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La mossa del cavallo. Francia e Germania, Ue e cronache del crollo

di Alessandro Visalli

ScacchiSi sta(va) allineando una tempesta perfetta. L’impatto economico della pandemia iniziava a mordere le economie europee, moltiplicando i disoccupati e rendendo necessarie ingenti spese[1]. La sfida strategica tra i grandi attori mondiali si stava scaldando, promettendo significativi rallentamenti strutturali del grado di interconnessione economica e difficoltà a tenere i piedi in tutte le scarpe, come piace al modello nordico[2]. La Corte Costituzionale tedesca, tra la costernazione generale, aveva buttato un martello nelle ruote dentate della macchina europea[3].

Questa tempesta agiva su una nave parecchio malridotta e peraltro anche mal progettata. Una nave da guerra che si proponeva come transatlantico, senza avere cabine per tutti, servizi adeguati e scialuppe di salvataggio all’occorrenza. Una nave che aveva recentemente subito la defezione della quota inglese dell’equipaggio e nel quale tra i ponti superiori ed inferiori non si cessava mai di litigare. Peraltro, assai poco funzionale anche come nave da guerra, dato che non sapeva dove voler andare e vagolava incerta in mezzo al mare, mentre gli ufficiali, chiusi nella loro stanza erano costantemente impegnati nei loro bracci di ferro.

Avevano costruito questa strana nave in mare aperto, varata come una semplice nave appoggio delle più solide flottiglie nazionali negli anni cinquanta (quando la guida della portaerei americana era indiscussa), ma si era via via allargata ma senza mai tornare nel bacino di carenaggio. L’unica volta che avevano provato a farlo i referendum di mezza Europa avevano fatto immediatamente desistere. Ma quando era passato il momento storico (il naufragio della flotta avversaria nel 1989), si era pensato di trasformarla in nave da guerra. Una nave da guerra che parlava di pace (ovvero un classico).

Questa strana nave arrivava dunque alla prova della triplice tempesta senza aver risolto nessuno dei suoi problemi: la strutturale dissimetria tra paesi grandi e piccoli, tra nord e sud, tra est ed ovest, tra economie diverse, tra impostazioni religiose e valoriali diverse, memorie, quadri istituzionali, e via continuando.

La Corte Costituzionale aveva dunque aperto una larga ferita in questo tessuto. Contestando la supremazia del diritto Europeo e della Corte di Giustizia, e non riconoscendo l’autonomia della Bce, aveva riaffermato, in sostanza, che l’Unione Europea non esiste. Si trattava di ricondurre l’insieme delle istituzioni europee (Parlamento, Consiglio, Commissione, Bce e Corte di Giustizia) al rango di organizzazione internazionale di secondo livello (come l’Onu, il Fmi, il Wto) che hanno un potere in ultima istanza derivato dal consenso degli Stati sovrani che vi partecipano.

Come ha scritto, però, opportunamente Wolfgang Streeck[4], la Corte Costituzionale tedesca ha ragione. Dispone di poteri di larga estensione, figli dell’assetto del dopoguerra, ed è in grado di limitare severamente gli spazi di azione dell’esecutivo, come di altri esecutivi. Il punto posto è che “l'UE, la BCE e la Corte di giustizia europea non possano in alcun modo estendere la loro giurisdizione ai diritti dei cittadini tedeschi garantiti dalla Costituzione tedesca”. E, ancora più rilevante, la Corte ha affermato che nessuna modifica incidentale della costituzione materiale, un passetto alla volta (sopra riportato con la metafora della nave rifatta mentre sta in mare aperto), è ammissibile costituzionalmente.

Se si vuole uno stato federale europeo si chieda e si approvi in tutti e 27 gli stati membri. Poiché tutti sanno che questo è impossibile, in primo luogo per l’eccessiva eterogeneità demografica, culturale, di potenza degli stati coinvolti, in quanto alcuni staterelli da pochi milioni di abitanti perderebbero ogni e qualsiasi possibilità di determinarsi, l’imbarazzo è stato subito enorme.

Ma, pur in questo imbarazzo, l'Unione Europea serve troppi e troppo forti interessi per abbandonarla senza tentare un'ultima mossa. Serve all'economia tedesca (se pur non necessariamente a tutta) e serve ai sogni di potenza francesi, serve alle economie parassitarie dei piccoli nord, e serve alle disperate minoranze politiche abbarbicate al "sogno" del sud.

È qui che è caduto il colpo di teatro della improvvisa mossa del cavallo. In una conferenza congiunta il Presidente Francese, Emmanuel Macron, e la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, hanno annunciato un nuovo programma da 750 miliardi finanziati dal bilancio europeo, per sostenere la ricostruzione dell’economia europea. Un programma, qui è la novità e il salto del cavallo che supera la prima linea di difesa dei pedoni nordici, che viene finanziato direttamente dalla Commissione, vedremo come. È in effetti la rottura del tabù della mutualizzazione delle spese (anche se non dei debiti pregressi). In sostanza il “Next Generation Fund[5] chiederà prestiti al mercato internazionale dei capitali, emettendo suoi titoli garantiti dalla Unione Europea, e li rimborserà facendo uso del bilancio europeo (che dovrà essere portato fino al 2% del Pil) in un periodo di trenta anni, dal 2028 al 2058. I 750 miliardi, secondo gli ultimi dati disponibili, saranno distribuiti agli stati membri secondo un programma di investimenti concordato asimmetrico (secondo le necessità e non le quote di partecipazione) per due terzi e per un terzo solo a titolo di prestito a chi ne farà espressa richiesta e sotto più severa condizionalità. Inoltre, una piccola quota, di circa 11,5 miliardi (o forse 55 secondo altre fonti) complessivi saranno anticipati sul bilancio attuale (2014-20) e quindi erogabili entro l’anno. Questo meccanismo è per definizione asimmetrico, quindi alcuni pagheranno più di quel che ricevono, mentre altri riceveranno più di quanto pagano.

Qui i calcoli si fanno complessi, sia perché le tabelle sono solo di prima istanza e dovrà esserci l’intero e lungo percorso negoziale, sia perché si confrontano stock di erogazione (pare in più rate) e flussi di rimborso via versamenti ordinari al bilancio europeo, sparpagliati in trenta anni. In linea di massima potremmo ricevere 80-90 miliardi in tre-quattro rate annuali, più meno di 1 entro l’anno, e restituirne quasi altrettanti in trentacinque anni. Come è chiaro il calcolo attuariale mostra che sarebbe vantaggioso anche se la somma da restituire fosse più del doppio di quella ricevuta[6]; dunque, il punto non è che il meccanismo sia punitivo.

La questione è che da una parte sono totalmente insufficienti in termini quantitativi assoluti, dall’altra che arriveranno quando il babbo sarà stato sepolto da troppo tempo ed anche i figli lo avranno seguito. Ciò non solo perché è da attivare sul bilancio 2021-27, e perché la trattativa in Consiglio è tutta da fare ed in aspra salita, ma soprattutto perché è la ripresa del meccanismo consolidato dei “Fondi Strutturali”. Insomma, al Fesr, al Fse, al Feasr, al Feamp ed al Fc sarà aggiunto un FENG (Fondo Europeo Next Generation). Vediamo quindi che significa: nel bilancio si individuano delle azioni strutturali necessarie per favorire il processo di convergenza (ad esempio una linea di treni ad alta velocità, le strutture portuali, metropolitane, …), si scrive un Programma Operativo e si approva da parte degli Stati Membri e dalla Commissione Europea, rispettivamente un Pon, se nazionale, ed un Por, se regionale (in Italia abbiamo 75 Programmi Operativi attivi); rispettando il Regolamento 1330/2013 e gli obiettivi del Quadro Comunitario di Sostegno (Qcs) ed il Docupu, dovranno essere impegnati i fondi, bandite le gare europee, realizzate le opere e rendicontate. Normalmente tutto questo si porta via da due a quattro anni per il completamento della programmazione e le prime gare e poi altri per realizzazione e rendicontazione. Non è difficile verificare che la maggior parte della spesa viene realizzata negli ultimi due anni del programma.

Certo le somme sono molto grandi, tutti i fondi europei messi insieme cumulano 350 miliardi e questo va da 300 a 550, ma questa è un’aggravante, perché l’enorme struttura burocratica e di assistenza tecnica e progettazione coinvolta con i fondi strutturali, anche a causa di procedure non certo agili, fa già fatica a gestire quelli esistenti.

Dunque avremo, se tutto va bene, un 20-30 miliardi all’anno nominalmente per gli anni dal 24 al 27, ma che di fatto si tradurranno in bonifici per i destinatari solo dal 26 per lo più. Scrivo per esperienza.

La domanda è: e fino al 2026? Dovrebbe essere molto chiaro che senza poter disporre di flessibilità monetaria e di spazi di bilancio adeguati l’Italia, ma anche la Spagna, e la Francia al 2026 non arrivano integre.

Qui c’è l’intero spazio di ambiguità negoziale di questa mossa. Molto più astuta di quanto possa sembrare. Mentre infuria il dibattito in Germania[7], e i paesi nordici affilano le armi per il prossimo Consiglio[8], il gioco delle opposte opinioni pubbliche ha reso necessario dare l’impressione di aver rimesso in moto la carovana europea. E per fare questo i comandanti, le cui truppe stavano perdendo fiducia e rischiavano di sbandarsi, hanno indicato una lontana, ma promettente, oasi. Forse non tutti la vogliono davvero, ma tanto è lontana.

Per arrivarci bisogna infatti attraversare un lunghissimo deserto (sempre non sia un miraggio e sempre che i predoni, nel frattempo, non la saccheggino).

La condizione per attraversare il deserto è che la truppa non perda il suo morale e che quindi marci sopportando le sofferenze del viaggio. Ma questo può accadere solo se l’acqua non viene a mancare ed il cibo nelle bisacce. C’è un problema, l’acqua è nell’oasi.

Qui torna in gioco la Corte di Karlsruhe. Perché di fatto c’è una sola fonte certa di acqua e di cibo, ed è la pentola magica che è custodita dai sacerdoti della Bce[9], e la Corte ci vuole mettere il tappo.

Non abbiamo finito, insomma.

Dovremo aspettare il Consiglio di giugno, poi quello al quale questo rimanderà invariabilmente la definizione del programma, poi la battaglia di agosto della Corte (tra la Bce e la Bundesbank, la Corte di Giustizia Europea e la Corte Costituzionale tedesca, tra la Commissione Europea e la Germania), ed infine le elezioni americane di novembre.

Poi, forse, sapremo se la pentola resta aperta fino all’oasi, se l’oasi c’è, quanto è grande, se la carovana resta unita.

Come si dice: se vivremo lo vedremo. Intanto ci tocca soffrire.


Note
[1] - Le stime attuali parlano di possibili rallentamenti nell’ordine di una decina di punti di Pil nell’anno, negli Stati Uniti sta andando anche peggio ed i disoccupati sono al massimo dal tempo della Grande Depressione, ma, soprattutto, gli effetti sistemici potrebbero essere incontrollabili. Si veda “Disorganizzazione e riorganizzazione. Coronavirus e cronache del crollo”.
[2] - Il modello nordico, per il quale la Germania, l’Olanda e la Svezia hanno ormai percentuali di esportazioni nell’ordine della metà del Pil, quando un sistema normalmente equilibrato non supera il 20%, si regge e trova senso solo se il mondo è completamente aperto e si può vendere le proprie merci non solo nel giardino di casa protetto (che saremmo noi), quanto contemporaneamente negli Usa ed in Cina. Questa condizione, con la ripresa della guerra fredda che si prepara verrà meno. L’intero modello non ha dunque futuro, ed aver sacrificato ad esso molte vite (come, a tutta evidenza, ha fatto la Svezia) non sarà servito.
[3] - La Corte Costituzionale tedesca, con una decisione vincolante, ha intimato alla Bundesbank di ritirarsi dai programmi della Bce entro agosto se questa non fornisce adeguate spiegazioni circa il Qe. Si veda “Verso lo scontro finale? Germania, Ue cronache del crollo”.
[4] - Wolfgang Streeck, “Perché la corte di Karlsruhe ha ragione e perché per la politica tedesca è arrivata l’ora della verità”.
[5] - Si veda questa fonte e questa.
[6] - Non è noto se i titoli emessi saranno indicizzati all’inflazione, né quale tasso, presumibilmente basso, spunteranno, ma l’incidenza della somma sul Pil, su periodi così lunghi è da sola sufficiente a considerare che la somma restituita peserà molto meno. Faccio un esempio, oggi ho un Pil di 1.000 miliardi e ne ricevo 100, lo stimolo alla mia crescita vale il 10% del Pil; tra otto anni devo iniziare la restituzione, poniamo di 100/30 (ci sarebbero anche gli interessi, ma c’è anche il rendimento delle somme che accantono per annullare il bond tra trenta anni) all’anno, ovvero 3,3 miliardi all’anno. Ma tra otto anni il mio Pil non sarà 1.000, bensì, poniamo, 1.160 miliardi, 3,3 miliardi pesano un freno alla crescita che vale ca. lo 0,3% del Pil, le rate successive incideranno sempre meno, fino a che l’ultima, con un Pil che potrebbe aver raggiunto anche i 2.000 miliardi, incideranno solo il 0,15 % del Pil. Complessivamente è come se avessi restituito il 30 o 40% in meno in termini reali.
[7] - Si vedano gli interventi tradotti in “Voci dalla Germania”.
[8] - Hanno già reso noto che porranno il veto, e comunque sarebbe disponibili solo a prestiti, di minore entità, non asimmetrici e accompagnati da severe misure di austerità.
[9] - Ovvero è il programma di acquisti di emergenza deciso dalla Bce.

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