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Il ricatto del Recovery Fund

di Leonardo Mazzei

LIBERI DI 1 768x501Abbiamo già spiegato quanto sia infondata la leggenda del Recovery Fund. L’analisi del funzionamento tecnico di questo nuovo strumento europeo non lascia spazio ai dubbi. In esso non c’è nulla di virtuoso, tantomeno di risolutivo rispetto alla crisi in corso.

Ma limitarsi a vederne la sostanziale inefficacia economica sarebbe un grave errore. Dedichiamo perciò questo nuovo articolo agli aspetti più propriamente politici. Il tentativo è quello di capire quale sia il vero accordo che sta dietro il Recovery Fund. Impresa in verità non troppo difficile.

 

Lo choc di primavera

Di fronte alla crisi innescata dal Covid, e più ancora dalla sua disastrosa gestione, l’UE ha dovuto prendere atto del baratro che gli si parava davanti. Un baratro che avrebbe potuto aprire la strada alla disintegrazione. Sulla base di questa banale constatazione i soliti illusi hanno perfino immaginato la tanto sognata “riforma” dell’Unione. Ma la riforma di ciò che è irriformabile è per definizione impossibile. Nel caso dell’UE le dimostrazioni in tal senso sono talmente tante che non è necessario insistervi.

La cupola eurista ha dovuto perciò inventarsi l’ennesima soluzione che serve a prender tempo, che non risolve i problemi ma che è utile intanto a salvare la baracca. Tutti sanno che, di fronte al drammatico crollo dell’economia, l’unica misura sensata ed efficace sarebbe stata la monetizzazione del debito. Lo hanno fatto i più importanti stati del pianeta, ma l’UE non può farlo. E, cosa ancora più importante, chi al suo interno detiene le leve del comando non vuole farlo.

Ecco allora il pannicello caldo col trucco denominato Recovery Fund. Pannicello caldo in quanto strumento del tutto inadeguato. Col trucco, per il suo meccanismo teso ad azzerare la residua sovranità dei Pigs, gli “stati maiali” dell’immaginario del mainstream eurista, di cui l’Italia è senz’altro il bersaglio più grosso.

Ma come far digerire questo rospo alle vittime designate? Banale, con un ricatto semplice, semplice. Un ricatto forte quanto invisibile. Che, proprio perché basato su un patto non scritto, tiene sempre in canna il colpo mortale mirato alla tempia della vittima.

 

Il ruolo della Bce

La chiave di volta di questo ricatto si chiama Bce. Abbiamo detto che la Banca Centrale non può e non vuole monetizzare il debito, e difatti non lo fa. Però acquista i titoli degli stati più in difficoltà, e questo è uno strumento di ricatto formidabile. Reso ancora più forte proprio dal fatto di non essere tenuta a farlo.

Ovviamente la Bce non agisce da sola. La leggenda della sua autonomia è solo una storiella per gonzi. Per tutti gli altri dovrebbero essere evidenti due cose: che essa si muove di concerto con la Commissione e con l’intera cupola eurocratica; che la sua azione è parte di un disegno e di un patto più complessivo.

Qual è questo patto?

Ovviamente non abbiamo la sfera di cristallo, ma con un pizzico di immaginazione non è difficile figurarsi quel che in primavera devono aver detto i caporioni di Bruxelles e Berlino ai timorati rappresentanti del governo di Roma:

«Col vostro debito, che ora crescerà a dismisura, solo la Bce potrà salvarvi dal default. Noi silenziosamente glielo consentiremo, ma voi dovrete accettare un bel pacchetto di interventi diretto giusto ad impacchettarvi, ma ovviamente confezionato in modo da apparire attraente, così voi potrete addirittura vendervelo in patria come salvifico. Cosa volete di più?».

Ora, è chiaro come questo accordo ha visto anche altri contraenti, sia sul lato dei ricattatori che su quello dei ricattati, con la Francia sempre intenta a barcamenarsi tra i suoi problemi e le sue velleità. Ma la sostanza non cambia. E l’obiettivo grosso della manovra resta comunque l’Italia.

A chi pensa che si tratti solo di fantasie di un fissato anti-UE, risponderò con le parole scritte da un personaggio autorevole quanto schierato con il blocco eurista, Lucrezia Reichlin. Sul Corriere della sera del 24 ottobre, la figlia di quello che fu un importante dirigente del Pci vuota il sacco, riconoscendo di fatto la natura e la sostanza del patto (e del ricatto) in questione.

 

Il ricatto spiegato da Lucrezia Reichlin

Ci eravamo arrivati da soli, ma l’editoriale di Reichlin conferma quanto era già intuibile da maggio. Il patto politico c’è, quello che ci viene chiesto è di rispettarlo, di non giocare col fuoco, che in caso contrario saranno solo guai.

Eccola di nuovo la bella Europa! Quella che conosciamo da anni, che ci dice cosa fare e cosa no. Che ci prepara per bene i “compiti a casa”. Che estorce il consenso con la minaccia. Ma che lo fa sempre per il nostro bene.

Cosa ci dice la Reichlin?

Dopo aver criticato la convinzione secondo cui, qualunque cosa accada, la Bce garantirà comunque all’Italia bassi tassi di rifinanziamento del debito, Reichlin avverte che il patto che l’ha consentito finora potrebbe saltare.

E questo perché:

«I margini di flessibilità di Christine Lagarde dipendono dal grado di consenso politico alla condivisione del rischio all’interno dell’Unione. In generale, una banca centrale, nonostante la sua grande potenza di fuoco, non ha legittimità ad intervenire in modo illimitato senza il sostegno dell’autorità di bilancio che a sua volta si poggia su una decisione politica».

Fino a qui siamo all’esposizione di una cosa perfino banale. Dove sta quindi il problema?

«Ma se è così, la posizione dell’Italia riguardo al Mes o quella della Spagna che dice di non volere attingere ai prestiti del Recovery Fund è molto pericolosa. Il pacchetto europeo prevede una molteplicità di strumenti e su questo si basa l’accordo politico».

Eccoci dunque al famoso “pacchetto”, che di fatto non è rappresentato solo – come si usa dire – da Recovery Fund, Mes, Sure e prestiti Bei, ma include pure il non detto: la politica della Bce. Che ovviamente non è incondizionata, laddove le condizioni per gli Stati sotto ricatto stanno proprio nella piena accettazione degli altri strumenti messi graziosamente a punto dalla Commissione Ue. Tra questi il più sostanzioso è appunto il Recovery Fund.

Pretendere di svincolarsi da questo patto, dice l’economista che della Bce è stata per tre anni (2005-2008) Direttrice generale alla Ricerca, sarebbe una mossa semplicemente azzardata. Il perché ce lo dice in poche righe che, se lette attentamente, sono la più autorevole conferma di quel che andiamo dicendo sul “pacchetto europeo” fin dalla primavera scorsa.

Leggiamo:

«Pensare che il rubinetto Bce sia incondizionato è pericoloso. Inoltre va sfatata un’altra illusione. I prestiti, certo, andranno restituiti nel tempo ma anche gli interventi della Bce non sono gratis. Permettono oggi di espandere il debito pubblico senza impennate sui tassi così da poter prendere tempo, ma non prevedono un aumento permanente del debito finanziato con emissione di moneta… Aggiungo che anche i sussidi non sono gratis e andranno finanziati con tasse europee in modo ancora da definire». (sottolineature nostre)

Grazie Reichlin! Grazie per aver liquidato in poche frasi la montagna di sciocchezze che viene normalmente raccontata su Recovery Fund e dintorni. Grazie poi per aver precisato un punto decisivo, quello sul vero scopo dell’intero pacchetto, che non ha la pretesa di avviare l’uscita dall’ultradecennale crisi, tantomeno quella di uscire dall’austerità con la svolta verso un’immaginifica quanto inesistente “Europa solidale”, quanto piuttosto quello di prendere tempo per salvare la baracca eurista.

Casomai la notazione del fatto che non ci sono “sussidi gratis” andrebbe segnalata ad un altro illustre editorialista del Corriere, quel Paolo Mieli che ancora ieri sparlava, sull’assai meno autorevole testata, di una metà dei soldi del Recovery Fund come semplicemente “donata” dalla caritatevole UE. Ma si può? E poi questi sarebbero i campioni della lotta alle fake news…

Ma torniamo a Reichlin. La cui conclusione, dopo quanto detto, è perfino scontata:

«In conclusione, mentre ci si prepara a sostenere l’economia con nuovi strumenti nazionali e ad emettere nuovo debito, dobbiamo stare attenti a non fare errori sulla strategia europea. Questo comporta chiari programmi per il Recovery Fund e un piano per la sanità da finanziare subito con il Mes».

Mettiamoci subito in gabbia! Ecco l’inevitabile parola d’ordine di questa nostrana esponente dell’oligarchia eurista. Facciamolo obbedendo ai diktat europei sul come utilizzare il Recovery Fund e, per sovrapprezzo, aggiungiamoci pure (unici di un’Unione a 27!) il simpaticissimo Mes!

 

Il vero obiettivo politico (il gioco tedesco)

Le parole di Reichlin trovano un puntuale riscontro in quando detto negli ultimi giorni dai vertici della Bce.

Il lussemburghese Yves Mersch, membro del board della Banca Centrale Europea, ha detto minacciosamente che:

«La Bce dovrebbe agire se scoprisse che i governi stanno approfittando dei costi di indebitamento estremamente bassi che ha contribuito a creare per evitare di sfruttare i 750 miliardi di fondi dell’Unione europea».

«Evitare di sfruttare». Da notare qui quanto lorsignori tengano più di ogni altra cosa all’utilizzo di quei fondi, che pure insistono a presentarci come una magnifica opportunità che ci viene gentilmente concessa. Chissà perché!

A tagliare la testa al toro sulle reali intenzioni della Banca centrale è poi intervenuta direttamente la sua presidente, Christine Lagarde. La quale, in merito all’ipotesi di una cancellazione del “debito Covid” timidamente accennata dal presidente del parlamento di Strasburgo, David Sassoli, ha così stroncato quell’idea:

«Leggo sempre con interesse tutto quello che dicono i rappresentanti del Parlamento Ue e soprattutto i presidenti, la mia risposta è molto breve: tutto ciò che va in quella direzione è contro i trattati, c’è l’articolo 103 che proibisce quel tipo di approccio e io rispetto i trattati. Punto».

Bene, chiarito anche a Sassoli chi comanda in Europa, quel che emerge è il vero disegno politico dell’oligarchia eurista a dominanza tedesca.

Il famoso “pacchetto” trainato dal Recovery Fund non ha una mera funzione economica, peraltro limitata al solo prendere tempo allo scopo di impedire l’implosione a breve dell’edificio eurista. L’obiettivo principale è politico: incatenare in maniera ancor più stringente a quell’edificio i Paesi (in primis l’Italia) che dal sistema dell’euro subiscono danni micidiali fin dai tempi della sua instaurazione.

Giova qui ricordare quanto scritto a luglio a proposito di quale sia il vero gioco della Germania rispetto al futuro dell’UE ed a quello del nostro Paese. In estrema sintesi il punto è questo: contrariamente a quel dicono diversi confusionari, la Germania non ha alcuna intenzione di veder crollare l’UE, tantomeno quella di tirarsene fuori. Il suo scopo è invece quello di tenere in piedi la baracca pagando il minor prezzo possibile. Da qui dunque misure straordinarie come il Recovery Fund, ma a condizione che siano solo temporanee e che non mettano in discussione l’impianto ordoliberale con il suo corollario austeritario.

Riguardo all’Italia, il discorso di Berlino è semplice. L’Italia non può essere schiacciata come la Grecia. Il rischio che il nostro Paese sia costretto a chiamarsi fuori dalla gabbia dell’euro va infatti impedito come la peste. I tedeschi sanno benissimo come l’uscita italiana segnerebbe la fine della moneta unica e forse della stessa Unione. Dunque l’inizio di molti guai per la Germania ed i suoi governanti.

Da qui una politica tedesca che non può essere quella dello strangolamento dell’Italia, bensì quella di tenerla in qualche modo in piedi ma sempre con l’acqua alla gola. Ovvio come lo strumento principe di una simile politica sia il ricatto. Il costante ricatto che viene dalla sottrazione della sovranità monetaria, senza la quale la sovranità politica è semplicemente azzerata.

A questo serve la trappola del Recovery Fund. Uno strumento che, come abbiamo dimostrato nel precedente articolo, non consentirà una vera politica espansiva, tantomeno la fuoriuscita dalla crisi infinita iniziata nel 2008 ed oggi aggravata dal Covid. Un meccanismo pensato proprio per consentire un galleggiamento sempre in forse, sempre soggetto a nuovi ricatti, nuove pressioni, nuove richieste. E proprio per questo da accettare, come chiede Reichlin, senza indugio alcuno.

Ma davvero si può andare avanti così? Ecco la vera domanda alla quale dovrebbero rispondere tutti i soloni del Gotha eurista. Non lo faranno mai e sappiamo bene il perché.

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