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giubberosse

Dopo la guerra

di Enrico Tomaselli

Europa Russia NATO Ucraina Quella che si sta combattendo in Ucraina è una guerra ibrida multilivello. Ibrida, in quanto non è combattuta soltanto sul piano militare, ma anche – e fortemente – su quello economico e diplomatico. Multilivello perché, anche se voluta e lungamente preparata dagli USA, che ne sostengono l’onere economico maggiore sul breve termine, vede coinvolti obtorto collo anche gli alleati della NATO, ed in particolare i paesi europei che ne pagheranno i costi più di chiunque altro, ed è infine combattuta sul campo dagli ucraini. Ma, anche se al momento tutti gli attori sembrano lanciati verso il proseguimento del conflitto, questo avrà comunque fine. Cosa accadrà, quindi dopo la guerra, nel campo occidentale?

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I deficit strutturali della NATO

La questione fondamentale per l’impero americano, e che di fatto già si pone, è come affrontare le sfide cui la guerra ha fatto da acceleratore, e che l’attendono nel dopo. Il dominio USA, almeno sin dalla fine del secondo conflitto mondiale, si è basato sostanzialmente su tre asset: il potere del dollaro, il potere delle armi, il potere della comunicazione.

Ora il potere della comunicazione si basava fondamentalmente sull’idea degli Stati Uniti come patria del benessere, delle opportunità e della libertà. Un’idea che ha funzionato molto bene, sinché l’alternativa sembrava essere l’austerità sovietica, ma che – finita la guerra fredda – ha perso buona parte del suo appeal, anche a fronte di una rinnovata aggressività americana.

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acropolis

Quali sono le ragioni della guerra della Russia?

di Paul Schreyer

Putin vuole costruire un impero o garantire la sovranità e l’esistenza della Russia? Questa domanda, dalla cui risposta dipende la valutazione della guerra, è ancora poco discussa nei grandi media. Probabilmente perché tutti pensano di conoscere già la risposta. Ma questa certezza può essere politicamente devastante. Una ricerca di indizi

Schermata del 2023 02 13 15 54 29Il 27 febbraio 2022, tre giorni dopo l’inizio della guerra, il cancelliere Scholz ha dichiarato nel Bundestag (video) che il presidente russo stava guidando l’attacco contro l’Ucraina “per una sola ragione”: “La libertà degli ucraini mette in discussione il suo regime oppressivo”. Putin vuole quindi “cancellare un paese indipendente dalla mappa del mondo”, “riorganizzare fondamentalmente le condizioni in Europa secondo le sue idee” e “stabilire un impero russo”.

Da allora, la politica tedesca si è basata su questa argomentazione del Cancelliere, che alla fine è culminata nella decisione degli ultimi giorni di consegnare pesanti carri armati all’Ucraina. I carri armati tedeschi stanno rotolando di nuovo contro la Russia, come lo furono l’ultima volta nel 1941-1945 .

L’argomentazione di Scholz è coerente con l’interpretazione degli Stati Uniti, vi somiglia alla lettera. Tuttavia, è scarsamente o per niente documentato. John Mearsheimer, nato nel 1947 e uno dei politologi più rinomati a livello internazionale, lo ha sottolineato in un saggio dettagliato nel giugno 2022 :

“Si dice che [Putin] abbia ambizioni imperiali: vuole conquistare l’Ucraina e altri paesi per creare una Grande Russia che abbia qualche somiglianza con l’ex Unione Sovietica. In altre parole, l’Ucraina è il primo obiettivo di Putin, ma non l’ultimo. (…) Sebbene questa narrazione sia ripetuta più e più volte nei media mainstream e praticamente da tutti i leader occidentali, non ci sono prove a sostegno. (…) 

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sinistra

Come gli Stati Uniti hanno messo fuori gioco il gasdotto Nord Stream

di Seymour Hersh

Qui di seguito l’inchiesta curata dal veterano del giornalismo investigativo, Seymour Hersch, sul sabotaggio del gasdotto russo/tedesco Nord Stream da parte degli incursori statunitensi. Una verità già evidente a tutti ma non rivelata per salvaguardare l’alleanza NATO e il fronte bellicista sulla guerra in Ucraina. Ma di fronte a questa verità adesso rivelata, il governo o il popolo tedesco potranno continuare a far finta di niente?

Nord stream sabotatoIl Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nella parte sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama.

Il complesso del centro non è descrittivo come la sua ubicazione: una struttura in cemento scialbo del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale nella zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.

Il centro ha addestrato per decenni sommozzatori in acque profonde altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione cruciali.

Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più taciturni, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico.

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sinistra

Di fronte alla quarta guerra mondiale1

di Claudia Pozzana e Alessandro Russo

quarta guerra mondiale spugna copertinaUna guerra globalizzata prolifera nell’attuale “disorientamento del mondo”, come lo chiama Alain Badiou,2 e al tempo stesso lo riduce all’impotenza, perfino alla complicità. Assistiamo ai prodromi di una guerra, di cui cominciamo appena a valutare la peculiare novità in termini di distruttività e di estensione, destinata a perdurare e aggravarsi per molti anni, perfino decenni. Per ritrovare il filo di un orientamento, cioè per pensare politicamente questa guerra, occorre ampliare l’orizzonte a nuovi riferimenti intellettuali, e riconsiderare le precedenti idee sulla guerra e sui suoi inestricabili rapporti con la politica.

La guerra nel mondo umano ha una specifica storicità. Sorge in una fase cruciale dello sviluppo dell’umanità, il neolitico, e ha come condizioni fondamentali l’appropriazione privata, inclusa quella delle donne nella famiglia, e la formazione di apparati statali separati che detengono il monopolio della violenza. Gli argomenti di Engels su questo punto restano preziosi.

Le guerre hanno sempre avuto come obbiettivo l’assoggettamento di un nemico al quale sottrarre una proprietà, o impedire di estendere la sua. Che nella mitologia omerica la guerra per antonomasia abbia come posta in gioco la proprietà di una moglie mostra quanto intricate, e al tempo stesso brutalmente semplici, siano le radici della guerra.

Cionondimeno la guerra non deriva da una presunta natura umana, tanto meno da una sua “animalità”. Essa ha una portata infinitamente più distruttiva e sproporzionata di tutte le forme di aggressività che strutturano, da sempre, il mondo degli esseri viventi. La guerra, invece, ha avuto un inizio e può avere una fine, a condizione che l’umanità riesca a inaugurare un’era completamente nuova.

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giubberosse

Lezioni di guerra

di Enrico Tomaselli

Ogni guerra non è soltanto il tentativo di risolvere ‘manu militari’ un conflitto, ma anche molto altro. È un test di verifica, che dice di come una nazione affronta e risolve le controversie internazionali, è un banco di prova per sistemi d’arma, dalla cui prova sul campo deriverà o meno il successo ‘di mercato’. Ma è soprattutto il terreno su cui le dottrine militari, le tattiche di combattimento degli eserciti, subiscono il vaglio implacabile della prova del fuoco, e da cui scaturiscono poi le ‘evoluzioni’ successive dell’antica arte della guerra. E come sempre, c’è chi impara la lezione e chi no.

covergrnI Leopardi di Abramo

Alla fine, i contorni della triste sceneggiata si sono delineati con sufficiente chiarezza. Benché gli USA ne dispongano a migliaia, i 31 MBT (main battle tank) M1A2 Abrams promessi all’Ucraina, verranno forniti nell’ambito di un progetto di costruzione apposita (privi della protezione in uranio impoverito), e quindi la consegna avverrà non prima della fine dell’anno in corso, se non nel 2024. La messa in scena – persino ridicola nel suo velocissimo sviluppo – si era resa necessaria perché Scholz, già sottoposto a fortissime pressioni da parte sia di membri del suo governo che di alleati europei, chiedeva che l’invio degli MBT Leopard 2 tedeschi avvenisse contestualmente a quello di MBT americani. Ovviamente, alla fine i carri tedeschi andranno subito, quelli made in USA forse tra un anno…

Ma la questione vera, qui, è duplice; a prescindere dalla sfacciata manovra americana, che punta a svuotare gli eserciti europei per poi rimpinguarli nuovamente con commesse all’industria militare USA, qual è l’impatto che questi carri potranno avere sul conflitto, e perché gli USA non hanno alcuna voglia di inviare i propri Abrams?

Cominciamo col dire che il Leopard è un carro concepito negli anni 80, che a suo tempo ha avuto un grande successo commerciale (l’hanno acquistato molti paesi NATO), ma che non solo risulta oggi assai datato, rispetto agli ultimi MBT russi come il T-90 Proriv ed il T-14 Armata, ma ha anche dato scarsa prova di sé sul campo di battaglia.

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kamomodena

I dieci anni che sconvolgeranno il mondo? Seconda parte

L’ascesa cinese e i conti aperti con il Capitale

di Raffaele Sciortino

Cina bandiera 867x487Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Raffaele Sciortino alla presentazione del suo ultimo, prezioso lavoro – Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenza (Asterios 2022) – di sabato 3 dicembre a Modena.

Se nella prima parte ci si è occupati del versante statunitense dello scontro “in processo”, tra piano inclinato della crisi globale e nuova dinamica dell’imperialismo, passiamo ora a scandagliare il lato cinese, tra retaggio della rivoluzione sulla composizione di classe e contraddizioni in seno al “capitalismo politico” socialista. Si apre uno scenario non scontato, attraversato dal rapporto lotte-sviluppo e dai limiti dell’ascesa cinese, che lascia aperti certi conti con il Capitale.

A queste longitudini la conoscenza del Dragone – o meglio, quello che interessa a noi, della situazione della classe operaia e dello sviluppo del capitalismo in Cina, per dircela come una volta – è spesso offuscata da una coltre di propaganda dozzinale, nel migliore dei casi oggetto di assenza di studio e di fonti, nel peggiore di distorsione ideologica, divisa tra ingenui e volenterosi crociati della narrazione liberal e campisti «fedeli alla linea anche quando la linea non c’è».

La ricchezza e la densità del libro di Raf emergono in particolar modo in questi capitoli, sicuramente i più “faticosi”: riflettono un accurato e difficile “lavorone” a monte dell’autore, che ha saputo sintetizzare e chiarificare nell’intervento che segue, legando la “questione cinese” al più complessivo piano globale. Pensiamo che meriti attento ragionamento e discussione.

In attesa della terza parte… Buona lettura.

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micromega

La guerra capitalista spiegata nel nuovo libro di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli

di Enrico Grazzini

Il libro “La Guerra Capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista” individua nella centralizzazione dei capitali uno dei fattori decisivi di squilibrio del sistema economico e politico internazionale ed un fattore fondamentale di stravolgimento delle nostre democrazie

filenjhygtfdcfvQuali sono le cause economiche dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin e quali le cause dello scontro strategico tra Stati Uniti e Cina? Dopo la Prima Guerra Mondiale John Maynard Keynes spiegò nel suo best seller “Le conseguenze economiche della pace”[1] che il principale fattore di conflitto tra gli Stati è il debito: il rapporto tra i debitori e i creditori porta molto facilmente, se non inevitabilmente, alla guerra. Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli nel nuovo libro “La Guerra Capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista” edito da Mimemis (2022) offrono un’interpretazione molto interessante e per alcuni aspetti anche molto keynesiana dei conflitti geopolitici in corso.

Secondo gli autori gli Stati Uniti hanno perso la guerra della globalizzazione e lo scontro attuale tra le grandi potenze è legato al gigantesco contrasto tra debitori e creditori: non è certamente un caso che gli Stati Uniti d’America con 14 trilioni di dollari di posizione finanziaria netta negativa verso l’estero (64% del suo PIL, dati 2021) siano il maggior debitore del pianeta e che Cina e Russia siano (insieme al Giappone e alla Germania) tra i paesi maggiori creditori del mondo. Il declino della potenza americana è quindi legato alla sua enorme posizione debitoria con l’estero: gli Stati Uniti possono reggere il loro pluriennale e crescente doppio deficit (deficit commerciale e deficit di bilancio pubblico) solo grazie all’”impero del dollaro”, e dunque al fatto che il dollaro – che la FED può stampare in quantità illimitata – è la moneta mondiale di riserva e, come tale, è richiesta da tutti i Paesi del mondo per commerciare. Gli USA difendono la loro posizione debitoria e il dominio del dollaro anche grazie al fatto che sono di gran lunga la maggiore potenza militare del mondo.

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italiaeilmondo

Un anno di guerra in Ucraina

di Roberto Buffagni

Riepilogo ragionato del conflitto fino all’attuale quarta fase, trasformativa, della guerra

gettyimages 1238703340In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.

Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

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Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale

Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.

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lantidiplomatico

Emmanuel Todd, John Mearsheimer e i profili strategici della guerra in Ucraina

di Alberto Bradanini

720x410c505tghnmIn un acuto articolo reperibile sulla rete[1], l’antropologo francese Emmanuel Todd ha sviluppato alcune riflessioni sugli accadimenti ucraini che andrebbero valutate da chi dispone del potere di evitare che questa guerra ci conduca nel baratro.

Di seguito i punti cruciali delle riflessioni di Todd, con commenti a margine di chi scrive, quando non diversamente indicato, tenendo a mente che le rappresentazioni della narrazione dominante non sorgono da quel ramo del Lago di Como come i monti manzoniani, essendo fabbricate a tavolino da coloro che muovono i fili della manipolazione, per interesse o sudditanza[2].

L’antropologo citato rileva che all’avvio del conflitto due erano i postulati che gli eventi successivi hanno poi smentito: a) l’Ucraina non resisterà alla pressione militare russa; b) la Russia verrà schiacciata dalle sanzioni occidentali e il suo sistema produttivo, commerciale e finanziario sarà messo in ginocchio.

Inizialmente il conflitto aveva una dimensione territoriale, con un rischio espansivo limitato, sebbene i propositi di Nato-Usa erano stati prefabbricati e avessero obiettivi più estesi. Col passare dei mesi, l’obiettivo dell’Occidente è emerso nella sua evidenza, il dissanguamento della Russia e a caduta l’indebolimento della Cina. In parallelo, da una dimensione circoscritta la guerra è diventata mondiale, seppure con proprie caratteristiche e una bassa intensità militare rispetto a quelle precedenti.

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giubberosse

La sottile linea rossa

di Enrico Tomaselli

naziusaSiamo abituati a pensare alle leadership delle grandi potenze come a un’élite di persone consapevoli e lungimiranti, magari ‘buone’ o ‘cattive’ ma comunque capaci – appunto – di una visione di ampio respiro. Persino l’atteggiamento ‘complottista’ finisce col rafforzare questa convinzione. Ma è davvero così? La storia ci dice piuttosto che, quando una potenza è in declino, anche la sua leadership è sempre meno all’altezza del compito; e ciò è, al tempo stesso, concausa ed effetto del declino stesso. Ne abbiamo drammaticamente conferma sui campi di battaglia dell’Ucraina.

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Il suicidio dell’impero americano

È in effetti paradigmatico che il leader degli USA sia un vecchio con evidenti problemi cognitivi. E per quanto, com’è ovvio, sia circondato da consiglieri (più o meno ufficiali, più o meno occulti), ciò non toglie che sia altamente simbolico – e non meno concreto… – dello stato di decadenza in cui versa l’ex impero statunitense. Ed in questo caso la preposizione ex non è né casuale né involontaria; al contrario, indica convintamente uno stato di cose, che sarebbe bene cominciare ad accettare e considerare. Perché quell’impero ha fondato la sua tumultuosa ascesa (e la breve stagione del suo dominio incontrastato) sulle armi e sul dollaro, ma oggi le sue forze armate non sono più l’invincibile strumento di guerra che hanno creduto di essere, ed il dollaro non è molto lontano dal divenire l’ombra di se stesso.

In verità, il dominio americano è andato avanti, negli ultimi decenni, più per forza d’inerzia che non per una guida realmente imperiale. L’ascesa al potere dei neocon – passati disinvoltamente dai repubblicani ai democratici – non è stata soltanto la ragione di una svolta aggressiva e delirante, ma un fattore accelerante nel processo di decadimento della leadership statunitense.

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citystrike

Le ragioni di fondo. Riflettere sui nessi tra imperialismo, crisi e guerra

di Collettivo Comunista City Strike-Genova

Un testo di analisi a partire da “La guerra capitalista” di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli e “Stati Uniti e Cina allo scontro globale” di Raffaele Sciortino

Albrecht Durer A Lion 1494 Gouache on parchment heightened with gold 126 x 172 cm 800x445Siamo alla vigilia di un triste anniversario. Da circa un anno, la Russia ha invaso parte del territorio dell’Ucraina. Da allora i combattimenti, tra alti e bassi, non si sono mai fermati. Si contano oramai migliaia di morti, l’Ucraina è diventato uno stato totalmente militarizzato, mentre continua l’escalation di provocazioni sapientemente foraggiate dalle forniture militari elargite da USA e UE. Gli Stati Uniti sembrano essere, sempre di più, i burattinai di uno scontro in cui l’Unione Europea, con tutti i distinguo del caso (più volte espressi ma mai agiti in concreto), si è accodata. Sulle ragioni immediatamente politiche di quello che dovremmo chiamare il secondo tempo del conflitto russo-ucraino (la guerra è iniziata nel 2014 con il colpo di stato in Ucraina e con le manovre NATO di accerchiamento nei confronti della Russia, senza considerare gli effetti di tutte le sanzioni economiche di una guerra che da ibrida si è trasformata in “materiale” con decine di migliaia di vittime concentrate soprattutto nella regione del Donbass) ci siamo già espressi tempo fa e vi rimandiamo al nostro testo(1).

La questione però, oggi, assume dei connotati, che si rivelano sempre più inquietanti. Le analisi politiche, che secondo noi vanno ribadite, non risultano più del tutto esaurienti. Appare infatti evidente che, dietro al velo delle intenzioni più o meno espresse, si celano delle cause di fondo. Quelle cause che ci raccontano di un conflitto che non è limitato a un quadrante pur importante, ma che fa balenare l’idea di una generalizzazione, fino all’estremo rappresentato dal rischio di una guerra nucleare.

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paginauno

Linee imperialiste nella guerra d'Ucraina

di Guido La Barbera1

Brzezinski e Kissinger sull’Ucraina. A partire da La grande scacchiera, due politiche estere a confronto nella gestione degli interessi vitali delle potenze: Stati Uniti, Russia e Cina. Da Paginauno n. 80, dicembre 2022 – gennaio 2023

3 750x375“Ma, Zbig, quante volte puoi mettere uno stecco nell’oc­chio alla Russia, senza che reagisca? Noi abbiamo pre­so l’abitudine, negli anni del­la debolezza russa sotto Eltsin, di mettergli le dita ne­gli occhi un sacco di volte, facendola franca. Non sta finendo quel perio­do? Non dobbiamo prenderli sul se­rio quando dicono «Questo è fonda­mentalmente contrario ai nostri in­teressi e resisteremo»?”

Così David Ignatius del Washing­ton Post, terza voce in America and the World del 2008, libro intervista con Zbigniew Brzezinski e Brent Sco- wcroft, il primo consigliere per la si­curezza nazionale per Jimmy Carter, il secondo per George Bush e Gerald Ford, nonché consigliere militare di Richard Nixon. Da quella dialettica tra due decani della politica estera del­l’imperialismo americano emergeva­no con nettezza due linee nei con­fronti dell’imperialismo russo e delle sue ambizioni a riprendere il control­lo, nel “vicino estero”, dello storico dominio dell’impero zarista.

Brzezinski risolutamente a favore dell’inclusione dell’Ucraina nella NATO.

Scowcroft contrario, sulla falsari­ga delle obiezioni che erano anche di Henry Kissinger: i legami storici e identitari della Rus’ di Kiev col potere mo­scovita; la divisione dell’Ucraina tra un Ovest filo-occidentale e un Est rus­sificato.

L’imperialismo europeo vi compa­riva solo sullo sfondo: Scowcroft a ri­cordare la contrarietà europea a un’a­zione così intrusiva nei confronti del­la Russia e a lamentare la confusa so­vrapposizione tra l’ambito della Ue e quello della NATO; Brzezinski a impu­gnare il fatto che sulla questione ucrai­na gli europei erano “divisi”.

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ereticamente

Chi comanda nel mondo?

di Roberto Pecchioli

chi comanda il mondoI.

Un amico, conversando davanti a un caffè, ci ha posto la domanda da un miliardo di dollari: chi comanda nel mondo? Ha aggiunto di non volere una risposta complessa e che gli interessa sapere nomi e cognomi. Vasto, arduo programma, rispondere a un quesito che ci tiene chini sui libri da anni; ancora più difficile indicare persone fisiche in un tempo in cui il potere – più oligarchico e chiuso che mai – ha una dimensione reticolare, in cui ogni snodo, ciascun anello è strettamente legato in una ragnatela che, tuttavia, ha un centro che può essere identificato.

Al nostro amico abbiamo ripetuto un concetto espresso da Giano Accame, grande giornalista e finissimo intellettuale: comandano coloro dei quali non si può dire male. Sembra una battuta – o un’elusione della risposta – e invece è il primo gradino per arrivare alla verità. In ogni ambiente – tutti ne abbiamo esperienza – c’è qualcuno (persona, gruppo, consorteria, grumo di interessi) di cui non si può dir male, pena le rappresaglie, la discriminazione, la punizione. Così funziona il mondo, in basso e in alto, alla faccia delle anime belle. Possiamo allora formulare un primo livello di risposta: comanda chi può far diventare legge o senso comune la propria volontà – applicando sanzioni a chi trasgredisce o dissente – ed è in grado di screditare prima, vietare poi, rendere illegale o pericoloso formulare critiche o sollevare obiezioni nei suoi confronti.

Non è – ancora – una risposta. Un altro livello di riflessione è in negativo: chi non comanda, ossia chi, in fatto e in diritto, non è in grado di esercitare un potere?

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contropiano2

L’Europa fornirà all’Ucraina carri armati e missili che non ha

di Redazione Contropiano - Gianandrea Gaiani

Leopard 2 A7 KMW 006Dopo 11 mesi di guerra non c’è bisogno della tv per sapere cosa chiede la junta di Kiev alla Nato: “armi!”. E la Nato riunita a Rammstein ha convenuto ancora una volta di mandargliene in grande quantità, “migliorando” però il livello tecnologico, ossia, la capacità offensiva. Ergo, ammettendo di voler essere parte attiva della guerra anche più esplicitamente di quanto non avesse detto finora.

Ci stiamo abituando ad essere in guerra secondo il principio della “rana bollita”… Ossia abituandoci a considerare “normale” ogni piccolo passo in avanti dell’escalation, fin quando la temperatura dell’acqua – pardon, del clima bellicista – non sarà mortale per tutti noi.

In questo modo non ci rimane nulla in testa, men che mai la capacità di valutare – e dunque capire (di “sapere” è escluso per principio, in guerra) – se e quanto certi annunci sono aderenti alla realtà. Ossia “realistici” in senso stretto.

Eppure quando si parla di armi “pronta cassa” qualche dubbio sarebbe bene tenerlo vivo. Non stiamo infatti parlando di finanza, per cui “basta un click” e voilà, il capitale è spostato da un’altra parte…

Per esempio. Fabbricare certi armamenti o “sistemi d’arma” come carri armati, batterie antimissile o direttamente lanciamissili terra-aria e terra-terra richiede qualche tempo, se non ce ne sono in quantità abbondante nei magazzini.

Usare certi sistemi d’arma non è esattamente come usare fucili o bombe a mano, per cui comunque serve un minimo di addestramento (se vuoi evitare di fare strage nelle tue stesse truppe).

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giubberosse

Tug of War

di Enrico Tomaselli

WhatsApp Image 2022 02 24 at 09.42.19In inglese, tiro alla fune si dice ‘tug of war’, che letteralmente sarebbe ‘tipo di guerra’. Un espressione che si addice perfettamente a quanto sta accadendo in Ucraina, ma non perché le parti si stiano reciprocamente tirando dall’una e dall’altra parte, in un sostanziale stallo; il vero tiro alla fune vede infatti da una parte la realtà e dall’altra la narrazione, da un lato i fatti e dall’altro la propaganda. E più va avanti il conflitto, più i due capi della fune si allontanano, come se questa fosse elastica.

E questa divaricazione tra la guerra ed il suo racconto è ciò che oggi racchiude la vera minaccia di escalation.

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Soledar, la piccola cittadina appena a nord di Bakhmut, è nel suo piccolo un paradigma di molte altre cose. È, innanzi tutto, un esempio ormai classico di come procede l’esercito russo, in questa campagna d’Ucraina. Una volta identificato un punto del fronte che abbia una certa rilevanza tattica o strategica, comincia a premere in forze, impegnando il nemico in una battaglia di logoramento e contemporaneamente inizia a premere ai lati, sviluppando una manovra di aggiramento. Quando le ali della manovra si sono spinte abbastanza in avanti, tanto da minacciare le linee di rifornimento dell’obiettivo principale, il gioco è già sostanzialmente fatto. Sganciarsi e ritirarsi diventa estremamente complicato per il nemico, che quindi prova a resistere e lanciare controffensive. Finché la situazione si fa drammatica e l’aggiramento rischia di chiudere in un calderone l’intera forza dispiegata. A quel punto, inevitabilmente, ciò che accade è che una parte delle truppe viene sacrificata, lasciata sul posto a coprire la ritirata, mentre il grosso si sottrae all’accerchiamento.