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Barba, D’Angelillo, Lehndorff, Paggi, Somma, “Rottamare Maastricht”

di Alessandro Visalli

016 cmdnwprUn libro scritto da cinque autori che ripercorre per lo più con taglio storico-ricostruttivo il periodo della storia europea che va dall’unificazione della Germania e la stipula del Trattato di Maastricht ad oggi, con un prequel curato da Somma sulla storia del processo di unificazione a partire dal 1957.

In particolare il saggio di Leonardo Paggi, p.23 che apre il libro, inquadra Maastricht nel contesto del processo di unificazione tedesco, e l’atteggiamento delle élite italiane, in particolare di quella parte della tecnocrazia raccolta intorno a Bankitalia, quindi le politiche del lavoro degli anni novanta (Dini ed il “Pacchetto Treu”) e la particolare cultura della stabilità informata da tecniche astratte e, infine, la scomparsa del politico nella scissione tra legalità e legittimità democratica. Il saggio di D’Angelillo (p.153) focalizza i processi visti dal punto della Germania, quindi l’evoluzione dai tempi del “Model Deutschland” (ben descritto nel suo “La Germania e la crisi europea”), e poi l’evoluzione avuta con l’unificazione, la crescita dei Bric e il periodo post 2010, con l’ascesa a posizione egemone. Il saggio di Aldo Barba (p.124) ridescrive questi fenomeni sotto il profilo del funzionamento del modello economico, evidenziando come per i capitalisti sia preferibile una crescita frenata ad un basso saggio di profitto, e le divergenze di interesse tra la società che vuole poter disporre di beni da consumare e la logica del capitale che punta ad auto accrescersi. Il saggio di Lendorff (p.93) si concentra sugli effetti del modello economico ed imprenditoriale che ha preso piede in Germania intorno ad “Agenda 2010” e la realtà della distruzione della solidarietà europea, sostituita da un’unione di Stati in competizione reciproca entro la gabbia delle regole. Infine Alessandro Somma (p.57) come detto allarga lo sguardo storico, raccontando gli eventi che hanno preceduto la svolta del 1991-93.

Si tratta, dunque di un libro che ruota intorno ad alcuni centri tematici e si impegna a ricostruire, con una polifonia di voci concordanti, una narrazione coerente ed alternativa a quella della vulgata neoliberale. L’insieme dei fenomeni descritti vede la coesistenza di economie completamente distinte incoraggiate di fatto dalle regole istituite a concorrere reciprocamente in un gioco distruttivo. Ognuna cresce per proprio conto e in parte a spese delle altre, impedendo l’esercizio delle tradizionali armi di difesa connesse con la dinamica dei prezzi e le azioni discrezionali di finanza pubblica. Di fronte all’esclusione di ogni alternativa non resta che competere per cercare di strapparsi l’una all’altra la domanda interna, competendo per ampliare il proprio commercio, sottraendo quote di mercato agli avversari. È una sorta di guerra civile a bassa intensità, ma costante e spietata.

Questa cultura della “stabilità”, che di fatto sacrifica anche la crescita e il tenore di vita, implica una sorta di nuovo “patto di cittadinanza” (che nel post sulla “Grande moderazione” era stato descritto come circolo tra riduzione salari, deflazione dei prezzi, disinvestimento locale e reinvestimento globale, riciclaggio finanziario ed espansione dei debiti) che vede gli uomini di Bankitalia in posizione preminente. Guido Carli firma il Trattato di Maastricht e ne comprende la valenza come affermazione dello “stato minimo” ed abbandono dell’economia mista del dopoguerra, quindi anche ed ovviamente “redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari e aumenti quelle dei governi” (p.27). Figura centrale, per Paggi, è comunque Carlo Azeglio Ciampi, il vero “traduttore” del Trattato e dominatore degli anni novanta (Presidente del Consiglio e poi Ministro dell’Economia). Ciampi sostituisce in Banca d’Italia il Governatore Baffi, che si era coraggiosamente opposto al governo Andreotti ai tempi dello SME (cfr “Eugenio Scalfari, 1978, Parole al vento, il dibattito sullo SME”) e viene incriminato per favoreggiamento. Dopo l’eliminazione per via giudiziaria dello scomodo Baffi arriva quindi un sincero europeista, disponibile a far passare gli interessi del paese dietro quelli del processo di ridisegno della governance europea e nazionale. I “rischi deflattivi” che Baffi vedeva e denunciava (con Caffè e Rodano, e persino con Scalfari), sono accolti come parte di un nuovo modello che imita la cultura tedesca, ma soprattutto si impegna per trarre le necessarie conseguenza dalla totale libertà dei movimenti di capitale. Il “bene pubblico” che si deve produrre non è più l’incremento del tenore di vita, la piena occupazione, o lo sviluppo, ma è quella che Ciampi chiama “la credibilità e la fiducia” nei confronti dei mercati dei capitali. Occorre, in altre parole, assicurare che gli interessi dei capitali, e degli investitori che li esercitano, siano preminenti su tutto. Entrare in Europa diventa la chiave per assicurare e bloccare questo effetto. Dal 1993 la “concertazione” blocca completamente la dinamica salariale e progressivamente contrae la domanda interna. Il tenore di vita, ed alla lunga anche l’umore, fino agli esiti odierni, degli italiani è sacrificato sull’altare della “credibilità”. Inizia la lunga stagnazione italiana.

Sarà poi il governo Dini, nel 1995, a porre mano agli altri paletti dello Stato Provvidenza novecentesco: le pensioni (passando al metodo contributivo, i cui devastanti effetti sul livello di vita dei pensionati si comincia a vedere e si vedrà sempre più), e poi le azioni per rendere più debole il lavoro nei confronti del capitale (il “Pacchetto Treu” del 1997 seguito poi dalla “Legge Biagi” del 2003). Si tratta, come si vede, di politiche perfettamente bipartisan, in quanto perfettamente eterodirette (dagli organismi internazionali come l’Ocse e il FMI e dalla UE).

Paggi ci racconta che in quegli stessi anni in Germania (dove alla “cultura della stabilità” faceva storicamente da contraltare un welfare molto forte e politiche economiche molto attive) c’è un forte dibattito sull’utilità di Maastricht. Ad esempio Helmut Schmidt nel 1996 attacca con grande decisione in una “lettera aperta” il presidente della Bundesbank Tietmeyer, contestando direttamente ed in modo molto franco l’irragionevole presenza di regole (come il 60% del rapporto debito /Pil e il 3% di deficit voluti dalla stessa banca tedesca), e chiama “ideologia deflazionistica monomaniacale” l’atteggiamento storico che portò al nazismo. In questa lettera il vecchio cancelliere socialdemocratico spende la sua credibilità in favore dell’euro, vedendone in modo molto significativo il vantaggio fondamentale in chiave geopolitica. Cito dal testo: “il vantaggio più importante è il seguente: l’euro è il progresso tanto atteso che noi abbiamo percorso dal 1950 con il piano Schuman. Quando sarà compiuto, allora si verificheranno i presupposti per una politica estera e per la sicurezza dell’Unione europea”.

L’accusa alla Bundesbank di essere “uno Stato nello Stato”, e di portare avanti con sguardo miope una politica non condivisa dalla linea strategica fondamentale del paese (concentrata sulla necessità di far superare gli orrori della guerra e reinserire la Germania, con rispetto ed onore, nel novero dei paesi tranquilli ed affidabili), è da Paggi in qualche modo estesa alla Banca d’Italia. Questa si mostra “insensibile all’interesse nazionale” e unicamente asservita ad un ideale europeista il cui reale significato è di rappresentare la svolta finanziaria cui l’Europa si è vocata e quindi l’inibizione della capacità di azione politica autonoma del paese. Sono da ora i mercati ad essere i disciplinatori, non la dinamica democratica o la formazione politica dell’opinione: i numeri, non le parole (dunque i padroni dei numeri, non quelli delle parole). I “nuovi chierici” pensano in astratto, non guardano ai contesto, ai gruppi sociali, alla cultura ed ai bisogni; essi, di cui Ciampi è il massimo esponente nella fase, “sono i nuovi bramini del ventunesimo secolo” (p.38).

In questo modello, nel quale la legalità formale è scissa dalla legittimità democratica la sinistra abbandona il suo ruolo tradizionale di protezione sociale e si fa “modernizzatrice” in favore del capitale e della mondializzazione. Gradualmente il centro tematico diventa l’adesione al progetto europeo, l’allineamento ai “virtuosi” tedeschi, e la costruzione di “autopiloti” sempre più efficaci (la cosiddetta “cultura della governabilità”).

D’Angelillo ricostruisce lo sfondo di questi eventi in particolare a partire dalle conseguenze del processo di unificazione tedesco, che riposizione l’apparato industriale e l’espansione del terziario (e della rete commerciale) verso est. La Germania si trova a gestire da posizioni di forza parti sempre crescenti della catena di valore dei paesi dell’Europa orientale, decentrando le parti a minore valore aggiunto della propria produzione manifatturiera, ottenendo anche in patria, in associazione alle riforme del lavoro di Schröder, il disciplinamento della forza lavoro a vantaggio del capitale industriale. Contemporaneamente, con Kohl, il patrimonio pubblico viene privatizzato e scende ad un valore pari al 10% del Pil (era al 50%). Ed infine il paese si apre alla globalizzazione, le esportazioni si impennano e il surplus commerciale si dilata. In questo imponente processo l’Euro evidentemente lo favorisce, in quanto blocca l’effetto che si era sempre verificato in precedenza: la rivalutazione del marco. Un marco che non si rivaluta agiste in due direzioni, salvaguarda la competitività verso l’estero delle merci tedesche e tiene alti i prezzi dei beni esteri, contribuendo a creare il surplus. La Germania, come argomenta meglio nel suo libro che abbiamo citato, è l’unica a potersi permettere una forma residua di “keynesismo” attraverso la crescita dell’export, cioè sostiene il ciclo economico attraverso le sole esportazioni.

Gli altri paesi devono invece subire, incapsulati dalle regole di Maastricht, la contrazione della propria domanda interna e la stessa sua cattura da parte delle convenienti merci tedesche.

Invece di un’Europa dove ognuno cresce per vie interne, rispettando l’altro, si ottiene di fatto una Europa dove l’assenza di possibilità di difesa dalla competizione rende ognuno in lotta per la propria sopravvivenza (se non altro politica). La piena liberazione dei capitali comporta quindi la hobbesiana lotta di tutti contro tutti (come il maturo Keynes del progetto per Bretton Woods, dice chiaramente). L’esito finale sarà, con le parole di Keynes “accumuli di denaro non speso e di debiti non ripagati”, e la cattura dei debitori (come a Maastricht) porta inevitabilmente alla crescita del reciproco rancore.

Aldo Barba evidenzia che questo modello economico funziona strutturalmente sull’accumularsi di denaro non speso e di debiti non ripagabili. Tutti i meccanismi compensatori, quello fiscale in particolare, sono infatti accuratamente inibiti: una crescita basata sulla domanda esterna, è per definizione non generalizzabile. In effetti è un gioco a somma zero che può essere vinto solo da uno alla volta. Per questo gli avanzi commerciali sono sempre stati considerati segno di vizio; solo in questo mondo alla rovescia sono diventati una virtù.

Ma c’è un altro fattore, che rende molto più facilmente comprensibile il motivo per il quale la tecnocrazia nordica, trovandosi in posizione di forza nel negoziato cruciale del 1990-91 (a ridosso dell’unificazione fatta e con l’appoggio determinante del governo americano, presumibilmente in cerca di una rapida estensione di ordine nell’Est in chiave di consolidamento della vittoria storica ed epocale sull’avversario sovietico), ha accuratamente “legato le mani” ai suoi partner (con l’aiuto di “agenti” locali): una crescita fondata sulle esportazioni, ovvero un “keynesismo” che si appoggia su di esse, lasciando il controllo e l’espansione della domanda interna (anzi contenendola), è fragile. Si affida sulla costanza dell’apertura dei mercati di cattura. Ovvero presuppone che questi, gli aggrediti, non si difendano utilizzando i propri poteri sovrani.

La domanda dalla quale le proprie industrie, e dunque  l’occupazione ed il consenso politico, si trovano a dipendere è, in altre parole, fuori del proprio diretto controllo: dunque bisogna riportarla sotto controllo, sottraendolo alla sovranità.

Ecco che l’insieme dell’Euro e delle regole di Maastricht assume la sua più chiara fisionomia: si tratta di una necessaria spoliazione di attributi democratici per rendere sicure le esportazioni e il modello di crescita del nord Europa. Un dispositivo di protezione.

Ma la sempre maggiore sostituzione della domanda interna, e quindi della distribuzione di risorse attraverso il lavoro, con domanda estera, rende il modello economico tedesco sempre più squilibrato, e quindi il controllo sulle controparti europee sempre più necessario. Il nervosismo seguito alla Brexit, e l’impegno impressionante mostrato dalle élite globali nelle elezioni francesi è un segno in tal senso.

Lenhdorff inserisce in questo ampio e complesso quadro la contestazione del ruolo che la narrazione tradizionale affida alle politiche del lavoro dell’”Agenda 2010”. La cattura fino ad ora descritta è determinata dalle regole europee, e non le sole politiche deflazionarie del lavoro; è questa a determinare la crescita della Germania a partire dal 2010. Ma questa circostanza ha “demolito le fondamenta della solidarietà europea” (p.93). Il dominio non si è accompagnato alla responsabilità e quindi alla leadership politica. Come evidenziato appunto da Schmidt, un tabù per i governi del dopoguerra, la Germania nuovamente unita ha fatto riemergere gli spiriti sopiti di una “Germania che non passa”.

In estrema sintesi il nuovo modello degli anni novanta è di “fare profitti senza investire” (p.100), coerente a questo l’autore si concentra sugli effetti nel mondo del lavoro della trasformazione avviata dalla metà degli anni duemila, ad una disoccupazione che scende fa contraltare una riduzione delle ore lavorate, a causa dell’esplosione dei part-time e dei minijobs.

Somma, infine, evidenzia come sin dal 1957 la costruzione europea nasca intorno al proposito di realizzare il mercato comune e l’integrazione economica negativa (p.59). Il Trattato di Roma promuove principalmente una zona di libero scambio e prefigura le altre libertà (art. 48, lavoratori e capitali); le politiche economiche sono lasciate indietro sin dall’inizio.

Il racconto prosegue con il “Piano Barre”, degli anni sessanta, e il “Piano Werner” nel quale viene definito il percorso a tappe per arrivare all’unione monetaria (già prefigurata nel 1957). C’è una linea di frattura all’epoca tra paesi che vorrebbero procedere all’unione monetaria senza quella economica (Francia, Belgio, Lussemburgo), e paesi che chiedono prima la convergenza economica (Germania, Italia ed Olanda). Ma l’altro conflitto degli anni settanta è tra chi vuole imporre le politiche monetarie rivolte al controllo dell’inflazione e chi vuole conservare la libertà di azione anticiclica (anche qui la Germania si oppone alla Francia). Il Piano contiene un compromesso poco chiaro, ma invita ad una unica sede decisionale per le politiche monetarie e di bilancio (venendo incontro alla posizione tedesca ed italiana), nel contesto di un trasferimento di sovranità da sincronizzare sul piano tecnico e democratico. Il piano era influenzato da momenti neoliberali, ma conservava un impianto non completamente incompatibile con l’approccio di sostegno della domanda interna.

Subito dopo però crolla il sistema di Bretton Woods con la decisione di Nixon di sganciare il dollaro dalla convertibilità in oro, ormai insostenibile. Segue una fase convulsa, con la guerra del Kippur, l’esplosione dei prezzi delle materie prime, l’inflazione importata in tutto il mondo occidentale, l’immenso trasferimento di capitali (i cosiddetti “petrodollari”) che fanno espandere l’economia finanziaria in modo insostenibile.

L’Europa tenta di governare queste tensioni, caratterizzate dallo spostamento dei rapporti di forza tra Stati e finanza in favore di quest’ultima, con il “serpente monetario” del 1972 il cui fallimento convince della necessità di procedere a tappe forzate in una direzione diversa da quella del Piano appena approvato. L’integrazione monetaria viene a questo punto considerata ormai propedeutica a quella economica, che avrebbe seguito come le salmerie. Questa diventa quindi il fulcro del processo di unificazione europea (infatti un protagonista di quegli anni, Schmidt, che prende il governo da Brandt nel 1974, lo vede come tale), e viene tenuto al riparo dal meccanismo democratico: si impone il modello tecnocratico delle Banche Centrali, e tra queste la cultura tedesca.

Il Consiglio Europeo del 4 e 5 dicembre 1978 decide di adottare lo SME, cui segue un accordo tra le Banche Centrali a Basilea il 13 marzo 1979, ormai divenute il perno intorno alle quali l’intero processo europeo ruota. Di fatto lo SME è retto da un paese centrale, “al quale viene demandata la produzione di disciplina” (come avrà a dire Padoan nel 2001, ict., v. p.68).

Queste finalità, il controllo dell’inflazione per mettere sotto controllo le forze sociali e mettere gli individui da soli davanti ai mercati (disciplinandoli) viene portata avanti anche in Francia dai socialisti. Si caratterizza in tal senso Delors, che sente l’influenza della “Tavola rotonda degli industriali europei” (ERT), una potente lobby, fondata a metà degli anni ottanta, che propone la Strategia di Lisbona ed influenza anche il Libro Bianco della Commissione Delors. Viene richiesta l’abolizione di ogni ostacolo fisico e tecnico alla circolazione delle merci e della finanza. Nel Consiglio del 2 e 3 dicembre 1985 viene infine stabilito anche il contenuto dell’Atto Unico, che modifica il Trattato di Roma ed indica la necessità di creare un “sistema monetario fondato sul controllo dei prezzi”; l’occupazione in pratica scompare dal radar ed i capitali sono lasciati circolare liberamente. Ne segue ovviamente una enorme pressione verso l’uniformazione al basso delle politiche del lavoro e fiscali e gli investitori si trovano con il coltello dalla parte del manico (esattamente l’obiettivo della ERT).

I passaggi successivi sono il Consiglio del 27 e 28 giugno 1988, che incarica la Commissione Delors di preparare un piano per la Moneta Unica. La commissione, interamente composta dai Banchieri Centrali, scrive quindi le linee essenziali del Trattato di Maastricht.

Il resto della storia è noto: si arriva per questa via a quella sorta di “superstato di polizia economica” nel quale viviamo. Un superstato, potentemente schermati contro la democrazia ed espressamente orientato, per espressa ammissione ed auspicio della J.P.Morgan, ad affossare finalmente le costituzioni europee a suo tempo ottenute, come dicono, dalla “forza politica che i partiti di sinistra guadagnarono al crollo del fascismo” (p. 89).

Si arriva anche all’incipiente fallimento del progetto europeo.

Comments

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Vincesko
Wednesday, 10 May 2017 00:16
C’è qualcosa che non torna tra la narrazione contenuta nell’articolo e la lettera e lo spirito dei Trattati europei (TUE e TFUE).

[…] Infine, per quel che concerne le affermazioni contenute nella lettera della BCE sulla gerarchia degli obiettivi della BCE anche per i Trattati UE, riporto ciò che è scritto quasi in fine dell’Allegato alla petizione (nell’appendice): “E’ agevole notare che, a dispetto dell'impronta ideologicamente connotata in senso ordoliberista dei Trattati UE e contrariamente alla loro interpretazione maistream neo-liberista ostinatamente propalata stravolgendo spesso la lettera e lo spirito delle norme, la lingua, la matematica, la logica e perfino i fatti, la deduzione è arbitraria, non avvalorata da una semplice lettura dell’intero testo del Trattato, in particolare l’art. 3 del TUE, che, in aderenza ai "valori" contenuti nel preambolo della Carta dei Diritti Fondamentali, ribadisce i principi fondamentali del governo dell'Unione Europea, finalizzandolo a due obiettivi prioritari: la piena occupazione e il progresso sociale, essendo la stabilità dei prezzi un mero sub-obiettivo [Art. 3. L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.]; smentita dalle evidenze empiriche dell’ultimo quinquennio; contraddetta dai dati macroeconomici relativi al tasso d’inflazione e al tasso di disoccupazione dell’Eurozona; formalmente corretta per l’Eurosistema ma sostanzialmente fuorviante, poiché è in discussione non la prevalenza e la cogenza dell’obiettivo principale – la stabilità dei prezzi - ma l’obliterazione sistematica da parte della BCE del secondo obiettivo statutario – sostenere le politiche economiche dell’UE - che in deflazione o con inflazione inferiore (sensibilmente) al target, quando i due obiettivi sono assolutamente concordanti e complementari, ha le stesse dignità e cogenza del primo”.

“Replica alla risposta della BCE alla petizione sulla BCE”
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2845674.html oppure (se in avaria)
http://vincesko.blogspot.com/2016/04/replica-alla-risposta-della-bce-alla.html

NB: L’art. 3 del Trattato di Lisbona (citato esplicitamente nell’art. 2-Obiettivi dello Statuto della BCE) sostituisce l’art. 2 del Trattato di Maastricht.

Vedi anche:
“Sono l’Ue e la Bce a non rispettare i trattati europei”
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2837437.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/09/sono-lue-e-la-bce-non-rispettare-i.html.
“Dialogo con Carlo Clericetti sulla solidarietà tra gli Stati dell’UE e sull’economia sociale di mercato”
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2848095.html oppure
http://vincesko.blogspot.com/2016/06/dialogo-con-carlo-clericetti-sulla.html
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