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Le ragioni del profitto sulla linea di sangue tra Israele e Gaza
di Andrea Pannone
In questo articolo Andrea Pannone ragiona sulle cause strutturali del conflitto palestinese, guardando alle logiche che muovono gli interessi materiali ed economici delle potenze occidentali, Stati Uniti in primis. L'autore ci spiega come la nuova natura degli Stati nazionali sia inseparabile dagli interessi dei maggiori gruppi economico-finanziari. In questo contesto sono proprio i settori della difesa e militare ad essere maggiormente integrati a questo sistema, che si avvia ad essere uno dei principali settori trainanti dell'economia.
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Leggendo in queste settimane commenti e articoli dei media mainstream sul nuovo drammatico conflitto tra Israele e palestinesi, è difficile non riconoscere un (più o meno) intenzionale processo di allontanamento dalla comprensione delle sue reali cause, peraltro non dissimili da altri conflitti bellici attualmente in corso su scala planetaria, pur nelle loro specifiche manifestazioni geografiche, storiche e culturali. Il punto è perfettamente sintetizzato da Emiliano Brancaccio in un post su Econopoly: «Più che occuparsi di comprensione dei fatti, i “geopolitici” di grido paiono affaccendati in una discutibile opera di persuasione, che consiste nel suscitare emozioni e riflessioni solo a partire da un punto del tempo scelto arbitrariamente. Essi ci esortano a inorridirci e a prender posizione, per esempio, solo a partire dalle violenze di Hamas del 7 ottobre 2023, mentre suggeriscono di spegnere sensi e cervelli sulla trasformazione israeliana di Gaza in un carcere a cielo aperto, o su altri crimini e misfatti compiuti dai vari attori in gioco e anteriori a quella data. Inoltre, come se non bastasse l’arbitrio del taglio temporale, ci propongono di esaminare i conflitti militari come fossero mera conseguenza di tensioni religiose, etniche, civili, ideali. Quasi mai come l’esito violento di dispute economiche».
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La riforma previdenziale del Governo Meloni
di Emiliano Gentili, Federico Giusti e Stefano Macera
La strategia del Governo sembra puntare a rendere difficile e meno conveniente il pensionamento anticipato. Con il passare degli anni, essendo sempre più residuale la componente di spesa associabile al calcolo retributivo degli importi pensionistici (sistema misto)1, il risparmio per le casse dello Stato è divenuto via via meno consistente.
Tutte le forme di pensionamento anticipato, difatti, comportano una riduzione della pensione in cambio della sua erogazione anticipata per alcuni anni. Se questa, con la scomparsa del calcolo retributivo degli importi, si va riducendo di per sé, la convenienza per lo Stato del pensionamento anticipato viene gradualmente meno.
E così il Governo ha deciso di renderlo meno oneroso per le casse pubbliche, modificandone i parametri d’accesso, calcolando l’importo degli anni di pensione anticipata interamente col sistema contributivo e abbassando, per di più, il limite di importo massimo consentito dell’assegno mensile (sì, perché non si può andare anticipatamente in pensione con importi troppo elevati).
I lavoratori iscritti alla Cassa pensione dipendenti enti locali, alla Cassa pensione sanitari, alla Cassa pensione insegnanti e alla Cassa pensione ufficiali giudiziari, invece, subiranno una modifica peggiorativa delle aliquote di calcolo della componente retributiva della pensione.
A perderci saranno principalmente le pensioni dei dirigenti, ma anche uno stipendio medio-basso come quello dell’impiegato degli enti locali lascerebbe sul campo oltre il 3%, che per redditi di questo tipo non è poco.
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Esoterismo e politica economica
di Roberto Artoni
Le decisioni sono soggette ad ampi margini di discrezionalità per l’inosservabilità di molti parametri che ne dovrebbero essere la base. E’ comunque illusorio definire le scelte con il ricorso a modelli e relative stime econometriche che per la loro molteplicità e indeterminatezza non possono che far emergere nell’adozione di specifiche politiche presupposti collocabili fra l’ideologico e il prescientifico.
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1 - Le scelte di politica economica sono caratterizzate da un notevole grado di esoterismo: la stragrande parte della popolazione ritiene più o meno consciamente che esista una verità univocamente definita, penetrabile solo da pochi sacerdoti e non acquisibile dai profani.
L’esempio, a mio giudizio tipico, è costituito dalle manovre dei tassi di interesse attuate da Federal Reserve e Banca Centrale Europea al fine di controllare il tasso d’inflazione, riportandolo al valore obiettivo. Conviene premettere che il tasso di interesse manovrato dalle autorità monetarie è costituito dal tasso di rifinanziamento principale, ovverosia dal tasso che le banche devono corrispondere all’ECB quando prendono a prestito a breve termine.
2 - Nell’interpretazione delle manovre di politica monetaria delle banche centrali, è ricorrente nei testi di politica economica la cosiddetta regola di Taylor [Storm 2023], che ha a prima vista un aspetto non accattivante, ma è facilmente intellegibile:
i = p +r* + a(p –p*) +b (y – y*)-
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Che cosa c'entrano i BRICS con la guerra in Ucraina?
di Visconte Grisi
C’è un elemento che non viene adeguatamente considerato quando si parla delle motivazioni profonde della guerra in Ucraina, vale a dire l’importanza assunta dalla questione logistica e, in particolare, dal controllo dei porti e delle vie di comunicazione marittima del Mar Nero nel commercio del grano ucraino e delle materie prime russe. Questa motivazione profonda, che sovente viene nascosta dietro le rivendicazioni territoriali sul Donbass di cui non vengono specificate le ragioni, è venuta chiaramente in luce in seguito a un episodio del conflitto risalente ai primi di agosto e di cui hanno parlato le cronache.(1)
In quella occasione i russi hanno attaccato e “distrutto un grande silos granario e altre attrezzature portuali” situate nei pressi di Odessa a pochi chilometri dal territorio della Romania. L’azione mirava naturalmente a ostacolare l’esportazione dei cereali ucraini e, quindi, ad “eliminare il principale concorrente dal mercato” visto che “Russia e Ucraina sono tra i principali produttori agricoli mondiali”. L’Ucraina ha risposto all’attacco colpendo due navi russe nel porto di Novorossijsk sul Mar Nero, a poca distanza da un “gigantesco hub russo di esportazione di materie prime” comprendenti grano, petrolio, carbone e fertilizzanti. Per di più nello stesso terminal marittimo “arriva il petrolio del Kazakistan con cui l’Italia e l’Occidente hanno aumentato i contratti dopo le sanzioni a Mosca”, senza contare che “dietro l’etichetta del petrolio kazako si nasconde la fornitura di greggio russo”.
La guerra quindi può ostacolare, ma non riesce a fermare il commercio internazionale conseguente al formarsi del mercato mondiale. La stessa cosa si può dire per la guerra economica scatenata dagli Stati Uniti contro la Cina iniziata già ai tempi di Obama, portata poi a livelli più alti da Trump attraverso l’imposizione di dazi doganali e il blocco dei prodotti delle principali società tecnologiche cinesi come Huawei, politica poi proseguita da Biden, in particolare sulla questione dei chips o semiconduttori.(2)
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European Digital Id Wallet
di Glauco Benigni
Per darci “sicurezza, fiducia e garanzie” la UE vuole in ostaggio il nostro “gemello digitale”
Da qualche anno, ma sempre con maggiore insistenza, in Europa si parla di un “Portafoglio digitale personale”. Cioè di una App tipo Green Pass, anzi una evoluzione della stessa tecnologia, che secondo molti può rappresentare una forma di controllo estrema e molto raffinata. Di che si tratta ?
Ce lo ho spiegò già nel settembre 2020 la Signora Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, con queste parole:
“Ogni volta che un’App o un sito web ci chiede di creare una nuova identità digitale o di accedere facilmente tramite una grande piattaforma, non abbiamo idea di cosa succede ai nostri dati in realtà. Per questo motivo la Commissione proporrà una sicura identità europea. Qualcosa di cui ci fidiamo e che ogni cittadino possa utilizzare ovunque in Europa per fare qualsiasi cosa, dal pagare le tasse all’affitto di una bicicletta. Una tecnologia in cui possiamo controllare noi stessi, quali dati vengono utilizzati e come.”
Da queste parole sembrerebbe di capire che la Commissione Europea si sia stancata del fatto che i satelliti dei “5 Eyes” (le Nazioni anglofone) e i Social network raccolgono dati, li inoltrino ai loro Servizi Segreti e li vendano anche alle Aziende multinazionali, tipo pubblicitari e farmaceutiche … e quindi si sia detta … “No, basta ! Visto che del GDPR (il Regolamento europeo per la protezione della privacy) se ne fregano, allora i dati li raccogliamo anche noi.”
Attualmente ogni Stato membro della UE può sviluppare sistemi di “identificazione elettronica”, ma tali sistemi non sono ancora interoperabili con gli altri Stati. La nuova proposta sanerà tale carenza e in dettaglio:
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Esiste davvero la velocità della luce?
Considerazioni sulla capacità della fisica di distinguere tra parole e cose
di Franco Piperno
Un testo di Franco Piperno, pensato originariamente per la Scuola di Dottorato «Archimede» e per il Dottorato in Filosofia dell'Unical.
«Riuscire a districare il reale dal linguistico, le cose dalle parole è un obiettivo importante per possedere a pieno i fondamenti logici della teoria relativistica e potere eventualmente superarne i limiti e le contraddizioni. Purtroppo questa attenzione critica agli aspetti semantici della teoria – quelli che la mettono in comunicazione con il senso comune — difetta in generale tanto nei testi quanto nelle lezioni e nei seminari universitari. Da questo punto di vista, sembra essenziale che per quanto riguarda i fondamentali della disciplina, non ci si limiti ai manuali ma si favorisca la lettura degli scritti originari, quelli che hanno determinato le rotture epistemologiche nella storia della fisica».
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Introduzione - Velocità versus tempo. Dal tempo assoluto di Newton alla velocità assoluta di Einstein
I) Introduzione.
Il concetto di simultaneità costituisce la chiave di volta della relatività speciale. I famosi effetti di contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi riposano interamente sulla relatività della simultaneità.
All’età di sedici anni, Einstein, come racconta nelle sue Note autobiografiche, aveva avvertito una certa inquietudine davanti al ruolo che svolge la velocità della luce nell’elettromagnetismo; ma solo cinque anni più tardi aveva trovato un modo di trattare la questione ricorrendo al concetto di simultaneità.
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Capitalismo woke
di Matteo Bortolon
Carl Rhodes: Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi, 2023
Il capitalismo è diventato di “sinistra”? Quello che parrebbe un paradosso, più che una provocazione, è un quesito al centro di un testo, (C. Rhodes, Capitalismo woke, Fazi 2023) di estrema attualità, e forse persino anticipatore per quanto riguarda il dibattito italiano ed europeo. Si dedica a un fenomeno tipicamente statunitense, che ancora pare non abbia lambito significativamente il Vecchio Continente, e cioè l’attitudine delle aziende a sostenere cause progressiste quali l’ambiente, le cause LGBT, l’antirazzismo, i diritti delle donne e simili.
Il libro in poco più di 300 pagine svolte il tema in 13 capitoli, leggibili quasi indipendentemente dal resto; il primo di essi enuncia la questione in termini generali, e ciascuno dei seguenti lo specifica e arricchisce in base a esempi specifici.
L’elemento di riferimento centrale è il termine woke, di cui l’autore fornisce una essenziale ma completa illustrazione: come si descrive nel terzo capitolo (Il capovolgimento dell’essere woke), la parola (che letteralmente significa “risvegliato” o per estensione semantica “consapevole”) nel suo senso politico deriva la sua accezione da un discorso di Martin Luther King e dal milieu del movimento per i diritti dei neri negli Usa, ma è stata resa celebre al di là di tale ambiente dalla cantante soul Erykah Nadu nel 2008, finché il movimento Black Lives Matter l’ha consacrata nel 2013 come parola chiave del progressismo contemporaneo.
Successivamente woke da termine molto connotato in una radicalità sociale (antirazzismo ma anche anticapitalismo, antimperialismo ecc.) ha avuto uno slittamento semantico per designare una attenzione un po’ ipocrita e ostentativa a cause progressiste di moda quali il razzismo, il cambiamento climatico, la parità femminile, e simili.
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Lo scorpione israeliano pungerà la rana statunitense?
di Alastair Crooke
Netanyahu sta preparando la scena per intrappolare l'amministrazione Biden, facendo in modo che gli Stati Uniti abbiano poca scelta se non quella di unirsi a Israele
L’allegoria è quella dello scorpione che ha bisogno della rana per poter attraversare un fiume in piena, facendosi trasportare sulla schiena della rana. La rana diffida dello scorpione, ma accetta con riluttanza. Durante la traversata, lo scorpione punge fatalmente la rana mentre nuota con lui sulla schiena. Entrambi muoiono.
Si tratta di un racconto dell’antichità che intende illustrare la natura della tragedia. La tragedia greca è quella in cui la crisi al centro di ogni “tragedia” non nasce per puro caso. In senso greco, la tragedia è quella in cui qualcosa accade perché deve accadere, per la natura stessa dei partecipanti, perché gli attori coinvolti lo fanno accadere. E non hanno altra scelta se non quella di farlo accadere, perché questa è la loro natura.
È una storia che è stata raccontata da un ex diplomatico israeliano di alto livello, esperto di politica statunitense. La sua versione della favola della rana vede i leader israeliani impegnati a scrollarsi disperatamente di dosso la responsabilità per la disfatta del 7 ottobre, con un Gabinetto che tenta in tutti i modi di trasformare (psicologicamente) la crisi da disastro colpevolizzabile a epica opportunità da presentare al pubblico israeliano.
La chimera che viene presentata è che, tornando indietro alla vecchia ideologia sionista, Israele possa trasformare la catastrofe di Gaza – come ha sostenuto a lungo il ministro delle Finanze Smotrich – in una soluzione che, una volta, per tutte “risolva unilateralmente la contraddizione intrinseca tra le aspirazioni ebraiche e palestinesi – ponendo fine all’illusione che sia possibile qualsiasi tipo di compromesso, riconciliazione o spartizione“.
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Giorgio Agamben
di Carlo Crosato
Fin dalle sue primissime battute, la filosofia di Giorgio Agamben si è impegnata in una profonda critica del pensiero occidentale, studiando la natura nichilistica della sua metafisica, e le sue implicazioni politiche. Strutturandosi attorno a una innovativa ontologia politica, l’oggetto di maggiore interesse è del pensiero agambeniano è l’umano occidentale, la sua azione, la conoscenza, il linguaggio. La combinazione di ontologia politica e critica dell’antropologia occidentale è giunta a produrre, con la serie Homo sacer, una filosofia politica fortemente coinvolta nel rapporto fra la politica e la vita: una biopolitica, in cui è in gioco la stessa definizione della natura umana.
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Giorgio Agamben nasce a Roma nel 1942. Si laurea in giurisprudenza nel 1965 discutendo una tesi sul concetto di persona nella filosofia di Simone Weil. Il suo vero primo incontro con la filosofia, tuttavia, avviene nel 1966 e nel 1968, quando è invitato a partecipare a due seminari tenuti a Le Thor da Martin Heidegger, su Eraclito e Hegel. Sono altrettanto fondamentali lo studio di Walter Benjamin e il metodo di Aby Warburg, con cui il trentaduenne Agamben entra in contatto a Londra presso la biblioteca del Warburg Institute, dove lavora al suo secondo libro, Stanze. Se Heidegger influenza Agamben nello studio critico della metafisica occidentale, e Benjamin è descritto da Agamben come l’antidoto per la filosofia di Heidegger, rappresentando un’ispirazione per la riflessione sul tempo e sulla salvezza, l’ammirazione agambeniana per il metodo di Warburg segna il suo intero lavoro filosofico imprimendogli un carattere fortemente multidisciplinare.
Negli anni londinesi e parigini, l’influenza del metodo di Warburg porta Agamben a preconizzare una «scienza generale dell’umano»: una scienza che, mettendo in dialogo le più diverse discipline, producesse una diagnosi dell’umano occidentale.
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"Il patriarcato è superato, la guerra tra i sessi è in atto"
Giulia Bertotto intervista Andrea Zhok
Andrea Zhok, professore di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Milano, collabora con numerose testate giornalistiche e riviste. Tra le sue opere ricordiamo le più recenti: “Critica della Ragione Liberale” 2020, “Oltre Destra e Sinistra: la questione della natura umana”, quest’ultima opera è stata data alle stampe dalla coraggiosa casa editrice Il Cerchio, che ha pubblicato anche “La Profana Inquisizione e il regno dell’Anomia. Sul senso storico del Politicamente Corretto e della Cultura Woke” (2023).
In quest’ultimo, agile ma densissimo saggio, dotato di straordinaria forza critica, spiega come il potere della censura, una volta detenuto dalle istituzioni ecclesiastiche, sia oggi appannaggio di quel movimento liberal soprattutto americano, che condiziona anche il nostro sistema categoriale e valoriale.
Questo “atteggiamento di ispezione poliziesca del linguaggio” spiega, nasce in ambito accademico per non offendere alcuna minoranza oppressa, e si fonda su un importante scollamento intellettuale dal registro e dal linguaggio popolare. Ma si badi bene -non è solo una questione formale- perché le parole sono ontologicamente caricate e perché ai trasgressori del comandamento politicamente corretto viene resa inagibile la partecipazione al dibattito pubblico su temi fondanti come “l’educazione, la famiglia, la struttura della società, la procreazione, l’affettiva, la natura e la storia umane”. Così ben presto la difesa delle categorie lese diventa strumento di diffamazione contro chiunque intenda argomentare il dogma della vittima.
Nella società della Profana Inquisizione “Non esiste propriamente alcun valore, ma un unico disvalore: la violazione dello spazio altrui”.
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Numeri e forme
di Nicola Pinzani*
Il rapporto profondo tra algebra e geometria ne Il Teorema di Pitagora di Paolo Zellini
L’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti. Rappresentato dalla celeberrima raffigurazione di quadrati, cateti e ipotenuse, il teorema fluttua come una sentenza sui quaderni e sulle lavagne di tutto il mondo. È diventato simbolo di un metodo, di un canone che dà importanza all’insegnamento dei fondamenti di una comprensione intuitiva dello spazio. Una parte esoterica dell’apprendimento, condivisione di antichi saperi silenziosi, ora praticamente muti nella loro stasi formale. Questa singolarità lapidaria diventa pretesto, più che vero protagonista, di un discorso che, nell’ultimo libro di Paolo Zellini, Il Teorema di Pitagora (Adelphi, 2023), attraversa millenni di storia del pensiero geometrico.
Non è facile accontentare lettori bulimici di dati, storie e fatti; i teoremi non se ne nutrono e non ne vengono nutriti, e raramente diventano argomento esplicito di discussione. Queste ambigue pietre miliari del pensiero non si possono comprendere esclusivamente nella loro veste formale, ma devono essere inserite e interpretate all’interno di canoni che appartengono all’arcaicità, a dimensioni che in virtù della loro estraneità temporale coinvolgono l’intera forma del pensiero.
Zellini è professore ordinario di analisi numerica all’Università di Roma Tor Vergata. La sua carriera accademica si muove all’interno dei confini dell’algebra lineare e dell’ottimizzazione numerica: discipline che sembrano stridere con l’afflato letterario della sua scrittura. È solo un pregiudizio, così come è un pregiudizio quello che porta molti scienziati a credere che solamente la matematica cosiddetta “pura” possa, con parsimonia, adornarsi di strappi nel tessuto formale, fenditure attraverso le quali intravedere una luce diversa dal caustico bagliore del formalismo.
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Il “Karl Korsch” di Giorgio Amico
Sulle opportunità di un nuovo dibattito "korschiano"
di Afshin Kaveh
Giorgio Amico: Karl Korsch. Dal consiliarismo al marxismo critico, Massari Editore, 2023
Giurista, filosofo, rivoluzionario di professione, ministro, cospiratore, soldato valoroso, pacifista coerente, Karl Korsch è stato tutto questo e molto di più. Amico personale di Amadeo Bordiga e di Bertold Brecht, ispiratore della Scuola di Francoforte, compagno di studi di Kurt Lewin, avversario di Stalin - Korsch ha segnato in molti modi la storia del Novecento.
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I
Nulla da togliere alle personalità che, più di cinquant’anni fa, hanno ruotato attorno alla presentazione e discussione critica delle prime edizioni italiane delle opere di Karl Korsch – tra gli altri, Colletti, Rusconi, Perlini e Vacca –, ma è sempre stata evidente la mancanza di uno studio serio che, tirando le somme, riuscisse a collocare Korsch nel suo contesto storico, di modo poi da poterlo proiettare e restituire a noi. Che quei contributi accumulati e invecchiati di cinque decenni, tra articoli in dotti volumi, introduzioni, prefazioni, saggi originali e brevi studi particolari, non soddisfino pienamente l’esigenza di cedere al signor Korsch il posto e lo spazio che merita nel contesto della critica radicale, non è di certo data dal tempo, il quale scorrendo come base naturale ha fatto decadere nel dimenticatoio la grande maggioranza di quegli scritti, se non proprio tutti. Il vero problema è stato il vuoto costituito dalla mancanza nel contesto nostrano di un interesse e di un dibattito serio su Korsch da una parte, e dall’assenza di un’opera realmente complessiva ed esauriente sulla sua vita e sul suo pensiero dall’altra.
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Nel mondo “democratico” uno Stato sempre più autoritario
di Ascanio Bernardeschi
La pulsione presidenzialistica di questo governo non è sorprendente perché rientra nel disegno di portare a termine il processo di attuazione del “piano di rinascita democratica” di Licio Gelli. Tutte le altre indicazioni sono state realizzate nel tempo dai governi sia di centrodestra che di centrosinistra: il concentramento in mani sicure dei grandi media, il sistema elettorale maggioritario, l’eliminazione o lo snaturamento dei grandi partiti di massa, la deriva corporativa dei maggiori sindacati, lo stesso cambiamento della natura della Repubblica, ridotto a uno Stato minimo di tipo ottocentesco che rinuncia a intervenire nel governo dell’economia, o meglio torna a essere il comitato d’affari della borghesia intervenendo sì, ma solo per redistribuire la ricchezza e il potere a favore del capitale. Insomma si è avuto lo stravolgimento della nostra costituzione materiale e di buona parte di quella formale. La legge viene scritta in funzione del “diritto” del Governo a governare e non, come invece dovrebbe, della garanzia contro lo strapotere del Governo. Le opposizioni vengono marginalizzate insieme al ruolo del Parlamento. Pertanto si tratta di un progetto pericoloso e da contrastare con ogni mezzo perché comporta l’ulteriore abbattimento dei già ridottissimi spazi di partecipazione delle classi lavoratrici e una nuova compressione della stessa democrazia.
Prima di analizzare il le cause strutturali di queste trasformazioni sovrastrutturali è opportuno dare un’occhiata al senso della proposta del Governo Meloni. Intanto un elemento non secondario di gravità è sul piano del metodo che segna una torsione di tipo autoritario: la Costituzione, cioè il patto fondativo della nostra Repubblica fra diverse forze antifasciste, verrebbe a essere cambiato profondamente non attraverso un nuovo patto ma su proposta di un governo installatosi a seguito di una legge elettorale che gli ha conferito una larga maggioranza parlamentare pur non godendo esso della maggioranza assoluta dei consensi.
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Il 7 ottobre è stato un massacro di Hamas o di Israele?
di William Van Wagenen
La controversa politica militare di Israele di uccidere i propri cittadini per preservare la sicurezza nazionale potrebbe essere l’errore determinante del 7 ottobre. Ci sarebbe stato un “massacro” quel giorno se Israele non avesse adottato la Direttiva Annibale?
Recentemente si è tenuta una cerimonia di addio per la dodicenne Liel Hezroni, una ragazza israeliana del Kibbutz Be’eri morta durante l’operazione militare Al-Aqsa guidata da Hamas il 7 ottobre. Non c’è stata alcuna sepoltura tradizionale, ma solo una cerimonia, perché il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Inizialmente i funzionari israeliani affermarono che quel giorno la resistenza palestinese uccise 1.400 israeliani, di cui 112 a Be’eri. Sebbene Liel sia morta nel “ giorno più buio di Israele ”, nessun funzionario governativo ha partecipato alla cerimonia di addio per offrire le condoglianze alla sua famiglia. Né il governo israeliano ha indagato sulla sua morte né ha detto ai suoi parenti come è morta.
Questo perché Leil probabilmente non è stata uccisa da Hamas, ma dall’esercito israeliano.
Liel è morta quando le forze militari israeliane hanno sparato due colpi di carro armato contro una casa a Be’eri che eranno tenuti 15 ostaggi israeliani dai 40 combattenti di Hamas che li avevano fatti prigionieri.
Yasmin Porat, 44 anni, è uno dei due israeliani sopravvissuti all’incidente. È rimasta con Liel e altri ostaggi per diverse ore nella casa, sorvegliata, dice, da combattenti che li trattavano “umanamente” e il cui “obiettivo era rapirci e portarci a Gaza. Non per ucciderci.
La rivelazione bomba di Porat è stata che quando le forze israeliane sono arrivate, “hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi”, ha detto alla emittente israeliana Kan una madre di tre figli . “C’è stato un fuoco incrociato molto, molto pesante.”
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Lo sviluppo economico capitalistico e la guerra
di Gianfranco Pala
In memoria di Gianfranco Pala, ex docente di Economia alla Sapienza di Roma e deceduto il 14 di questo mese, si intende ricordarlo con la pubblicazione di un suo articolo sullo sviluppo economico capitalistico e la guerra, scritto nel 2005, 18 anni fa. Nonostante alcuni riferimenti ovviamente datati, l’analisi si presenta nella sua difficile ma pregnante attualità. In un presente perennemente dilaniato da crisi economica e guerre - al momento non si sa se potenzialmente estensibili a teatri bellici più ampi – un’analisi marxista che riconduce alle cause e agli obiettivi di un sistema che domina il mercato mondiale, può reindirizzare una riflessione generale che per lo più induce alla povertà ideologizzante della comunicazione mainstream. Il frastuono e l’emotività che la violenza bellica fa emergere non deve limitare, o peggio impedire, la comprensione razionale di chi guadagna sulla distruzione e morte altrui, del potere e delle istituzioni mondiali che presiedono al potere economico sempre nascosto, ma operante, dietro gli schermi da lui creati in apparente autonomia [Carla Filosa]
* * * *
N.B.: La guerra è sviluppata prima della pace:
modo in cui attraverso la guerra e negli eserciti, ecc.,
determinati rapporti economici come lavoro salariato, macchine, ecc.,
si sono sviluppati prima che all’interno della società borghese.
Anche il rapporto tra forze produttive e scambio
diviene particolarmente evidente nell’esercito.
[Karl Marx, Lf, q.M, f.21]
Marx, in conclusione dell’inedita Introduzione del 1857, lasciata nei manoscritti dedicati ai Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, al primo punto di un “notabene: alcuni punti che sono da menzionare qui e non devono essere dimenticati” pose la questione della <guerra> (riportata nell’esergo qui posto a mo’ di occhiello).
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Guerra Russia-Ucraina: la resa dei conti
L’Ucraina è alle corde
di Big Serge - bigserge.substack.com
La guerra russo-ucraina è stata un’esperienza storica inedita per diverse ragioni, e non solo per le complessità e i tecnicismi dell’impresa militare in sé. È stato il primo conflitto militare convenzionale nell’era dei social media e della cinematografia planetaria (sotto la costante presenza delle telecamere). Questo ha consentito di dare uno sguardo (anche se solo una sbirciatina) all’essenza stessa della guerra, che, per millenni, si era rivelata solo attraverso le forze mediatrici dei notiziari via cavo, dei giornali stampati e delle steli della vittoria.
Per gli eterni ottimisti, c’erano dei lati positivi nell’idea che una guerra ad alta intensità potesse essere documentata da migliaia di video in prima persona. Dal punto di vista della curiosità intellettuale (e della sagacia militare), la marea di filmati provenienti dall’Ucraina consente una visione dei sistemi e dei metodi di armamento emergenti e permette di ottenere una notevole quantità di dati tattici. Invece di aspettare anni le analisi dei rapporti post-azione e poter ricostruire la dinamica degli scontri, siamo a conoscenza in tempo quasi reale dei movimenti tattici.
Sfortunatamente, si sono verificati anche tutti gli ovvi inconvenienti della trasmissione di una guerra in diretta sui social media. La guerra è stata immediatamente sensazionalizzata e saturata da video falsi, fabbricati o con didascalie errate, saturi di informazioni che la maggior parte delle persone e degli pseudo-esperti non è semplicemente in grado di analizzare (per ovvie ragioni, una persona normale non è in grado di fare distinzioni tra due eserciti post-sovietici che utilizzano equipaggiamenti simili e parlano una lingua simile o addirittura la stessa).
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Javier Milei eletto Presidente della Repubblica Argentina
Una rivoluzione solo demagogica?
di Paolo Arigotti
Si è chiusa domenica 19 novembre, col ballottaggio, la corsa alla Casa Rosada, sede della presidenza della Repubblica Argentina. Fino all’ultimo c’è stata incertezza circa l’esito finale del duello, che ha visto fronteggiarsi il peronista Sergio Massa, ministro dell’Economia, e Javier Milei[1], candidato ultraliberista: come noto, il confronto si è concluso appannaggio di quest’ultimo. Il 72 per cento circa degli aventi diritto recatosi alle urne, percentuale di poco inferiore a quella registrata al primo turno (nel paese esiste un parziale obbligo di voto), ha assegnato a Milei il 55,69 per cento dei suffragi, contro il 44,31 andato al rivale: il vincitore ha ottenuto complessivamente più voti di qualsiasi altro candidato presidenziale dal 1983 (parlando sempre del secondo turno), con un importante successo nelle regioni dell’interno.
Milei ha potuto contare sull’appoggio dei leader del centrodestra di “Uniti per il Cambio”, formazione arrivata terza al primo turno col 24 per cento dei voti (candidato Patricia Bullrich): tra i suoi leader figura l’ex presidente della Repubblica Mauricio Macri[2], che ha offerto il suo sostegno a Milei nonostante i molti dissensi presenti all’interno della sua stessa compagine.
Un ulteriore e importante sostegno per la vittoria di colui che si è definito “anarco capitalista” è arrivato dagli elettori più giovani, che hanno intravisto in Milei un’opportunità di cambiamento radicale, in quanto candidato che si opponeva dichiaratamente al “sistema”[3].
Sul fronte opposto, a favore di Massa si erano schierati diversi leader latino-americani, tra i quali l’ex presidente uruguaiano José "Pepe" Mujica, considerato vicino all’allora governo argentino guidato da Cristina Fernández de Kirchner.
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La crisi del Modo di Produzione Capitalistico e la Rivoluzione in Occidente
di Giacomo Marchetti
Nel quadro dell’annuale Fête de l’Association National des Communistes si è svolto il dibattito “Di fronte alla militarizzazione dell’economia globale, come lottare per la pace e il progresso sociale?” con gli interventi di Charles Hoareau (ANC de France), Saïd Bouamama (Rassemblement Communiste), Marie-Josée Ngomo e Mariam Bah (Dynamique Unitaire Panafricaine). Un dibattito ricco, interessante e proficuo sul ruolo dei comunisti nella nuova fase della competizione internazionale e di crisi dell’egemonia dell’imperialismo occidentale. Di seguito l’intervento di Giacomo Marchetti (Rete dei Comunisti).
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Nell’agosto del 2021, commentando la precipitosa fuga dell’Occidente dall’Afghanistan, scrivevamo nell’editoriale del nostro quotidiano Contropiano.org: «I talebani hanno vinto, le potenze occidentali hanno perso. Gli sconfitti si portano dietro quel sistema di relazioni, ormai oggettivamente indebolite, che aveva caratterizzato la fine del mondo bipolare.
Perde quindi un mondo che aveva scommesso sul complesso militar-industriale e le “guerre infinite” come motore principale di sviluppo – tagliando sul Welfare e aumentando il Warfare – in una mutazione castrense e poliziesca della funzione dello Stato. Gli USA avevano pensato che quel meccanismo inaugurato di fatto dalla Reagan-Economics, con la corsa agli armamenti contro l’Unione Sovietica, avrebbe pagato all’infinito.
Un mondo che, come riflesso culturale indotto, non si accorgeva che oltre il suo Limes mentale un paese della periferia integrata – la Cina – stava diventando “la fabbrica del mondo” di prodotti ad alto valore aggiunto, mentre la Russia cessava di essere una “potenza regionale”, come la definì Obama in maniera quasi spregiativa, per diventare un global player cui non è conveniente pestare i piedi».
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La fede nella ragione critica ed emancipativa nel lavoro di Stefano Petrucciani
di Mario Reale
Una riflessione di Mario Reale sul pensiero e la ricerca di Stefano Petrucciani in questi anni di attività accademica. Discorso tenuto presso il dipartimento di Filosofia della “Sapienza” in Roma il 14 novembre 2023. Il presidente di Filosofia in Movimento traccia un profilo intellettuale del filosofo e studioso romano
Il primo libro di SP (Stefano Petrucciani) dal titolo Ragione e Dominio. Autocritica della razionalità occidentale in Adorno e Horkheimer, Salerno Editrice, 1984, meriterebbe senz’altro, a quarant’anni esatti dalla sua uscita, una seconda edizione. Anzitutto perché, con padronanza dei testi e della letteratura critica, vi si esamina, in una sorta di amplissimo commento a Dialettica dell’illuminismo, la prima opera a quattro mani dei due fondatori della «scuola di Francoforte», e quindi perché vi sono chiamati in causa e discussi con acutezza, molti e impegnativi autori rilevanti per il tema prescelto: da Hegel e Marx, a Schopenhauer, Nietzsche e, con particolare cura, Lukàcs. Ma, più ancora, il testo si raccomanda per la maturità e novità dell’interpretazione che, per illustrare un’originale tesi circa la critica all’illuminismo dei due autori, si serve di tutte le possibili risorse della «razionalità occidentale», nella convinzione che mai dalla ragione – né sembri una cosa ovvia – si possa uscire, e che per «ragione» debba intendersi uno strumento critico e d’intrinseca ricchezza, come già in nuce nel pensare-dire di Aristotele in Metafisica IV, 4, quasi alle origini della tradizione del pensiero nato in occidente e che Kant riconosceva ancora necessariamente nostro. Da ogni immersione critica la ragione sembra riemergere quasi chiedendo una nuova definizione, poiché esce rafforzata ogni volta che, conoscendo il mondo, allarga altresì la sua forza e la consapevolezza di sé.
La ragione è una realtà che si mantiene, per quanto forti siano le critiche che possano esserle rivolte, e che debbono essere di necessità risolte per SP in auto-obiezione, in un movimento che va entro di sé, per uscirne più avvertito e vigoroso.
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Una guerra senza vie d’uscita
di Nicola Lamri
Per cogliere il senso dell’attacco del 7 ottobre e del conflitto attuale come scontro dentro uno stato segregazionista, bisogna incrociare le mappe con il territorio, considerare i flussi demografici, tenere presente il modello coloniale
«La mappa conta», ricordano Christine Leuenberger e Izakh Schnell in un recente saggio incentrato sulla sfida cartografica posta dal conflitto israelo-palestinese. La mappa conta poiché contribuisce a imporre l’immagine, altrimenti intangibile, della nazione. Essa conta, poiché fonda l’unione della carta e del territorio, del piano della rappresentazione e di quello reale, conditio sine qua non per l’esistenza della comunità immaginata, all’interno della quale il popolo di una nazione moderna diviene pensabile. La mappa conta poiché è uno strumento politico, che tradisce lo sguardo di un’epoca sulla realtà circostante. «L’arte di irrigidire la vita in un sistema di segni», per dirla con Franco Farinelli, è il presupposto per qualsiasi interpretazione esaustiva dei fatti del mondo.
A ogni intensificazione degli attacchi israeliani contro le popolazioni palestinesi, torna a circolare online una mappa stilizzata, volta a illustrare il processo di progressiva espansione territoriale dello Stato ebraico a scapito di quello arabo. Ne esistono varie versioni, ma una delle più popolari è la carta in cui la sorte della Palestina viene comparata a quella dei nativi americani. Come nel caso delle popolazioni indigene dell’America settentrionale, si legge fra le righe, i palestinesi sarebbero destinati a finire nelle riserve.
Illusione ottica
Da qualche tempo, la visione della mappa rappresentante le «Palestinian lands», ridotte progressivamente a una serie di enclaves territoriali, circondate dalle ben più omogenee «Israeli lands», è fonte per me di turbamento.
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Palestina: strategie a confronto
di Enrico Tomaselli
Proviamo a indagare l’attuale fase del conflitto israelo-palestinese sotto il profilo strettamente militare: le strategie, le tattiche, le scelte fatte – e le condizioni oggettive – di una guerra in cui comunque interagiscono, direttamente o indirettamente, molti attori, ciascuno con i propri interessi e le proprie esigenze. Proprio per ciò, un puzzle complicato da risolvere.
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In ogni conflitto non c’è solo lo scontro tra forze militari. Ci sono sempre (questo anche prima) due strategie che si confrontano. E se, come ci ricordava von Clausewitz, la guerra è il proseguimento della politica con altri mezzi, allora queste strategie non sono mai esclusivamente militari.
Il parlare di strategie, però, implica l’idea che ci sia un disegno, un piano, che tenga insieme degli obiettivi da conseguire con le mosse necessarie per conseguirli. Il che, a sua volta, comporta che vi sia un prevalere del calcolo razionale, rispetto al dato emotivo, che pure è ineludibile.
La prima cosa da chiedersi, dunque, è se vi siano effettivamente strategie che si stanno confrontando, nell’ambito del conflitto israelo-palestinese, così come esso si è andato delineando dal 7 ottobre in avanti. E, solo successivamente, se è il caso, indagarle.
Ora, in un conflitto così lungo (quasi secolare) e così aspro, è ovvio che vi siano componenti che affondano le proprie radici nei sentimenti e nelle emozioni; il dolore, la nostalgia, la rabbia, la paura, l’odio. Quindi, non possiamo aspettarci di non trovarne traccia, da ambo le parti. Si tratta piuttosto di capire in quale misura tutto ciò agisca nel determinare le scelte degli uni e degli altri.
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Il complesso militare e industriale degli Stati Uniti (e dell’Europa)
di Paolo Arigotti
Il segretario di stato (leggi, ministro degli Esteri) degli USA, Anthony Blinken, ha tenuto lo scorso 13 settembre un discorso alla John Hopkins School of Advanced International Studies[1], considerato uno dei “templi” della strategia a stelle e strisce, nel quale, pur ribadendo l’avversione dell’Amministrazione Biden nei confronti della Russia, ha confermato che la maggiore sfida alla leadership (o dominio, se preferite) politica, economica e militare degli States è rappresentata, specie nel lungo periodo, dalla Cina; tenuto conto del livello di “autonomia” del quale godono gli “alleati” di Washington (pensiamo solo a Giappone o Europa, Italia in primis) è ovvio che questo messaggio rappresenta una sorta di “direttiva” non ufficiale per tutte le “province” dell’impero.
In sostanza, il cambio di “colore” dell’Amministrazione statunitense non sembra aver inciso più di tanto sull’orientamento politico di Washington, che già al tempo di Donald Trump aveva individuato nella Repubblica popolare il principale avversario, forse l’unico in grado di tenere testa e/o contrastare, per lo meno nel lungo periodo, i disegni egemonici di Washington e scardinare quella sorta di unipolarismo scaturito dalla fine della guerra fredda.
La potenza americana deriva innanzitutto da quella militare. Le forze armate USA sono stanziate in circa 170 paesi sparsi per l’intero globo, e sono almeno 76 gli stati che ospitano le circa 642 basi presenti nei quattro angoli del mondo[2]; per la cronaca nella nostra penisola le basi NATO sono 120, cui se ne aggiungerebbe una ventina di non ufficiali[3]. Gli Stati Uniti surclassano nettamente il resto del pianeta anche per quanto concerne la spesa militare: nel 2022 il budget di Washington ha toccato gli 876 miliardi di dollari, cifra da sola equivalente a quella stanziata da undici tra le più grandi nazioni: Cina, Russia, India, Arabia Saudita, Gran Bretagna, Germania, Francia, Corea del sud, Giappone, Ucraina e Canada.
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Gaza. Disumanizzazione e ottimismo della disperazione
di Ruba Salih
Solitamente odiamo i silenzi ingombranti, quelli dei momenti dove una conversazione incespica e uno iato riempie goffamente lo spazio. Naturalmente facciamo ciò che possiamo per evitarli. Tuttavia, questo non è il caso di Gaza. Qui amiamo il silenzio, perché significa una pausa dalla morte e distruzione. Finché non è brutalmente rotto di nuovo dal rumore dei missili, che fanno traballare le nostre case e danzare i nostri cuori di paura… La scorsa notte siamo rimasti tutti nelle nostre stanze, ma mentre i bombardamenti divenivano sempre più fuori controllo e frequenti, abbiamo deciso di stare tutti insieme in una stanza nel mezzo della casa. Quella notte nessuno ha dormito fino all’alba. Alcune notti passano e finalmente il bombardamento si ferma. Ma la distruzione ha lasciato un segno di morte nei cuori della mia famiglia. Una parte significativa della nostra storia è stata ora distrutta. So che molti altri residenti di Gaza hanno sofferto molto di più. Le bombe hanno distrutto molte vite, molti sono diventati orfani, intere famiglie sono state distrutte e alcuni sono ancora sepolti sotto le loro case, mentre altri sono stati bombardati mentre fuggivano, in strada. Alcuni sono rimasti amputati e menomati. Chi è sopravvissuto ha perso una parte della sua anima…
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Le parole di Yusef Maher Dawas, tratte dal sito We are not numbers di cui è stato fondatore, raccontano del bombardamento israeliano a Gaza, a cui è sopravvissuto nel maggio 2022. Yusef è morto insieme a numerosi membri della sua famiglia quando la sua casa a Beit Lahia è stata bombardata il 14 ottobre 2023.
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Le cause economiche dietro il massacro di Gaza
di Maurizio Brignoli
Di seguito un commento de l'Autore di "Jihad e imperialismo", LAD edizioni, sulla mattanza in corso a Gaza da un punto di vista poco approfondito: l'economico
Gli eventi come le guerre, notoria continuazione della politica di stato con altri mezzi, hanno alle spalle una struttura economica. Proviamo ad allargare quindi la prospettiva e a cercare motivazioni allo sterminio dei palestinesi che vadano al di là della rappresaglia scatenata dopo la sanguinosa operazione Tempesta di al-Aqsa del 7 ottobre.
I piani di pulizia etnica, trasferimento forzato di popolazione e, in ultima istanza, genocidio non corrispondono solo al razzismo intrinseco alla dottrina sionista, che nasce con tutte le peculiarità di un’ideologia colonialistica, e alla necessità di stroncare la lotta di liberazione nazionale palestinese, ma corrispondono anche agli interessi del capitale occidentale (israeliano e non solo). Questi piani si inseriscono a loro volta nel contesto più ampio dello scontro interimperialistico che vede gli Usa (e il subordinato europeo) sempre più in difficoltà sul piano strutturale nei confronti dei concorrenti cinesi. Difficoltà che porta l’imperialismo occidentale a cercare di utilizzare l’unica arma efficace che ha ancora a disposizione e uno dei pochi settori produttivi in cui mantiene una predominanza: la guerra.
Guerra per i giacimenti e piani di deportazione
Che peso hanno gas e petrolio nel contesto del massacro in atto? Nel momento in cui l’Ue ha ridotto fortemente gli approvvigionamenti dalla Russia, il Medioriente e il Nord Africa (dove si trovano il 57% delle riserve mondiali di petrolio e il 41% di quelle di gas) hanno visto aumentare le richieste per le loro risorse energetiche.
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Un “pacchetto sicurezza” che trasuda paura e infamia
di Dante Barontini
Premessa necessaria. In questo periodo storico, in questo paese, siamo in presenza del minimo storico per quanto riguarda la conflittualità sociale, i fatti di criminalità, rivolte sociali e carcerarie.
Di questi tempi la principale causa di morte violenta è… andare a lavorare. I morti di lavoro del 2023 sono fin qui 1.068 (aumenteranno di certo entro sera, persino in una giornata di sciopero generale). Sul lavoro sono 823, in itinere 245, per una media quotidiana di 3,3. Un “diluvio di Al Aqsa” che si ripete ogni anno…
Se poi andiamo a guardare le statistiche sugli omicidi, in drastico calo da decenni, possiamo facilmente notare come la “tipologia principale” siano ormai i femminicidi: 103, finora, nel solo 2023. Quasi tutti avvenuti “in famiglia”, commessi da chi si conosceva bene, non “per strada nella notte” ad opera di sconosciuti.
Potremmo dunque dire che di tutto si sentiva il bisogno tranne che di un nuovo “pacchetto sicurezza”. Ma un governo para-fascista non ha molti altri argomenti nel suo piccolo “campionario delle idee”, e dunque ha approvato ieri un insieme di norme di dubbia coerenza giuridica, ma “fedeli” ad una mentalità preistorica.
Data la gravità di alcune di esse, sarà però bene prima analizzarle una per una e poi tracciare un giudizio sintetico.
Occupazioni di case
«Chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, è punito con la reclusione da 2 a 7 anni».
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