fabbrica) viene chiuso, l’effetto è ulteriormente amplificato. Come si blocca questo effetto perverso? Immettendo o non ritirando denaro.
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Felice Cimatti: “Cose. Per una filosofia del reale”
di Donato Salzarulo
1.- Questo non è il libro del momento. Non è Spillover. Aspettava di esser letto da più di un anno. Pazientemente in fila, fra tante pile di libri da leggere. Non è del momento ma qualcosa ha a che fare con questo momento. C’è chi vorrebbe dare la parola alle Cose. E il virus cos’è?… Avete notato che ho tirato in ballo “cosa” per cercare di definirlo?…Le cose ci assediano. Sono dappertutto. Usiamo cose (scarpe, pantaloni, occhiali, computer…) e mangiamo cose (pasta, riso, pane…). Noi stessi, in ultima istanza, siamo atomi di cose (acqua, carbonio, azoto, calcio, potassio, fosforo…).
Dare la parola alle cose?!… Come è possibile? Le cose non parlano.
Ci sono scrittori, artisti, poeti che hanno cercato, però, di mettersi dal punto di vista delle cose. In un certo senso di farsi cosa, diventare cosa.
A scuola quasi tutti abbiamo letto quella poesia su Natale di Ungaretti che, avendo tanta stanchezza sulle spalle (era in temporanea licenza dalla guerra), invita i suoi lettori a lasciarlo così «come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata». Certo, questa è soltanto una similitudine. Ma la “cosa” è tirata in ballo perché soddisfa il bisogno di solitudine del poeta e il desiderio paradossale di non avere più desideri, voglie, timori. Una pulsione di morte, direbbe forse uno psicanalista, che copre un desiderio di nuova nascita (questa poesia, cielo santo, s’intitola Natale!). Però a me interessa l’uso della parola “cosa” che sembra perdere la sua tradizionale connotazione negativa (come quando diciamo: «non sono mica una cosa!») e si fa, per così dire, oggetto di desiderio.
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