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La crisi dell’economia tedesca e le elezioni in Turingia e Sassonia

di Francesco Galofaro*

Un’analisi dei risultati delle consultazioni nei due Länder della Germania, che ha visto l’affermazione dell’estrema destra con Afd e l’esordio positivo di Bsw, il movimento di Sahra Wagenknecht

Le recenti elezioni nei Länder federali della Turingia e della Sassonia hanno visto la vittoria della formazione di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd), arginata solo dai popolari della Cdu. I partiti al governo nella Repubblica federale tedesca (Socialdemocratici, Verdi e Liberali) vengono sonoramente sconfitti, al punto da non riuscire, in alcuni casi, nemmeno a superare la soglia di sbarramento per eleggere.

Circolano spiegazioni molto fantasiose circa la vittoria dell’estrema destra. Si è letto addirittura che, essendo la Turingia la prima regione tedesca in cui i nazisti si affermarono, un secolo fa, la vittoria di oggi segnerebbe il riemergere di legami politici occulti e mai sopiti. Si direbbe che anche i liberali, quando il loro potere è minacciato, ricorrano volentieri al complottismo pur di non ammettere il fatto che le loro politiche escludono di fatto un buon terzo della popolazione dal novero dei cittadini rappresentati.

L’invenzione di complotti non può nascondere le pesanti responsabilità della crisi dell’economia tedesca: il dato della produzione industriale di luglio è -2,4%, un calo che gli analisti definiscono al di sotto delle attese. Il calo annuo è di -5,4%. Secondo Ispi, la crisi tedesca è legata soprattutto al settore dell’auto, è cominciata con la guerra in Ucraina a causa dell’aumento del costo dell’energia, nel contesto di una crescita dell’economia cinese – principale partner per le esportazioni – che in questi anni è stata più contenuta del consueto. La disperazione dell’elettorato è testimoniata da una partecipazione superiore al 75%, in crescita di 9 punti sul dato precedente. Non sfugge certo al potere che la guerra in Ucraina abbia portato a un aggravarsi delle condizioni sociali e a una situazione di instabilità. Ciononostante, la rottura del fronte Nato non è un’opzione: la malattia è nota, ma il dottore rifiuta di curarla.

Al contempo, si segnala una netta affermazione elettorale della nuova coalizione di Sahra Wagenknecht (Bsw), uscita dalla Linke per fondare un nuovo soggetto politico di sinistra radicale in netta opposizione alla guerra della Nato in Ucraina e alla politica tedesca di apertura sull’immigrazione e sui rifugiati. A causa di queste due posizioni la stampa nostrana l’ha definita “populista”; si è rispolverata anche un’altra etichetta che anni fa servì a lanciare una caccia alle streghe nella sinistra radicale: “rossobruna”. In realtà, Sahra Wagenknecht è figlia di un immigrato iraniano e di una donna tedesca; si è formata nella Ddr e si è laureata con una tesi sull’interpretazione marxiana di Hegel; nel 2022 ha scritto un libro, Gli ipocriti, in cui accusa i liberali di perseguire nient’altro che gli interessi della classe dominante e i propri, mascherandoli dietro le “politiche dell’accoglienza”. Nonostante la coalizione della Wagenknecht sia al momento l’unica alternativa credibile al dilagare dell’estrema destra, la borghesia considera Afd e Bsw altrettanto pericolose. È difficile, infatti, che la Cdu o i liberali contrastino realmente l’Afd sul piano delle politiche economiche, dato che condividono il medesimo impianto ultraliberista e il progetto di smantellare lo stato sociale.

Per comprendere le radici storiche della crisi attuale, non è necessario tornare a cento anni fa. Turingia e Sassonia appartengono infatti all’ex Germania Est, la Ddr. Nel suo libro Anschluss, Vladimiro Giacché ha mostrato come, all’epoca della caduta del socialismo, si sia fatta passare per “unificazione” una vera e propria “annessione”, che trasformò la Ddr – la cui economia era, invero, piuttosto sviluppata – in una sorta di colonia. Su questa base politica, in passato, si sviluppò il curioso fenomeno della Ostalgie, la nostalgia per la Germania comunista, salutata qui da noi come una forma di folklore tutto sommato innocua – si pensi alla commedia Goodbye Lenin (2003). La Germania Est non si è mai integrata del tutto né economicamente né politicamente: le formazioni di sinistra che nel tempo hanno raccolto l’eredità della Sed (Pds, Linke e oggi Bsw) sono sempre rimaste forti e vengono percepite dagli elettori come difensori della comunità.

In questo contesto, quasi un milione e duecentomila rifugiati ucraini sono oggi a carico dello Stato tedesco. Le cifre sono insostenibili, al punto da aver causato, in giugno, una spaccatura nel governo del socialdemocratico Olaf Scholz. Esponenti del partito liberale avevano dichiarato, allora, che il bilancio pubblico non dovrebbe essere usato per finanziare la disoccupazione degli ucraini, sottolineando che in Germania si registra un pesante deficit di lavoratori in tutti i settori, a cominciare da ristorazione, edilizia e assistenza. Come si vede, i liberali non sono neanche lontanamente sfiorati dall’idea che i profughi ucraini possano essere medici, insegnanti o architetti, e danno per scontato che si tratti di carpentieri, camerieri e badanti a buon mercato. Il disarmante classismo implicito in questo punto di vista dà ragione a Sahra Wagenknecht: l’immigrazione è un esercito di lavoratori di riserva utilizzato per tenere bassi i salari e alto il tasso di sfruttamento. In questo modo, complessivamente, si scaricano sulla classe lavoratrice i costi della guerra in Ucraina, come è già accaduto nella vicina Polonia.

Secondo alcuni commentatori, la poltrona di Olaf Scholz traballa. Per sostituire il cancelliere, circola il nome del ministro della Difesa, Boris Pistorius. Le ragioni accampate riguardano la popolarità. In realtà, Pistorius è considerato un falco nel contrastare la Russia e nella ricostruzione dell’esercito tedesco, e sostiene che la Germania debba prepararsi allo scenario di una guerra europea entro il 2029; al contrario, Scholz ha più volte tentato di contrastare l’escalation in Ucraina; giudica il calo di popolarità dell’Spd in relazione al sostegno alla guerra; ha rifiutato di inviare missili da crociera Taurus a Kiev; recentemente, è entrato in urto con il proprio ministro della Difesa proprio sull’opportunità di aumentare il budget destinato agli armamenti. Certo, l’ambivalenza della sua posizione, il ruolo di alleato riluttante, non sono esattamente quel che il popolo tedesco si aspetta. La sensazione è che un’eventuale sostituzione di Scholz con Pistorius in realtà miri solamente ad assicurare ancora per qualche tempo la fedeltà tedesca alla Nato, in una situazione in cui questa scelta e le sue nefaste conseguenze sul piano economico sono sotto gli occhi di tutti e diventano sempre più impopolari.


* Università Iulm di Milano - Centro studi Domenico Losurdo
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Comments

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Lorenzo
Friday, 13 September 2024 23:47
Ed ecco un'altra 'analisi' della crisi politica tedesca che salta a piè pari la questione dell'invasione extracomunitaria e la politica dei confini aperti praticata dal regime migrazionista fin dai tempi della Merkel.
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