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Il clown senza padre

di Sergio Benvenuto

Intervento tenuto al convegno Il padre oggi, 26-27 ottobre 2019, presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma. Il convegno è stato organizzato dall’IPRS (Istituto Psicoanalitico per la Ricerca Sociale) e dall’IREP

l uomo ride film ispirato personaggio joker1.

Il film Joker di Todd Phillips, che circola attualmente in Italia, è tratto dai fumetti di Batman, ma in realtà è ispirato sia al romanzo di Victor Hugo L’uomo che ride, sia al film V for Vendetta di James McTeigue.

Il protagonista di Joker, Arthur, è un giovane comico fallito, con ricoveri psichiatrici nel suo pedigree, che si adatta a fare il clown di strada. Questo quasi-psicotico vive da sempre con la madre stramba, non ha mai conosciuto suo padre. A un certo punto Arthur si convince, credendo a rivelazioni della madre, di essere il figlio di un grande magnate, Thomas Wayne (questo è il nome del padre di Bruce Wayne, alias Batman, nei famosi fumetti; un padre assassinato). Wayne si candida a sindaco di Gotham, alias fumettistica di New York. La madre sostiene di essere stata l’amante di Wayne da giovane e di aver avuto da lui Arthur, figlio che il padre non ha riconosciuto. Ma secondo un’altra versione, Arthur sarebbe stato adottato dalla madre, che da piccolo avrebbe abusato di lui, fino a finire lei in manicomio. Non sapremo mai, fino alla fine del film, se Wayne è davvero il padre di Arthur o no. Arthur è marcato come figlio di NN.

Arthur, una sera, spara a tre yuppies che lo aggrediscono in metropolitana e li uccide. Si diffonde la voce in tutta l’America che uno mascherato da clown è l’assassino dei tre brokers. Ben presto questo clown giustiziere diventa un eroe per la massa dei diseredati di Gotham, che protestano contro il potere indossando tutti una maschera da clown che ride. È interessante che tutti i mascherati da clowns siano uomini. L’intera città è messa a ferro e fuoco da migliaia di clowns. Arthur, che nel frattempo ha ucciso la madre e varie altre persone, viene riconosciuto come l’assassino dei tre yuppies e glorificato dai clown ribelli. Nel frattempo un uomo, anch’egli mascherato da clown, uccide Wayne. Non dico il finale.

Arthur

Arthur the Joker

Mi sono soffermato su questo film perché mi pare che esso esprima a suo modo il passaggio dal padre edipico freudiano a quello che chiamerei il nuovo Edipo, dove alla figura del padre si sostituisce una nuova figura pervasiva: quella del “potere”. O, come si dice in America, “the system”. Paolo Sorrentino, in un film recente, lo ha chiamato Loro. Chi sono Loro? Loro sono tutti coloro che hanno potere: i politici soprattutto, i ricchi, i grandi imprenditori, le star… Forse, col tempo, anche noi psicoanalisti… Tutti coloro che ormai vengono chiamati winners, di fronte ai quali soffre e si rode la massa dei losers.

 

2.

La figura del clown malinconico ha una storia secolare. I fools di Shakespeare hanno il compito di far ridere il re, ma di fatto seguono il re nella sua rovina. Dicono al re delle verità inascoltate perché amare. Il fool denuncia la follia dei re.

Gwynplaine è il protagonista di L’uomo che ride di Hugo, pubblicato nel 1869. Gwynplaine è stato rapito da piccolo in Inghilterra da furfanti i quali gli hanno fatto subire un’operazione al volto grazie a cui egli ha l’aria di ridere sempre. Viene adottato da un vagabondo che mette in scena poi uno spettacolo comico ambulante centrato sul ruolo ridanciano di Gwynplaine. Quindi l’agnizione: si scopre a un certo punto che il saltimbanco è in realtà il figlio di un lord d’Inghilterra. Il lord di Hugo corrisponde al magnate Wayne di Joker. Gwynplaine, riconosciuto nobile, farà un discorso alla Camera dei Lord in cui attaccherà i loro privilegi, ma farà solo ridere….

La differenza importante tra il romanzo di Hugo e il film del 2019 è che in Hugo si scopre che Gwynplaine è veramente figlio di un lord, mentre in Joker si ha l’impressione che il padre tycoon sia un delirio della madre. Inoltre, in Joker si compie un parricidio che non accade nel romanzo di Hugo, anche se esso viene compiuto da un misterioso killer mascherato da clown. La rivolta dei diseredati con le maschere da pagliacci in Joker ricorda molto la rivolta cieca, senza fine e senza fini, dei gilets gialli francesi.

Una variante su questo tema è il film V for Vendetta del 2006. In un futuro distopico, un misterioso radicale anarchico, abbigliato come Guy Fawkes e con una maschera fissa in un riso costante, solleva i britannici contro un regime fascista oppressivo. Guy Fawkes fu l’artefice della fallita Congiura delle polveri del 1606, un evento rimasto memorabile nella tradizione popolare inglese: il complotto mirava a far esplodere il re James 1° d’Inghilterra e i membri del Parlamento, insomma tutto il sistema politico inglese. Tuttora il 5 novembre in Inghilterra si brucia l’effigie di Guy Fawkes. Evidentemente negli ultimi anni questa figura di iperbolico regicida si è ribaltata in un personaggio positivo – insomma, oggi si è dalla parte del “figlio parricida”. La maschera e il logo ‘V per Vendetta’ sono stati adottati da vari movimenti populisti, anche dal nostro Movimento 5 Stelle, guidato da un joker appunto, Beppe Grillo.

Guy Fawkes

Maschera di Guy Fawkes

 

3.

In vario modo, tutte queste opere girano attorno al tema del parricidio, o all’uccisione di una figura potente. Il parricidio, la grande ossessione di Freud. Quasi ognuno di noi ha un’ossessione spirituale; quella di Freud era il parricidio. Esso è il senso ultimo dell’Edipo.

Freud stimava come massimi capolavori della letteratura occidentale tre opere: l’Edipo re di Sofocle, l’Amleto, e I Fratelli Karamazov di Dostojevskij. Li preferiva perché tutti e tre hanno a che fare con l’omicidio del padre, e inoltre il parricidio, diretto o indiretto, è legato alla rivalità tra padre e figlio per il possesso di una donna. Parricida è sempre il figlio maschio, perciò Freud ha parlato di Edipo e non di Edipo-Elettra, per esempio, come qualcuno ha proposto. Ovvero, anche la donna è “edipica”. Cosa che non è piaciuta a tante femministe. Ora, Freud fa del parricidio non solo la fantasia fondamentale di ogni soggetto, ma anche l’atto inaugurale della Kultur, della civiltà, ovvero della vita sociale, che per lui segna l’inizio anche della psiche individuale. La psiche, l’inconscio, per Freud è frutto di un evento storico, e questo evento è il parricidio. Non potendolo dimostrare, Freud ha fatto ricorso a ricostruzioni apertamente mitiche, che oggi non possono mancare di farci sorridere – molta acqua è passata sotto i ponti dei nostri metodi storiografici.

In Totem e tabù ha immaginato l’assassinio del padre dell’orda primordiale da parte dei suoi figli maschi coalizzati, allo scopo di dividersi equamente tra loro le donne dell’orda, che prima il padre-padrone accaparrava tutte per sé. In Mosè e il monoteismo, il testamento visionario di Freud, vuole persuaderci che Mosè, il quale non sarebbe stato ebreo ma egiziano, è stato ucciso dagli ebrei stessi, che non volevano sottomettersi alle regole severe del monoteismo imposto da Mosè. In questo caso il parricidio, o regicidio potremmo dire, non è motivato da una rivalità per la conquista delle donne, ma da un rifiuto che oggi chiamiamo “populista” del potere monoteistico. Dietro la religione ebraica, Freud vede una sorta di Guy Fawkes giudeo che ride alle spalle di Mosè.

Si è detto tante volte che questa centralità del padre, e quindi del parricidio, nella visione di Freud non è oggi più attuale, perché rifletteva una società ancora patriarcale, la quale in questo ultimo secolo si è in gran parte dissolta. In realtà, come abbiamo detto, per Freud il padre è figura centrale dell’inconscio per un vero e proprio peccato originale, un crimine inaugurale a cui è legata tutta la nostra storia, e che è appunto il parricidio. Ovvero, lungi dal prendere sul serio il primato della società patriarcale, Freud ne drammatizza il declino e la scomparsa. La sua ossessione teorica del parricidio fa eco al tema di Nietzsche della morte di Dio. Nietzsche pensava che Dio, ucciso dagli umani, sia un evento storico, come per Freud è un evento storico la messa a morte del padre. La differenza è che mentre l’uccisione di Dio per Nietzsche è un evento moderno che apre la modernità, l’uccisione del padre per Freud è un evento arcaico, è l’atto primordiale che apre a un tempo la vita sociale e l’inconscio individuale. Prima di questo evento per Freud non c’è psiche individuale, ma solo collettiva.

Come ha poi detto esplicitamente Lacan, il padre di cui si occupa la psicoanalisi è sempre il padre morto – anche se il padre reale è vivo e vegeto. Non è la morte di nostro padre ma la morte del Padre, ovvero della funzione strutturante simbolica della paternità. In altri termini, il nostro avversario non ha più una qualifica fallica, non è più il nostro generatore, ma è un altro collettivo, chiamato, come in Sorrentino, Loro – il Sistema, “i poteri forti” come si dice oggi. È come se la psiche umana si fosse ri-collettivizzata: morto il padre individuale, ci schiaccia il Padre simbolico, che in qualche modo ci castra tutti come popolo impotente. Insomma, non è più il padre di famiglia a spiegare un certo odio per il potere politico, è l’odio per il potere politico a riflettersi, talvolta, nell’odio per il padre familiare.

 

4.

Perché, da Shakespeare fino a Joker, il poveraccio, il subalterno, il perdente, assume spesso le forme comiche del saltimbanco, del buffone, come Rigoletto o come il Canio pagliaccio di Leoncavallo? Da dove deriva questa antinomica sovrapposizione tra il buffo e il tragico? Ricordiamo che nelle tragedie antiche i personaggi umili, la gente del popolo, erano per lo più figure comiche, ridicole, mentre figure tragiche erano re e regine. Il clown, il pagliaccio, è la figura stessa del figlio – non della figlia. Credo che le clown donne siano rare. I clown sono i figli maschi castrati, direbbe Freud, come allegoricamente è castrato il Gwynplaine di Hugo. Il subalterno ride, ma la sua risata è congelata, assume la fissità di un ghigno perturbante. Le masse, si sa, vogliono ridere, ridere sempre, e per questo non fanno affatto ridere, e sono spregiate. Ma il clown è il figlio matto, fool appunto, matto perché senza padre. Se mi si concede un’intemperanza allegorica, possiamo vedere la fiumana irosa dei clown in Joker come una massa senza padre. La strana teoria lacaniana della psicosi come forclusion, pignoramento, del Nome-del-Padre, mi sembra derivare proprio da questa figura secolare e metafisica del giullare senza padre e senza patria, quindi pazzo, che ride del potere proprio perché ne è dominato. L’eterna pasquinata dei deboli.

Oggi si parla sempre di populismo. In particolare di populismo di destra, che esalta contro la globalizzazione, contro il cosmopolitismo, il narcisismo patriottico e vernacolare della propria Heimat. Il populismo, si dice, è ringhioso, è la rabbia dei marginali contro le élites prestigiose, politici e scienziati, finanzieri sinistre e intellettuali. La funzione paterna è oggi socializzata, dicevamo, e assume le forme persecutorie di un potere che pare manipolarci. Tramontato l’Edipo familiare, imperversa un Edipo politico.

La figura del padre e della sua morte in Freud è certamente una costruzione mitica. Ma i miti sono sintomi, sono un modo di mi-dire, mezzo-dire, la verità. La verità è che, col declino della cultura patriarcale, il padre tiranno oggi non è più tanto incontrato in casa, ma nella proiezione iperbolica di un assetto sociale. Il padre edipico si è disimpastato da quel poveraccio che, di fatto, è ogni padre – i miei pazienti oggi considerano istanze super-egoiche più le madri che i padri. Il padre da uccidere è l’Altro imperscrutabile del potere, il caleidoscopio diffratto delle innumerevoli figure del dominio.

Quest’anno gli ucraini hanno eletto presidente del loro paese, con una valanga di voti, Volodymyr Zelenskij, un attore comico, di fatto un clown, senza alcuna esperienza politica. Era chiamato nel suo paese joker. Il film Joker, girato prima di questa elezione, mostra che, come diceva Wilde, la vita imita l’arte. Del resto, attualmente anche noi in Italia siamo governati da una forza ideata da un attore comico. E dopo tutto, non sembra imitazione di un clown lo stesso Boris Johnson, premier britannico? In Ucraina, in Gran Bretagna e in Italia vengono innalzati dai figli perdenti, irrilevanti, castrati, dei clown, contro la serietà accigliata di Loro. È giunta l’ora del rovesciamento, quella del potere dei buffoni. Ma il figlio-che-ride rischia di diventare, a sua volta, il nuovo despota, un despota che gli stessi figli hanno eletto.

Comments

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Eros Barone
Sunday, 24 November 2019 23:02
Analisi poliedrica quella tracciata da Sergio Benvenuto sulla duplice problematica del significato del riso e della crisi della paternità, entrambi riflessi specifici della struttura di classe della società borghese-capitalistica. E a proposito del carattere tutt’altro che nuovo dell’indebolimento della figura paterna, vale forse la pena di citare un documento letterario esemplare, risalente a più di cento anni fa, di questa specifica curvatura dei ruoli familiari nelle società occidentali, sempre più svincolati dal legame di sangue: è la bella poesia di Camillo Sbarbaro tratta dalla raccolta “Pianissimo”.

Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
Che la prima viola sull'opposto
Muro scopristi dalla tua finestra
E ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
Di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.

E di quell'altra volta mi ricordo
Che la sorella mia piccola ancora
Per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
Dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l'attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l'avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo che eri il tu di prima.

Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.

Del resto, circa le implicazioni socio-politiche della problematica relativa alla figura del padre nel peculiare contesto italiano sono straordinariamente pregnanti le osservazioni svolte da un altro poeta, Umberto Saba, in un libro intitolato “Scorciatoie e raccontini”. Che Asor Rosa abbia scelto proprio questa citazione quale epigrafe del saggio “Scrittori e popolo”, in cui ha indagato la genesi e le manifestazioni del populismo nella letteratura italiana, è una conferma ulteriore delle molteplici interrelazioni che collegano la storia, la società, la politica, la letteratura e l’antropologia del nostro paese.

Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuto, in tutta la sua storia - da Roma ad oggi - una sola vera rivoluzione? La risposta - chiave che apre molte porte - è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani…Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda), un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.

Sennonché, riguardo al significato del riso, occorre capire che esso comporta un grado elevato di complicità con il potere e l’ideologia dominanti; diversamente si finisce con lo scambiare tra di loro significati del tutto diversi (è questo il caso del riferimento all’interpretazione bachtiniana del riso in Rabelais ). Il riso, infatti, non castiga i costumi ma li conferma, come dimostrano i tanti esempi di quel conformismo dell’anticonformismo che si manifesta nella comicità del nostro paese. Non solo: il riso vale come critica solo se si aggiunge a una critica che non ride e di cui non può essere il succedaneo. Insomma, si tratta di sapere che la tirannide, comunque e dovunque si manifesti, quale che sia la forma che assume nel "mondo stregato delle merci" (democratica, fascista, populista, reazionaria, plutocratica ecc.), è sempre tragica. Solo quando ciò è ben chiaro, come in Shakespeare o in Manzoni, allora ci si può permettere di fare entrare i clowns. Ecco perché occorre saper distinguere tra i diversi significati di un comportamento che persino Aristotele ritenne così rappresentativo della singolarità e della complessità dell’essere umano, da assumerlo come esempio caratteristico di quel predicabile che è il “proprio”. Di conseguenza, occorre saper distinguere tra il riso isterico del reazionario e quello ebefrenico del
piccolo-borghese, tra il riso conservatore con relativo sogghigno e quello borghese distaccato e in falsetto, tra il riso supercilioso del sicofante riformista e quello rivoluzionario del militante comunista. Quest’ultimo è una manifestazione schietta, espansiva ed energica del “sarcasmo appassionato” di gramsciana e leniniana memoria: perciò è il riso di sfida, non del ribelle ma del rivoluzionario, non dell'anarchico ma del marxista che si beffa degli sforzi del vecchio mondo degli sfruttatori e dei parassiti per sfuggire alla condanna della storia. Ed è un riso vittorioso persino in catene e di fronte al plotone di esecuzione. Tornando, sul filo di queste considerazioni occasionate dal film in questione, alla realtà del nostro paese, concluderei osservando che il nostro, con le sue “contestazioni grigie” e la sua persistente subalternità all’ideologia dominante nelle sue svariate versioni, fra le quali quella ‘comica’ non è affatto secondaria, conferma di essere, come amava dire Antonio Labriola, il paese della tragedia che fa ridere e della commedia che fa piangere. E aggiungerei ancora la seguente postilla: coloro che vedono nel riso soltanto il riso sono come coloro che vedono nella miseria nient'altro che la miseria.
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Paolo Selmi
Saturday, 23 November 2019 11:38
– “Ma che cosa c’è di tanto terribile nel riso?”
– “Il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere la fede. Senza la paura del demonio non c’è più necessità del timore di Dio”
– “Però non puoi eliminare il riso eliminando questo libro”
– “No, certamente. Il riso resta lo sfogo dell’uomo volgare, ma cosa succederebbe se per colpa di questo libro, uomini saggi andassero affermando che è possibile ridere di tutto, possiamo ridere di Dio? Il mondo precipiterebbe nel caos. Perciò io sigillo quello che non doveva essere detto… nella tomba che ora divento.”
(dialogo tra Guglielmo di Baskerville e Jorge da Burgos ne Il nome della rosa di Umberto Eco (1980))

Caro Sergio,
nel complimentarmi per la tua ricerca, che dire... "Piatto ricco, mi ci ficco!" Premetto: un grosso GRAZIE, lo metterei a carattere 96, per non aver svelato il finale del film! Che prima o poi vedrò.

Aggiungo alcuni elementi di discussione. La lettura psicologica ci sta, come ce ne possono stare altre. Il bello di tutte queste letture è ampliare la visione del lettore-spettatore, lettore non perché si trova per caso sulle castronate che sto per sparare, ma perché "legge" il film, cerca di entrare nei codici che portano alla sua scrittura, usufruisce e gode dello stesso a un livello più alto o, semplicemente, diverso, come chi, al Museo del Cinema di Torino, si trova davanti a un televisore che per la sessantesima volta nella sua vita ripropone la scena del Falso Triello ne "Il buono, il brutto, il cattivo" di Leone (falso perché Tuco non lo sa ma ha la pistola scarica...), e gode di quei minuti pur sapendoli a memoria.

La citazione all'inizio, con quella maschera di morte di Jorge che pronuncia quelle frasi terribili (e, non me ne voglia Eco, ma nel primo film, quello con Connery, risaltano MOLTO di più in quel finale drammatico... sarà la riduzione in due ore, sarà l'attore che non poteva che fare Jorge con quella faccia, tipo Gino Cervi Maigret), ci porta a un mondo più remoto di Joker.

Un mondo dove il riso è SOVVERSIONE, quindi LIMITATO al minimo indispensabile, a quella valvola di sfogo concessa alla pentola a pressione della plebe "sempre all'opra china" per non finire loro, i potenti, al rogo o sul tritacarne improvvisato di qualche sommossa scappata di mano.

Torniamo al nostro Jorge: "Basta che guardiate, voi che avete ancora la vista, ai capitelli del vostro chiostro,” e accennò con la mano fuori dalle finestre, verso la chiesa, “sotto gli occhi dei frati intenti alla meditazione, cosa significano quelle ridicole mostruosità, quelle deformi formosità e formose difformità? Quelle sordide scimmie? Quei leoni, quei centauri, quegli esseri semiumani, con la bocca sul ventre, un piede solo, le orecchie a vela? Quelle tigri maculate, quei guerrieri in lotta, quei cacciatori che soffiano nel corno, e quei molti corpi in una sola testa e molte teste in un solo corpo? Quadrupedi con la coda di serpente, e pesci con la testa di quadrupede, e qui un animale che davanti pare un cavallo e dietro un caprone, e là un equino con le corna e via via, ormai è più piacevole per il monaco leggere i marmi che non i manoscritti, e ammirare le opere dell'uomo anziché meditare sulla legge di Dio. Vergogna, per il desiderio dei vostri occhi e per i vostri sorrisi!” "

E ancora, in una immortale sequenza Guglielmo-Connery che da sola varrebbe un libro, per gli argomenti citati: "“Mi chiedo,” disse Guglielmo, “perché siate tanto contrario a pensare che Gesù abbia mai riso. Io credo che il riso sia una buona medicina, come i bagni, per curare gli umori e le altre affezioni del corpo, in particolare la melanconia.” “I bagni sono cosa buona,” disse Jorge, “e lo stesso Aquinate li consiglia per rimuovere la tristezza, che può essere passione cattiva quando non si rivolga a un male che possa essere rimosso attraverso l'audacia. I bagni restituiscono l'equilibrio degli umori. Il riso squassa il corpo, deforma i lineamenti del viso, rende l'uomo simile alla scimmia.” “Le scimmie non ridono, il riso è proprio dell'uomo, è segno della sua razionalità,” disse Guglielmo.

Il dialogo-dotto battibecco dura pagine, ma mi fermo qui. Il riso DEFORMA e - noto per inciso - Joker ha, come tutti i pagliacci, il RISO dipinto sulle guance. Il riso DEFORMA: al pari di Jorge, contro tale riso, che "rende l'uomo simile alla scimmia", tutte le tradizioni di potere, secolare, religioso, miste (e l'uno e l'altro) si schierano compatte: i mandarini confuciani e i monaci buddhisti, dalla Cina al Giappone, ritraggono i loro fondatori divinizzati col SORRISO, il SORRISO DELL'ILLUMINATO, non il boccone da pagliaccio. L'estremo buddhistico è lo Huanxi Fo 歡喜佛, il Buddha Felice, con quel bel pancione seduto e un sorriso a trentasei denti. Naturalmente, quel Buddha incarna non la sovversione, ma la PROSPERITA', quel Fu 福 di cui la cultura confuciano-buddhistica è pregna, in quanto ideale terreno da raggiungere per ciascuno: "Ma chi t'ammazza a te?", sembra dire il fedele accendendo il suo bastoncino d'incenso e facendo l'inchino rituale di fronte al tempietto con lo Huanxi Fo, a quel baricentro basso, stabile, rappresentato dall'abbinata pancione-postura, sperando che condivida con lui un po' del frutto di quel recipiente infinito di fortuna, di quella CORNUCOPIA (passando da simbolo a simbolo).

Torniamo nel nostro Medioevo, per intenderci quello di qualche secolo fa, non quello attuale... Una volta che hai suscitato in me questi ricordi, Sergio, direi che il resto è venuto da sé: si tratta di cose ultranote, quindi le cito a mo' di bibliografia "da bar".

Partiamo dalla teologa e antropologa Maria Caterina Jacobelli, "Il risus paschalis e il fondamento teologico del piacere sessuale", Brescia, Queriniana Editrice, 1990 (https://www.queriniana.it/libro/il-risus-paschalis-e-il-fondamento-teologico-del-piacere-sessuale-1389 et http://www.festivaldelmedioevo.it/portal/risus-paschalis-le-barzellette-oscene-dei-preti/). Non "possiamo ridere di Dio", Jorge da Burgos stai tranquillo, ma deformarsi ogni tanto fa bene, aiuta a sfiatare la valvola a pressione di cui sopra. Quindi, anche il giorno di Pasqua, proprio in chiesa, giù di barzellette e racconti osceni. Ci stava.

Di deformazione in deformazione, restando sempre nell'Epoca di Mezzo, passiamo a Michail Bachtin, “L'opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale”, Torino, Einaudi, 1979 (Бахтин Михаил Михайлович, Творчество Франсуа Рабле и народная культура Средневековья и Ренессанса, М., Художественная литература, 1965): "Tutte queste forme, organizzate sul principio del riso, presentavano una differenza estremamente netta, di principio si potrebbe dire, rispetto alle forme di culto e alle cerimonie ufficiali serie della chiesa e dello stato feudale. Esse rivelavano una concezione completamente diversa del mondo, dell'uomo e dei rapporti umani, marcatamente non ufficiale, esterna alla chiesa e allo stato; sembravano aver edificato, accanto al mondo ufficiale, un secondo mondo e una seconda vita, di cui erano partecipi, in misura più o meno grande, tutti gli uomini del Medioevo, e in cui essi vivevano in corrispondenza con alcune date particolari.
Tutto ciò aveva creato un particolare dualismo del mondo e non sarebbe possibile comprendere né la coscienza culturale del Medioevo, né la cultura del Rinascimento senza tenere in considerazione questo dualismo. L'ignorare o il sottovalutare il riso poplare del Medioevo porta a snaturare il quadro di tutta l'evoluzione storica della cultura europea nei secoli seguenti. (Все эти обрядово-зрелищные формы, как организо­ванные на начале смеха, чрезвычайно резко, можно сказать принципиально, отличались от серьезных официальных — церковных и феодально-государствен­ных — культовых форм и церемониалов. Они давали совершенно иной, подчеркнуто неофициальный, внецер-ковный и внегосударственный аспект мира, человека и человеческих отношений; они как бы строили по ту сторону всего официального второй мир и вторую жизнь, которым все средневековые люди были в большей или меньшей степени причастны, в которых они в определенные сроки жили. Это — особого рода двумирность, без учета которой ни культурное сознание средневековья, ни культура Возрождения не могут быть правильно понятыми. Игнорирование или недооценка смеющегося народ­ного средневековья искажает картину и всего после­дующего исторического развития европейской куль­туры. )

Il carnevale, secondo Bachtin, non è quindi una semplice "rappresentazione", come non lo è Joker o V come Vendetta in un popolo ridotto dalla "fine della storia" e "delle ideologie" a ricorrere a simbologie in realtà molto più ricorrenti di quanto sembri nella storia stessa, nella breve storia di questo essere antropomorfo chiamato uomo.

"E così, nel carnevale è la stessa vita a essere messa in scena, ma la scena a un tempo diventa la vita stessa. In questo consiste la natura specifica del carnevale, il segno distintivo del suo essere. IL CARNEVALE E' LA SECONDA VITA DEL POPOLO, ORGANIZZATA SUL PRINCIPIO DEL RISO". ( Итак, в карнавале сама жизнь играет, а игра на вре­мя становится самой жизнью. В этом специфическая природа карнавала, особый род его бытия. Карнавал — это вторая жизнь народа, организован­ная на начале смеха.)

E va avanti, Bachtin. Peraltro, nel saggio allegato alla versione in russo in rete, c'è anche un parallelo fra Rabelais e Gogol', e le sue anime morte (ma che bel sabato mattina, oggi... altro che "Piatto ricco", grazie mille Sergio, davvero era da tempo che volevo riprendere queste cose viste un po' troppi anni fa!)

A questo punto, sciambola... dal carnevale a Halloween (pensa, la mia generazione conobbe questo termine perché titolo di un filmaccio dell'orrore che giravano negli anni ottanta sulle reti private): anche qui, Orrore, decomposizione, ricomposizione, pericolo (s://uh.edu/~jcrowder/images/INTRO_2302/Halloween.htm).

Altra suggestione: gli zombie, di Romero e non.
https://lithub.com/the-zombies-of-karl-marx-horror-in-capitalisms-wake/
https://www.academia.edu/2191848/_Zombie_Narratives_Critics_on_Capitalism_from_Dawn_of_the_Dead_to_Resident_Evil_

Nei disegni dei bimbi il cerchio VA SEMPRE CHIUSO, la linea NON PUO' essere lasciata aperta. IL CONFINE VA TENUTO, NETTAMENTE. Paura atavica: di questa paura atavica ne sa (e ne dice, CON ESTREMO RAMMARICO) qualcosa Dario Argento in questo intervento di due giorni fa al programma della Dandini (https://www.youtube.com/watch?v=QAqcxgTaBSM)
In questo senso, la cultura patriarcale definisce la donna IMPURA in quei giorni. Levitico e scintoismo giapponese "docunt".

Lo argomenta in maniera decisamente più approfondita Mary Douglas in "Purity and Danger: An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo", London, Routledge and Keegan Paul, 1966 (https://monoskop.org/images/7/7d/Douglas_Mary_Purity_and_Danger_An_Analysis_of_Concepts_of_Pollution_and_Taboo_2001.pdf)

E qui si apre un altro mondo, che ha a che fare col PERICOLO "danger" dato dall'impurità, che implica una ricombinazione possibile e, in quanto tale, sovversione dell'esistente e dei suoi elementi.

L'ultimo argomento riguarda gli EROI SCONFITTI. Non neghiamolo, sono quelli che ci stanno più simpatici. Siamo tutti all'angolo con Rocky, con James J. Braddock (Cinderella man), fuori dalla retorica banale a stelle e strisce del sogno americano per falliti e dello "one shot, one opportunity" (Eminem - Lose Yourself), e tornando a incazzarci fuori dal "uno su mille ce la fa", siamo tutti in corsia d'ospedale con John Q-Washington, siamo tutti a fianco di Bart-Volonté (https://www.youtube.com/watch?v=PQSKc5K76lk), siamo tutti con Ettore contro Achille, al limite ci infiliamo anche nella locomotiva di gucciniana memoria o, tornando alla sua rappresentazione scenografica, in quella guidata da Sean (Sciònsciòn..."Giù la testa") "a bomba contro l'ingiustizia". Ebbene, siamo in buona compagnia: in Ivan Morris, "The nobility of failure: Tragic heroes in the history of Japan", New York, Holt, Rinehart and Winston, 1975. l'Autore descrive le storie degli eroi sconfitti nella storia giapponese e perché, nella loro cultura, sono divenuti un simbolo potente e, per certi versi, non troppo "igienico" (nel senso di cui sopra) da evocare.

Torniamo a bomba al primo argomento, e concludiamo: un mix di codici semantici tradizionali di DEFORMAZIONE, impurità, rottura di schemi tradizionali uniti all'archetipo dell'eroe sconfitto che risulta vincitore. Nulla di nuovo sotto il sole. Perché, però,attecchisce? Proprio OGGI? In un periodo di CRISI (passaggio rottura decomposizione)? La risposta, a fronte di quanto accennato in queste note da sabato mattina, è abbastanza evidente.

Così come è ANCORA PIU' EVIDENTE IL GIOCO DELLE PARTI OPERATO DAL POTERE COSTITUITO: poliziotto buono e poliziotto cattivo, bastone e carota, apri la valvola di sfogo e poi legna, anzi CREA UNA VALVOLA DI SFOGO AL FINE DI VEICOLARE IL MALCONTENTO NEL PAGLIACCIO-POPULISTA DI TURNO e poi, al suono della campanella, "La ricreazione è finita, tutti in aula". Concludi giustamente sul pagliaccio Zelenskij: "Ma il figlio-che-ride rischia di diventare, a sua volta, il nuovo despota, un despota che gli stessi figli hanno eletto."

Migliore conclusione non potevi trovare. Complimenti ancora per il tuo lavoro e
un abbraccio.

Paolo Selmi
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