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Perché Trump non attaccherà la Corea del Nord

di Federico Pieraccini

Dalla vittoria di Donald Trump, le tensioni nella penisola Coreana hanno raggiunto picchi, quasi, senza precedenti. L’impostazione aggressiva del nuovo presidente degli Stati Uniti, sin dalla campagna elettorale, ha accentuato le tensioni nella regione

nordcoreaDurante la campagna elettorale, Trump ha spesso preso posizioni ambigue e per certi versi isolazioniste in merito alle zone calde sparse per il globo. L’eccezione alla regola ha spesso riguardato la Corea del Nord. Business Insider cita l’attuale presidente degli Stati Uniti riferire nel Gennaio del 2016 le seguenti parole in merito al programma atomico della RDPC: "Dobbiamo chiuderlo [Lo sviluppo del nucleare] perchè sta [Kim Jong-Un] per fare qualcosa. Al momento, ha le armi, ma non ha i mezzi per il lancio. Una volta che avrà i sistemi di lancio, è abbastanza malato da usarlo. Quindi è meglio che ce ne occupiamo”.

Appena nominato presidente, le parole di Trump sono diventate ancor più nette ed esplicite, con tweet diventati famosi in cui afferma: “La Corea del Nord ha appena iniziato la sua fase finale nello sviluppo di un’arma nucleare capace di raggiungere gli Stati Uniti. Non succederà!”. Poche settimane dopo e le parole sono state tramutate in azioni: tra Marzo ed Aprile 2017, gli Stati Uniti e i suoi alleati (Corea del Sud e Giappone) hanno eseguito due gigantesche esercitazioni.

La prima, con componenti marittimi e di terra chiamata Foal Eagle, ha coinvolto decine di migliaia di soldati e svariate navi della US Navy. Poche settimane dopo l’esercitazione Max Thunder 17 ha portato decine di aerei da guerra ad eseguire manovre di guerra. In entrambi gli addestramenti l’obiettivo era la Repubblica Democratica Popolare della Corea (RPDC) con simulazioni di un attacco via terra, dal mare e dal cielo.

Dal punto di vista di Pyongyang, nel giro di 12 mesi la situazione è precipitata oltre ogni limite tollerabile. Gli Stati Uniti, la prima potenza bellica mondiale, minacciano di bombardare ed invadere con migliaia di soldati la RDPC. Come non bastasse, nella penisola Coreana sono in corso e sono già state programmate esercitazioni USA e dei suoi alleati che simulano questo esatto scenario con soldati e mezzi sufficienti ad allarmare seriamente la Corea del Nord. Le modalità dell'addestramento suggerisce qualcosa di più rispetto ad una semplice esercitazione (solitamente le guerre iniziano in contemporanea con le grandi manovre di esercitazione in cui le forze risultano già schierate ed operative). Infine Trump ha ripetutamente ipotizzato di giungere ad un equilibrio strategico nella regione (‘MAD’) consegnando armamenti atomici alla Corea del Sud e persino al Giappone.

Alla luce di tutte queste provocazioni e minacce (Washington ha persino pensato di uccidere il leader Coreano), Kim Jong-un ha dovuto accelerare il programma atomico e mostrare la consistenza del mezzo atomico in maniera da dissuadere gli avversari. In tal senso si spiegano i recenti test missilistici ed atomici. Naturalmente, le ipotesi in merito alle capacità della RDPC si dividono in due filoni. Il primo si concentra sulla capacità di far detonare un ordigno atomico autoprodotto, fatto ormai acclarato anche dalla comunità internazionale. Pyongyang ha l’arma atomica. Il secondo filone si concentra sul mezzo utilizzato per lanciare la testata atomica. L’attenzione si concentra essenzialmente su due aspetti: portata del missile e affidabilità. Di questo torneremo a parlarne più avanti.

E’ importante focalizzarsi sulle motivazioni che hanno spinto la RDPC a sviluppare un programma atomico. Come è ovvio che sia, la deterrenza è l’aspetto fondamentale, ma possiamo andare oltre e sviscerare alcuni meccanismi meno noti che hanno determinato questa scelta strategica. Innanzitutto una riduzione della spesa militare su mezzi convenzionali puntando su ordigni nucleari. La RDPC già spende il 25% del proprio PIL in ambito militare e una continua spesa in tal senso elimina risorse per l’economia domestica. Avere la possibilità di brandire l’arma atomica certamente crea più deterrenza di migliaia di MLRS e mortai. In realtà è un discorso più complicato come vedremo, ma l’idea comune, superficiale, è esattamente questa. Senza dimenticare che, durante le esercitazioni Americane, spesso l’autorità centrale Nordcoreana si trovava costretta a richiamare i riservisti dalle campagne nel momento di maggior bisogno: raccolta e semina, creando notevoli disagi nel processo agricolo così vitale per l’economia Coreana. Grazie al deterrente atomico, la quantità di persone richiamate è stata notevolmente ridotta, vista la diminuzione delle probabilità di un attacco Americano.

In merito alle considerazioni fatte da Pyongyang su un disarmo nucleare, è interessante notare come Kim abbia spesso fatto riferimento alle promesse fatte dall’occidente nei confronti di Gheddafi in merito al disarmo atomico della Libia. Le conseguenze di questa scelta, con l’attacco alla Libia e la morte di Gheddafi, hanno ripetutamente fatto capire a Kim Jong-un come fidarsi di Washington e dei suoi alleati sia semplicemente impossibile.

Un altro fattore importante quando parliamo della penisola coreana è la comune nozione dell’influenza di Pechino su Pyongyang. Trump, in svariate occasioni, ha fatto capire come la Repubblica Popolare Cinese sia l’unico attore che possa mettere pressione su Kim ed obbligarlo al disarmo. Una posizione politica di Washington che lascia molti interrogativi e dubbi, basandosi interamente sulla nozione che Pechino assiste Pyongyang economicamente. Questo, per Washington, è sufficiente a dimostrare che se Xi Jinping fosse realmente intenzionato, potrebbe bloccare l’intera economia Coreana obbligando Kim al dialogo. La realtà ci dimostra che Pechino ha ben poca influenza sul leader Coreano e un analisi più approfondita dimostra come la RDPC sia costretta a commerciare e dialogare con la Cina più per un’esigenza geografica pratica che per propria volontà. Ad ulteriore riprova di come i rapporti tra Cina e RDPC siano complicati, la RDPC ha classificato al primo posto, come alleato di Pyongyang, Mosca e non Pechino, per il terzo anno di seguito.

Realisticamente è difficile non accorgersi del contributo prima Sovietico e poi Russo allo sviluppo convenzionale e forse nucleare della RDPC. L’ultima sfilata di armi il 15 Aprile 2017 ha visto partecipare alla parata mezzi militari molto simili a quelli Russi, specie il Topol-M, molto simile a quello visto sfilare a Pyongyang. Naturalmente, Pechino ha un interesse primordiale per la RDPC e la sopravvivenza dello stato Coreano garantisce che sui confini sud della RPC non ci siano forze ostili. Pechino ha tratto insegnamento dagli eventi post-guerra fredda inerenti l’espansione della NATO sui confini Russi. Dopo svariate promesse di non allargare l'influenza dell’alleanza nell’est Europa, la NATO ha finito per fagocitare nazioni direttamente sui confini Russi, arrivando a schierare le proprie truppe e ponendo una minaccia diretta.

Pechino è motivata a sostenere la RDPC essenzialmente per evitare una Corea unificata sotto guida americana che possa porre un pericolo reale allo stato Cinese. In questo contesto, Pechino subisce le conseguenze diplomatiche a livello internazionale con critiche e minacce di intervento armato nella RDPC nel caso in cui non dovesse mettere in pratica le necessarie azioni per fermare il leader coreano.

Una situazione molto complicata per Pechino che si ritrova tra due fuochi, senza avere la reale capacità di influenzare le scelte di Kim. Dal punto di vista della RDPC, l’esito migliore sarebbe un accordo con gli Stati Uniti e il Giappone per allentare sanzioni ed embarghi. Il problema è ciò che queste nazioni chiedono in cambio: un completo disarmo. Per le motivazioni elencate in precedenza, questa soluzione è praticamente impossibile per mancanza di fiducia completa tra tutti gli attori coinvolti.

A questo punto, è bene passare al succo della questione ed analizzare gli aspetti più interessanti. Innanzitutto, l’azione di Trump in Siria e la bomba ‘MOAB’ sganciata in Afghanistan, tra i vari obiettivi, avevano la speranza di mettere pressione sul leader coreano. Realisticamente era impensabile iniziare una negoziazione con Pyongyang sulla base di minacce belliche. La RDPC vive assediata da oltre 50 anni e non sono certo 50 cruise e una bomba da dieci tonnellate che possono cambiare la posizione di Kim Jong-un. La RDPC non è la Siria o l’Afghanistan.

La linea sottile che corre tra inganno e percezione nella vicenda del nucleare Coreano è certamente di grande interesse. Iniziamo con il dire che essendo la RDPC un sistema-paese chiuso dal punto di vista dell’informazione, di internet e di apparati informatici ed è difficile persino entrare di nascosto nel paese, ogni informazione che leggiamo nei media mainstream sulla RDPC va preso con le pinze. Vanno considerati due aspetti: ciò che la RDPC vuole far credere ai pianificatori militari occidentali e ciò che i media mainstream vogliono mostrare al pubblico occidentale in merito alla RDPC.

Prendiamo un esempio pratico e vitale in questa discussione: il raggio d’azione dei vettori missilistici, argomento affrontato qualche paragrafo precedente. Partiamo da un presupposto basilare: gli Stati Uniti devono impedire alla RDPC di sviluppare un vettore che possa giungere in territorio americano (ICBM) con una testata atomica. La RDPC deve giungere allo sviluppo di un vettore ICBM per minacciare gli USA e ottenere l’arma suprema in ambito di deterrenza.

In realtà non è proprio così e il motivo è semplice. L’amministrazione a Washington ha limitato interesse nel pubblicizzare una tale capacità della RDPC a causa delle crescenti pressioni interne (Media, Politici, Think Tank, ala militare e intelligence) che li spingerebbero in guerra con la Corea del Nord. Alla stessa maniera, la RDPC non ha alcun vantaggio nel reclamizzare tale potenza bellica, con il test di un ICBM, sapendo bene che gli Stati Uniti verrebbero messi con le spalle al muro non avendo altra opzione che attaccare Pyongyang. Eppure questa spiegazione non basta.

E’ necessario entrare nel merito della questione e di quali conseguenze implicherebbe un attacco USA alla Corea. Basti dire che il senatore americano McCain ha spiegato chiaramente come gli USA non sarebbero in grado di difendere Seul (nè le basi USA vicine) nelle prime 24/48 ore del conflitto. Una città da 20 milioni di abitanti e basi militari con migliaia di soldati subirebbero perdite inestimabili. Alla stessa maniera la RDPC è consapevole che nel caso in cui rispondesse ad un attacco USA (anche in maniera limitata e solo su obiettivi militari) verrebbe bollata come aggressore, aprendo la strada ad un intervento straniero con il supporto della comunità internazionale. La linea di fondo è domandarsi a chi interessa un conflitto in Corea. Agli Stati Uniti certamente no, subirebbero perdite enormi mostrando punti di debolezza che potrebbero essere sfruttati da avversari in futuri scenari. La RPC certamente è contro ogni azione bellica, vedendosi minacciata da una catastrofe umanitaria sul proprio confine oltre, eventualmente, essere costretta ad intervenire per difendere l’alleato. A Giappone e Corea del Sud conviene ancor meno, vista la loro esposizione ai pericoli di un contro attacco di Pyongyang.

La grande verità nascosta della penisola coreana è che nonostante tutti mostrino i muscoli e sembrino pronti ad agire, nessuno vuole un epilogo del genere, in quanto non ci sarebbe alcun vincitore. Ogni nazione coinvolta subirebbe contraccolpi quasi mortali e l’escalation in chiave nucleare potrebbe aprire scenari semplicemente improponibili.

Siamo di fronte ad un grande gioco strategico in cui la RDPC diventa inattaccabile più per la sua potenza convenzionale che nucleare, nonostante ciò che viene affermato al Pentagono. I pianificatori occidentali tendono ad ignorare il fattore di deterrenza convenzionale per non accentuare troppo la potenza della RDPC. Qualcosa che è sin troppo noto ai militari americani e soprattutto ai colleghi del sud, motivo per cui una vera ipotesi di attacco alla RDPC va esclusa.

Infine c’è un aspetto preoccupante, per gli avversari della RDPC, ovvero le presunte modalità con cui la RDPC conserva e lancia le sue forze convenzionali o nucleari. Nella parata del 15 Aprile abbiamo notato una grande disponibilità di piattaforme mobili con l’uso di carburante solido. Questo crea due grandi vantaggi: la capacità di lanciare un vettore in poco tempo senza essere rilevabile da un avversario in fase di rifornimento (carburante liquido) e ovviamente la capacità di lanciare un vettore da una località non rilevata per poi nascondersi cambiando posizione. Con i lanciatori mobili, è impossibile tracciare e colpire tutti i sistemi in un attacco preventivo. Questo escludendo dall’equazione i sottomarini coreani che sembrerebbero in grado di lanciare SLBM a corto e medio raggio con testate convenzionali o nucleari.

Un’indicazione inerente il livello di confusione che regna nei pianificatori militari occidentali, in termini di come procedere con la crisi Coreana, si evince facilmente dalla vicenda della USS Carl Vinson, Portaerei con elevate capacità di attacco. Trump ha affermato pochi giorni fa di averla inviata verso la RDPC con l’intenzione di rassicurare gli alleati nella regione ed indurre in trattative Kim grazie all’intimidazione militare. La realtà ha mostrato come il gruppo navale fosse in realtà a migliaia di chilometri di distanza dalle coste della RDPC, continuando la propria navigazione in direzione opposta. Persino in assenza di una situazione al limite del ridicolo come quella della USS Vinson, minacce militari difficilmente funzionano con la RDPC. Con questa gaffe, quasi senza precedenti, gli Stati Uniti mostrano le proprie divisioni interne, trasmettendo un’immagine ai propri alleati molto preoccupante: Trump è realmente in controllo delle sue forze armate? Le parole del POTUS possono essere prese sul serio? Trump è consistente con le proprie intenzioni? Le prime 100 giornate della presidenza Trump fanno sorgere molti dubbi ed in uno scenario come la penisola coreana, queste situazioni di incertezza si pagano.

In Corea siamo di fronte ad una grande danza fatta di bluff, minacce e promesse. Realisticamente però, nessuno desidera un conflitto. Al contrario, la retorica di guerra premia praticamente tutti gli attori in gioco. Vediamo perché.

Giappone e Corea del Sud mirano ad un maggior coinvolgimento americano nella regione, ma per motivi molto diversi. L’élite Coreana è in crisi, la figlia del fondatore del paese è finita in carcere per corruzione e il nuovo probabile presidente sembra avere posizioni in merito alla RDPC e l’alleanza con gli USA molto diverse dai suoi predecessori. Il pericolo che una parte consistente dell’élite coreana teme è un allontanamento da una politica fortemente anti-RDPC e pro-USA ad una più equilibrata, specie con il partner principale della Corea, ovvero la Repubblica Popolare Cinese.

La migliore strategia per impedire questo cambiamento è innalzare il livello di tensione con la RDPC (e di conseguenza con la Cina), puntando a solidificare la presenza USA nel paese (vedi lo schieramento urgente del sistema THAAD, molto inviso al probabile prossimo presidente della Corea del Sud Moon Jae-in). Il caso Giapponese è ancora più esplicito con la visione nazionalista di Abe che punta molto ad una revisione della costituzione per eliminare l’impedimento nella creazione di un esercito. L’immediata ed ovvia considerazione è il beneficio che ne trarrebbero il partner americano e la sua industria bellica nazionale, pronta a vendere armamenti di ogni genere al Giappone, sulla falsa riga dei Sauditi, per rassicurare l’alleato sulla ‘minaccia’ nordcoreana. La PRC e la Federazione Russa partono da presupposti diversi nelle loro relazioni con la RDPC ma entrambe hanno già abbastanza problemi sulla scena mondiale per sobbarcarsi anche una crisi in Asia. Ovviamente Mosca e Pechino vorrebbero una soluzione diplomatica ragionevole, contrattata tra più attori, sulla falsariga dell’accordo con la Repubblica Islamica Iraniana sul nucleare.

E’ una prospettiva, come abbiamo visto, difficilmente raggiungibile tra Washington e Pyongyang per una mancanza di fiducia reciproca. Nel caso di una trattativa allargata ad altri attori regionali e globali, forse Pechino e Mosca potrebbero garantire l’inviolabilità del territorio della RDPC in cambio di un disarmo che porterebbe ad una revoca delle sanzioni e all’embargo comminato a Pyongyang. Questa ipotesi resta comunque discutibile in quanto Russia e Cina dovrebbero garantire la sopravvivenza militare della RDPC, senza che Pyongyang possegga le capacità nucleari di deterrenza. Da un altro punto di vista, è la forza convenzionale della RDPC ad essere la vera minaccia in caso di attacco quindi un colloquio di pace allargato a più attori è da considerare la seconda ipotesi più verosimile in termini di esito delle tensioni nella regione.

Al primo posto, in termini di epilogo della crisi nordcoreana, resta una situazione di immobilismo, unito alle consuete minacce di intervento degli Stati Uniti e la retorica difensiva di Pyongyang. Sono convinto che Kim vorrebbe riconosciuto alla RDPC lo status di potenza nucleare in cambio di un arresto nello sviluppo dell’ordigno atomico, normalizzando i rapporti con i vicini e con gli Stati Uniti e ottenendo così maggiore indipendenza dalla Cina. Non deve sorprendere che anche Pyongyang desideri una visione più multipolare della sua politica estera. Purtroppo l’intenzione di Giappone e Corea del Sud è mantenere un clima ostile nei confronti della RDPC nella regione, pretendendo un maggiore coinvolgimento americano.

Date le circostanze, è probabile che la regione scamperà il pericolo di una guerra sanguinaria. Impensabile però vedere concessioni unilaterali da Pyongyang o Washington: il primo obiettivo nella penisola è mostrarsi forti e risoluti. Al momento, specie in un contesto del genere, è difficile immaginare una risoluzione immediata delle tensioni, ci vorrà molto tempo e tanta mediazione diplomatica di Mosca e Pechino.

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