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La deflazione salariale spiegata agli operai della Whirlpool (che la conoscono già)
Sergio Cesaratto
Spiegare ai compagni della Whirpool cosa significhi deflazione salariale è in un certo senso imbarazzante. Suppongo che loro sappiano benissimo cosa significhi per averla provata sulla propria pelle. Il padrone glielo avrà spiegato mille e una volta: in tanti altri paesi i salari sono molto, ma molto più bassi che in Italia. Allora che fate? O i vostri salari diminuiscono, oppure decentriamo la produzione (oppure chiudiamo e basta). È la globalizzazione bellezza, e se a decidere è una multinazionale è ancor peggio perché il ricatto di spostare la produzione è più forte.
BOX 1 – Deflazione salariale vuol dire competere con gli altri paesi giocando su un basso costo del lavoro. Si noti che questo vuol dire rinunciare a un ampio mercato interno per i prodotti – se i salari sono bassi, tali saranno anche i consumi – con l’obiettivo di conquistare mercati esteri. La strategia di deflazione salariale è detta anche deflazione competitiva: si punta a tenere prezzi e salari nazionali bassi per spiazzare i concorrenti sui mercati esteri. L’obiezione fondamentale alla deflazione competitiva è che se tutti i paesi adottano questa strategia, chi compra? E’ questo il nodo fondamentale del capitalismo, per cui oggi si parla di stagnazione secolare, un pericolo che deriva dal pauroso aumento della diseguaglianza. |
Una prima linea di difesa dei lavoratori è nella qualità del lavoro, che non è la medesima in tutti i paesi ed è certamente più elevata in Italia. In sostanza quello che l’impresa guadagna via minori salari se sposta la produzione, lo perde sul piano della produttività (prodotto per lavoratore). Ma naturalmente questo è vero fino a un certo punto, in quanto le produzioni più standardizzate sono facilmente trasferibili, e con macchinario adeguato la produttività è la medesima. È solo quando il prodotto richiede conoscenze molto puntuali e non facilmente trasferibili che ci si difende bene.
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Vessillifero rosso della false flag nera
Soros traccia il solco
Fulvio Grimaldi
Monaco 1938-2016
La sciarada è in enigmistica lo schema per cui unendo due parole se ne forma una terza: X+Y = XY. Capirai che impresa. Di conseguenza è anche il modo per dire di una chiacchierata che non porta a niente, si arrotola su se stessa. E quello che abbiamo visto a Ginevra, poi a Vienna, poi di nuovo a Ginevra e, ora, a Monaco. Con i gufi che già strillavano alla Monaco della resa, rianimando il patto di Monaco del 1939 con Chamberlain che avrebbe ceduto a Hitler, con le conseguenze immaginabili. A parte il fatto che gli anglosassoni, allora e fino a qualche anno dopo, speravano che la Germania di Hitler costituisse un baluardo contro l’assai più temuta URSS, e le si avventarono addosso solo quando divenne manifesto che quel baluardo si sbriciolava (e anche perché i tedeschi rompevano ai colonialisti inglesi in Africa), la Monaco dell’altro giorno rappresenta, come i negoziati precedenti, una sciarada. La chiacchierata finisce con un OK, vocabolo nuovo, ma con dentro le stesse parole di prima.
I siro-irano-russi che avanzano e vanificano l’intero disegno del Nuovo Medioriente, gli statunitensi (con Israele sulla spalla destra) che non se la sentono di finire nel pantano in fase pre-elettorale, i francesi che non ce la farebbero mai da soli, i turco-sauditi che se la vedono proprio male, anche internamente, se tutto quanto hanno combinato in 5 anni, mettendo in piedi lo sfracello Nusra-Isis e appendici terroristiche, non portasse alla cancellazione perlomeno della Siria. Sono questi ultimi a spingere per l’intervento di terra. Ridicolo quello delle armate raccogliticce di Riyad, svaporerebbero al primo impatto con i ben altrimenti motivati combattenti patriottici.
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Il rumore del picco del petrolio
di AMT
Cari lettori,
questo 2016 è stato segnato da una notizia che ha occupato una parte apprezzabile del sempre conteso spazio mediatico: la volatilità della borsa cinese. Nell'Impero di Mezzo si sono vissuti giorni di grande ribasso, fino al punto che si è dovuta sospendere la sessione per un paio di giorni, essendo il ribasso oltre il 7%. La borsa cinese aveva avuto un'evoluzione abbastanza mediocre nel 2015 e a quello che sembra tutti i problemi accumulati sono sempre più evidenti nel 2016. Le borse occidentali hanno accusato l'impatto con diminuzioni accumulate che ammontano alla metà di quelle cinesi, ma dimostrano che l'evoluzione del gigante asiatico ha molta influenza in ciò che avviene nel mondo.
Ma che succede alla Cina? Semplicemente che la Cina, la fabbrica del mondo, sta accusando con forza la diminuzione della domanda mondiale di ogni tipo di bene. Cosa logica, se si tiene conto del fatto che la riduzione della leva finanziaria del debito iniziata nel 2008 è andata a minare progressivamente la rendita disponibile delle classi medie (tramite la diminuzione delle prestazioni ed il degrado della qualità del lavoro salariato). E quella classe media, sempre più impoverita, compra meno cose e consuma di meno.
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La fabbrica della disperazione
Franco Berardi e il disagio dell’«ipermodernità»
Damiano Palano
Il tempo della disperazione
Al termine del Disagio della civiltà, dopo aver mostrato come il processo della civilizzazione fosse il risultato del controllo progressivamente esercitato sul corredo pulsionale degli esseri umani, Freud veniva a contrapporre l’una all’altra le due forze elementari che riteneva di avere scoperto, Eros e Morte. E proprio nelle righe finale, aggiunte nel 1931, segnalava come i pericoli maggiori per il genere umano giungessero dalla pulsione di morte e dalle tendenze aggressive che ne discendevano:
«Il problema fondamentale del destino della specie umana, a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione»[1].
È facile riconoscere in quelle parole il riflesso cupo della stagione di barbarie che si avvicinava.
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Iniziata la fase B?
di Raffaele Sciortino
Sembra ufficiale: secondo Bloomberg la prosecuzione dei cali sulle borse mondiali - i più consistenti dalla crisi dei debiti sovrani del 2011 - segna inequivocabilmente il passaggio da toro a orso, da un mercato ascendente a uno in discesa di cui non si riesce a prevedere l’atterraggio. Controprove principali: corsa all’oro come bene rifugio (faccia nascosta della moneta creata con un click del computer); acquisti a valanga di titoli di stato Usa, tedeschi, inglesi come “porti sicuri” per il risparmio anche a costo di rendimenti negativi e del gonfiamento di una nuova bolla; assicurazioni sui rischi di default (cds) in netto rialzo.
C’è di più. Fin qui il crollo dei titoli, soprattutto bancari ed energetici, veniva messo in riferimento con il ribasso del prezzo del petrolio, lo scoppio delle bolle speculative e il rallentamento dell’economia cinesi, le difficoltà delle economie emergenti colpite da ingenti fughe di capitali e svalutazioni valutarie, nonché con il pur modesto aumento dei tassi statunitensi da parte della Federal Reserve (la banca centrale). Tutto vero. Ora però viene fuori che il problema di fondo sono i profitti in calo di buona parte della maggiori corporation mondiali - ma con epicentro proprio negli States! - con prospettive ancora più fosche dato il trend negativo di investimenti e ordinativi. Con l’aggravante di livelli di indebitamento -supportati in questi anni dalle politiche monetarie “facili” delle banche centrali- che ora diventano difficili da reggere sia per le imprese sia per le banche che devono cancellare dai bilanci sempre più crediti inesigibili. Il che porta a ulteriori vendite di titoli in un circolo vizioso che si autoalimenta.
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Perchè la sinistra deve tornare ad essere radicale e di classe
Intervista a Marco Veronese Passarella
Abbiamo rivolto qualche domanda a Marco Veronese Passarella, docente di economia presso l’Università di Leeds e co-autore con Emiliano Brancaccio del libro: “L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa”. Come era già accaduto alla Scuola di formazione estiva del Collettivo Stella Rossa, dalla conversazione che abbiamo avuto sono emersi diversi temi, non soltanto tecnici, ma anche politici, sociali, culturali.
* * *
“CSR: In Italia, si guarda molto alle esperienze della sinistra radicale di altri paesi europei, in particolare di Spagna e Grecia. Gianis Varoufakis, però, ha recentemente rilasciato un’intervista in cui critica le recenti scelte del governo di Syriza e parla delle politiche di austerità che potrebbero derivare da un governo di coalizione fra Socialisti del PSOE e Podemos.
MP: Vi sono delle similitudini fra il caso greco e quello spagnolo. Personalmente, se proprio devo scegliere, mi sento più vicino a Syriza che a Podemos. Podemos non ha un chiaro riferimento di classe nel suo programma. Sostanzialmente, è un movimento sganciato dalla topologia politica tradizionale. Il che di per sé non è una cosa negativa. Solo che non mi è chiaro quale sia la loro idea di società e come pensino di darle corpo. D’altra parte, Varoufakis ha ragione quando sostiene che non vi sono margini di agibilità politica dentro l’Unione Europea. Il rischio, infatti, è che tutti i governi, anche i più progressisti e ben intenzionati, facciano come in Grecia.
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Argentina: ritorno al passato ?
di Marco Consolo
Il neo-presidente argentino Mauricio Macri non ha perso tempo. Dopo la sua risicata vittoria elettorale (51,4%), due mesi dopo il suo insediamento si può trarre un primo bilancio del governo del “Berlusconi gaucho”, figlio di un buon amico degli Agnelli e di Licio Gelli.
Approfittando della “luna di miele” dei primi tempi, ma soprattutto della chiusura del parlamento in vacanza, Macri avanza come un bulldozer. Non c’è settore che non sia sotto attacco del revanscismo neo-liberista della destra al governo, che ha prodotto un drastico rovesciamento del quadro politico con l’appoggio del Partito Radicale (ex social-democratici) di Alfonsin Jr. L’obiettivo dichiarato è quello di smantellare strutturalmente il progetto-Paese dei governi Kirchner e sbarazzarsi delle conquiste politiche, economiche e sociali.
Macri agisce come un potere de facto, ai margini della legalità democratica, saltando il Parlamento dove è ancora in minoranza. Un dettaglio in via di soluzione, visto che, nei giorni scorsi, è riuscito a spaccare l’unità del peronismo e a far passare una ventina di parlamentari dalla sua parte.
In nome del “repubblicanesimo”, a colpi di “Decreti di Necessità ed Urgenza” (DNU), ha fatto piazza pulita di molte delle conquiste degli ultimi anni, iniziando dal nuovo Codice di Procedura Penale e dalla “Legge sui mezzi di comunicazione”, che metteva in discussione poteri forti, consolidati all’ombra della passata dittatura, a cominciare dal Gruppo Clarín, una potenza mediatica di tutto rispetto.
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La classe sociale propulsiva del socialismo del XXI Secolo
Una possibile ipotesi
Riccardo Achilli
Si registra l’emergere impetuoso, ma privo di rappresentanza politico/sindacale adeguata, di un proletariato del general intellect, le cui modalità di riproduzione e di sfruttamento non passano più tramite la “spremitura” di una energia lavorativa, con modalità di organizzazione del lavoro standardizzate e ripetitive, come succedeva all’operaio fordista, ma anche all’impiegato “di concetto” novecentesco (basta guardare un qualsiasi film di Fantozzi per vedere come, nel secolo scorso, anche il ceto impiegatizio fosse sottoposto ad una forma peculiare di taylorismo). Le modalità di sfruttamento di questo nuovo proletariato del general intellect passano per il tramite dello sfruttamento della propria intelligenza, della propria preparazione culturale e della propria capacità di elaborare in modo creativo e comunicare in modo efficace informazioni e conoscenze.
Lo sfruttamento e il disciplinamento di questo nuovo proletariato devono quindi passare tramite organizzazioni del lavoro diametralmente opposte rispetto a quelle neofordiste novecentesche (caratterizzate dalla stabilità del lavoratore sul posto di lavoro), che ne flessibilizzino gli orari ed i tempi di lavoro e di consegna del prodotto richiesto dal datore di lavoro, al fine di controllare l’appropriabilità dei risultati del suo lavoro, posto che le tradizionali tecniche dei “tempi e metodi” del fordismo non sono più applicabili adu n lavoro discontinuo, non standardizzato e creativo.
Dette organizzazioni del lavoro, inoltre, devono trovare l’equilibrio ideale fra autonomizzazione del singolo lavoratore intellettuale ed esigenza crescente di interazione di gruppo, unica forma attraverso la quale la creatività del singolo può trovare una espressione compiuta in un “prodotto intellettuale” perfettamente definito ed idoneo alla valorizzazione di mercato.
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Titoli pubblici come Risk Weighted Asset
Come intendono porvi riparo?
di Quarantotto
1. Periodicamente, viene offerta come notizia qualche "indiscrezione" sulla volontà tedesca di uscire dall'euro.
Questa diffusione di "voci", a dire il vero, assume più spesso, nei toni di chi la diffonde, il sapore di un'implicita minaccia mediatica a noi italiani: la mamma severa ma esemplare, la Germania, si sarebbe stancata di noi discoli e ci manderebbe in collegio, prendendosi una lunga vacanza da questa integrazione €uropea, che tanto gli costa in termini di sacrifici fatti per noi inutili PIGS indisciplinati.
Risultato: senza l'euro come faremmo ad andare avanti, chi ci proteggerebbe dalla Cina? Cosa potrebbe evitare il default del debito sovrano italiano e la conseguente spaventosa crisi di finanziamento dello Stato e di travolgimento di tutto il welfare che ne conseguirebbe?
Insomma, viene agitato implicitamente lo "spauracchio Grecia" (in caso di uscita dall'euro!!!), dimenticando allegramente che quello che si è verificato in Grecia, in termini di tagli alle pensioni e sostanziale disattivazione del sistema sanitario pubblico nonchè di svendita di ogni possibile asset pubblico (e deprezzamento totale degli asset privati), sta avvenendo dentro la moneta unica e, anzi, a causa del memorandum di misure fiscali imposte dall'ESFS (ESM), FMI, e Eurogruppo, per poter rimanere dentri l'UEM.
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La lotta per il lavoro del XXI secolo
L’esperienza della lista disoccupati e precari del VII Municipio
di Militant
Su di un metodo di lotta per il lavoro
Ormai è da più di un anno che stiamo supportando le attività della Lista dei Disoccupati e Precari del VII Municipio e del Coordinamento Disoccupati e Precari Organizzati nato tra le diverse liste esistenti sul territorio romano. Un breve – ma intenso – periodo di lotta, condiviso finora con compagni dei Carc, della Casa del Popolo Giuseppe Tanas, dell’Unione Sindacale di Base e di altre realtà e singoli provenienti da diverse esperienze politiche o di lotta. E, naturalmente, con precari e disoccupati di Roma e provincia. L’idea alla base di un movimento di disoccupati e precari nasce principalmente dalla constatazione che in una regione dove il tasso di disoccupazione supera il 12% e quello dei giovani è quasi il triplo, il tentativo di ricomposizione di una classe di lavoratori (occupati e disoccupati) sempre più frammentata, oltre che di organizzazione di un movimento politico e sociale capace di agire da controparte e alternativa all’establishment centrale e locale, non possa che passare – anche – dall’organizzazione di un movimento di lotta per il lavoro. Tanto più in territori periferici come quello del VII Municipio (Cinecittà) dove il livello di disoccupazione e di marginalità sociale raggiunge livelli ben più alti di quelli registrati su scala provinciale e regionale.
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Contro la tirannia del progresso
DeLillo e Sebald, alcuni esercizi di resistenza
Arturo Mazzarella
Stando ai numerosi enunciati riguardanti le sorti della letteratura che puntualmente si susseguono negli ultimi anni, la maggior parte degli scrittori e dei critici – anche di orientamento diverso – è concorde nell’affidare alla scrittura letteraria una funzione etica, uno slancio moralmente costruttivo, in grado di custodire e rilanciare l’intero patrimonio di valori appartenenti all’ambito individuale e collettivo del Bene. Che si tratti di un obiettivo assolutamente nobile, in tutti i sensi, è fuori discussione. Bisogna vedere, però, se dietro questa nobiltà etica non si nascondano delle insidie profonde, tali da paralizzarne gli esiti.
La prima proviene da una concezione teleologica della temporalità, granitico presupposto – come ha dimostrato, nel corso del Novecento, la più agguerrita tradizione filosofica – di un radicale, inaggirabile nichilismo. L’adempimento di qualsiasi progetto costruttivo, inscritto nel solco del Bene, è inestricabilmente congiunto, infatti, a una consolidata idolatria del divenire storico.
Progettare, costruire, rinnovare – oppure, al contrario, restaurare un valore consegnato all’oblio – significa trasformare ciascun segmento temporale nello strumento finalizzato al raggiungimento di uno scopo. Nietzsche, quasi in ogni pagina della sua opera, non si è mai stancato di ricordarlo. Tale tensione rivolta verso il divenire implica necessariamente lo svuotamento dell’attimo: irripetibile nella sua particolarità, nella sua «abissale» singolarità, direbbe Nietzsche in Così parlò Zarathustra.
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Il vecchio muore e il nuovo non può nascere
di Renato Caputo
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”*, osservava Gramsci in una nota scritta in carcere nel 1930; questa considerazione è purtroppo ancora oggi particolarmente attuale. Se non saremo in grado di far nascere una più razionale organizzazione della società, sulle rovine dell’attuale, andremo incontro a un’epoca ancora più oscurantista e imbarbarita della presente
Sfruttando a proprio vantaggio una crisi provocata da assetti proprietari sempre più monopolizzati da pochissimi privati, che impediscono lo sviluppo economico, una élite progressivamente ristretta si appropria di una quota sempre più spropositata del prodotto di un lavoro in misura crescente diviso e strutturato a livello internazionale. Così oggi l’1% della popolazione, senza dover lavorare, possiede maggiori ricchezze del 99%, spesso costretto a faticare per tutta la vita per consentire a una ristrettissima minoranza di vivere nel lusso più sfrenato, tanto che 63 nababbi si appropriano di una quota maggiore della ricchezza totale di 3 miliardi e seicento milioni di persone, il 50% più povero dell’umanità.
In tale situazione ormai solo un mentecatto può dar credito all’ideologia positivista, espressione sovrastrutturale del dominio della borghesia, secondo la quale il progresso tecnologico e scientifico risolverà progressivamente i problemi della società visto che gli interessi degli industriali non possono che coincidere con gli interessi dei salariati. Allo stesso modo non può che apparire assurda la fede liberale nelle capacità della società civile, non ostacolata dal potere politico, di autoregolarsi secondo le sacre leggi di un mercato, per cui domanda e offerta tenderebbero spontaneamente a equilibrarsi.
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Sicurezza: il terrorismo si può combattere, senza indebolire il web
E la crittografia non è il male
di Fabio Chiusi
"Niente panico", titola un nuovo rapporto del Berkman Center for Internet & Society dell'Università di Harvard: proteggere le nostre comunicazioni online tramite un ricorso sempre più diffuso e sofisticato alla crittografia non impedirà alle forze dell'ordine e all'intelligence di fare il loro lavoro. Una preoccupazione che le agenzie governative ripetono da decenni, e che tuttavia secondo gli autori – un gruppo di esperti di sicurezza informatica provenienti dal mondo accademico, dalla società civile e perfino dalla stessa comunità dell'intelligence – non trova fondamento per ragioni tecniche, economiche, e per la traiettoria oggi intuibile dello sviluppo tecnologico nel lungo periodo.
Sbagliano dunque le spie a ripetere la metafora del "going dark", lo spettro sempre incombente di "restare al buio" circa le comunicazioni di criminali o sospetti terroristi a causa dei progressi delle tecniche di cifratura dei loro messaggi. Un mantra che si è letto e riletto nuovamente anche e soprattutto dopo lo scandalo Datagate: ora che sappiamo di essere tutti potenzialmente sorvegliati, e che giganti come Google e Apple implementano forme di cifratura "forte", stiamo forse privando forze dell’ordine e intelligence del necessario accesso a comunicazioni indispensabili per sventare attacchi terroristici? E davvero la soluzione, come chiedono, è che i fornitori dei servizi di comunicazione – a partire dai colossi web, ma non solo – consentano comunque un accesso a quelle comunicazioni (tramite le cosiddette backdoor)?
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Smart Working
Sfruttamento illimitato della costrizione al lavoro
di Carla Filosa
In realtà, il dominio dei capitalisti sugli operai non è se non dominio delle condizioni di lavoro autonomizzatesi contro e di fronte al lavoratore… cioè i mezzi di produzione… e i mezzi d sussistenza,… benché tale rapporto si realizzi soltanto nel processo di produzione reale, che è essenzialmente processo di produzione di plusvalore; processo di autovalorizzazione del capitale anticipato. Marx, Il Capitale, libro I, cap. VI inedito.
Mediaticamente coinvolti in questi ultimi tempi solo dai cosiddetti diritti civili, forse non ricordiamo nemmeno più quella proposta effettuata nel dicembre scorso dal ministro Poletti, sull’abolizione “tecnologica” della misurazione temporale dellagiornata lavorativa. Dopo l’impegno, in settembre, ad abbassare le pensioni a chi ne avesse anticipato la fruizione, l’ineffabile ministro del Lavoro si è messo all’opera per rosicchiare, non solo il salario differito sui binari della riforma Fornero, ma anche quello diretto, angustamente percepito solo come busta paga, ma in realtà di natura sociale. I diritti fondamentali, quelli conquistati entro il rapporto lavorativo vessatorio e fraudolento, sono così scivolati nell’inavvertita prassi governativa abile nell’elargire una progressiva dimenticanza da spargere su tutto il piano del reale. Sublimati su battaglie giuridiche, i conflitti sono stati spostati su piani ideologico-religiosi con altri soggetti di diritto, dal piano economico a quello sociale, più permeabile a compromessi. Il capitale rimane pertanto nel cono d’ombra, libero di far erodere anche il salario indiretto con il taglio delle spese sociali e i favori fiscali alle imprese.
Quando poi le “innovazioni” politiche non si vogliono far capire bene agli interessati, ormai si usa la lingua dominante sul mercato mondiale.
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L'alternanza scuola lavoro
Ovvero perchè la riforma della scuola riguarda tutti noi
di Super User
1. Il fenomeno in cifre
Gli studenti che hanno seguito percorsi di alternanza scuola lavoro nel solo anno scolastico 2013/2014 sono stati 210.506 (il 10,7% degli iscritti alle scuole superiori di II grado) per una media di quasi 100 ore a studente. Secondo i dati diffusi dall’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa) l’alternanza scuola lavoro, introdotta nel 2005, ha riguardato negli ultimi 10 anni un numero crescente di alunni (45.897 nell’as 2006/2007).
La legge 107_2015, ossia la “Buona scuola” di Renzi, determinerà un incremento notevole tanto del numero di studenti quanto delle ore minime pro-capite impegnate nell’alternanza scuola lavoro. La riforma infatti prevede per la prima volta un monte ore minimo obbligatorio a cui tutti gli studenti saranno costretti a conformarsi: almeno 200 ore nei licei e almeno 400 nei tecnici e nei professionali1. Parliamo, in soldoni, di circa 500.000 studenti interessati già a partire da quest’anno, e di circa un 1 mln e mezzo quando la riforma sarà entrata a regime. Un’enormità.
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Chi sono i nostri
di Ascanio Bernardeschi
In un mondo del lavoro frammentato e sconfitto come ripartire? Chi e dove sono i nostri referenti di classe? Chi e dove sono i nostri nemici e come riunificare le mille lotte che attualmente non comunicano fra loro? La borghesia sa che le condizioni strutturali inevitabilmente vanno omogeneizzando il mondo del lavoro e cerca perciò di introdurre elementi di divisione sovrastrutturali. Un'inchiesta del collettivo Clash City Workers ci aiuta a capire
La crisi generale del capitalismo aggrava pesantemente le condizioni del mondo del lavoro. Qua e là assistiamo a momenti di ribellione e di lotta che nessuna forza della sinistra è stata in grado di unificare. Nello scoramento generale stanno facendo breccia le semplificazioni populiste e la peggiore destra xenofoba, mentre la “sinistra” si aggrappa alle mode culturali del momento, dimostrandosi incapace di un'analisi della fase all'altezza delle necessità.
Per cambiare il mondo deve essere posto al centro il nodo della contraddizione capitale/lavoro, ma cos'è oggi il lavoro? Non tutti i proletari sono uguali davanti al capitale. In una realtà volutamente frammentata bisogna capire “dove sono i nostri”.
Clash City Workers, un collettivo “di lavoratrici e lavoratori, disoccupate e disoccupati, e di precari”, si è cimentata in questa impresa e ci offre un prezioso contributo, una sorta di inchiesta sul mondo del lavoro e alcune deduzioni politiche conseguenti.
La lettura di questa indagine è raccomandata a tutti coloro che sono impegnati nelle lotte del mondo del lavoro. In questa sede cerchiamo di riferirne alcuni punti principali.
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Euro (breve sintesi)
Marino Badiale e Fabrizio Tringali
Proponiamo ai nostri lettori un breve testo riassuntivo che comparirà in una futura pubblicazione a cura dell'ARS
Quando, nel 2011, abbiamo cominciato ad argomentare la necessità per il nostro paese di abbandonare l'euro1 , non era facile imbattersi, nel dibattito pubblico, in critiche esplicite alla moneta unica. Per fortuna abbiamo quasi subito incontrato persone che andavano nella stessa nostra direzione, a partire da Alberto Bagnai2 e dagli amici che avrebbero poi dato vita all'ARS. Nel corso del tempo, i contenuti che diffondevamo hanno mostrato in pieno la loro correttezza, tanto che alcuni di essi sono entrati a far parte del mainstream economico.
Recentemente, un gruppo eterogeneo di economisti molto noti ha pubblicato una comune analisi, una “consensus narrative”, della crisi che ha raccolto ampie adesioni3 . Ciò che ha messo d'accordo esperti appartenenti a orientamenti diversi, non diverge da quanto abbiamo cercato di diffondere già diversi anni fa. Il punto fondamentale è che la crisi dell'euro non è una crisi di debito pubblico, bensì una crisi di debito estero (pubblico e privato), generata dai deficit delle partite correnti nei paesi della periferia dell'eurozona. Tali saldi negativi si sono perpetuati nel tempo a causa delle profonde differenze fra le diverse economie nazionali.
È accaduto che con l'unificazione della moneta i paesi più deboli si sono trovati in mano una valuta troppo forte, mentre quelli del centro hanno goduto di un cambio più favorevole alle loro politiche economiche basate sulle esportazioni.
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Gli USA, il pivot anticinese e i pericoli di guerra
di Domenico Losurdo
La Cina rappresenta davvero una minaccia a livello geopolitico per gli Stati Uniti e i Paesi ad essa confinanti nella regione del Pacifico? Vi presentiamo un estratto del Prof. Domenico Losurdo che analizza alcune questioni relative alla cosiddetta “minaccia cinese”
Il pivot asiatico
Il “pivot” viene spesso presentato in Occidente come una risposta alla “minaccia“ proveniente da Pechino. Non c’è dubbio che con l’ascesa o, più esattamente, col ritorno della Cina, dopo la fine del “secolo delle umiliazioni“, e con l’avanzare del processo di maturazione della Repubblica popolare, il quadro internazionale sta cambiando in modo radicale. Nel marzo 1949 il generale statunitense MacArthur poteva constatare compiaciuto: «Ora il Pacifico è diventato un lago Anglo-Sassone» (in Kissinger 2011, p. 125). Dati i rapporti di forza esistenti, gli USA potevano sperare di bloccare con il loro intervento l’ascesa al potere del partito comunista e di Mao Zedong; la speranza andava rapidamente delusa e a Washington, tra polemiche furibonde, si scatenava la caccia al responsabile della “perdita” del grande Paese asiatico.
Il Pacifico non era più in senso stretto “un lago Anglo-Sassone” ma, come sappiamo, ancora alla fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti violavano indisturbati lo spazio aereo e marittimo cinese. Erano gli anni in cui la superpotenza ormai solitaria cercava di consolidare e rendere permanente e incolmabile la sua già netta superiorità militare mediante la Revolution in Military Affairs.
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Dallo ZIRP al NIRP: l'ultimo lancio di dadi
La “saggezza” della banca centrale
di Michael Roberts
Il recente annuncio della Banca del Giappone (BoJ), che introdurrà un tasso di interesse negativo (NIRP) per le banche commerciali in possesso di riserve di contanti, è l'ammissione finale che la politica monetaria supportata dagli economisti ufficiali ed implementata a livello globale dalle banche centrali ha fallito.
Le principali armi di politica economica, usate a partire dal crac finanziario globale e della conseguente Grande Recessione al fine di evitare un'altra Grande Depressione come quella del 1930, erano state prima il tasso di interesse a zero (ZIRP), poi le 'non-convenzionali' misure monetarie del 'quantitative easing (QE)' (che incrementava la quantità di denaro con cui vengono rifornite le banche), che un anno fa o giù di lì avevano fissato al 2% l'obiettivo dell'inflazione. Si supponeva che lo ZIRP e una fornitura di denaro virtualmente illimitata (QE) avrebbero rilanciato l'economia globale, in modo che eventualmente il capitalismo e le forze del mercato avrebbero prevalso e avrebbero portato ad una 'normale' e duratura crescita economica e ad una più piena occupazione.
Ma QE e ZIRP hanno fallito nel raggiungimento del loro obiettivi di inflazione (e crescita).
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2016: un’osservazione dall’alto della tempesta
by Federico Dezzani
Il 2016 si preannuncia un anno movimentato: la tensione internazionale, in progressivo aumento sin dal 2011, difficilmente decrescerà ma, al contrario, toccherà lo zenit in coincidenza con l’elezione del nuovo inquilino della Casa Bianca che, imprimendo una svolta militare alla situazione mediorientale, incendierà probabilmente le polveri. L’elaborazione di qualche carta è utile a comprendere la strategia di fondo delle oligarchie euro-atlantiche che, abbandonati i sogni di egemonia globale di inizio millennio, hanno ripiegato sino all’attuale ipotesi di un conflitto militare per impedire che il vuoto lasciato dietro di sé sia colmato da Russia e Cina.
* * *
Il piano A
Per comprendere la realtà, afferrarne le dinamiche sottostanti ed ipotizzarne gli sviluppi, bisogna sempre partire dagli obbiettivi di fondo di chi occupa la stanza dei bottoni: solo così si può evitare di interpretare i fatti secondo i propri parametri e scadere in analisi autoreferenziali. La corretta comprensione degli attuali avvenimenti necessita quindi dell’interrogativo: qual è l‘obbiettivo strategico delle oligarchie euro-atlantiche? La risposta, può sembrare sproposita, ma non lo è, è il dominio globale, una meta quasi raggiunta nel periodo che intercorre tra il collasso dell’URSS (1991) e la bancarotta di Lehman Brothers (2008).
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Un Referendum decisivo
di Leonardo Mazzei
Renzi punta al regime ma l’attacco alla democrazia viene da lontano, dal neoliberismo e dall’Europa
Quello che si svolgerà in autunno sarà il referendum più importante della storia repubblicana. Il suo esito sarà decisivo per due motivi: si deciderà lì se lo stupro in atto da un quarto di secolo della Costituzione del 1948 avrà condotto infine alla sua definitiva sepoltura; si deciderà lì il destino del progetto di regime incarnato da Matteo Renzi. Le due cose sono strettamente legate tra di loro, e chi le separa sbaglia.
Detto questo è detto quasi tutto. Le ragioni del nostro no sono evidenti. Si tratta di impedire una svolta autoritaria, riaprendo concretamente la battaglia per la democrazia. Si tratta di mandare a casa un famelico gruppo di potere, portatore delle più feroci politiche ultraliberiste (jobs act, privatizzazioni, mercatismo allo stato puro, eccetera). Ma se da tempo insistiamo sulla centralità di questa battaglia non è solo per la sua oggettiva rilevanza, è anche perché siamo convinti – contrariamente a quel che vorrebbe far intendere il tam tam mediatico – che vincerla sia assolutamente possibile. È questo un punto che va affermato con forza, battendosi contro la logica da eterni sconfitti di certa sinistra sinistrata.
Il referendum può essere vinto per due motivi. Primo, perché sarà innanzitutto un pronunciamento su Renzi, il quale è sì segretario del partito di maggioranza relativa, ma è ben lontano da quella assoluta. Secondo, perché la sensibilità democratica è ancora forte in vasti strati popolari.
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Il Cartello, di Don Winslow
Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
di Militant
Il potere del cane è il capolavoro degli anni Duemila, il libro finora insuperato. Ci sbagliavamo. Il Cartello è almeno al suo livello. Non è facile essere riconosciuti in vita come l’autore di uno dei romanzi più importanti degli ultimi decenni. Ma essere l’autore dei due romanzi più importanti degli ultimi decenni, beh, questo apre a Don Winslow le porte dell’immortalità letteraria. James Ellroy ha definito il libro “il Guerra e pace della lotta alla droga”. È maledettamente così. E a noi non rimane che prenderne atto.
Il libro racconta la lunga, straziante, soffocante, sporca e ambigua lotta al narcotraffico tra Stati uniti e Messico. Una lotta dove non ci possono essere vincitori o sconfitti, perché ambedue le parti – chi produce e vende droga e chi dice di combatterla – sono un unico cartello. La forza degli uni aumenta la potenza degli altri. Gli interessi collimano, le persone si scambiano di ruolo. Il cartello vince sempre, sia nella sua veste ufficiale del narcotraffico che in quella ufficiosa della “lotta al narcotraffico”. Come già raccontato dal Potere del cane, la droga è paradossalmente il prodotto della “lotta alla droga”. Una lotta alla droga che sradica popolazioni che ingrossano le file dei cartelli narcotrafficanti in una spirale di interessi convergenti che rende impossibile immaginare spazi di sviluppo sociale ed economico. Gli unici a perdere sono i poveri, massacrati da tutte e due le parti, inutili orpelli di una storia che non li riguarda se non come carne da macello.
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M5S: l’insostenibile pesantezza della coerenza (in risposta a Giannuli)
di Davide Amerio
Il giornalista Aldo Giannuli scrive un post sul M5S. le sue osservazioni meritano un'attenta considerazione. La mia modesta risposta
Aldo Giannuli, persona preparata e intelligente che appartiene alla categoria ristrettissima dei “veri” giornalisti, ha scritto una riflessione sul Movimento Cinque Stelle. Essendo le sue osservazioni non pregiudiziali meritano una risposta.
Concordo su una considerazione: sul piano politico il movimento è “adolescente”, con tutte le potenzialità, le ansie “ormonali” e le contraddizioni che questo comporta. Ma è un “ragazzo” speciale: è cresciuto senza genitori (le ideologie) e si trova nella condizione di dover affrontare una crescita forzata – e rapida – dettata dagli eventi che incombono. Contrariamente alla facilonerie intellettuali che vogliono rinchiuderlo nell’ambito del “populismo”, governato da un duo semi dittatoriale – dentro il quale beoti ingenui sono soggiogati dai guru, – la storia del movimento è ricca di spunti umani, politici e sociali come non si vedeva da almeno trent’anni in questo paese.
La riprova ne è la varietà delle storie politiche personali (desta, sinistra, centro, a-partitica) che sono in esso confluite. In comune condividono alcuni principi, o valori – potremmo azzardarci ad affermare, – orfani (anche questi) di una casa politica che li sostenga con coerenza.
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La Sostanza del Capitale 2
Seconda parte: Il lavoro astratto come metafisica sociale reale ed il limite interno assoluto della valorizzazione
di Robert Kurz
Il fallimento delle teorie della crisi del marxismo dell'ontologia del lavoro e le barriere ideologiche contro la continuazione dello sviluppo della critica radicale del capitalismo. Qui la prima parte
Soggetto ed oggetto nella teoria della crisi. La soluzione apparente del problema per mezzo di mere relazioni di volontà e di forza
Se dovessimo tornare a rivedere tutto il dibattito storico, sarebbero due realtà a richiamare la nostra attenzione. Da una parte, la fobia rispetto all'idea di limite interno della valorizzazione del valore in realtà non si trova associata a situazioni sociali dell'economia e della politica, di crisi e di prosperità. La cosiddetta teoria del collasso è stata fin dall'inizio uno scandalo ed un estremo imbarazzo, sia durante i tempi indolenti di notabili marxisti dell'impero guglielmino che all'epoca delle catastrofi delle guerre mondiali e della crisi economica mondiale, e lo è stata maggiormente nell'epoca di prosperità del dopoguerra, ed infine lo è anche oggi, di nuovo, nella crisi mondiale della terza rivoluzione industriale. Lo scandalo è rimasto, indipendentemente dalle specifiche esperienze storiche, e così l'idea di un limite assoluto immanente non è mai diventata egemone nel discorso marxista mainstream, nemmeno nel bel mezzo delle maggiori catastrofi della storia mondiale.
Dall'altra parte, però, quel che è palese è la mancanza di profondità nella riflessione teorica intorno a tutto questo dibattito, la rapidità con la quale si passa sopra il concetto di dinamica capitalista e quanto poco si tenga in considerazione tutto l'armamentario concettuale che era già rappresentato da Marx.
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Giulio Regeni, dove volano gli avvoltoi
Fulvio Grimaldi
Due cose sono infinite. L’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro dell’universo”. (Albert Einstein).
“Le azioni sono ritenute buone o cattive, non per il loro merito, ma secondo chi le fa.Non c’è quasi genere di nequizia– tortura, carcere senza processo, assassinio, bombardamento di civili – che non cambi il suo colore morale se commessa dalla ‘nostra’ parte. Lo sciovinista non solo non disapprova atrocità commesse dalla sua parte. Ha anche una notevole capacità di non accorgersene”. (George Orwell)
Un eroe? Calma e gesso
Sulla persona di Giulio Regeni, trovato morto con segni di tortura al Cairo, probabilmente fatto trovare morto con segni di tortura, non ho elementi e quindi diritto di pronunciarmi. Prendo atto della sua formazione accademica anglosassone, della sua vicinanza giornalistica al più discutibile e filoccidentale informatore sul Medioriente (Giuseppe Acconcia, “il manifesto”), del suo impegno per i "sindacati indipendenti". Leggo anche della notizia riferita dal “Giornale” secondo cui Regeni avrebbe lavorato per il servizio segreto AISE. Prendo quest’ultima notizia con le pinze, come con pinze lunghe cento metri prendo l’uragano di interpretazioni uniformi e apodittiche, nella solita chiave razzista eurocentrica, scatenate, sul solito pubblico basito e disarmato, in perfetta unanimità dai due giornali opposti di opposizione (“manifesto” e “Fatto Quotidiano”) e dalla gran maggioranza dei mainstream media di stampa e radiotelevisivi. In ogni caso, compiango la sua morte e il dolore dei suoi.
Non ho certezze, ma come per tutti gli avvenimenti che rivestono una portata strategica ed esercitano una fortissima pressione sull’opinione pubblica, potenziata dal concorso dei media citati, mi permetto di rilevare indizi e raggiungere un’ipotesi che, alla luce di quanto c’è di concreto e inoppugnabile, ha la stessa dignità e validità di quelle conclamate con sospetta sicumera da tutti gli altri che, a minuti dalla scoperta del cadavere, sanno già perfettamente su chi puntare il dito.
Regeni scriveva per il “manifesto” sotto pseudonimo. Per timore di rappresaglie, come dice la direttrice del suo giornale, dotata di certezze incrollabili fin dalle prime ore della notizia del ritrovamento, o perché sotto copertura?
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