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domenico de simone

Biden d’Arabia e la fine del mondo unipolare

di Domenico De Simone

biden in arabiaLa straordinaria giornalista Laura Ruggeri segnala e trasmette su Telegram uno spezzone di questo programma televisivo, una serie di gag sullo stato di salute mentale del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden che da mesi impazza sulla televisione di Stato Saudita. Una esterrefatta imitatrice di Kamala Harris cerca di accompagnare e supportare il Presidente ma non riesce ad evitarne le figuracce da rincretinito totale che ormai dispensa urbi et orbi sin dal tempo della sua rielezione. Naturalmente questa trasmissione è stata realizzata e mandata in onda con il pieno consenso del principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa’ud, capo del governo ed erede designato del trono saudita, ed è particolarmente indicativa dell’orientamento dei Sauditi nei confronti del grande alleato americano, con cui re Faysal aveva stretto un patto ferreo preferendoli agli inglesi sia per la ricerca e l’estrazione del petrolio sia per la protezione militare.

Questa alleanza, molto stretta e forte nonostante i numerosi contrasti, dichiarati e non, sia rispetto ad Israele che sul prezzo del petrolio, ha comunque retto fino a qualche anno fa, quando i rapporti si incrinarono decisamente per la conclusione dell’indagine della CIA che accusava il principe Mohammad di essere il mandante dell’assassinio del giornalista saudita dissidente Khashoggi, entrato nel Consolato saudita a Istanbul e lì scomparso. Khashoggi era editorialista del Washington Post e una voce molto seguita negli Usa. Il governo Biden in un primo momento, ha sostenuto con forza le accuse a Mohammad, ma poi Biden si è reso conto che stava perdendo un alleato fondamentale nello scacchiere mediorientale e non solo, e quindi nel luglio scorso si è recato a Riyadh per cercare di riallacciare i rapporti.

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laboratorio

La Cina e la formazione di un fronte del sud globale incrinano l'egemonia USA

di Domenico Moro

Schermata del 2023 03 30 11 16 14La guerra in Ucraina, per quanto sia importante, è solo un aspetto del confronto a livello globale tra la Russia e l’Occidente, cioè gli Usa e i loro alleati più stretti dell’Europa occidentale e del Giappone. All’interno di questo confronto acquista, inoltre, un ruolo sempre più importante la Cina, che si sta ritagliando una posizione di mediatore internazionale. La competizione si gioca su diversi ambiti: la de-dollarizzazione, cioè la sostituzione del dollaro come moneta di scambio globale, la conquista delle materie prime, e, a livello geostrategico, la costruzione di un fronte del Sud globale, che si sta sottraendo all’influenza statunitense e occidentale e sta stabilendo rapporti sempre più stretti con Cina e Russia. Quest’ultimo aspetto è di primaria importanza, perché la costruzione di un unico fronte, il Sud globale, disallineato se non contrapposto all’Occidente, sancisce una modifica, epocale e dalle conseguenze inedite, dei rapporti di forza e degli equilibri mondiali. Ovviamente tutti i cambiamenti storici hanno una incubazione di lungo periodo, ma subiscono accelerazioni improvvise che li rendono evidenti. Così è stato per la guerra in Ucraina che sta diventando il banco di prova della costruzione di un fronte globale che può mettere in crisi l’egemonia mondiale statunitense, che dura ininterrottamente dalla fine della Seconda guerra mondiale.

La formazione di un fronte del Sud globale appare visibile in sede Onu in occasione delle votazioni sulle risoluzioni di condanna della Russia per quanto sta accadendo in Ucraina. Già il 2 marzo del 2022, poco dopo l’inizio delle ostilità, 35 paesi si erano astenuti.

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ist onoratodamen

La guerra in Ucraina, un anno dopo

di Giorgio Paolucci

orrore guerraChé quer covo d’assassini
che c’insaguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quattrini
che prepara le risorse
pe’ li ladri de le borse
(Trilussa)[1]

È trascorso ormai più di un anno da quando è scoppiata la guerra fra la Russia e l’Ucraina e tutto lascia presagire che sia destinata a durare ancora per molto tempo.

La pace, per quanto tutti la invochino, in realtà non la vuole e non può permettersela nessuno.

Innanzitutto gli Stati Uniti. Per loro era particolarmente importante impedire che si consolidasse una area economico-finanziaria da consentire ai suoi membri di poter fare a meno dell’impiego del dollaro come valuta di riserva internazionale e mezzo di pagamento per regolare il loro interscambio commerciale. Vale a dire, da un punto di vista geopolitico: di impedire che l’asse Berlino (Ue)/Mosca/Pechino si consolidasse fino a divenire irreversibile. Cosa che sarebbe accaduta qualora fosse entrato in esercizio il North stream 2.

Però dopo un anno di guerra ed aver ottenuto:

  1. la messa fuori uso, attaccandoli militarmente - come ha denunciato il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh 2]- sia del North Stream 1 che del 2.
  2. di costringere così la Germania e mezza Unione europea ad acquistare il loro gas benché di gran lunga più inquinante e più costoso di quello russo;

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clarissa

Sulla guerra in Ucraina

Giulietta Iannone intervista Gaetano Colonna

Gaetano Colonna: Ucraina tra Russia e Occidente. Un'identità contesa, Unilibri, 2022

tartaria e1679497113511Come indispensabile terapia per disintossicarsi dalla martellante propaganda occidentale sulla guerra in Ucraina, proponiamo ai nostri lettori l’intervista, curata da Giulietta Iannone, rilasciata ieri da Gaetano Colonna al blog Liberi di Scrivere.

Più che un aggiornamento sull’andamento del conflitto, oggi sostanzialmente in una fase di stallo, nonostante i cospicui supporti militari e di intelligence forniti a Zelensky dagli stati occidentali, Colonna preferisce proporre una riflessione più ampia, in prospettiva storica, sul significato di questo conflitto, anche in relazione all’aspetto sicuramente più grave della guerra, le sue conseguenze per l’Europa.

* * * *

Dopo la lettura del suo interessante libro Ucraina tra Russia e Occidente – Un’identità contesa (seconda edizione), che mi riprometto di analizzare a breve su queste pagine, vorrei farle alcune domande partendo se vogliamo dalle sue conclusioni: dunque secondo le sue impressioni parte tutto dallo “spirito di Versailles” quel germe che ha minato le basi del nascente spirito comunitario che avrebbe dovuto affratellare i popoli europei e occidentali in un’ottica di pacifica convivenza. Può esplicitarci meglio questo concetto?

Con l’espressione “spirito di Versailles” intendo semplicemente la singolare combinazione ideologica che le potenze anglosassoni vincitrici alla fine della Prima Guerra Mondiale hanno saputo imporre all’Europa: da una parte, l’attribuzione della “colpa della guerra”, e da allora di tutte le guerre, ad un solo attore (la Germania, in quel caso); dall’altra, l’utilizzo della nazionalità come principio in base al quale frammentare i grandi imperi ottocenteschi, creando ovunque mosaici di nazioni i cui confini sono stati astrattamente definiti in maniera da includere e/o escludere minoranze etnico-religiose: in tal modo creano strutture politiche fragili e facilmente controllabili, innescando così anche una serie di conflitti dei quali quello russo-ucraino non è che l’ultima derivazione.

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lantidiplomatico

Nuova guerra fredda e futuro delle relazioni internazionali

Intervista all'analista Andrew Korbyko

PUTINNUCLEARE THUMBARTICOLO 1200x675Andrew Korybko è un analista geopolitico tra i più prolifici e seguiti per chi cerca di approfondire il nuovo mondo multipolare e le sue complesse diramazioni. Le sue analisi, spesso tradotte su l'AntiDiplomatico, sono un punto di partenza essenziale per comprendere i movimenti tellurici in atto a livello di relazioni internazionali.

Korybko collabora con diverse testate internazionali e riviste scientifiche. E' autore di due importanti saggi sulle guerre ibride: "Hybrid Wars: The Indirect Adaptive Approach to Regime Change" e "The Law of Hybrid War: Eastern Hemisphere".

* * * *

L’operazione speciale russa in Ucraina, come annunciato nelle prime fasi dal ministro degli esteri russo Lavrov, sancisce l’inizio di una nuova era nelle relazioni internazionali. Se dovesse scegliere una definizione, Lei quale sceglierebbe per descrivere questa nuova fase?

La transizione sistemica globale verso quello che definisco il multipolarismo complesso ("multiplexity") precede di gran lunga l'inizio dell'operazione speciale della Russia lo scorso anno, ma questo evento ha dato un’accelerata senza precedenti. Nei 13 mesi trascorsi dal suo inizio, è ormai chiaro che le relazioni internazionali sono sull'orlo di una tripartizione: l'Occidente guidato dagli Stati Uniti, l'Intesa sino-russa e il Sud del mondo de facto guidato dall'India. Il primo vuole mantenere l'unipolarità, il secondo la multipolarità, mentre il terzo mira ad avere un ruolo di equilibrio.

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cumpanis

“Dai diversi ordini economici la frattura globale”

Intervista a Michael Hudson

Intervista all’economista statunitense Michael Hudson

Catrin Welz SteinD. Prof. Hudson, è uscito il suo nuovo libro “Il destino della civiltà”. Questo ciclo di conferenze sul capitalismo finanziario e la nuova guerra fredda presenta una panoramica della sua particolare prospettiva geopolitica. Lei parla di un conflitto ideologico e materiale in corso tra Paesi finanziarizzati e deindustrializzati come gli Stati Uniti contro le economie miste di Cina e Russia. In che cosa consiste questo conflitto e perché il mondo si trova in questo momento in un “punto di frattura” particolare, come afferma il suo libro?

R. L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche: Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi. Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità. Nell’Occidente neoliberale degli Stati Uniti e della NATO, invece, questa infrastruttura di base viene privatizzata come un monopolio naturale che estrae rendite. Il risultato è che l’Occidente USA/NATO è rimasto un’economia ad alto costo, con le spese per la casa, l’istruzione e la sanità sempre più finanziate dal debito, lasciando sempre meno reddito personale e aziendale da investire in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale).

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perunsocialismodelXXI

Oltre la geopolitica

Storia, economia e soggettività politica

di Carlo Formenti

Mariupol 4 3Per la maggioranza degli esperti di geopolitica, in particolare per coloro che tendono a ragionare in termini di real politik (penso a un filosofo come Carl Schmitt o, si parva licet, all'editorialista del Corsera Sergio Romano), le guerre e i conflitti fra nazioni e blocchi regionali si spiegano prevalentemente, se non esclusivamente, in base a un combinato disposto di storia e tradizioni culturali, caratteristiche morfologiche dei territori coinvolti, carattere nazionale (mentalità) delle popolazioni interessate e ambizioni di potenza. Da queste ultime non sono ovviamente espunti i motivi di competizione economica, ma raramente vengono considerati la causa prevalente.

Nel caso in cui gli esperti in questione adottino un punto di vista marxista, queste gerarchie tendono a rovesciarsi: le ragioni del conflitto fra opposti interessi economici (riferiti non solo alle diverse economie nazionali o regionali ma anche alle formazioni sociali, cioè ai conflitti di classe interni a tali sistemi e intersistemici) vengono in primo piano, mentre tutti gli altri motivi, pur senza sparire, passano in subordine. In questo articolo intendo abbozzare la tesi secondo cui in entrambi i casi, anche le analisi più raffinate risultano monche, nella misura in cui sottovalutano, nel primo caso le cause strutturali, nel secondo il peso delle ideologie e delle strategie politiche di stati, governi, partiti, movimenti e classi sociali coinvolti nei conflitti che si intende prendere in esame.

Per sostenere quanto appena affermato, discuterò due libri (Come l'Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, di Benjamin Abelow, Fazi Editore e Stati Uniti e Cina allo scontro globale, di Raffaele Sciortino, Asterios Editore) che possono essere assunti (benché non senza forzatura) come esempi dei due approcci appena indicati. In particolare, dedicherò il primo paragrafo al libro di Abelow e il secondo al lavoro di Sciortino.

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fuoricollana

Dopo l’Ucraina. Un nuovo ordine energetico mondiale?

di Vincenzo Comito

Tra i tanti effetti del conflitto ucraino non bisogna sottovalutare la formazione progressiva di un nuovo ordine energetico mondiale incentrato su una inedita alleanza tra Cina e Paesi del Golfo e un ridimensionamento del ruolo globale del dollaro

MontebugnoliAmory Lovens è uno scienziato americano che già nel 1976 aveva consegnato al presidente Jimmy Carter un piano per uscire dal carbone e dal petrolio in quaranta anni attraverso in particolare le “economie di energia”, prevedendo tra l’altro che si poteva triplicare il rendimento energetico del paese (Vidal, 2022). Egli difende ancora oggi una strategia basata, oltre che sullo sviluppo delle energie rinnovabili, soprattutto sulle economie di energia, quest’ultimo costituendo il mezzo più ambizioso, meno caro, più sicuro, più pulito e più rapido per intervenire, sottolinea da sempre Lovens. Ma nonostante che oggi siano disponibili tutte le tecnologie necessarie per effettuare in pochi anni una rivoluzione energetica che ci libererebbe sostanzialmente dalle energie fossili, il processo si rivela come molto lento, sebbene la guerra in Ucraina gli ha dato un impulso rilevante. Occorre sottolineare a tal proposito lo scoppio della guerra ha comportato mutamenti molto importanti nel mercato energetico.

 

Verso un’alleanza tra Cina e paesi del Golfo

Come ci ricorda un recente articolo apparso sul Financial Times (Foroohar, 2023), nel 1945 si era stretta una grande alleanza tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Gli Usa assicuravano la sicurezza del Medio Oriente in cambio della vendita del petrolio arabo in dollari e un approvvigionamento sicuro nei confronti degli Usa.

Oggi la guerra in Ucraina sta riorientando i flussi energetici a livello mondiale, con il petrolio ed il gas russi che si concentrano verso l’Est, in particolare l’Asia, mentre quelli dei paesi del Golfo che si dividono tra l’Est e l’Ovest.

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giubberosse

La fine delle talassocrazie

di Enrico Tomaselli

aircarrierNon è solo l’unipolarismo ad essere tramontato. E lo è, dato che dal momento che viene così significativamente messo in discussione, ciò già implica di per sé che sia finito. Ad essere giunta al crepuscolo è anche una concezione (ed una pratica) strategica, su cui si è fondato il millenario dominio dell’occidente. A scomparire dietro l’orizzonte, in un ultimo, fiammeggiante bagliore, è la supremazia delle potenze navali

* * * *

La nascita dell’imperialismo navale

Storicamente, il commercio marittimo è sempre stato importante, in quanto le vie del mare erano le più veloci, e consentivano di trasportare grandi quantità di uomini e merci. Anche la storia antica racconta di innumerevoli battaglie navali, da quella di Ecnomo – nel 256 a.C. – a quella di Lepanto – 1571. Ma è fondamentalmente a partire dall’epoca delle conquiste coloniali europee in Africa, in Asia e nelle Americhe, che si afferma il moderno imperialismo navale.

Il possesso di territori lontani, con i quali era necessario mantenere un contatto costante, sia per ragioni economiche che difensive, portò allo sviluppo di grandi flotte da parte dei principali stati europei; la competizione tra le varie case regnanti (peraltro tutte più o meno imparentate tra di loro) determinò conseguentemente che tali flotte assumessero quindi un ruolo determinante, sia nella conquista e difesa delle colonie, sia nelle guerre tra stati. E da questo marasma, emergerà poi come massima potenza navale l’Inghilterra.

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lantidiplomatico

Georgia, verso una nuova rivoluzione colorata?

di Giacomo Gabellini

720x410c50wedctgbuDa diversi giorni, la Georgia è sconvolta da moti di piazza diretti contro l’approvazione parlamentare della legge che sanciva l’introduzione dell’obbligo di iscrizione sul registro degli agenti stranieri nei confronti di qualsiasi associazione che copra almeno il 20% del proprio fabbisogno finanziario con fondi provenienti dall’estero. La misura nasce dall’esigenza di ridurre la capacità di condizionamento sulla vita politica nazionale esercitata dalle potenze straniere, identificabili non solo nella Federazione Russa, ma anche e soprattutto negli Stati Uniti. Il cui attivismo nello spazio ex-sovietico – e non solo – si realizza a tutt’oggi per tramite di una vasta costellazione di Organizzazioni Non Governative (Ong). La sigla identificativa Quasi-Autonomous Non-Governmental Organization (Qango) che le caratterizza tradisce la parzialità di queste associazioni, tutte riconducibili a uffici e agenzie statunitensi che se ne servono per portare avanti i loro piani strategici senza lasciare tracce che possano ricondurre a Washington, attraverso una sorta di diplomazia parallela e in buona parte privata condotta anche con l’ausilio di think-tank allineati come l’American Enterprise Institute (Aei) o il Center for Strategic and International Studies.

Una parte assai ragguardevole delle Ong fanno capo al Dipartimento di Stato, alla Cia e all’United States Agency for International Development (Usaid). Nonché al National Endowment for Democracy (Ned), una società privata senza scopo di lucro istituita dal Congresso nel 1983 dietro raccomandazione del direttore della Cia William Casey per provvedere al fruttuoso reimpiego dei finanziamenti pubblici stanziati annualmente per la “promozione della democrazia nel mondo”.

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kamomodena

I dieci anni che sconvolgeranno il mondo? Terza (e ultima) parte

Il prossimo non sarà un Sessantotto gioioso

di Raffaele Sciortino

0 11188Pubblichiamo la terza e ultima parte (qui e qui la prima, qui e qui la seconda), relativa al dibattito politico, della presentazione modenese di Raffaele Sciortino del suo ultimo lavoro, Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenza (Asterios 2022). In queste ultime, incisive battute, l’autore risponde alle domande provenienti dal pubblico: abbiamo quindi optato, per facilitarne la lettura, di unire le risposte in un unico discorso di senso compiuto, apportando un numero minimo di tagli a digressioni e interventi dalla platea. La riflessione complessiva che emerge mette in risalto alcuni, importanti, punti politici, che crediamo si debbano tenere in considerazione, essere dibattuti e approfonditi: la questione baricentrale, nodale, dei ceti medi, che assume forma e valenza differente a seconda di dove collocata e della sua composizione, ma che pervade ogni scenario e che altrettanto dovrà fare per la ricerca militante; il campo di battaglia che sarà lo “stile di vita”, il livello di consumo e lo standard di benessere “di massa” che il piano inclinato di scontro materiale tra Stati Uniti-Occidente e Cina-Russia andrà inevitabilmente e direttamente a intaccare e su cui farà leva per mobilitare (o paralizzare) settori non secondari di società, tra guerra e cambiamento climatico; l’individuazione, non a livello ideologico ma di processi e dinamiche reali, degli Stati Uniti come perno inaggirabile che impedisce una trasformazione sistemica, la contrapposizione verso di essi come porta stretta e obbligata (ma non sufficiente) entro cui passare anche solo per pensarla, l’importanza cruciale che assume per questo ogni loro convulsione, interne ed esterna; le questioni della democrazia e della libertà, nelle declinazioni contraddittorie e anche contrastanti che ne fanno (e faranno) movimenti e istanze, e il necessario punto di vista di parte, e di classe, entro cui leggerle e piegarle; la necessità, speculare a quella di riscrivere una teoria dell’imperialismo, di ritematizzare l’antimperialismo, alle condizione date di esaurimento della parabola del movimento operaio e della natura (e contraddizioni) di nuovi possibili movimenti di là da venire. Tutto questo e molto altro. Buona lettura, e ancora grazie a Raf.

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comedonchisciotte.org

È il turno della Cina

di Mike Whitney - unz.com

Il sistema economico iper-finanziario americano non può competere con il modello di investimento governativo cinese e la crescita esplosiva della Cina sta spingendo verso la guerra una Washington sempre più disperata

ChineseWomanMW 600x400 1L’Ucraina è il primo punto caldo di una grande lotta di potere tra gli Stati Uniti e la Cina. Dopo aver delocalizzato per anni le proprie industrie in Paesi con manodopera a basso costo in tutto il mondo, gli Stati Uniti si trovano ora a perdere costantemente quote di mercato a favore di una Cina in rapida crescita e dotata di maggiori risorse. Secondo la maggior parte delle stime, entro il 2035 l’economia cinese avrà superato quella degli Stati Uniti; a quel punto, Pechino sarà in una posizione migliore per modellare le relazioni commerciali internazionali e promuovere i propri interessi. Con la crescita, arriva il potere, e questa regola si applicherà certamente anche alla Cina. La Cina è emersa come una potenza industriale nell’epicentro della regione più popolosa e in più rapida crescita del mondo. È per questo motivo che gli Stati Uniti hanno avviato una serie di provocazioni sull’isola di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. Gli Stati Uniti hanno abbandonato ogni speranza di prevalere sulla Cina attraverso la convenzionale concorrenza del libero mercato. Invece, gli Stati Uniti intendono impegnare militarmente la Cina nel disperato tentativo di prosciugarne le risorse, raccogliere un più ampio sostegno per le sanzioni economiche e isolare la Cina dai suoi partner commerciali regionali. Si tratta di un piano rischioso e dirompente che potrebbe ritorcersi contro in modo spettacolare, ma Washington sta andando avanti comunque. I mandarini della politica estera statunitense e i loro alleati globalisti non accetteranno un risultato in cui la Cina sia la più grande e potente economia del mondo. Questo è tratto da un articolo di China Macro Economy:

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giubberosse

Dopo il tritacarne

di Enrico Tomaselli

1677568853 cropped Bakhmut soldier Feb 24 APLa sanguinosa battaglia di Bakhmut si avvia inesorabilmente alla conclusione. Quanto più gli ucraini tarderanno ad avviare la ritirata, tanto più probabile è che rimangano chiusi nell’accerchiamento, non avendo a quel punto altra alternativa se non la resa o la morte. Ma, per quanto la battaglia abbia tenuto banco nei media per mesi, la sua importanza è rilevante tatticamente, ma sotto il profilo strategico sposta poco. La questione rimane sempre la stessa: come e dove si colloca il giro di boa, il punto in cui si può realisticamente aprire un tavolo negoziale. Un punto che, però, l’Occidente sembra intenzionato a spostare sempre più in là.

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Tra iperbole e trincee

Quando la propaganda ringalluzzisce, è segno che le cose non vanno bene. Se non hai buone nuove da raccontare, è il momento in cui si fanno strada le iperboli più fantasiose, in cui si fa di tutto per occultare il reale stato delle cose. Da mesi la situazione sul fronte ucraino corrisponde sempre meno ai desiderata di Washington e, mentre il dibattito interno fa venire fuori con sempre maggiore insistenza le perplessità e le contrarietà di una parte considerevole dell’establishment statunitense, la propaganda cerca di tappare i buchi più vistosi.

Da mesi si parla di stallo, anche se in effetti le forze armate russe stanno lentamente conquistando terreno praticamente lungo l’intera linea del fronte. Dopo tutto il clamore sull’invio di carri armati da parte dei paesi NATO, il tutto si è ancora una volta risolto in una bolla di sapone: pochi, e alla spicciolata, senza quindi alcuna possibilità di incidere anche solo a livello tattico. Non sono nemmeno ancora arrivati, che già si è alzato il polverone sulla fornitura di cacciabombardieri.

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italiaeilmondo

Voi e l’esercito di chi?

La NATO farebbe bene a rimanere fuori dall’Ucraina.

di Aurelien

2cateistarna 860x280I will do such things –
What they are yet I know not, but they shall be
The terrors of the Earth! – Shakespeare, King Lear.

Politici ignoranti e opinionisti confusi hanno fatto rumore di recente, minacciando, o addirittura fantasticando, su una sorta di intervento formale della NATO in Ucraina. In generale, non hanno idea di cosa stiano parlando e di quali sarebbero le implicazioni pratiche di un intervento. Ecco alcuni esempi del perché è un’idea stupida.

Nel gennaio del 1990, mi trovavo nel quartier generale della NATO a Bruxelles per una riunione di routine. Era una di quelle giornate fredde e umide in cui il Belgio è specializzato, ma c’era molto di più dietro l’atmosfera gelida e da mausoleo dei corridoi deserti. Negli ultimi mesi, il terreno si era continuamente mosso sotto i piedi della NATO e, non molto prima di Natale, la Romania, l’ultimo rimasuglio del Patto di Varsavia, era andata in fiamme. Nessuno aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo la settimana successiva, per non parlare del mese successivo, e la NATO cominciava ad assomigliare a un manifestante con un cartello per una causa già superata. Le capitali nazionali facevano fatica a tenere il passo con ciò che stava accadendo. Ho chiesto a un collega appena tornato da Washington cosa dicevano i falchi dell’Amministrazione Bush. La risposta è stata: “Sono sotto shock”.

Il fatto che la NATO esista ancora quasi trentacinque anni dopo, e che ora abbia il doppio dei membri di allora, ha incoraggiato alcune persone che non hanno prestato attenzione a credere che la NATO sia ancora la stessa potente organizzazione militare che era nel 1989, e che quindi basti minacciare un suo coinvolgimento formale in Ucraina, e i russi si allontaneranno. Non potrebbero essere più pericolosamente in errore.

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lantidiplomatico

Il disinteresse dell'occidente sul "piano di pace cinese" è il fallimento totale dell'Unione Europea

di Leonardo Sinigaglia

720x410c50khbveIl 24 febbraio il Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato ufficialmente il suo piano di pace in 12 punti per la risoluzione della crisi ucraina. In realtà dal documento traspare una dimensione ben più ampia di quella ristretta al solo paese slavo. La Repubblica Popolare correttamente contestualizza la crisi ucraina come espressione di dinamiche globali complesse, e non si limita a declassare tutto al delirio di un preteso dittatore, come parte della stampa (e delle cancellerie!) occidentale ha fatto sin dai primi giorni dell’operazione russa.

Il ministero non si limita all’invocazione di una generica “pace”, né a richiedere ritualmente il ritiro incondizionato delle truppe russe, ma anzi pone l’attenzione su quelle che sono globalmente le vere cause del conflitto: la “mentalità da guerra fredda”, le posizioni conflittuali, il mancato rispetto della sovranità e della dignità degli Stati e il continuo ricorso a misure unilaterali di guerra economica, come sanzioni ed embarghi.

La prospettiva cinese si fonda sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite, che di per sé sancirebbe l’eguaglianza fra le nazioni e la piena libertà e autonomia nella scelta delle prospettive di sviluppo e di ordinamento sociale. Si tratta di qualcosa che dovrebbe stare alla base dell’ordinamento internazionale, ma che nella realtà dei fatti è puntualmente disatteso. E non certo dalla Federazione Russa.

Se la Cina si esprime per il congelamento delle ostilità e per il recupero delle trattative di pace, di certo non si fa illusioni su possibili “equidistanza”: parlando di “mentalità da guerra fredda” e politiche conflittuali sta chiaramente chiamando in causa gli Stati Uniti d’America e la loro azione destabilizzatrice a livello internazionale.