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sinistra

Laicismo e rivoluzione passiva

di Salvatore Bravo

Ogni epoca ha i suoi dogmi, le sue verità incondizionate. Nel caso dell’assetto sociale ed economico vigente la cultura laica è il totem identitario dell’occidente nichilistico. Nessuna comunità sopravvive in assenza di valori comuni, espressione del progetto politico che ne giustifica l’esistenza. La cultura laica utilizzata come spada e bilancia per dividere l’occidente dagli altri, e per misurare le culture altre, è divenuta nell’arco degli ultimi decenni la vera ideologia dell’occidente. Laicità come cultura universale, sgabello dei diritti civili, strumento per aggregare i cittadini monadi ed indirizzare la loro aggressività, a seconda delle contingenze, contro il nemico interno o, in alternativa, contro il nemico esterno. Vi è sempre un nemico da tacitare con la cultura del silenzio o con qualche civile bombardamento. La laicità è ostentata nella imitazione folcloristica dei costumi “degli altri”, nella difesa intransigente e collettiva del diritto di tutti a tutto. Naturalmente, mentre ci si aggrega in nome del soggettivismo astratto, nel contempo ci si disgrega. Ognuno ha il dovere di rincorrere la propria individualità liquida, i desideri, a prescindere dai contesti e dal loro valore qualitativo.

L’aggregazione aggressiva avviene mediante i mezzi mediatici, pertanto vi sono poche argomentazioni, commenti brevi, spesso vituperi non argomentati. Si spegne la rete, l’aggregazione è terminata. Non resta che la banalità del giorno, del tempo riordinato secondo la cronologia delle mode. Libertà è l’essere senza limite alcuno. Qualsiasi voce che osi introdurre il logos dell’argomentazione dialettica è oggetto di una campagna sprezzante di isolamento. Il chiasso del consenso vive della perenne rivoluzioni dei costumi e delle merci, esige un falso moto perenne. Vincenzo Cuoco autore amatissimo da Gramsci definiva questo pubblico comportamento Rivoluzione passiva:

Le idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto essere popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da una costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopra massime troppo astratte, erano lontanissime da' sensi, e, quel ch'è piú, si aggiungevano ad esse, come leggi, tutti gli usi, tutt'i capricci e talora tutt'i difetti di un altro popolo, lontanissimi dai nostri difetti, da' nostri capricci, dagli usi nostri...

Se mai la repubblica si fosse fondata da noi medesimi, se la costituzione, diretta dalle idee eterne della giustizia, si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; se un'autorità che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato dei beni reali, e liberato lo avesse da que' mali che soffriva... forse... chi sa?... noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore... La nostra rivoluzione, essendo una rivoluzione passiva, l'unico mezzo di condurla a buon fine era quello di guadagnare l'opinione del popolo. Ma le vedute de' patrioti e quelle del popolo non erano le stesse: essi avevano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse".

(Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799)

Le classi dominanti, la cultura dominante mediante l’illusione del cambiamento, della separazione tra noi e loro (oggi sono gli zingari, i poveri, gli impiegati di stato, i credenti, i dissidenti del corso politico attuale), fonda la falsa aggregazione, individuando nel nemico pubblico da abbattere il mezzo con cui dare l’illusione alle masse di essere le protagoniste incontrastate della vita politica. I nemici sono coloro che criticano “Il migliore dei mondi possibili”, oltre non vi sono che catene, fanatici decerebrati, che vogliono attentare al mondo dei liberi. Pertanto assistiamo con ondate diverse, perché il mare è in tempesta, alla chiamate mediatica contro i nemici eletti altrove, ma combattuti dalle masse nel loro concreto tempo. L’illusione di essere le vere protagoniste della storia è il meccanismo ideologico da destrutturare. Si oscilla tra fatalismo, rabbia ed improvvise prese di posizione contro i nemici esterni ed interni. Nel caos della nuova cultura laica o meglio del totalitarismo laicista la storia non è pensata, è il trionfo dell’eterogenesi dei fini: si agisce scaricando l’aggressività in senso orizzontale contro il nemico vicino, in modo virtuale contro i nemici lontani. Virtuale solo in apparenza, perché le campagne mediatiche contro i nemici esterni, spesso precedono i bombardamenti: la guerra giusta, la crociata laica. La laicità attuale ha lo stesso linguaggio religioso delle religioni abbattute. E’ la nuova religione. Si potrebbe parlare di “inquisizione laica”: normalmente non si procede con torture e squartamenti, ma con il condizionamento-controllo mediatico. I tormenti da fisici divengono psicologici: si deve rinunciare a se stessi in nome del godimento illimitato, dell’orgia dionisiaca delle merci, si perde il carattere e l’identità, ma questo non importa, in cambio si è ottenuto il diritto a fare tutto quello che “gli altri vogliono”. “Altri”, perché il potere assomiglia sempre più al celeste impero, in cui l’imperatore non si mostrava, non era visibile. In assenza di visibilità, la cultura laica del potere parla attraverso i numeri, percentuali, fondi di investimento. I più non li comprendono, ma ci credono. La fede è tornata, al tempo della cultura laica: si crede che i numeri siano imparziali, che siano la creazione ex nihilo, per cui dicono la verità sempre. Si alza la mano sul vicino, ma mai il pensiero è mosso dal dubbio che i numeri siano parziali, effetto di dinamiche, diciamolo con Nietzsche, “Umano troppo umano”. Gli applausi si susseguono ad ogni miracolo positivo, come se ogni crescita fosse la liquefazione del sangue di San Gennaro, dovuta ad intervento divino e non a terribili sperequazioni sociali. Il momento è terribile anche perché si ragiona per numeri: scompare l’umano in nome di un assoluto dilagante e capillare. Il dispositivo mediatico e matematico è nella mente, nei corpi consumati dall’ottundimento, dall’ebbrezza della soggettivizzazione. La cultura laica diviene “laicismo”. Essa è il luogo dove le differenze di pensiero comunicano nella consapevolezza del limite. I grandi sistemi teoretici, i disegni politici sono l’elaborazione attiva di una pluralità di prospettive. Non necessariamente sintesi, il confronto dialettico con le sue resistenze, critiche, opposizioni e rifiuti logici, consente un percorso di consapevolezza delle prospettive che attualizzano il logos. Nel nostro caso il laicismo è la versione cannibalica della laicità: ogni pensiero altro è stato divorato o trasformato in merce, non resta che il pensiero unico dell’economia. La complessità attuale non riesce ad elaborare alternative, poiché in assenza di confronto, di esplicitazione contrastiva, il dibattito ricade su se stesso riaffermando in modo inequivocabile la vittoria del pensiero unico. Malgrado le censure, le persecuzioni, il reato di opinione, i secoli che ci hanno preceduto erano più laici della attuale condizione storica: la pluralità di prospettive consentiva lo sviluppo del pensiero. Si pensi a Marx, il confronto con il liberismo, il socialismo, il pensiero religioso: l’Idealismo è stato l’humus di sviluppo della filosofia marxiana. Il laicismo è dunque ideologico, dietro la sbandierata libertà non si nasconde che l’indifferenza. La pluralità, ridotta a sola forma priva di sostanza, a souvenir da fine impero, divenuta indifferenza, rafforza la cultura attuale, la fatalizza, la presenta come possibilità unica. In assenza di confronto e di luoghi di aggregazione l’indifferenza diviene la postura emotiva del laicismo. L’indifferenza è lo strumento con cui si prolunga la fine dell’impero, con il quale si ripetono sempre le stesse scelte e gli stessi errori. La lotta alla religione diviene lotta a qualsiasi valore comunitario. Il declino della religione, la sua riduzione al silenzio, a fenomeno privato, è il passo più importante, forse, per la scomparsa di ogni cultura dei diritti sociali, della solidarietà e della condivisione. Con la marginalità dei valori religiosi a ruota anche la versione a sinistra degli stessi valori tramonta. La fine della Sinistra, nel momento attuale, è l’altra faccia del silenzio della religione. L’arretrare di tali valori lascia lo spazio al pensiero dell’economicismo eternizzandolo. L’indifferenza è il veleno del laicismo per annichilire ogni opposizione, ogni traccia di resistenza ufficiale. La laicità è confronto, è logos, senza il confronto non vi è che laicismo sterile e ripetitivo fino al tedio. Il laicismo non dà stimoli, per cui per poter riaffermarsi deve invadere la mente con trasgressioni, merci e nemici. Enzo Bianchi così definisce la cultura laica preziosa anche per i cattolici:

In una società laica pluralista, tutti sono esposti al confronto e alla critica, tutti obbligati a elaborare ragione nell’agorà pubblica, e i cristiani devono imparare a esprimersi in termini che non siano né dogmatici, né soltanto sostenuti dalla loro fede, devono usare un linguaggio antropologico, tale da essere comprensibile anche dagli altri e capaci di mostrare le <<ragioni umane>> che sostengono le loro posizioni e le loro scelte.1

Bianchi lega l’agorà alla cultura delle idee, allo Streben dell’argomentare, dell’imparare a controllarsi nelle parole, nei gesti, nello stile, a cedere la parola per ascoltare. Il laicismo diviene gabbia d’acciaio, perché scompaiono gli spazi pubblici. La privatizzazione generalizzata elimina gli spazi dialettici per restituirci slogan da televendita. Le parole divengono il veicolo del saccheggio dell’altro, e non comunicazione. L’etimologia latina della parola comunicazione è “communicare” ovvero mettere in comune. La laicità è mettere in comune il pensiero, ma ciò necessita dell’agorà degli spazi pubblici. Il laicismo è pensiero unico ed aborre ogni spazio pubblico. Il bivio tra cultura laica e laicista è la scelta a cui siamo chiamati.


Note
1 Enzo Bianchi La differenza cristiana, Einaudi, Torino, pp. 20-21

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