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Tra Essere e Non Essere

di Salvatore Bravo

All’università di Cassino è stata discussa la prima tesi di laurea di un Avatar. Nelle scuole si assiste a un uso massiccio dell’intelligenza artificiale. Gli studenti la consultano per risolvere problemi, compiti e traduzioni. L’intelligenza artificiale sta assumendo una valenza che la rende comparabile a una ritualità magica della contemporaneità. Si esprime il desiderio e, in modo immediato, essa soddisfa le esigenze più disparate, tutto in modo rigorosamente anonimo. L’impegno e le tensioni causate dal confronto con se stessi sono così superati dalla magica presenza. L’intelligenza artificiale è dunque presenza inquietante e sconosciuta nella vita ordinaria di ogni giorno. Decenni di addestramento programmato al fatalismo e alla legge del “si può dunque si deve” hanno fondato una società ipertecnologica e superstiziosa nel contempo, in quanto la ragione pubblica ed etica è ormai considerata desueta, al suo posto regna la soddisfazione immediata dei desideri. L’intelligenza artificiale è ora la protagonista indiscussa e osannata di tale postura irriflessa. La seduzione è nella comodità, senza sforzo alcuno è possibile risolvere ogni quesito. I primi effetti sono già tra di noi, giacché non si ragiona, ormai, in termini di lungo periodo, pertanto irresponsabilità e irrazionalità dominano dietro l’apparente razionalità del sistema. Le risposte immediate hanno distorto la percezione del tempo sempre più simile a uno spazio breve lungo quanto una risposta dell’IA e mai trasformata in concetto.

A scuola, mentre si proibisce l’uso degli smartphone, si acalama all’intelligenza artificiale con i fondi del PNRR. I progetti afferenti al PNRR hanno sempre l’obiettivo di incentivarne l’uso e mai di pensarlo. Sono finalizzati a destrutturare dubbi e resistenze mediante la fascinazione delle sue potenzialità e dei prodigi. La riflessione collettiva è volutamente aggirata, in tal modo si resta semplicemente stupiti, da stupor, a bocca aperta, dinanzi alla “meraviglia”. La depoliticizzazione comporta automatismi da cui non si sollevano domande e pertanto non ci si pone il problema dei gestori dell’IA , tutti rigorosamente privati. Siamo dinanzi alla spallata finale, in modo simile al Cavallo di Troia, come già è stato per smartphone e PC, si introduce il “nuovo” senza preparare gli utenti alla sue potenzialità e ai suoi pericoli e quindi senza definirne gli usi e i tempi per l’impiego. Con la scomparsa della dimensione del pubblico dalla vita politica, che non è più tale, perché risponde agli interessi delle multinazionali e dei potentati, i nuovi strumenti tecnologici che potrebbero donare più tempo libero e meno lavoro quotidiano, sono in realtà usati per la produzione, i cui utili cadono nelle tasche dei soliti noti. Il suddito ha tra le mani il mezzo che gradualmente si sostituisce a lui rendendolo servo inconsapevole dell’intelligenza artificiale e del sistema. La tossina scorre a fiumi e si rafforza quotidianamente, giacché l’IA si nutre dei nostri dati e del nostro lavoro. Lo sfruttamento assume, nel nostro tempo una nuova forma capziosa e a volte impercepibile; si è sfruttati sempre, al lavoro come fuori di esso. Nutriamo il nostro padrone al punto da apparire come servi volontari. “Disinformazione, ignoranza e abitudine a dipendere” sono la triade che consente la regressione della democrazia. Cittadini abituati alla delega di compiti intellettuali disimparano a pensare e diventano sempre più sudditi volontari, tanto più che il manganello e l’olio di ricino sono sostituiti dalla scatola magica a cui tutto “si chiede e tutto si dona”. Informazioni e temi sono, naturalmente, debitamente sorvegliati dai padroni del nuovo ordine mondiale tecnocratico. I primi effetti sono già evidenti, alunni e nuove generazioni delegano alla magica presenza ogni problema, e similmente, anche non pochi adulti “giocano” con essa. L’IA si sta sostituendo all’intelligenza individuale e collettiva e ciò non può che favorire l’omologazione e il pensiero unico. La democrazia, e ancor più, la ragione critica capace di individuare le contraddizioni sociali ed economiche e di risolverle è sostituita dalla ragione digitale che insegna a mitizzare in modo acritico le nuove tecnologie. Siamo dinanzi a una deriva senza pari. Incoscienza e complicità sono le peculiarità “poco etiche e poco politiche” del nostro tempo. La tecnica al comando delle multinazionali e dei padroni stanno per diventare i veri soggetti della storia, mentre i popoli si accingono a diventare le obbedienti comparse della società dello spettacolo, sempre più degradato e degradante. Siamo dinanzi a un attacco senza pari alla natura creativa e razionale dell’umanità, se non si avvierà una profonda discussione sugli usi e sui limiti dell’IA il deserto del pensiero unico rischia di travolgerci. La discussione politica è urgente, in quanto non abbiamo modelli sociali del passato minimamente paragonabili con l’accelerazione tecnologica attuale e per cui siamo indifesi. Il potere dei padroni approfitta di tale condizione e spinge sull’acceleratore della trasformazione, in modo da limitare le resistenze e rappresentarle come posture di soggetti nostalgici e fuori dal tempo. È ora di discutere e di sospenderne l’uso per comprendere politicamente e scientificamente l’IA. Scuole e università si stanno mostrando con i loro addetti luoghi di un conformismo notevole, anziché essere istituzioni al servizio del popolo e della conoscenza condivisa, servono i padroni.

Come G. Anders ha già denunciato nel suo testo L’uomo è antiquato, le tecnologie si fondono per diventare un’unica macchina che tutto governa. L’illimitatezza attributo sostanziale del capitalismo ha dunque trovato una nuova formula per il dominio totalitario. I sudditi nutrono la macchina dell’IA, tentacolare nella sua presenza, e consentono al capitale un dominio senza precedenti. Su tutto questo si tace e si acconsente. In questo momento storico bisogna riprendere il cammino della resistenza con lo studio e con l’azione. G. Anders è autore e filosofo che ha profetizzato la malvagità del nostro tempo travestita con le parole buone della propaganda. Le sue parole risuonano, inascoltate, nel nostro presente:

Voglio dire che <<noi>> e con <<noi>> intendo la maggioranza dei nostri contemporanei viventi nei paesi industriali, inclusi i loro uomini politici abbiamo rinunciato (o ci siamo lasciati costringere a questa rinuncia) a considerare noi stessi (o le nazioni o le classi o l’umanità) come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati (o lasciati detronizzare) e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un solo altro soggetto: la tecnica, la cui storia non è, come quella dell’arte o della musica, una fra le altre, bensì la storia, o perlomeno è diventata la storia nel corso del più recente sviluppo storico; il che trova terribile conferma nel fatto che dal suo corso e dal suo impiego dipende l’essere o il non essere dell’umanità1”.

Siamo dinanzi alla battaglia finale tra “essere e non essere”, tra il “pensiero e il niente”. La condizione, in cui siamo situati è pericolosa, non solo per la tecnocrazia imperante, ma specialmente, in quanto stiamo vivendo, forse, l’ultima fase del capitalismo. Il capitalismo senza padri e senza madri, come potremmo definire l’attuale stato di dominio del mercato, si incrocia con l’assenza di ogni vincolo etico e ciò espone, specialmente i più giovani, a pericoli estremi. L’IA può diventare, e sta diventando, il genitore digitale che alleva e addestra sudditi incapaci di pensare e di provare un sano senso di scandalo dinanzi a una situazione nazionale e internazionale fondata sempre e solo sullo sfruttamento. Abbiamo il compito di difendere l’essere e ciò non può che avvenire già nei luoghi di lavoro e nella vita privata e pubblica nella quale, senza titanismo, dobbiamo rendere vivo il problema prima che il “non essere” soverchi “l’essere”.

L’IA insegna l’impotenza, se non vi è una salda direzione etica e politica alla stessa. I popoli addestrati alla passività pianificata non sono più tali, ma sono plebi che dipendono dalla parola della macchina manovrata dagli oligarchi. Oggi la sfida è restare umani e restare popolo in cammino. Ciò che potrebbe sembrare ed essere una grande opportunità, dunque, per emanciparci da lavori faticosi e alienanti, nel contesto capitalistico, non può che tramutarsi in un nuovo strumento di dominio di massa, anzi ha lo scopo di massificare le coscienze nel silenzio dell’obbedienza. Il capitalismo, dobbiamo ripeterlo, è sfruttamento e accumulo infinito di plusvalore, pertanto curva le potenzialità liberatrici in nichilismo; di questo dobbiamo prendere atto per poter decodificare l’IA nell’inquieto e inquietante presente. Uscire dalla fascinazione e dall’abbaglio è il grande problema. L’IA è utilizzata senza mediazione della ragione, pertanto il soggetto ha la percezione di essere al comando del sistema, mentre in realtà è solo un fugace granello del medesimo. Dobbiamo rientrare nella storia, siamo a un bivio epocale.

Siamo in una cornice storica che necessita di umanesimo comunista, riporre al centro l’essere nella forma dell’umanità nella concreta comunità è oggi battaglia teoretica e politica non più rimandabile.

L’Umanesimo pone al centro il bene nella integralità sociale, solo all’interno di questa prospettiva, non relativista, è possibile teorizzare e progettare la tecnica al servizio di ogni essere umano. Umanesimo comunista quindi che integra le tecnologie, conoscendole nella loro effettualità tecnica e sociale, all’interno della comunità che le gestisce dal “basso” per il “basso”. Solo in tal modo l’umanità tornerà a essere “soggetto della storia” e non oggetto di forze “anonime e misteriche” che la rendono solo “spettrale presenza”. Solo un nuovo Umanesimo nel solco della tradizione ma reso attuale può emanciparci dall’antiumanesimo che si profila all’orizzonte in forme sempre più distruttive.


Note
1 G. Anders, L’Uuomo è antiquato, Volume II, Bollati Boringhieri Torino, pag. 258
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Comments

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kruzaros
Saturday, 10 May 2025 14:24
sarà "Intelligenza artificiale" - "Stupidità sapiente artificiale" o di tutto un po'?
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