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Uff... Populismo e V-Day
di Uriel
E' incredibile il numero di analfabeti funzionali che girano per Internet, ovvero il numero di persone che commentano un articolo senza leggerlo, o che lo leggono ma ignorano quel che c'e' scritto, ritenendo nella propria mente solo due o tre parole. E poi scrivono per email, invece di commentare. Tra un po' tolgo il link "email" btw.
Comunque, adesso vado pesante.
Vedere Grillo e pensare "populista" e' come vedere la luna e pensare "notte". E' un'ovvieta', non e' sintomo o simbolo di alcuna intelligenza analitica, e specialmente NON SIGNIFICA UN CAZZO DI NIENTE.
Il populismo e' semplicemente il successo elettorale di chi non ci piace: non esiste altra definizione del termine che non cada in contraddizione logica.
Ma c'e' di peggio: se vedi Grillo e pensi solo "populismo", allora hai un QI sotto il 15. Perche' il populismo e' il tratto piu' evidente di Grillo, come e' il tratto piu' evidente del 100% dei partiti politici. QUalsiasi idiota puo' guardare Grillo e pensare "populista".
Ma Grillo ha fatto un qualcosa che (e se tutti la smettessero di spararsi delle pose usando il termine "populista" solo perche' l'hanno sentito dire lo noterebbero) non si era mai visto prima.
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Quando la sinistra si innamora della destra
di Fabrizio Casari
Le diverse generazioni che dagli anni sessanta ad oggi si sono susseguite nel calpestare le non sempre rette vie del nostro Paese, hanno ritenuto, con maggiore o con minore convinzione, che la criminalità italiana avesse due sostanziali caratteristiche: una di essere “sistema”, l’altra di produrre ingovernabilità sociale e politica proporzionale alle ricchezze che generava. C’era semmai un dubbio, relativo alla commistione tra associazioni criminali e alcuni partiti politici; il dubbio era se fossero le prime ad aver infiltrato i secondi o viceversa. Alla fine, il dubbio si dimostrava ozioso, risultando chiaro che in quel tipo di società alcuni partiti e le cosche divenivano azionisti di maggioranza o di minoranza in corrispondenza di fasi diverse, ma sostanzialmente erano (sono?) elementi distinti di un progetto comune. Adesso però, finalmente, ci rendiamo conto di quanto quelle ipotesi delle diverse generazioni fossero sbagliate, perché sbagliati erano i presupposti (ideologici, certamente) che le determinavano. Sappiamo oggi, infatti, grazie ad un’opera di chiarificazione storica e sociale di alto profilo, che l’illegalità italiana non è fatta di Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona, Mafia del Brenta o bande di tante magliane; di logge massoniche, colletti bianchi e di narcomafie, di racket delle estorsioni o di trafficanti di droghe e armi. Oggi ci è tutto più chiaro: la criminalità italiana è fatta di lavavetri, writers e disperati clandestini.
Pare che l’elemento della pericolosità sociale sia stato dunque sostituito dal disturbo sociale, che i tentacoli della piovra abbiano lasciato il posto ai bastoni tergivetro e che le menti della criminalità siano da ricercare ai semafori invece che nell’Aspromonte o in Barbagia. Illuminate, sottili menti, folgorate sulla via della reazione, ci spiegano che i sottoufficiali della disperazione, ancorati ai semafori della dannazione, siano carne da macello per il racket.
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Venti ottobre
Rossana Rossanda
La manifestazione e il corteo che assieme a Liberazione questo giornale ha lanciato per il 20 ottobre sono stati bersaglio di una certa campagna stampa, avallata anche da alcuni politici che rischia di farci apparire il paese più instupidito d'Europa. Un corteo pacifico e, ci auguriamo, di massa che esprime bisogni e sensibilità molto reali sarebbe il cavallo di Troia per far cadere il governo Prodi? Sostenere questo governo, farlo inciampare o cadere è potere esclusivo delle forze politiche in Parlamento, del patto che le ha messe assieme e, o almeno così dovrebbe essere, del rispetto che farebbero bene a nutrire l'una per l'altra. Non è nella nostra possibilità né nei nostri intenti farlo, non siamo né vogliamo diventare un'istituzione né un gruppo di istituzioni.
Ma il governo dovrebbe ringraziarci per offrirgli l'occasione di saggiare consensi e inquietudini di una parte consistente della società civile che lo ha votato. E che è altra cosa dei gruppi parlamentari e dei partiti, tutti peraltro fattisi tanto leggeri da pardere ogni radicamento sociale diffuso, che fungeva da sensorio e raccoglitore di idee e competenze non meno che da cinghia di trasmissione «di un'ideologia». L'asfissia dei partiti e il bipolarismo nel quale si vorrebbe costringere una società sempre più complessa stanno facendo dell'Italia l'ultima e mesta spiaggia di una democrazia rappresentativa riacquistata con il sangue, e aprono il varco per assai dubbie avventure populiste.
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Il paradosso mercantilista: lo Stato finanzia Wall Street
di Tito Pulsinelli
Negli Stati Uniti, dall’inizio dell’anno il settore finanziario ha licenziato 88.000 funzionari ed impiegati, mentre nel 2006 persero il lavoro 50.237 persone. I licenziamenti dall’inizio di agosto sfiorano i 21.000 (1).
C’è stata una forte impennata nell’esecuzione dei pignoramenti ed espropriazioni di appartamenti ed edifici: 179.600 nel solo mese di luglio. Il senatore C. Dodd retiene che “da uno a tre milioni di persone potrebbero perdere la loro casa”.
Queste poche cifre indicano con chiarezza la gravità della crisi del settore inmobiliario degli Stati Uniti, che covava sotto la cenere mediatica da molto tempo, ma veniva sistematicamente ignorata o minimizzata. Ora che l’esplosione è avvenuta, emergono le caratteristiche distruttrici di un collasso che sta facendo tremare il cosiddetto sistema finanziario internazionale.
I “furbetti della bolla immobiliare”, vale a dire gli usurai globali che avevano gonfiato all’infinito il valore dei titoli dell’industria del mattone, oggi alzano bandiera bianca. La “bolla” gli è scoppiata in faccia perché non c’è più una relazione credibile tra il valore di un edificio reale e quello dei “titoli” che li rappresentano.
Una cosa è un edificio, altro sono i titoli immobiliari o gli hedge funds che li “assicurano”; una cosa è l’economia reale altro è l’economia cartacea del capitalismo globalista. Tra le due c’è un abisso, su cui regna sovranamente la plutocrazia finanziaria.
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V-day, perché ci sono più spine che rose
di Gennaro Carotenuto
Andavo esattamente a 130 km all’ora e quelle auto blu volavano a 180 se non a 200 o più, in condizioni di evidente pericolosità. Credo che il codice della strada in questi casi preveda il sequestro dell’auto, il ritiro della patente e finanche l’arresto in caso d’incidente. In quelle auto dovevano esserci Fini, Prodi, Berlusconi, Parisi... la crema della crema della casta politica.
Contemporaneamente le piazze italiane erano piene per la manifestazione convocata da Beppe Grillo. Lo spettacolo indecoroso delle auto blu in autostrada avrebbe dovuto farmi precipitare ad aderire alla piazza grilliana che invece continua ad indurmi riflessioni tiepide.
Le piazze di Grillo, configurano per l’ennesima volta il tetto oltre il quale la democrazia non può andare, il limite fisico di rappresentatività della democrazia liberale oltre il quale la stessa democrazia liberale non permette ai cittadini di andare. E’ un concetto che nessuno espresse meglio del segretario di Stato statunitense, Henry Kissinger quando affermò che non avrebbe permesso (e non lo permise) che il Cile diventasse socialista solo per la volontà dei propri cittadini.
Mille Kissinger si riempiono quotidianamente la bocca di “volontà degli elettori”, a patto di indurla e limitarla a non toccare quegli interessi che sono al di sopra della democrazia stessa e quindi vulnerano la democrazia stessa limitandola. Per esempio, lo stesso Grillo ne fa una rivendicazione fondamentale, se in Italia (o in qualunque altro paese), si facesse un referendum sulla precarietà che sta distruggendo la vita oramai a più di una generazione, come credete che finirebbe? Se in democrazia, i cittadini decidessero di abolire ogni tipo di contratto precario con un referendum, per vedere l’effetto che fa, e se hanno davvero ragione o torto gli economisti neoliberali, sarebbe loro permesso?
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Il patto di Shangavia
di Carlo Bertani
La notizia che i russi hanno ripreso i voli dei grandi bombardieri strategici è stata commentata da Washington con sufficienza : «Se hanno voglia di spendere quattrini per far volare qualche ferrovecchio» è stato il commento statunitense «padroni di farlo». Il commento americano, sotto il profilo militare, è ineccepibile.
Chiariamo che per gli aspetti militari la mossa russa non ha nessuna rilevanza: qualche decrepito TU-95 Bear (ad elica!), oppure le poche decine di TU-160 Blackjack che sono rimasti alla Russia dopo il crollo dell’URSS, non hanno nessun rilievo strategico. I più moderni bombardieri strategici russi sono forse paragonabili ai B1-B americani: certamente una "generazione” addietro rispetto ai B2-Spirit, che sono aerei stealth.
Rimangono poche centinaia di TU-22/26 Backfire, che sono però grandi bombardieri destinati soprattutto all’attacco contro le navi, ma non portano armi strategiche in senso stretto e, soprattutto, non hanno l’autonomia per reggere i lunghissimi pattugliamenti oceanici. Gli americani, dunque, hanno perfettamente ragione nel definire un bluff la mossa russa.
Se i russi bluffano, anche Washington non scherza: la colossale “puparata” messa in piedi sul sistema di difesa anti-missile, vale quanto far decollare qualche aereo ad elica sul Mar Artico.
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Precariato globale
di Luciano Gallino
Ci risiamo con la Legge 30 di riforma del mercato del lavoro: abrogarla, modificarla oppure lasciarla com´è? Il dibattito che si è riaperto intorno a queste alternative potrebbe forse dare migliori frutti, sotto il profilo della comprensibilità per i tanti che vi sono interessati, non meno che dei suoi possibili esiti politici e legislativi, se in esso fossero tenuti maggiormente presenti gli elementi generali del quadro in cui la legge si colloca.
Un primo elemento è il numero di coloro che hanno un´occupazione precaria, vuoi perché il contratto è di breve durata, oppure perché non sanno se e quando ne avranno un altro. Secondo una stima da considerare prudente, esso si colloca tra i 4 milioni e mezzo e i 5 milioni e mezzo di persone. A questo totale si arriva sommando gli occupati dipendenti con un lavoro a termine (2,1 milioni nel primo trimestre 2007, dati Istat), gli occupati permanenti a tempo parziale (1,8 milioni), i co.co.co. rimasti nel pubblico impiego ma trasformati dal citato decreto in lavoratori a progetto nel settore privato (tra mezzo milione e un milione); più una molteplicità di figure minori, dai contratti di apprendistato e inserimento al poco usato lavoro intermittente (forse 200.000 persone in tutto). Lasciando da parte altre figure come gli stagisti o gli associati in partecipazione, in ordine ai quali è arduo stabilire chi abbia per contratto un´occupazione stabile oppure instabile.
Cinque milioni di persone con un lavoro precario rappresentano più del 20 per cento degli occupati. Ma questi sono soltanto i precari per legge – certo non soltanto a causa della Legge 30, bensì di un´evoluzione della nostra legislazione sul lavoro iniziata, come minimo, sin dal protocollo del luglio 1993.
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Il grande casino mondiale della finanza
di Giulietto Chiesa
Allora facciamo un po' di conti: la Banca Centrale Europea ha sganciato più di centoventi miliardi di euro per sostenere le banche europee che hanno speculato sulla bolla edilizia e dei facili prestiti americani. La Federal Reserve ha tirato fuori assai meno per sostenere i truffatori d'oltre Oceano, cioè 12 miliardi di dollari, più 25, totale 37. Li chiameremo truffatori perché stimiamo abbastanza il premio Nobel Joseph Stiglitz, il quale ha scritto, senza troppi complimenti, che Alan Greenspan non poteva non sapere, negli anni scorsi, a partire dal 2002, che la politica della Federal Riserve, da lui guidata, avrebbe condotto al baratro.
Come definire un signore dall'immenso potere, come Greenspan, che trascina il mondo intero verso un disastro, sapendo perfettamente quello che fa? Un truffatore, certamente. Ma anche un irresponsabile. E, quindi, seconda domanda: come possiamo stare tranquilli venendo a sapere che alla testa di cruciali istituzioni di influenza planetaria ci sono persone irresponsabili?Anche perché non è che Alan Greenspan agisse da solo. Con lui c'era il presidente degli Stati Uniti, per esempio. E via scendendo per li rami di questa foresta imperscrutabile che è oggi la finanza mondiale.
L'allarme rosso è venuto quando si è scoperto che una delle maggiori banche europee, BNP Paribas (che è ora anche molto presente sul mercato italiano) ha dovuto chiudere, per palese insolvenza, ben tre “fondi” che avevano speculato, anche loro, insieme alle banche americane, sui mutui ultra-agevolati che sono stati concessi ai risparmiatori americani.
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Quella maledetta casa di Slawson Avenue
La crisi dei mutui subprime e i mercati finanziari globali
di Sbancor
Una crisi sistemica potrebbe iniziare così. Oggi, giovedì 9 agosto alle ore 14.15 mi telefona un amico da un’agenzia di stampa tedesca. Mi dice che circolano rumors in Germania sulla crisi di una banca. Soggiunge, preoccupato, che “i rumors” si sono spinti fino a sostenere che per qualche ora è stato chiuso il mercato interbancario. Gli prometto di informarmi. Recupero lentamente un po’ di lucidità dal torpore postprandiale. Apro Bloomberg scorrendo le market news. La prima notizia che attrae la mia attenzione è che la British Bankers Association ha comunicato che il tasso overnight interbancario, il cosiddetto London Interbank Offered Rate (LIBOR) è salito dal 5,35% al 5,86%. Il livello più alto dal 2001. Sembra che a determinare l’incremento siano le preoccupazioni sui mutui immobiliari “subprime” americani. Ora i “subprime” sono la grande paura che da febbraio agita i mercati. Si tratta di mutui ipotecari concessi a clienti che hanno redditi bassi e lavoro spesso precari, in quartieri che certo non assomigliano a Beverly Hills.
Non so se qualcuno di voi è pratico di Los Angeles, ma la strada che viene in mente a me, quando si parla di “subprime” è Slawson Avenue. La prima parte è abitata da afroamericani. La seconda da ispanici. La seconda suscita qualche apprensione a percorrerla di giorno. Non voglio pensare cosa accade lì la notte. Finii a Slawson per un errore di guida, tanti anni fa, e sono ancora grato al Signore per aver riportato indietro la mia pelle intatta.
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Bandar Ibn Sultan: il piccolo principe di Carnwell
di Sbancor
"Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati." Sura IX, 29 [Quando Allah è piccolo piccolo]
In Italia bisogna leggere i romanzi per conoscere ciò che dovrebbero scrivere normalmente i giornali. In Inghilterra a volte i giornali sono molto meglio dei romanzi. Il “caso BAE (British Aerospace System)” è uno di questi. John Le Carré non sarebbe riuscito a descriverlo meglio. E’ quindi come un’opera d’arte che ci impegniamo a recensirlo.
Si potrebbe iniziare con un ragazzo di 16 anni. Un ragazzo arabo, nato in Arabia Saudita. Un ragazzo fortunato. Troppo. E’ un principe della casa reale. Si chiama Bandar bin Sultan. Era il figlio del Ministro della Difesa del Regno Saudita. A 16 anni Bandar viene mandato a studiare in Inghilterra. Non andò a Eton o a Oxford. Andò in un collegio militare: il College Cranwell. Royal Air Force. (R.A.F.). L’Isola del Tesoro sa come coltivare i suoi clienti fin da giovani.Possiamo immaginarcelo il ragazzo arabo in mezzo ai Sergenti Maggiori della R.A.F, ai figli dei piloti, in quelle camerate gelide. Cosa sarà passato per la sua testa di sedicenne, in mezzo alle brume e alle brughiere anglofone, lui, abituato al sole del deserto d’Arabia? Come avrà reagito alla disciplina esasperante dei college militari inglesi? Dove si masturbava e pensando a chi?
Adolescenza perduta in cambio di una promessa. La solita venale promessa dell’Isola del Tesoro: un giorno grazie a noi guadagnerai un sacco di soldi.
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Le colpe di Greenspan
L'America immersa nei debiti
di Joseph E. Stiglitz
I pessimisti che da tempo prevedevano che l'economia americana stesse andando incontro a guai seri, sembrano infine riscuotere i loro giusti meriti. Francamente, però, non c'è di che stare allegri vedendo i prezzi delle azioni crollare in conseguenza di sempre più frequenti insolvenze da parte dei mutuatari. La situazione, tuttavia, era assolutamente prevedibile, come prevedibili sono le conseguenze che si ripercuoteranno sia su milioni di americani che dovranno far fronte a gravi difficoltà finanziarie, sia sull'economia globale. Tutto risale alla recessione del 2001.
Con l'avallo di Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve, il presidente George W. Bush aveva fatto approvare uno sgravio fiscale finalizzato ad avvantaggiare gli americani più ricchi, ma non a risollevare l'economia dalla recessione che aveva fatto seguito allo scoppio della bolla di Internet. Una volta commesso quell'errore, alla Fed restava ben poca scelta: se voleva rispettare il proprio mandato, consistente nel mantenere la crescita e l'occupazione, doveva necessariamente abbassare i tassi di interesse.
E così ha fatto, ma con modalità che non hanno precedenti: ha infatti portato i tassi di interesse fino all'uno per cento.
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Software Libero per la tua libertà
Perché non ci si può fidare di software che non si può controllare
Richard Stallman
Il controllo del nostro software dalla parte di un'azienda di software proprietario, che sia essa Microsoft, Apple, Adobe o Skype, vuol dire il controllo su quello che possiamo dire e a chi. Questo minaccia le nostre libertà in tutti i campi della vita... Gli Stati uniti non sono l'unico paese che non rispetta i diritti umani, per cui mantenete i vostri dati sul vostro computer personale e i vostri backup sotto la vostra custodia. E utilizzate il software Libero sul vostro computer.
Lo sappiamo in tanti che i governi possono minacciare i diritti umani attraverso la censura e la sorveglianza di Internet. Non molti si rendono conto che il software che utilizzano, a casa o al lavoro, potrebbe costituire una minaccia anche peggiore. Pensando che il software sia "solo uno strumento", suppongono che obbedisce loro, invece, in effetti, obbedisce ad altri. Il software che gira nella gran parte dei computer è software non-libero, proprietario, e cioè controllato dalle aziende produttrici di software e non dai suoi utenti. Gli utenti non possono controllare quello che questi programmi stanno facendo, né possono impedire che facciano qualcosa di indesiderato. Molte persone accettano tutto ciò perché non conoscono altre possibilità. Ma è semplicemente sbagliato lasciare agli sviluppatori [di software] il potere sui computer degli utenti.
Questo potere ingiusto, come sempre, induce chi lo possiede a compiere ulteriori misfatti. Se un computer comunica su una rete e voi non controllate il software, esso può facilmente spiarvi.
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Lettera di "Liberazione" a Romano Prodi
di Emiliano Brancaccio
Lasciare l'egemonia della politica economica al nascituro Partito democratico significherà recitare il de profundis dei consensi attorno al governo e alla sua attuale maggioranza. Ecco perché per la Sinistra è necessaria la spinta di queste mobilitazioni
Stando così le cose, sorge allora spontaneo un sospetto: non è che forse la sua lettera andasse considerata come una sorta di avvisaglia per il futuro? Non è che Lei con essa abbia voluto sondare quanto sia disponibile la sinistra a genuflettersi, e a tollerare il giro di vite prossimo venturo sui salari e sul disavanzo pubblico? Basta sollevare un po' lo sguardo verso l'orizzonte, per capire che le stime sull'import-export non fanno che avvalorare una simile congettura.
Se così fosse, caro Prodi, allora faremmo bene ad augurarci non una, ma cento e mille mobilitazioni della sinistra. E soprattutto, dobbiamo sperare che dalla spinta di queste mobilitazioni la sinistra comprenda che lasciare l'egemonia della politica economica al nascituro suo Partito democratico significherà recitare il de profundis dei consensi attorno al governo e alla sua attuale maggioranza.
Perché diciamolo con franchezza: la politica di deflazione che Lei e il suo partito si ostinano a portare avanti, sarà pure formalmente compatibile con le 280 pagine del famigerato Programma, ma resta marcia fin dalle premesse.
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Tra Darwin e Chomsky
Il linguaggio sulla soglia tra umano e non umano
di Telmo Pievani
In un libro di Francesco Ferretti per Laterza, titolato «Perché non siamo speciali», l'ipotesi che il linguaggio si sia evoluto in stretta dipendenza dalla capacità della nostra specie di ancorarsi al mondo fisico e a quello sociale
Nei Taccuini della trasmutazione, i primi appunti di un giovane naturalista da poco rientrato da un viaggio di cinque anni attorno al mondo, Charles Darwin costruisce passo dopo passo l'impianto centrale della sua teoria alternando momenti di esaltazione e di sconforto. Nel luglio del 1838, quando ormai è quasi giunto alla formulazione dell'idea di selezione naturale, lo assale un dubbio pessimistico: «Forse non saremo mai capaci», scrive nel Taccuino C, «di ricostruire gli stadi attraverso i quali l'organizzazione dell'occhio, passando da uno stadio più semplice a uno più perfetto, conserva le proprie relazioni. Questa forse è la difficoltà più grande di tutta la mia teoria».
Il pericolo di cui Darwin si accorse fin dagli esordi consisteva nella possibile contraddizione fra due principi cardine della spiegazione evoluzionistica: se il cambiamento avviene gradualmente, senza soluzioni di continuità, e la selezione naturale ha bisogno di riconoscere, ad ogni stadio, un vantaggio adattativo per quanto infinitesimale, per svolgere quale funzione si sviluppano gli stadi incipienti di organi particolarmente complessi come un occhio o un'ala? Difficile immaginare che un abbozzo di ala possa servire per spiccare il volo...
Due ipotesi per un rompicapo
Il problema è che l'evoluzionista non può rinunciare né all'uno né all'altro dei principi di partenza: non può ipotizzare che l'occhio si sia formato tutto in un colpo, né che all'inizio la natura lo stesse plasmando finalisticamente «in vista» della sua utilità futura.
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Scorciatoie zero
Rossana Rossanda
Diversamente da Valentino Parlato, credo che giustamente Bertinotti veda il pericolo: il sistema politico-mediatico mira a spingere nell'angolo quel che resta di rappresentanza della domanda sociale, e possibilmente a toglierselo di torno. Vediamo l'ultima: Rc e Pdci o incassano una riforma pensionistica men che moderata, pagando un alto prezzo fra i lavoratori, che sono la loro base, oppure la respingono facendo cadere il governo e spostando l'equilibrio istituzionale a destra - cosa che gli verrebbe rinfacciata più ancora della rottura del 1998. Non c'è oggi una alternativa a sinistra: sono possibili soltanto una riedizione del centrodestra, assai probabile se si andasse alle elezioni, o un governo centrista se la maggioranza riuscisse a scaricare Rifondazione, Pdci e Verdi attraverso un allargamento all'Udc e la conquista di un numero sufficiente di deputati e senatori sciolti.
Che quest'ultimo sia l'obiettivo finale della Margherita e di gran parte del Pd è dichiarato, ma i numeri non ci sono ancora. Resta in campo anche il pasticcio di un governo tecnico bipartisan, che sembra evocare ogni tanto il Presidente della Repubblica, ma questo scaricherebbe anche Romano Prodi, che non è disposto a tutto, e sarebbe il preludio a un nuovo centrodestra.
Parlato ha ragione di scrivere che bisogna indicare il «che fare», ma intanto vediamolo per quel che è: non solo un incidente di percorso e non solo in Italia. Lo stesso e peggio succede in Francia, dove la destra di Nicolas Sarkozy non solo ha vinto, ma si sta mangiando pezzo per pezzo l'opposizione socialista, mentre quella più a sinistra è già ridotta ai minimi termini.
E da un pezzo è successo in Germania dove la Linke si è faticosamente costituita ma resta istituzionalmente fuori gioco, la Spd essendo disposta a trattare fin con la destrissima Csu ma non con la propria costola di sinistra. In Spagna la stessa esistenza di una sinistra radicale è in causa. Se si aggiunge che da noi la Sd di Mussi, appena separata dai Ds, si riaccosta al governo proprio sul tema bruciante delle pensioni, lo stato della sinistra legata alla dimensione sociale - la sola che abbia un senso chiamare tale - appare davvero critico.
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Lessico veltroniano: il partito che affascina
di Sbancor
L’unico modo per sbarazzarsi di un leader è evitare che lo diventi. Eppure Veltroni lo è diventato per “ovazione”. Un sondaggio telematico di “La Repubblica”, la cui significatività veniva smentita dallo stesso giornale che lo ha investito come futuro leader del futuro Partito Democratico. Egli ha pronunziato un discorso. L’opinione pubblica ha plaudito.
“Bene, Bravo, Grazie!” ( Petrolini)
Il fatto che io abbia letto il discorso di Veltroni solo attraverso il sito di Babsi Jones la dice lunga sulla mia attenzione attuale alla politica italiana.
A questo Paese servirebbero più Babsi e meno Veltroni, più Genna e meno D’Alema, più Wu Ming e meno Bertinotti. Il Magister (Valerio Evangelisti), poi, lo metterei a Capo dell’”Intelligence”. Ma ho paura che non sia così semplice.
D’altra parto il testo da chiosare è uno splendido esempio di retorica “post-umana”, dove lo smarrirsi del senso procede verso l’affannosa ricerca di un significato, ahimé anch’esso irrimediabilmente perduto. Di significanti senza significato invece il testo è pieno. Il che lo fa immediatamente forma modernissima d’arte contemporanea. E come tale va letto.
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L'ex premier Hariri ucciso dai sauditi?
di mazzetta
La settimana scorsa è stato pubblicato il rapporto della commissione investigativa internazionale sull’attentato all’ex-premier libanese Rafik Hariri. Il capo della commissione Brammertz ha presentato i primi risultati dell’inchiesta, ma questi non sono piaciuti in Occidente e quindi non se ne è parlato per niente. Il rapporto, incensato da tutte le cancellerie occidentali per l’accuratezza ed il rigore, punta il dito sui jihadisti provenienti dall’Arabia Saudita. Il rapporto in realtà evita di indicare esplicitamente il reame, ma le perifrasi usate per indicare l’attentatore (“proviene da un paese dal clima più secco di Libano e Siria”, “è stato diversi anni in un contesto rurale”, che poi sarebbe l’Afghanistan) e altri riferimenti sparsi nel rapporto non lasciano dubbio alcuno. Una riservatezza che copre anche l’identità di altre cinque o sei persone, individuate attraverso l’analisi dei tabulati dei cellulari, delle quali non è stato reso noto alcun dettaglio; il che spinge a credere che non si tratti di siriani e neppure di Hezbollah. A questo punto, per quel si è scoperto fino ad oggi , non ci sono responsabilità della Siria nell’attentato.
Ci sono invece responsabilità indirette (relativamente) americane e saudite, visto che da tempo gli USA sembrano aver scelto di armare l’estremismo sunnita in funzione anti-sciita. La strategia è la stessa, fallimentare, usata contro i sovietici ai tempi dell’Afghanistan e sembra funzionare, almeno dal punto di vista degli americani.
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Pagine partigiane per indagare il nuovo capitalismo
Benedetto Vecchi
Che fare? Una radicale innovazione è l'unico strumento per salvaguardare l'autorevolezza
La lettera di Marcello Cini a proposito delle pagine culturali (sul manifesto di ieri) pone problemi di grande rilevanza. Cini scrive che c'è stato un cambiamento di rotta della sezione «cultura» di questo giornale. Ha ragione. Proverò a spiegare come questo cambiamento sia dovuto a un principio di realtà e non a un esecrabile mutamento genetico. Rispetto al periodo cui Cini fa riferimento il mondo è cambiato e gli elementi di discontinuità prevalgono nettamente su quelli di continuità. Questa trasformazione aveva bisogno di essere analizzata e compresa, ed è quanto le pagine culturali del manifesto hanno cercato di fare, partendo dalla convinzione che i paradigmi acquisiti erano diventati armi spuntate. Chi ha lavorato alle pagine culturali ha infatti spesso puntato con caparbietà a creare uno spazio pubblico di discussione dove la posta in gioco non fosse la flebile difesa di un punto di vista che mostrava i tratti di una vuota ripetizione del già noto. Semmai, l'obiettivo, talvolta tacito, spesso esplicitato, era di contribuire a formare un forte punto di vista sul presente. La necessità di una radicale innovazione teorica è stata considerata l'unico strumento per salvaguardare l'autorevolezza del manifesto. In questo le nostre sono state e sono pagine «partigiane».
Questo è stato il clima che ho respirato da quando, nel 1988, ho cominciato a lavorare a queste pagine. In quasi venti anni, insieme a tanti altri abbiamo parlato dei cambiamenti del mondo del lavoro, della produzione e circolazione del sapere, del rapporto tra scienza e società, delle caratteristiche della «rivoluzione del silicio», del profilarsi all'orizzonte, e poi dell'affermarsi, della riproduzione tecnica della vita. Senza dimenticare che una sezione «cultura» deve registrare e selezionare quanto propone il contesto culturale, dagli scrittori che emergono nel panorama editoriale ai saggi che vengono a mano a mano pubblicati.
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Memoria a rischio sulle pagine etichettate «cultura»
Marcello Cini
Pericoli - Il rischio di un ritorno a concezioni tradizionali non può giovare all'apertura alle sfide del XXI secolo Recinti Non più un'esplorazione dei campi del sapere ma una loro delimitazione rigida entro confini disciplinari tradizionali
Cari compagni, questa lettera nasce dal mio bisogno di rendere pubblico il crescente disagio che provoca in me, collaboratore del manifesto fin dalla sua fondazione, la lettura delle sue attuali pagine culturali. Metto le mani avanti: non intendo dare voti a nessuno. Soltanto mettere in evidenza la radicalità del cambiamento intervenuto negli ultimi tempi rispetto al loro ruolo tradizionale all'interno della linea del giornale. Non posso fare a meno, a questo proposito, di prendere come riferimento gli anni in cui se ne occupava un grande amico scomparso, Michelangelo Notarianni.
Sono andato a scorrere la raccolta dei suoi articoli pubblicata tre anni fa da manifestolibri con il titolo (malauguratamente profetico) La memoria a rischio, per confrontarla con alcuni dei contributi apparsi negli ultimi mesi sulle pagine etichettate «cultura». La differenza che salta agli occhi è la rigorosa coerenza degli interventi di Michelangelo con un disegno di fondo che li illumina, nonostante la varietà degli argomenti affrontati. Che, tanto per citarne alcuni, spaziavano dalle questioni ambientali (quando l'ambiente era una parolaccia anche per l'estrema sinistra) a Leopardi, dal capitalismo italiano straccione e truffaldino ai personaggi più significativi della storia italiana remota e recente, dalla rivoluzione basagliana della psichiatria alle tesi di Hans Jonas sul rapporto fra etica e tecnica.
Per contrasto a me pare evidente che il termine «cultura» non denota più, nel giornale attuale, una esplorazione dei campi del sapere illuminata da criteri comuni di visione della realtà sociale, ma una loro delimitazione rigida entro confini disciplinari tradizionali. Per dirla tutta sembra che per il manifesto di oggi la «vera» cultura sia tornata ad essere appannaggio dei filosofi e dei letterati. Per esempio, separare i temi della rivoluzione digitale per collocarli dentro un contenitore distinto, come fosse roba per addetti ai lavori, non giova certo all'apertura della cultura alle sfide del XXI secolo. Anche se non sarebbe giusto non riconoscere che alcuni articoli di Benedetto Vecchi in favore dell'open source e del free software sono stati un utile anello di congiunzione fra i due contenitori.
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Una riforma a rovescio
di Felice Roberto Pizzuti
L'impostazione finanziaria della trattativa sullo scalone ha partorito una controriforma che diluisce nel tempo la trappola di Maroni ma per certi versi l'aggrava. Al contrario di quanto si afferma, a essere penalizzati saranno anche i giovani
Nell'accordo sulle pensioni raggiunto tra il governo e le parti sociali si è accentuata la spinta «rigorista» che sovrastima e in parte fraintende la dimensione finanziaria del problema, mentre sottovaluta i più complessivi aspetti economici che collegano la previdenza al sistema produttivo e sociale. Questo accordo ha poi una valenza politico-sociale sicuramente condizionata dalle ultimissime mosse dell'ala moderata dello schieramento politico; una valenza discutibile che dovrà essere verificata, non senza rischi di pericolose divergenze, sia rispetto agli equilibri nella maggioranza sia nella verifica con i lavoratori.
In confronto alle proposte che circolavano nei giorni scorsi, il progetto concordato è abbastanza più restrittivo. Il sistema delle quote, particolarmente caro ad alcuni sindacati, che avrebbe dovuto garantire più elasticità di scelta ed evitare altri «scalini» successivi al primo (con il quale dal gennaio 2008 l'età minima di pensionamento d'anzianità è alzata da 57 a 58 anni), in realtà è molto vincolante. Dopo soli diciotto mesi, cioè dal luglio 2009, l'età minima di pensionamento salirà a 59 anni (più 36 di contribuzione per arrivare a quota 95); dopo altri diciotto mesi, l'età minima salirà a 60 anni (con la quota che sale a 96) e dopo altri due anni, cioè dal gennaio 2013, salirà a 61 (con la quota a 97). In realtà, lo scalone viene diluito in tre scalini, nel periodo gennaio 2008-gennaio 2011, e poi si va anche oltre, riducendo fortemente i margini di scelta dei lavoratori.
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Il Pd punta alla crisi commerciale. La Sinistra ha una "exit strategy"?
di Emiliano Brancaccio
In un'estate affollata di interrogativi a ruota libera sui massimi sistemi del mondo, proverò a formulare una domanda più modesta ma forse necessariamente prioritaria: dato l'avvento del Partito democratico a guida veltroniana e la voglia alquanto diffusa in esso di guardare alla propria destra, non è forse tempo per le forze della sinistra di considerare l'opportunità di una "exit strategy" da Palazzo Chigi? Naturalmente gli esiti della "rottura" del '98 li ricordiamo tutti. Credo tuttavia ci sia ora un buon motivo per affrontare pacatamente ma a viso aperto la questione: il motivo è che il dna politico-economico dei cosiddetti democratici appare ormai definitivamente strutturato su una linea di indirizzo votata alla deflazione, alla più violenta ristrutturazione e soprattutto al malcelato auspicio di una crisi commerciale e finanziaria quale fattore di "disciplina dei lavoratori".
L'accusa è pesante e cercherò in quel che segue di sostenerla con opportune evidenze. E' già chiaro però che se essa dovesse rivelarsi fondata, non potremmo che arrivare alla seguente conclusione: la sinistra può "estinguersi" non solo chiamandosi fuori ma anche ostinandosi a restar dentro un'alleanza che semplicemente la dissangua.
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Lettera aperta all'Inps sulle pensioni italiane
di Luciano Gallino
Signori Presidenti del Consiglio d´Amministrazione e del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell´Inps, abbiamo bisogno di lumi.
Siamo un gruppo di persone i cui figli e nipoti sono preoccupati perché temono che a suo tempo non avranno più una pensione, o almeno una pensione decente. Alla base delle loro preoccupazioni v´è un´idea fissa: che il bilancio dell´Inps sia un disastro, o ci sia vicino. L´hanno interiorizzata sentendo quanto affermano ogni giorno politici, economisti ed esperti di previdenza, associazioni imprenditoriali, esponenti della Commissione europea. Non tutti costoro, è vero, menzionano esplicitamente l´Inps. Ma tutti sostengono che le uscite dovute al pagamento delle pensioni risultano talmente superiori alle entrate da rappresentare una minaccia devastante per i conti dello Stato. Che tale deficit peggiorerà di sicuro nei decenni a venire, poiché pensionati sempre più vecchi riscuotono la pensione più a lungo, mentre diminuisce il numero di lavoratori attivi che pagano i contributi.
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Il Sudan sarà ricolonizzato?
di Stephen Gowan
Gli Stati Uniti stanno facendo manovre per introdurre nel Sudan una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, come primo passo per assicurarsi il controllo dei vasti giacimenti di petrolio della regione. Il controllo degli USA sulle risorse petrolifere del Darfur offrirebbe opportunità di investimenti altamente redditizi alle aziende americane e danneggerebbe gli investimenti cinesi nella regione, rallentando così l’ascesa di un avversario strategico la cui crescita dipende dalla possibilità di accedere in modo sicuro al petrolio estero. Washington si sta servendo di accuse di genocidio, abbondantemente esagerate, per giustificare un intervento delle Nazioni Unite di cui otterrebbe il comando; allo stesso tempo sta ostacolando la pianificazione di un processo di pace che risulti accettabile per il governo sudanese, il quale vorrebbe allargare l’attuale missione dell’Unione Africana in Darfur.
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L'enigma democratico
Mario Tronti
La democrazia reale non è il potere dei più ma il potere di tutti, in cui, nell'omologazione di pensieri, sentimenti, gusti e comportamenti, la singolarità è concessa nel privato ma non nel pubblico
Credo sia proprio venuto il momento di passare a una critica della democrazia. Questi momenti arrivano sempre, arrivano quando le condizioni oggettive del tema s'incontrano con le disposizioni soggettive di chi lo guarda, lo analizza. È maturato su questo terreno un percorso di pensiero, che mi pare arrivi oggi a cogliere la crisi di tutto un apparato pratico-concettuale. Perché quando diciamo democrazia diciamo questo: istituzione più teoria; costituzione e dottrina. E qui, su questi termini, si instaura un intreccio molto forte, un nodo anzi. Un nodo che non lega soltanto strutture politico-sociali e tradizioni forti di pensiero - quelle della democrazia sono sempre tradizioni di pensiero forti, anche se la deriva della pratica di democrazia indica oggi un terreno debole; ma si stringe anche all'interno delle une e delle altre, delle strutture pratiche e delle tradizioni di pensiero.
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Il processo decostituente
Luigi Ferrajoli
La legge di revisione costituzionale recentemente approvata rappresenta la demolizione non solo dellaCostituzione repubblicana del 1948, ma del paradigma stesso della democrazia costituzionale. Decostituzionalizzazione della democrazia e costituzionalizzazione del berlusconismo. La battaglia in difesa della costituzione.
Ogni carta costituzionale può essere considerata come la carta d’identità dell’ordinamento da essa costituito e disegnato. Ciò vale per la Costituzione italiana del 1948, come per tutte le altre costituzioni, le quali sono di solito, se degne del loro nome, patti di convivenza generati dall’accordo di tutte le forze politiche rappresentative delle società cui sono destinate. La legge di revisione costituzionale recentemente approvata dalla maggioranza berlusconiana è invece la carta d’identità della destra, che riflette la concezione e soprattutto la pratica della democrazia che è propria di questa destra e che questa destra pretende di imporre come nuova carta d’identità della Repubblica.
Questa legge, d’altro canto, non si limita a stravolgere la carta costituzionale del 1948. Essa persegue la trasformazione in costituzione formale di mutamenti già in larga parte intervenuti in questi ultimi anni nella costituzione materiale della Repubblica. Riflette, in breve, una deformazione della democrazia già di fatto avvenuta. È quasi certo che essa sarà spazzata via dal referendum. E tuttavia essa esprime e formalizza una concezione anti-parlamentare ed extra-costituzionale della democrazia largamente penetrata nel ceto politico e nel senso comune, anche di sinistra, e già tradottasi in un’alterazione di fatto del nostro assetto costituzionale.
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