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Desperate Capitalism
di Pierluigi Fagan
Diciamo subito che “Capitalismo, desiderio e servitù” di Frederic Lordon, (Derive ed Approdi 2015) ci ha interessato molto. Il capitalismo in sé ma sempre più nella più recente versione neoliberale, appare a Lordon come un macchinario del desiderio. L’essere umano è un animale desiderante sofisticato, nel senso che alle necessità e bisogni animali, aggiunge appunto la dimensione del desiderio, dimensione imprecisabile poiché animata da una instancabile meccanica della possibilità (poter desiderare questo e quello…) a fronte della quale, il desiderio esiste prima ed al netto del suo possibile oggetto (tesi già di Freud). Non è quindi detto che tale pulsione fondamentale possa mai avere una soddisfazione, se non momentanea. Molte cose della nostra natura sono fatte per svolgere una funzione ma noi, che siamo il prodotto dell’interrelazione di queste funzioni, possiamo trovarci e spesso ci troviamo alle prese col problema di armonizzarle. Ridurre il loro molteplice ad uno e convivere con le contraddizioni strutturali che ci creano è un difficile lavoro che non sempre ha felice esito.
Nel ’68, si credette che il desiderio avesse addirittura un potenziale rivoluzionario. In realtà, il macchinario che chiamiamo capitalismo, nacque proprio per produrre un ordine alimentandosi della cosa meno apparentemente ordinata che c’è, appunto, il “desiderio”. Se note sono le origine meccaniche del macchinario, le enclosures e la frantumazione dei commons, meno note sono le origini psichiche o spirituali. La variegata famiglia dei discepoli della libertà (in effetti ogni discepolo è di sua natura schiavo) che comprende il neo-liberismo, il liberismo, i libertariani, i liberali, origina storicamente da una prima elementare ma precoce manifestazione, quella dei libertini.
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L’intelligenza di John Maynard Keynes
Vittorio Capecchi
Perché bisogna sostenere Varoufakis contro la Troika? Perché bisogna attaccare il modello antisindacale di Marchionne e appoggiare Landini? Quali sono gli scenari della economia oggi? Per rispondere a queste domande si può raccontare la storia dello scontro tra l’intelligenza di Keynes, Adriano Olivetti e la FLM contro l’opacità del neoliberismo e provo a fare questo racconto utilizzando esperienze personali [1] tra gli anni ’50 e gli anni ‘70 nello stile delle 150 ore che mi piacerebbe tanto contribuire a rilanciare
John Maynard Keynes (1883-1946) è l’economista che ha rappresentato e ancora oggi rappresenta un’alternativa politica e teorica al neoliberismo. Due interrogativi: Che tipo di economista è stato Keynes e quale era il suo metodo di analisi? Le sue proposte sono ancora attuali?
1. La definizione di economia per Keynes
Keynes precisa nel 1924 che cosa intende per economia e per economista:
L’economia è una materia facile in cui però pochissimi eccellono. Il paradosso trova una spiegazione forse nel fatto che il grande economista deve possedere una rara combinazione di qualità. Deve raggiungere una certa perizia in svariati ambiti e coniugare doti che raramente si trovano nella stessa persona. Deve essere, in una certa misura, un matematico e uno storico, uno statista e un filosofo. Deve sapersi esprimere, ed essere in grado di comprendere i simboli. Deve saper cogliere il generale nel particolare, e abbracciare l’astratto e il concreto nello stesso moto del pensiero.
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Come impedire la nascita del regime renziano
Tattica e strategia
di Leonardo Mazzei
Dopo l'italicum e prima che sia troppo tardi
Le cose hanno un nome, a volte poco gradevole. Quello del futuro disegnato dall'Italicum è regime.
Più precisamente: regime renziano.
Anche se la legge elettorale non è materia direttamente costituzionale, è questa legge che disegna il sistema politico e determina in buona parte la stessa distribuzione dei poteri.
Così ha scritto il Consiglio nazionale di ORA qualche giorno fa:
Ieri l'altro questo obbrobrio è stato approvato dalla Camera. Ed oggi arriverà anche la firma dell'integerrimo Mattarella, messo lì da Renzi a far da palo.
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Sull’uso capitalistico della crisi
Stefano Lucarelli
La crisi messa a valore. Scenari geopolitici e la composizione da costruire, a cura di Commoware, Effimera e Unipop, raccoglie gli interventi sviluppatisi, prima, durante e dopo, due intense giornate dello scorso novembre tenutesi presso il Centro sociale Cantiere e lo Spazio di Mutuo Soccorso a Milano. L’occupazione dei luoghi conta, guardarsi in faccia è importante, discutere senza bastare a sé stessi e senza ridurre l’altro a una “tiro a segni” è possibile; altrimenti “la ricomposizione delle lotte... animate da soggettività diverse” rimane un pensiero lontano, un’eco mentale.
Oggi La crisi messa a valore è un ebook liberamente scaricabile dal web, concepito in un tempo che precede l’attentato parigino a Charlie Hebdo e le elezioni greche (di cui però tiene conto il dialogo fra Gigi Roggero e Christian Marazzi). “L’incapacità di fare i conti con la diversità della composizione di classe, l’ansia di armonizzare che ha come contropartita la riduzione della possibilità di produrre innovazione”, sono i due fuochi attorno ai quali si sviluppano ipotesi e narrazioni di esperienze concrete, oltre che riletture anche critiche delle categorie e delle pratiche politiche messe in campo in questi tempi duri. Leggendo si cerca di riprender fiato per uscire dall’oceano di crisi nel quale si è naufragati, fra colpi di reni insufficienti a risalire, piedi che sbattono e corpi che si agitano in un’acqua melmosa in cerca delle correnti amiche.
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Marx dietro le quinte
di Michele Basso
Ci sono compagni che, una volta compiuta un’analisi economica e politica generale delle cause delle guerre, trovano inutile e sviante la ricerca di quali stati e servizi segreti stiano dietro gli attentati con cui si cerca d’impaurire la popolazione e di renderla prona alle politiche di repressione e di guerra. Non si tratta di complottismo o dietrologia, ma di un lavoro utile per contrastare la permanente opera di disinformazione compiuta dai regimi e dai loro pennivendoli. In Marx ed Engels si possono trovare numerose denunce delle trame di Napoleone III o della diplomazia zarista, di Thiers o di Bismarck. Marx cercava di avere notizie, dai suoi contatti russi, sull’attività della “Terza divisione”, cioè della polizia segreta zarista. Giova ricordare qualche esempio: nel 1873, un reparto russo guidato dal generale Golovašov, che dipendeva dall’aiutante generale K.P. Kaufmann, condusse una terribile spedizione punitiva contro la tribù turkmena degli Jomudi. In un libro, uscito nel 1876, il diplomatico americano Eugene Schuyler rese nota tale carneficina. La polizia segreta russa entrò in azione per neutralizzare gli effetti di tale rivelazione. Poiché la notizia era diffusa dai giornali londinesi, la signora Nokivova, moglie dell’interprete russo a Costantinopoli e cognata dell’ambasciatore russo a Vienna, nel cui salotto s’incontravano letterati, scienziati e politici di diverse nazionalità, scrisse, in combutta con Gorlov, addetto militare all’ambasciata russa a Londra, una lettera a Gladstone in cui protestava contro gli “sporchi attacchi” di certa stampa londinese alla Russia.
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Perché l'islamismo non può essere spiegato a partire dalla religione
di Norbert Trenkle
Come avviene sempre, dopo un atto di terrorismo islamico, come la strage nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato ebraico a Parigi, anche il dibattito pubblico viene indirizzato intorno alla questione di sapere cosa "l'Islam" abbia a che vedere con tutto ciò. Tuttavia, a livello politico ufficiale e nei media, questa domanda stavolta è stata posta con minore aggressività rispetto agli avvenimenti precedenti. La campana dominante è quella che dice che la società non deve lasciarsi dividere, e che nessun punto di vista religioso può giustificare la violenza terroristica. Ma questo, come soffiare in un violino, non serve a niente. Dal momento che purtroppo è chiaro che le azioni mostruose di Parigi portano acqua al mulino del fondamentalismo razzista e nazionalista che si sta diffondendo in tutta Europa e che afferma, a voce sempre più alta, che l'Islam, per sua essenza, sarebbe incompatibile con i valori della "civiltà occidentale" e che, quindi, i musulmani non devono stare qui.
A fronte di questa concezione fondata sul presunto cuore della società, gli appelli all'armonia, fatti dalla politica ufficiale, appaiono impotenti. E questo non attiene soltanto al fatto che gli atteggiamenti razzisti sono del tutto sordi a qualsiasi argomentazione razionale, ma anche al quadro di riferimento del discorso stesso.
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Comunismo Ermeneutico. Da Heidegger a Marx : note critiche
di Roberto Finelli
La coppia concettuale “comunismo ermeneutico” rivela, a mio avviso, una contraddizione in termini, perché mette insieme due tradizioni interpretative della modernità profondamente diverse, anzi pressoché opposte tra loro: come sono il marxismo di Marx da un lato, profondamente ispirato al dialettismo di Hegel, e l’analitica esistenziale, profondamente antidialettica, di Martin Heidegger.
La dialettica si può dire, assai schematicamente, studia la costruzione della realtà attraverso nessi di opposizione e di distinzione: a partire dalla definizione platonica per cui la dialettica è l’arte di dividere secondo generi e specie e di conoscere quali idee si connettano tra di loro e quali invece si distinguano e si escludano. In Hegel la dialettica rimanda alla tessitura di una realtà che si costruisce solo mediante opposizione, e questa è, di fondo, la medesima concezione di Marx, anche se con un profondo cambiamento di categorie oppositive rispetto a quelle teorizzate da Hegel. In Heidegger il motivo teorico fondamentale è invece, anziché quello dell’opposizione-contraddizione, quello della differenza: cioè della differenza radicale, quanto a statuto e qualità di realtà, che si dà tra Essere, Esserci ed Ente, e che concerne appunto l’abisso di distanza ed eterogeneità di piani che si dà il Sein, il Dasein e il Seiendes.
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Le passioni sediziose dell’operaviva
Federico Chicchi
È cosa nota che Marcel Duchamp decise di lasciare quella che diverrà poi la sua opera più importante, Le grand verre, incompiuta. Durante la lavorazione americana dell’opera, nel 1923, infatti, si ruppe il sottile vetro che doveva, sostituendo la tradizionale tela, contenere la sua sibillina rappresentazione. Ma come spesso accade nell’arte, l’incompiuto della forma ci dice molto sul suo contenuto espressivo rendendolo ancor più prezioso.
Per tentare di decifrare la complessa e controversa opera di Duchamp si deve partire dal suo famoso sottotitolo: La Mariée mise à nu par ses célibalaires, meme. È, in tal senso, il grande vetro, una straordinaria figurazione del rapporto tra capitalismo e desiderio, la storia di un amore impossibile tra una sposa semicompiacente e uno scapolo ansioso (Arturo Schwarz). È la storia di una interpellanza, di una chiamata, che (fortunatamente) non potrà mai realizzarsi fino in fondo, perché il rapporto sessuale non esiste. Il n'y a pas de rapport sexuel, riproporrà Lacan qualche decennio dopo. E neanche l’astuta macchina capitalistica è in grado di trasfigurare una volta per tutte, ricoprendo il buco di merci, il “mondo in giallo”. Il punto di partenza: l'Eros, motore del tutto. Chi sono i soggetti che mettono in scena l’opera di Duchamp? la Vergine nella sezione superiore del vetro a citare l'Assunzione come nei dipinti medievali e rinascimentali e i suoi Scapoli o Celibi sottostanti, in trepida, macchinica attesa di consumare e macinare gioia e dolore.
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La Cina non è più il maggior detentore dei titoli del debito pubblico statunitense
Inizia il declino del dollaro con un segnale storico
Attilio Folliero
Si avvicina il collasso e il collasso sarà economico, político, ambientale e sociale come scrive Dane Wigington (1). In particolare, gli Stati Uniti, come abbiamo scritto tante volte in passato (2) sono immersi in una grave crisi che diventerà terminale con il crollo del valore della sua moneta. A titolo di esempio sulla situazione attuale degli USA diamo solamente due dati: il debito pubblico statunitense è superiore ai 18.000 miliardi (3); la Federal Reseve, la Banca Centrale degli USA, una banca privata, nel 2007 aveva un bilancio di 869 miliardi ed oggi è attorno ai 4.500 miliardi (4). La Federal Reserve come ha potuto accrescere il proprio bilancio di ben 5/6 volte in pochissimi anni? Stampando dollari!
Questa estate si svolgeranno negli Stati Uniti delle esercitazioni militari conosciute col nome in codice "Jade Helm"; l'esercito e varie agenzie governative realizzeranno delle esercitazioni congiunte e, come dicono in molti, queste esercitazioni hanno per obiettivo il controllo della popolazione civile. In sostanza molti intravedono un peggioramento della crisi, conseguenti disordini sociali ed il governo che impone la legge marziale.
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L’enigma del senso di colpa
Elettra Stimilli
Quello che segue è un estratto del saggio Debito e colpa, il nuovo libro della collana «Fondamenti» in libreria in questi giorni per la casa editrice Ediesse. Un saggio che muove dal nesso tra debito e colpa con l'intento di mettere a nudo i nodi teorici contenuti in questa relazione semantica, e di collocare il problema del debito in un contesto più articolato rispetto a quello strettamente tecnico della scienza economica
Il neoliberismo è una forma di governo che si pratica con l’autogoverno, implica strutture istituzionali di tipo amministrativo e una razionalità politica dotata di una «macchina antropogenica» diversa da quella a cui miravano le società moderne. Come si è cercato di mostrare sulla scia dello stesso Foucault, «l’invenzione» di questo dispositivo va genealogicamente individuato nel cristianesimo e nell’istituzione amministrativa dell’Ekklésia, che per prima scombina sul piano pubblico della comunità politica il dualismo dell’attività e della passività del potere, su cui si fondavano le società nel mondo antico e su cui, per altri versi, ha continuato a basarsi il patto politico moderno. Molte sono le differenze tra il «prototipo» e l’attuale realizzazione. Ma in ogni caso il suo funzionamento è dovuto al coinvolgimento di risorse specificheper la caratterizzazione della vita umana.
A queste risorse è rivolta l’attenzione di Judith Butler, intenta ad un’indagine sul potere che, al di là della sua struttura moderna, risalga piuttosto alle sue radici psichiche. La sua analisi presuppone la rottura con la logica repressiva del potere patriarcale moderno messa in atto dalle pratiche e dalle teorie femministe e mette al tempo stesso in discussione la naturalità di genere e dell’identità sessuale, pure rivendicate da un certo femminismo, a favore di una ricerca volta a individuare la loro origine culturale e la loro provenienza da pratiche sociali performative.
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“Trickle-down economics”
Guido Viale
Trickle-down (in italiano, sgocciolamento) è il nome di una teoria economica, ma anche di una filosofia, che molti hanno conosciuto attraverso la parabola di Lazzaro che si nutriva delle briciole che il ricco Epulone lasciava cadere dalla sua mensa (Luca, 16, 19-31). Dopo la loro morte le parti si sono invertite perché Lazzaro è stato ammesso al banchetto di Dio, in Paradiso, mentre Epulone è finito all’inferno a soffrire fame e sete. La teoria e la filosofia del Trickle–down in realtà si fermano alla prima parte della parabola. La seconda parte è compito nostro realizzarla; e non in Paradiso, dopo la morte, ma su questa Terra, qui e ora.
In ogni caso, secondo la teoria, più i ricchi diventano ricchi, più qualche cosa della loro ricchezza “sgocciolerà” sulle classi che stanno sotto di loro, per cui che i ricchi siano sempre più ricchi conviene a tutti. Discende da questa teoria la progressiva riduzione delle tasse sui redditi maggiori (fino alla flat tax, l’aliquota uguale per tutti, predicata negli USA dal partito repubblicano e, in Italia, da Matteo Salvini) che, a partire dagli anni settanta, ha inaugurato la crescita incontrollata delle diseguaglianze. In Italia la progressiva riduzione delle aliquote marginali dell’imposta sui redditi più elevati (al momento dell’introduzione dell’Irpef era di oltre il 70 per cento; oggi supera di poco il 40) è stata giustificata sostenendo che aliquote troppo elevate incentivano l’evasione fiscale, mentre aliquote più “ragionevoli” l’avrebbero eliminata. I risultati si vedono. L’altro cavallo di battaglia della Trickle-down economics è che le misure di incentivazione economica dovrebbero essere destinate esclusivamente alle imprese, perché sono solo le imprese a creare buona occupazione e, quindi, reddito e benessere anche per i lavoratori. Tutte le altre spese, specie se di carattere sociale, sono, in termini economici, “sprechi”.
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Il redde rationem: la Corte in mezzo al guado
L'emergenza democratica più grave dal 1948
di Quarantotto
1. Nel post del 1° maggio avevamo messo in risalto la questione del "quando e perchè" un diritto costituzionalmente tutelato dovesse trovare tutela integrale, cioè attraverso la piena espansione del principio della restituzione di quanto indebitamente percepito ovvero non erogato (dallo Stato), in applicazione della norma dichiarata incostituzionale.
Quello che può apparire un tecnicismo, è in realtà un punto fondamentalissimo per poter qualificare la (permanenza o meno della) sovranità di uno Stato, in relazione al concomitante principio della "scarsità delle risorse finanziarie" dello stesso, derivante dalla limitazione del deficit e dall'adesione all'euro, cioè dal "vincolo esterno" dei trattati europei.
In presenza del pareggio di bilancio, nella nuova formula dell'art.81 Cost., poi, il problema diviene di primaria importanza, perchè accelera e rende tangibile, anche a chi prima non se ne rendeva conto, lo stato di progressivo smantellamento dell'assetto sociale derivante dai principi fondamentali della Costituzione stessa.
2. E dunque avevamo evidenziato il concreto manifestarsi di questa accelerazione in questi termini:
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Euro: pensare di tornare indietro fa perdere tempo alla sinistra
Salvatore Biasco
Nessuna delle misure di economia di guerra ci salverebbe da un disastro. I difetti analitici di chi pensa sia opportuno autoinfliggercelo. Rimanere “dentro” è l’unica opzione possibile, anche se per nulla tranquillizzante. Il modo con cui uscire dalla crisi da sinistra è ciò su cui dovrebbe impegnarsi la sinistra politica
Per prima cosa si rendono necessari alcuni puntini suglii. Smettiamola di dividere il mondo tra coloro che sono coscienti dei disastri che ha comportato l’euro per l’economia italiana e propongono un rimedio a portata di mano (la riappropriazione del cambio) e coloro che non vedono quei disastri, sono indifferenti allo sconquasso sociale, non se ne preoccupano o sono resi ciechi dalla scelta di campo, rifiutando di prendere in considerazione una leva così ovvia e a immediata disposizione.
Chi vive in modo più angoscioso la china dell’economia italiana è proprio chi pensa che un rimedio semplice non vi sia (e che quello proposto sia di gran lunga peggiore del male). Ma non vi è alcun dubbio che l’Italia non ha retto alla crisi mondiale del 2007 nell’ambito delle regole e dei vincoli dell’euro, finendo in un vicolo cieco, dal quale sarà difficile districarsi. Personalmente rinvio alla straordinaria tavola rotonda che, all’apparire del progetto di moneta unica (siamo nel 1989!), mostra che vi era una profonda consapevolezza di ciò che sarebbe successo1. Successivamente – all’epoca in cui l’ingresso fu deciso (nella prima metà degli anni Novanta) – sarebbe stato difficile per un Paese che nel 1992 aveva rischiato il default non prendere l’opportunità per porre fine alle varie spirali che in modo perverso percorrevano l’economia italiana (interressi-debito pubblico; prezzi-salari-cambio, ecc.).
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Se il capitale è l’avanguardia di se stesso
di Marco Dotti
Talvolta sottovalutato, talaltra sopravvalutato, al contributo di Walter Lippmann si deve, tra le tante cose, la nozione di pseudo-ambiente. Lo pseudo-environment è un concetto chiave, non solo per comprendere il “chi” e il “che cosa” di quell’opinione pubblica a cui l’autore americano dedicò nel 1922 un libro capitale per la formazione del pensiero e la strutturazione delle pratiche neoliberali.
Mitocrazia ambientale
La nozione di pseudo-ambiente appare, infatti, fondamentale soprattutto per comprendere il “come”, ossia con quali forze e attraverso quali coordinate, tra complessità vitali e semplificazioni cognitive, un’opinione si costituisca in forma pubblicamente rilevante e determinante, ma proprio in tal modo venga depotenziata e recuperata nel sistema.
È però vero che Lippmann faceva ancora in parte dipendere lo pseudo-ambiente informazionale da una selezione e, in definitiva, da una barriera. Oggi, al contrario, anziché a una barriera bisognerebbe pensare a un filtro o a una membrana porosa: un punto, come scriveva Yves Citton nel suo <>Mythocratie (2010), dove pratiche della narrazione e dispositivi di potere si incontrano, dando luogo a quella pratica di “scenarizzazione” che ha radicalmente esteso lo pseudo-ambiente informazionale.
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Integraciòn o muerte! Venceremos?
L'America Latina nel suo labirinto
Daniele Benzi
II. L'ombra degli Stati Uniti [Qui la prima parte]
Gli ultimi due secoli dell’America Latina sono stati profondamente segnati dalla costante ingerenza politica, economica e militare degli Stati Uniti. La pretesa egemonica di escludere l’influenza di altri paesi e di mantenere salda la propria è un fatto facilmente constatabile e determinante per l’evoluzione storica della regione. La dottrina Monroe e quella del Destino Manifesto rappresentano in questo senso il nucleo fondante attraverso cui gli USA hanno elaborato, messo in pratica e costantemente aggiornato la propria politica emisferica. In base ad esse, hanno lavorato assiduamente per frenare ogni tentativo di unificazione politica ed integrazione economica a Sud del Rio Bravo che ne minacciasse, fosse anche minimamente, gli interessi.
La singolarità di questo rapporto di dominazione, ritratto metaforicamente dall’immagine in qualche modo familiare e per questo ambigua del «cortile di casa», sempre in tensione fra una persistente interferenza e una indifferenza in mala fede, si spiega plausibilmente alla luce della storia nazionale degli Stati Uniti, espansionista per necessità forse, sicuramente per vocazione, e della loro progressiva scalata al potere mondiale. Panamericanismo, «Big stick diplomacy» o «Politica di buon vicinato», così come la «Diplomazia del dollaro», sono stati strumenti ricorrenti della politica estera statunitense verso l’America Latina. Non sorprende, quindi, dal punto di vista delle élite governanti latinoamericane, che le relazioni internazionali con il vicino del Nord siano state improntate a un atteggiamento costantemente oscillante, a seconda del momento storico e/o blocco o leader al potere, tra l’acquiescenza e imitazione o la ricerca di autonomia.
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Dossier Odessa*
di Nico Macce
Immaginatevi centinaia di squadristi che attaccano e incendiano la camera del lavoro della vostra città, immaginatevi che all’interno di questo edificio brucino vive decine di persone, che quelli che cercano di scappare fuori vengono assassinati all’esterno a colpi di mazza. E infine, immaginate gli squadristi entrare nella camera del lavoro ancora fumante, a finire i superstiti.
Questi fatti sono accaduti un anno fa, il 2 maggio, a Odessa. Non in Ruanda, ma in Ucraina, Europa.
Altro che qualche auto e banca bruciata in centro a Milano! Con l’assalto alla casa dei Sindacati di Odessa, mi riferisco a una strage, un orrendo eccidio, un crimine taciuto e minimizzato dai nostri media ufficiali (come nel resto dell’Occidente). Gli stessi così zelanti a stigmatizzare ogni cacata di cane che imbratti i salotti buoni dell’ennesima fiera del profitto e che in questi giorni ci ha fatto vedere le vetrine rotte milanesi da ogni angolo possibile e immaginabile. Media che però sono censori e falsi verso fatti macroscopici come i pogrom nazisti in Ucraina. Il che mi porta a dire che questo giornalismo dei grandi network e delle testate controllate dai gruppi finanziari non può rappresentare la coscienza democratica di un paese civile. Non ne ha più la cifra etica già da molto tempo.
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Le trattative tra Tsipras e Merkel dimostrano che l'Europa è già fallita
di Enrico Grazzini
In apparenza Tsipras e Merkel si stanno giocando il futuro dell'Europa. Ma in effetti, il sogno europeo è già morto e sepolto sotto i colpi dell'euro-marco. Comunque vadano le trattative tra la Grecia del socialista Alexis Tsipras e l'Unione Europea, guidata dal mastino Angela Merkel, il destino dell'Unione Europea è già segnato. Le illusioni di una Europa più forte e più giusta sono ormai del tutto ingiustificate. La UE è ormai apertamente nemica dei popoli. L'Europa è ormai solo l'alibi dei governi europei di tutti i colori per imporre le riforme strutturali neo-liberali volute dalla grande finanza: riduzione del costo del lavoro, disoccupazione, abbattimento selvaggio del welfare, privatizzazioni, compressione dei diritti sociali e politici, riduzione della democrazia a feticcio formale.
Le regole europee della moneta soffocano l'Europa, ma nessuna regola vincola invece la grande finanza. “Vi tolgo tutto in nome dell'Europa”. Questo è ormai lo slogan dei governi “europeisti” per perseguire drastiche politiche di destra, come quelle di Matteo Renzi. I governi europei e le elite dirigenti delle nazioni europee sono diventati dei semplici portavoce di interessi sovranazionali – istituzioni europee e grande finanza – che perseguono politiche di prolungamento della crisi.
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Grecia, la misura è colma
di Domenico Mario Nuti
Una domanda di uscita unilaterale della Grecia dall’Ue avrebbe effetto solo due anni dopo, lasciando ampio tempo per eventuali rinegoziazioni. Ma potrebbe essere un modo efficace e rapido di far venire a più miti consigli Schäuble e gli altri falchi della troika che hanno traumatizzato il paese spingendola verso il default a tutti i costi
Nei panni di Alexis Tsipras farei domanda immediatamente perchè la Grecia lasciasse unilateralmente l'Unione europea, come previsto dall'art. 50 del TUE (versione consolidata del Trattato sull'Unione europea, Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, C 115/15, 9/5/2008).
Dall’inizio della crisi della Grecia nel 2010 la Troika (scusatemi, ora si deve dire “le istituzioni internazionali") ha impegnato nel suo salvataggio circa 245 miliardi di euro, ossia più di quanto sarebbe stato sufficiente a quell’epoca a estinguere l'intero debito greco. Tutti sanno che questi fondi non hanno beneficiato i greci ma sono andati quasi interamente a salvare le banche francesi, svizzere e tedesche dalla loro massiccia esposizione ai titoli di stato greci. E nel Financial Times del 21 aprile Martin Wolf demistifica la "mitologia" greca, tra cui il mito che "la Grecia non ha fatto nulla":
"La Grecia ha subìto un enorme aggiustamento dei saldi del suo bilancio pubblico e dei suoi conti con l’estero. Tra il 2009 e il 2014, il saldo primario di bilancio (al lordo degli interessi) si è ridotto del 12 per cento del PIL, il disavanzo di bilancio strutturale del 20 per cento del PIL e il saldo delle partite correnti del 12 per cento del PIL."
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Nietzsche, profezia o innocenza
di Mario Cassa
Tra i Frammenti postumi (nov. ’87 – marzo ’88) di Nietzsche si trova un testo, spesso citato, che porta il titolo di Prefazione (Vorrede).
Testo noto e citato, dicevo, quello di questo Vorrede, ma poche volte misurato nel suo significato di discorso estremo, decisivo; poche volte letto con quello stato d’animo che qui più che mai Nietzsche esige; così come lo dice in apertura del testo stesso: «Le cose grandi esigono che di loro si taccia o si parli con grandezza: con grandezza, cioè cinicamente e con innocenza». Ed ecco dunque, di seguito, il testo dei capoversi 2, 3 e 4:); una delle ultime prefazioni per quella Volontà di potenza che non prenderà mai forma definitiva. I frammenti prenderanno forma infine nell’ultima invenzione artistica, letteraria furente e fulminea: il Crepuscolo degli idoli e l’Anticristo.
Testo insuperabile quello dei frammenti postumi; perché gelidi, nudi d’ogni veste letteraria, d’ogni “menzogna” artistica, d’ogni “opera d’arte”.
– «Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più venire diversamente: l’avvento del nihilismo. Questa storia può essere raccontata già oggi, poiché qui è all’opera la necessità stessa. Questo futuro parla già con cento segni, questo destino si annunzia dappertutto: tutte le orecchie sono già ritte per questa musica del futuro.
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Questioni di prospettiva
Un giudizio politico su Expo, Mayday e dintorni
∫connessioni precarie
Il primo maggio è passato, lasciando dietro di sé qualcosa di più delle macchine bruciate, delle vetrine rotte, degli abiti neri abbandonati per strada. Oltre all’Expo trionfalmente aperta, il primo maggio lascia dietro di sé l’immagine plastica di un movimento che, nonostante sia riuscito a mobilitare 30.000 persone per la Mayday, si scopre politicamente impotente.
Alla fine è successo quello che tutti prevedevano, anche se molti avevano detto di volerlo evitare: la logica dell’evento si è imposta su quella del processo, della costruzione, dell’accumulazione e della condivisione di forza. Ora scoprire che i media mainstream si comportano da media mainstream è quanto meno fuori luogo. Ora il botta e risposta contabile sui costi di Expo paragonati ai costi dei danneggiamenti lascia francamente il tempo che trova. Ora risolvere tutto facendo appello alle ragioni della spontaneità arrabbiata è quanto meno insufficiente. Ciò che è successo non può essere risolto grazie a un’estetica del riot che non riesce a coprire i limiti collettivi di progettualità politica, anche perché la definizione corrente di riot si avvicina sempre più pericolosamente a quella di una rivolta magari intensa, ma istantanea e destinata a essere riassorbita senza particolari problemi dall’oggettiva e dispotica supremazia militare e simbolica dello Stato. Se il riot esiste solo nel giorno in cui avviene, a cosa serve il riot?
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Le ragioni economiche della guerra prossima ventura
Militant
Riportiamo il nostro contributo ad una recente iniziativa della Rete dei Comunisti, “Guerra alla guerra”. La questione guerra sarà sempre più l’argomento politico all’ordine del giorno, motivo per cui prima ci attrezziamo, anche culturalmente, a capirne le radici e gli sbocchi, meglio ci troveremo rispetto a chi, come spesso nel corso della storia, si troverà la dura realtà davanti in tutta la sua forza tellurica.
Vorrei iniziare partendo da alcuni dati di uno studio commissionato dalla CIA ad alcuni economisti ed analisti finanziari. Si tratta di un lavoro consultabile online sul sito della Goldman Sachs e che nella sua organicità propone un quadro che, forse meglio di tante altre parole, anticipa il senso del nostro contributo. Secondo questo studio, nel decennio a cavallo del 2050 il PIL della Cina è destinato a superare sia quello della Ue che quello degli USA, mentre quello indiano sarebbe diretto verso un analogo risultato anche se con diversi anni di ritardo: stiamo parlando di due paesi che già oggi rappresentano insieme più del 40% della popolazione mondiale; per contro, la crescita prevista dei paesi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti non sarebbe superiore al 30% per ogni decade, pari a circa il 3% annuo. Si tratta ovviamente di proiezioni e non di premonizioni e come tali vanno considerate, eppure data “l’autorevolezza” della fonte è innegabile che questi dati facciamo emergere alcune questioni di fondo.
Ho voluto citare questo studio perché come collettivo crediamo che la crisi esplosa con il fallimento della Lehman Brothers nel settembre del 2008 debba essere letta anche come crisi dell’egemonia dell’imperialismo statunitense, e che solo da questa prospettiva e dalla susseguente lotta per determinare i nuovi equilibri globali sia possibile provare ad interpretare e comprendere i conflitti in corso e le spinte neocolonialiste che gli fanno da corollario.
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I fondamenti storici e ideologici del razzismo "rispettabile" della "sinistra" francese
di Saïd Boumama
L’affrancamento della parola e dei passaggi all’atto islamofobico dopo gli attentati di gennaio 2015 rilevano l’ampiezza del “razzismo rispettabile” all'interno della sinistra francese. Questo ci porta a riproporre uno dei nostri testi pubblicato nell’aprile 2012 nella rivista Que faire.
Presa di posizione in favore di una legge sul velo a scuola nel 2004, sostegno più o meno dato e più o meno netto agli interventi imperialisti in Afghanistan, Iraq, Libia, tematica dell’integrazione per riflettere sulle questioni legate all’immigrazione, approccio dogmatico della laicità scissa dalle questioni sociali, etc.
Questi recenti esempi di posizioni prese da organizzazioni e da partiti che si definiscono di “sinistra” o di “estrema sinistra” fanno eco ad altri più lontani: assenza o denuncia ambigua della colonizzazione, assenza o ambiguità del sostegno alle lotte di liberazione nazionali negli anni Cinquanta, silenzio assordante protratto nei decenni circa i massacri coloniali dalla conquista del 17 ottobre 1961 passando per i crimini del Madagascar (1947), del Camerun (1955-1960), etc. Le costanti tra ieri ed oggi sono tali che ci sembra necessario ricercarne le cause ideologiche e materiali. Esistono dei retaggi ingombranti che conviene rendere visibili, altrimenti la riproduzione delle stesse trappole ideologiche ricondurrebbe alla stessa cecità ed agli stessi impasse politici.
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Contro La Buona Scuola
di Girolamo De Michele

Partiamo dalla fine: un ministro1 che, dopo aver degradato uomini e donne del mondo della scuola come «precari di seconda fascia, area Cobas, e molti studenti. Mi hanno detto [sic!] legati ai collettivi universitari, ai centri sociali di Bologna», li etichetta come «squadristi» (qui; ma leggi l’intervista a una delle insegnanti contestatrici, qui). Fatto sta che senza quei docenti insubordinati, non ci sarebbe stato alcuno ad ascoltare un ministro appena saltato da un partito all’altro senza render conto ai propri elettori attraverso le dimissioni2 e un’inutile suppellettile che risponde al nome di Francesca Puglisi, porcellata in parlamento (attraverso la quota garantita del Porcellum, per l’appunto) senza passare dalle primarie – una che quando va bene tace, e che purtroppo per il proprio partito in genere apre bocca rubando il lavoro ai figuranti dello Zelig Circus3.
A fronte di una «minoranza aggressiva che strilla», una «maggioranza di docenti abulica» e affetta da diffusa inerzia: che, detto nel contesto in cui queste parole sono state pronunciate, suona come una chiamata alle armi, un’ennesima esortazione alla mobilitazione di quei docenti affetti da servitù volontaria (che, con buona pace di Frédéric Lordon, esiste) dei quali si chiede adesso il sostegno attivo.
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BoT a zero, in attesa del grande botto
di Claudio Conti
In calce articoli di Plateroti dal Sole24Ore e di Martin Wolf dal Financial Times
La notizia è da prima pagina. Ma siccome nessuno sa bene come trattarla quasi tutti spingono il tasto “ottimismo” e fanno finta di non vedere l'altra faccia della medaglia.
Partiamo dunque dalla notizia semplice semplice: ieri il ministero del Tesoro (ora accorpato a quello dell'Economia) ha collocato BoT a scadenza di sei mesi a un tasso di interesse pari a zero. In pratica, il Tesoro chiede un prestito sui mercati e tra sei mesi non pagherà nulla come “retribuzione del capitale”, limitandosi a restituire la cifra ricevuta.
L'Italia non è l'unico paese europeo a godere di questa eccezionale situazione finanziaria. Tutti i paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia, ecc), più paesi fuori dell'euro come Svizzera, Svezia e Danimarca, sono da qualche mese in una situazione ancora migliore perché possono addirittra restituire meno di quel che hanno ricevuto in prestito, visto che pagano interessi sia pur infinitesimamente negativi: -0,2%.
Se si spinge il tasto “evviva” il quadro è splendido: un paese in queste condizioni può rifinanziare il proprio debito gratis, o addirittura guadagnandoci, togliendo così un peso enorme dai conti pubblici (chiamato “servizio del debito”, ossia interessi).
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Axolotl
di Luciano Parinetto
«In certi laghi del Messico vive un animale dal nome impossibile fatto un po’ come una salamandra. Vive indisturbato non so da quanti milioni di anni come se niente fosse, eppure è il titolare e il responsabile di una specie di scandalo biologico: perché si riproduce allo stato larvale… Insomma, è come se un bruco, anzi una bruca, una femmina insomma, si accoppiasse con un altro bruco, venisse fecondata, e deponesse le uova prima di diventare farfalla. E dalle uova, naturalmente, nascessero altri bruchi. Allora a cosa serve diventare farfalla? A cosa serve diventare un insetto perfetto? Si può anche farne a meno. Infatti, l’axolotl ne fa a meno (così si chiama il mostriciattolo, avevo dimenticato di dirvelo). Ne fa a meno quasi sempre: solo un individuo ogni cento, o ogni mille forse particolarmente longevo, un bel po’ di tempo dopo essersi riprodotto, si trasforma in un animale diverso… Neotenia, ecco come si chiama questo imbroglio: quando un animale si riproduce allo stato di larva».[1]
Lasciamo andare il contesto della novella Angelica Farfalla di Primo Levi: resta il fatto che un letterato ha visto in questa “eccezione” biologica tale un sapore utopico, da costruirvi sopra la storia di una manipolazione genetica, che parte dal presupposto «che altri animali, forse molti, forse tutti, forse anche l’uomo, abbiano qualcosa in serbo, una potenzialità, una ulteriore capacità di sviluppo. Che al di là di ogni sospetto, si trovino allo stato di abbozzi, di bruttecopie e possano diventare altri.. Che, insomma, neotenici siamo anche noi».[2]
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