Dollari, dazi e dominio
di Massimo De Angelis
Prendendo spunto da Quo Liang nel suo Arco dell’impero, il mio punto di vista generale è che l’egemonia del dollaro possa essere descritta come un imperfetto meccanismo di respirazione della mostruosa macchina del capitale globale. Inspirazione: capitali e denaro rifluiscono negli Stati Uniti. Espirazione: capitali e denaro fuoriescono. Va da sé che a questo flusso è associato lo scatenarsi di dinamiche differenziate e pressioni per la ristrutturazione dei rapporti di classe in tutto il mondo. Da questa prospettiva, il paradosso di Triffin non è tanto un paradosso quanto lo sarebbe avere troppo o troppo poco ossigeno nei polmoni.
Il respiro tossico del dollaro
Il paradosso di Triffin descrive la trappola economica che si verifica quando la valuta di un paese – come il dollaro statunitense – diventa la valuta di riserva di riferimento a livello mondiale. Per far funzionare il commercio internazionale in modo minimamente fluido, il mondo ha bisogno di una valuta affidabile e universalmente accettata. Questo significa che il paese che emette tale valuta -attualmente gli Stati Uniti – deve immettere nel sistema globale una quantità sufficiente di dollari. L’unico modo per farlo è attraverso deficit commerciali persistenti: gli Stati Uniti acquistano più dal mondo di quanto vendano. Tuttavia, questo flusso costante di dollari comporta un problema: più gli Stati Uniti importano e accumulano deficit commerciali, più aumentano il loro debito. Col tempo, ciò può minare la fiducia globale nel dollaro stesso. Se i paesi iniziano a dubitare del suo valore, si scatena instabilità finanziaria. Ma c’è un vicolo cieco: se gli Stati Uniti tentano di rimediare riducendo i deficit commerciali – cioè diminuendo la quantità di dollari in circolazione – il mondo si ritrova improvvisamente a corto di liquidità in dollari. Il commercio internazionale rallenta, l’economia globale frena, e le valute emergenti trovano più spazio per sfidare il ruolo egemonico del dollaro.