Il crimine come forza produttiva, la rivoluzione come unica soluzione
di Eros Barone
È l’esistenza stessa della proprietà privata che determina l’ineluttabilità della sua violazione e quindi della sua difesa. Un giorno sarà ineluttabile anche il suo superamento, ma per ora è la sua difesa che diventa un elemento produttivo tra altri. Elogio del crimine (Edizioni Nottetempo, Milano 2007) è il titolo di un libretto basato su un testo di Marx e commentato da Andrea Camilleri, il noto scrittore di romanzi ‘gialli’.
In questa società il crimine produce diritto e casseforti, giudici e scassinatori, sbirri e letteratura, ‘hardware’ e ‘software’; alimenta la produzione di merci e servizi, assorbe manodopera in esubero del ciclo industriale, produce valore aggiunto e quindi fa aumentare il sacro PIL. I fautori della “resilienza”, da Draghi a Letta, e quelli della “sicurezza”, da Salvini alla Meloni, non dovrebbero lamentarsi: il crimine è progresso. Riporto, pertanto, a beneficio e (spero) edificazione dei lettori, tratto dal cosiddetto quarto libro del Capitale, intitolato Teorie sul plusvalore, uno dei passi più brillanti, caustici e paradossali che siano mai usciti dalla penna di Karl Marx, impegnato, si badi, a satireggiare uno dei più volgari luoghi comuni dell’economia politica borghese, ossia “la concezione apologetica della produttività di tutte le occupazioni”.
«Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come afferma un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici.
Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo “La colpa” del Müllner e “I masnadieri” dello Schiller, ma anche l’“Edipo” di Sofocle e il “Riccardo III” di Shakespeare.
Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione […].
Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza?
Il Mandeville, nella sua “Fable of the Bees” (1705), aveva già mostrato la produttività di tutte le possibili occupazioni ecc., e soprattutto la tendenza di tutta questa argomentazione: “Ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione […]; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe necessariamente devastata se non interamente dissolta”. Sennonché il Mandeville era, naturalmente, infinitamente più audace e più onesto degli apologeti filistei della società borghese.»
Prendendo le mosse dall’antichissimo detto popolare: “non tutto il male viene per nuocere”, Camilleri, dal canto suo, osserva che tale detto nel primo Settecento ebbe a subire un duro colpo ad opera di un medico inglese, per l’appunto Bernard de Mandeville, che, tra un paziente e l’altro, si dilettava a scrivere acute osservazioni sulla società del tempo. Nel suo saggio intitolato La Favola delle api, ovvero vizi privati, pubblici benefici, Mandeville sostenne la tesi che un vizio privato come l’egoismo (con tutti gli annessi e connessi che da esso derivavano, fino alle azioni criminali alle quali di necessità quel vizio conduce) era la forza propulsiva che portava a un pubblico vantaggio, cioè al benessere e al progresso, mentre l’altruismo operava in senso inverso, vale a dire che faceva da deterrente ai processi di sviluppo ed era assolutamente negativo. Quindi il detto popolare andava così riscritto: “il male porta sempre bene”. Siccome a quel tempo si amavano molto le tesi paradossali (non per nulla pochi anni dopo vedrà la luce la Modesta proposta di Jonathan Swift dove, usando un tono da serio economista, l’autore proponeva di utilizzare i bambini poveri come cibo per i ricchi), anche il saggio di Mandeville trovò il suo spazio. Del resto, non doveva poi essere tanto paradossale se un economista come Adam Smith ne risentì in qualche modo l’influsso. Naturalmente Marx non poteva trascurare il saggio di Mandeville e infatti muove dalle sue conclusioni per arrivare ad una sorta di sintetico esame del crimine e del delinquente come elementi fondamentali per lo sviluppo della “forza produttiva”. L’elenco che, con una spietata ironia, Marx redige di tutti coloro che da un fatto criminale traggono un beneficio materiale, forse andrebbe aggiornato. Sennonché i tempi nei quali viviamo porterebbero troppa acqua al mulino di Marx.
Il progresso scientifico degli ultimi decenni, infatti, ha infinitamente allargato le possibilità, le varietà e persino le qualità del crimine, e quindi ha parallelamente elevato il numero di coloro che attorno al crimine ruotano, sia come complici sia come avversari. E può bastare qualche esempio: si pensi a quanti e svariati crimini oggi si possono commettere attraverso il cellulare o meglio attraverso la Rete (pedofilia, pornografia, vendita d’armi e di veleni, spaccio di droghe, truffe ecc.). E quanta facilità di spostamento da una parte all’altra del mondo vi è oggi per un criminale, senza contare quante truffe si fanno attraverso le televendite. E a proposito di televisione: non se ne fa un uso criminale quando attraverso di essa si conducono vere e proprie guerre mediatiche? Se poi a questi crimini aggiungiamo, per restare nel nostro paese, le concessioni di servizi pubblici, come le autostrade e le funicolari, ai privati, l’elenco si allunga a dismisura insieme con il sangue versato.
Infine, c’è un’affermazione di Marx che tra tutte è quella che Camilleri trova più stimolante, ed è quando sostiene che il delinquente produce “arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedie”. Che produca romanzi non c’è dubbio e un Marx redivivo certamente gongolerebbe davanti all’odierno diluvio di romanzi polizieschi, ‘noir’, gialli, ‘horror’, giudiziari, spionistici e via di questo passo. Parimenti, è altrettanto indubbio che produca tragedie non solo letterarie, ma vere e reali, in un sistema quale quello capitalistico e in un periodo quale quello pandemico in cui, a fronte di un profitto che ha rivelato tutta la sua natura necrotropica, solo la rivoluzione comunista, che distrugge, conserva e supera le categorie borghesi del bene e del male, si presenta come una soluzione in accordo con le leggi della vita e del benessere umano.
Comments
aggiungerei la famosa frase di Poudhon "la proprietà è un furto" che si può riscrivere con "non esiste proprietà senza furto" e soprattutto non esiste arricchimento senza ricorso la crimine ... se poi si prova a fare l'inventario oggi è spaventoso osservare che l'arricchimento sempre più gigantesco dei soliti noti passa appunto per i crimini a danno di vittime senza alcuna protezione che invece non manca vedi caso per difendere la proprietà e l'attività dei dominanti per aumentare i loro profitti ...
Ma dimmi tu vivi a Genova? se sì scrivimi una mail e magari ci vediamo per fare una chiacchierata
Do indigente
É evidente
Que morreu
E no entanto
Ele se move
Como prova
O Galileu
Chico Buarque, Ópera do Malandro