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La democrazia bloccata, la crisi del Partito Socialista e i movimenti di contestazione in Francia

Diario parigino 5

di Andrea Inglese

08042016nuit deboutProviamo a guardare la sequenza più ampia. In Francia, paese del presidenzialismo, per 17 anni abbiamo un presidente della Repubblica che viene dai ranghi della destra. Chirac è rieletto per due mandati consecutivi dal 1995 al 2007, e Sarkozy, che gli succede, lascia la carica, nel maggio del 2012, a Hollande, nuovo presidente socialista. Prima di lui, bisogna risalire alla lunga parentesi rappresentata dal doppio mandato di Mitterand (1981-1995), per trovare un altro presidente socialista. Non azzardo un bilancio politico dell’ultima presidenza di destra, quella di Sarkozy, ma alcune cose risultano evidenti. Sarkozy ha fatto quanto poteva per aiutare i grandi patrimoni e le grandi imprese, e nello stesso tempo si è impegnato a fondo per criminalizzare i poveri, cominciando dagli immigrati. I margini di manovra per realizzare delle massicce riforme che spingessero la Francia verso scenari di radicale liberalizzazione sul modello Thatcher o Regan, in Francia non c’erano. Sarkozy si è trovato, quindi, in una situazione simile a quella di Berlusconi in Italia. Non potendo demolire le garanzie universali dello Stato sociale, senza provocare violente reazioni nella popolazione, entrambi hanno agito soprattutto sul versante fiscale e su quello repressivo. In qualche modo, hanno dovuto compensare sul piano della retorica neo-liberista l’impossibilità di realizzare, nei fatti, il progetto di uno smantellamento radicale dello Stato sociale. Da qui la continua e virulenta stigmatizzazione degli immigrati, dei disoccupati delle periferie, degli assistiti, dei funzionari statali, per non parlare dei “comunisti” (Berlusconi) e dei “sessantottini” (Sarkozy). Tutta questa violenza verbale ha funzionato come una sorta di esorcismo nei confronti della loro incapacità di servire il grande capitale fino in fondo. Gli effetti di questa retorica, almeno in Francia, sono stati estremamente nocivi, e hanno aperto uno spazio di manovra all’immaginario e al discorso ancora più aggressivo dell’estrema destra razzista del Fronte Nazionale.

Hollande vince le elezioni contro Sarkozy, tenendo un discorso esplicitamente di sinistra che suscita grandi speranze negli elettori più ingenui e qualche speranza negli elettori più scettici. Due chiari obiettivi della campagna di Hollande sono: limitare il potere delle banche e delle grandi fortune, e limitare la politica europea di austerità. Vale la pena, però, di fare un passo indietro e chiedersi chi sono, nel 2012, i socialisti. Per capirlo, basta pensare a colui che, al posto di Hollande, doveva essere il candidato vincente delle primarie socialiste, Dominique Strauss-Kahn. L’uomo di punta per le elezioni presidenziali del partito socialista doveva essere l’ex direttore del Fondo Monetario Internazionale, ossia una delle istituzioni economiche internazionali più permeata dall’ideologia liberista. Ma al giorno d’oggi non solo esiste una destra, come dicono in Francia, décomplexée (senza complessi), ma anche la sinistra (socialista) è molto décomplexée. Quindi presidenza del Fondo Monetario e (eventuale) presidenza della Repubblica con governo socialista, non erano per nulla considerate come esperienze disparate o contraddittorie. Strauss-Kahn, però, si è dimostrato “senza complessi” anche sul versante “morale”. Lo scandalo suscitato dalla (presunta) aggressione sessuale nei confronti di una cameriera del Sofitel di New York farà emergere pubblicamente la sua predilezione per rapporti sessuali violenti e umilianti con prostitute, che in genere venivano pagate dai suoi amici o clienti. Ricordo questi fatti, perché è doveroso comprendere che la crisi del Partito socialista francese non è solo una crisi d’orientamento politico, di un partito che “non fa più una politica di sinistra”. È anche una crisi d’orientamento morale. A riprova di questo, si pensi al caso di Jérôme Cahuzac, ministro del Bilancio nel primo governo a maggioranza socialista costituito sotto la presidenza Hollande. Due informazioni soltanto sul personaggio: dirige una clinica di chirurgia estetica di sua proprietà e si è fatto montagne di soldi come consulente delle industrie farmaceutiche. Non rimarrà nel governo neppure un anno, perché – grazie a informazioni diffuse dal sito indipendente Mediapart – è accusato di frode fiscale, e dovrà dare le dimissioni.

Volendo ora fare un bilancio rapido della presidenza Hollande, essa si caratterizza per “un tradimento” del mandato elettorale. Quello che il presidente ha promesso, non ha fatto. E tanto il suo discorso elettorale era spostato a sinistra, tanto il suo attuale governo è spostato a destra. Il primo ministro attuale, Valls, alle primarie socialiste aveva ottenuto solo il 5% dei voti. (Secondo un giornalista, Hollande avrebbe fatto questa battuta durante le primarie: “Fortunatamente vi partecipa anche Valls, così c’è almeno qualcuno che si colloca più a destra di me”.) La situazione che si è venuta a creare intorno all’azione di governo è quindi doppiamente tesa. All’interno del partito socialista, dove Valls rappresenta una corrente minoritaria di orientamento “socio-liberale” – se una tale formula ha un qualche significato –, una fetta importante di deputati socialisti (i cosiddetti “frondisti”) non si riconoscono nella sua azione di governo. La medesima tensione si è fatto ancora più esplicita tra l’esecutivo e una grossa parte dell’elettorato di sinistra, come la massiccia mobilizzazione contro la “legge sul lavoro” rende evidente.

Ci troviamo, qui, di fronte a un doppio impedimento al normale funzionamento della democrazia rappresentativa. L’impedimento derivante dalle politiche economiche europee, che limitano in maniera illegittima la sovranità politica degli Stati, e l’impedimento derivante da un diretto tradimento di mandato, da parte di chi è stato eletto in virtù di certi valori riconosciuti, e di certi orientamenti politici.

In questo contesto di forte disillusione dell’elettorato di sinistra, si sono verificati in Francia, nell’arco di soli dieci mesi, degli attentati terroristici estremamente violenti per il numero di vittime e feriti realizzati, e per le modalità attraverso cui sono stati condotti. L’intero paese ha vissuto per alcuni mesi sotto una cappa di piombo, soprattutto a partire dal 13 novembre con l’adozione del governo dello “stato d’emergenza” e l’osceno dibattito, promosso dallo stesso Hollande, sulla “revoca della cittadinanza” per i terroristi francesi condannati, che abbiano la doppia cittadinanza (francese e algerina, ad esempio).

Apro una breve parentesi. All’epoca delle grandi mobilitazioni in risposta agli attentati contro la redazione di Charlie Hebdo e dei clienti dell’Hyper Cacher, diversi interventi nati nell’ambito della sinistra radicale denunciarono, con riferimento soprattutto alla grande manifestazione parigina dell’11 gennaio, una reazione islamofobica, una mobilitazione acefala e manipolata dai media, una discesa in piazza massiccia dei “bobo”, ossia del ceto medio-alto della capitale. Io diedi una lettura diversa di quella imponente mobilitazione, che non mi sembrava per nulla confermare lo “spostamento” sempre più a destra della società francese. (Questo spostamento c’era e c’è, ma non riguardava quel popolo in piazza.) La mia valutazione di quell’evento era globalmente positiva, e mi sembrava dimostrasse la capacità di una fetta importante della società francese di reagire in modo solidale e democratico, senza farsi trascinare in una deriva razzista e paranoica. Toni Negri, che non è mai stato un mio autore culto, si spinse persino a vedere in quella mobilitazione i germi di una nuova generazione in grado di uscire dal fatalismo e capace di sviluppare atteggiamenti critici nei confronti della società attuale. In questo caso, mi pare che l’ottimismo di allora sia confermato dai fatti di oggi. In particolar modo, la ripresa della mobilitazione studentesca e la nascita di forme di cittadinanza critica e autogestita come “Nuit debout”, mostrano che delle premesse già esistevano, e in qualche modo gli attentati terroristici invece di sancire un definitivo ripiegamento della società sui temi della sicurezza e del controllo, hanno funzionato sul medio periodo come elementi scatenanti, in grado di far emergere una forte reazione sociale.

La mobilitazione ampia e trasversale nei confronti della “legge sul lavoro” mostra che l’elettorato di sinistra non si accontenta di subire astenico e rassegnato lo spettacolo di una democrazia bloccata, in cui i rappresentanti della visione del mondo democratica ed egualitaria possano tradire il loro mandato senza conseguenze.

Uno dei temi che ha caratterizzato un movimento come “Nuit débout” è stato quello del passaggio dalla contestazione di una legge specifica alla contestazione di un intero sistema (sociale, economico e politico). In un contesto caratterizzato da un’azione estremamente orizzontale e apartitica come quello rivendicato dai militanti di “Nuit débout”, una tale radicalizzazione produce, in realtà, vantaggi e svantaggi. Il primo svantaggio è che quando si passa dalla lotta per il ritiro di una legge specifica all’assemblea permanente cittadina per riscrivere la costituzione, il rischio di ritrovarsi con la vecchia costituzione, aggravata dalla nuova legge, è molto alto. Questo è un problema tipico della militanza anticapitalista, che oscilla tra lotte locali circoscritte, efficaci e con chiari obiettivi, e lotte permanenti che guardano a obiettivi astratti, come la fuoriuscita dall’economia capitalistica e la dissoluzione dello Stato. Ma questo tipo di radicalizzazione ha anche un enorme vantaggio. Costituisce una palestra di pensiero e formazione per nuove generazione di militanti che non si trovano semplicemente instradati nelle azioni e nei discorsi dei partiti dell’estrema sinistra o delle organizzazioni sindacali più attive. Più che una convergenza di lotte, c’è stata una convergenza di soggetti diversi, tutti accomunati da un’insofferenza nei confronti di una democrazia bloccata, in cui l’iniziativa è presa costantemente dal grande capitale e dalle grandi imprese. Il fatto che la radicalità libertaria e orizzontale di “Nuit débout” si sia trovata alleata all’irruenza dei movimenti studenteschi e soprattutto all’azione potentemente organizzata dei sindacati francesi, che combattono sempre con un obiettivo chiaro e quindi con la possibilità concreta di verificare il grado di efficacia di un lunga lotta, tutto ciò ha grandemente contribuito a rendere questo movimento di contestazione forte e anche originale.

Vi sono due altre questioni che m’interessa affrontare. Ma lo farò in un pezzo ulteriore. Alludo al rapporto tra la violenza dei “casseurs” e la brutalità poliziesca, da un lato, e la difficoltà di integrare nei movimenti di contestazione di sinistra le fasce popolari spesso proveniente dai quartieri più poveri e degradati.

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