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sinistra

Quel ‘vilain’ di Friedrich Engels

di Eros Barone

ETK3sWNXgAEtDUR«Il pezzo del cattivo E[ngels] che ha corrotto il buon M[arx] dal 1844 si è alternato innumerevoli volte con l’altro di Ahriman-M[arx], che ha allontanato Ormuzd-E[ngels] dalla strada della virtù».

Lettera di Engels a Eduard Bernstein, del 23 aprile 1883.

1.Marx sì, Engels no”: le idiosincrasie del revisionismo

Chiunque esplori la letteratura marxista dei duecento anni successivi alla nascita di Friedrich Engels non può non restare colpito dalla presenza, pressoché ininterrotta e più o meno accentuata secondo i periodi e le aree politico-culturali, di una sindrome che può essere qualificata con il termine di antiengelsismo. Il presente articolo si propone di individuare le molteplici forme sotto cui si è manifestato il rifiuto (parziale o totale) nei confronti della impostazione del materialismo storico e dialettico, che ha caratterizzato, sempre con il pieno e a volte entusiastico consenso di Marx, il lavoro teorico di Engels.

Il primo elemento da valutare è che la causa principale dell’antiengelsismo fa leva sulla presunta incompatibilità del marxismo-leninismo rispetto agli sviluppi della scienza e, attraverso la mediazione dello ‘stalinismo’, fa risalire tale incompatibilità sino ad Engels. Per demistificare questo tipo di antiengelsismo è sufficiente mostrare l’impossibilità di separare il pensiero di Marx da quello di Engels. A questo riguardo, è anche opportuno porre rimedio ad una certa ingiustizia storica per quanto concerne la parte di Engels nella classica diade Marx-Engels. In effetti, a forza di porre, per così dire, ‘a priori’ una sorta di unità indifferenziata tra i due fondatori del socialismo scientifico, si è finito col mettere in ombra, dal punto di vista filosofico, la parte di Engels (nel mentre è ormai pienamente consacrato dalla storia del movimento operaio internazionale il suo enorme apporto politico e ideologico, oggetto peraltro di numerosi studi).

Per la verità, già a partire dalla sua morte, e anche prima, l’opera di Friedrich Engels è stata il bersaglio ricorrente sia di una secca esclusione dalla filosofia sia di un’ostilità preconcetta, quando non di un totale disconoscimento. Così, se nella presente congiuntura ideologico-culturale la ripresa delle questioni concernenti la dialettica, le scienze della natura e la concezione engelsiana della filosofia, si presenta come una necessità urgente per il pensiero comunista, questo dipende, oggi più che mai, dal fatto che l’opera di Engels rappresenta un autentico spartiacque nel campo della lotta teorica di classe. Ecco perché è necessario condurre una rigorosa lotta filosofica, ideologica e culturale per difendere, valorizzare e rilanciare il fondamentale lascito teorico di Engels: il materialismo dialettico e, in una connessione inscindibile con esso, il materialismo storico. Ecco perché è necessario – ed è questo un compito finora non assolto dal pensiero marxista, specialmente italiano - un contributo positivo e sistematico utile a chiarire il lavoro teorico di Engels, collocandolo nel suo specifico contesto storico. 1 Sennonché un siffatto contributo, oltre che necessario, è urgente non solo per approfondire e precisare le vedute di Marx e di Engels sulla dialettica, ma anche per illuminare il rapporto tra Lenin ed Engels e gettare una luce più viva su un intero periodo del movimento operaio internazionale e sui dibattiti teorici che lo hanno attraversato.

Orbene, come si è detto, il primo ostacolo storico con cui qualsiasi interpretazione marxista del lascito engelsiano si trova a dover fare i conti è un antiengelsismo multiforme, in cui si possono distinguere più filoni (schematicamente, quello borghese, quello revisionista e quello ultrasinistro), fermo restando che il loro comun denominatore filosofico è costituito da un orientamento antirealista e antimaterialista.

2 D’altra parte, rivalutare il fondamentale contributo di Engels al materialismo storico-dialettico è impossibile senza togliere di mezzo l’ostacolo filosofico ed epistemologico rappresentato da un orientamento, le cui forme e i cui miti si possono riassumere nella formula: “Marx meno Engels”.

 

2. Il rapporto Marx-Engels: dalla diade alla dissociazione

La valutazione del pensiero e dell’opera di Engels, pur essendo stata sempre connessa a quella del rapporto Marx-Engels, ha conosciuto diverse fasi. Inizialmente è prevalso un giudizio di sostanziale identità sul significato del pensiero di Engels e del pensiero di Marx. In questo modo ogni differenza di contenuto e di valore tra i due fondatori del socialismo scientifico veniva risolta secondo le indicazioni dello stesso Engels, dalle quali risultava che tra i due amici era intervenuta, riguardo alla trattazione degli argomenti e all’assunzione degli impegni teorici, una precisa divisione del lavoro, insieme con la priorità di Marx nelle fondamentali scoperte che avevano condotto alla definizione del materialismo storico. 3 Chi accetta questa impostazione insiste perciò sul carattere propedeutico della ricerca di Engels o rispetto al pensiero di Marx, soprattutto relativamente al Capitale, o rispetto alla concezione materialistica della storia e della natura. 4 Solamente con Lenin si potrà parlare di un effettivo sviluppo e approfondimento dell’impostazione engelsiana di alcuni fondamentali problemi filosofici non solo sul terreno ontologico e gnoseologico del rapporto tra pensiero ed essere, della conseguente teoria del “riflesso” e della oggettività della conoscenza (si pensi a Materialismo ed empiriocriticismo), ma anche sul terreno della dialettica e del rapporto tra il marxismo e Hegel (si pensi, in questo caso, ai Quaderni filosofici).

Sennonché accanto a queste posizioni prevalenti nell’ortodossia della Seconda Internazionale, prima, e della Terza Internazionale poi, tra la fine dell’’800 e l’inizio del ’900 si svilupparono altre concezioni del socialismo in evidente contrapposizione con l’impostazione engelsiana. Il primo filone dell’antiengelsismo si esprimerà pertanto nella marxologia borghese, la quale ancor oggi si basa sulla contrapposizione di Marx ad Engels. Il tratto caratteristico di questa operazione ideologica, il cui fine è quello di coonestare la tesi dei due ‘marxismi’ (quello di Marx e quello di Engels), consiste nello scindere l’unità del marxismo-leninismo smembrando l’organicità dei suoi elementi costitutivi in base ad uno schema dicotomico: il ‘buon Marx’ contrapposto al ‘cattivo Engels’. Da qui scaturisce la necessità di contrapporre Marx, la cui filosofia viene valorizzata in quanto sociologia critica o antropologia dell’uomo alienato, a Engels, laddove quest’ultimo viene demonizzato in quanto portatore, a seconda dei casi come vetero-hegeliano o come tardo-positivista, di una visione improntata al dogmatismo, al materialismo di stampo meccanicista e, in ultima analisi, ad una banalizzazione del marxismo. In tal modo viene istituita una relazione di proporzionalità inversa fra un Marx investito della funzione di grande intellettuale critico e un Engels ridotto alla condizione caricaturale del deuterantagonista. Vi è solo da aggiungere, circa il significato del tutto fuorviante di questa operazione ideologica, che essa ha travalicato i confini accademici della marxologia borghese, influenzando largamente il marxismo, come dimostra la storia prevalentemente negativa della ricezione e della interpretazione del testo engelsiano sulla Dialettica della natura. 5

Tale storia ha avuto inizio con Viktor Adler, eminente figura della socialdemocrazia austriaca, il quale ebbe a dichiarare, nell’orazione funebre pronunciata in occasione del funerale di Engels (1895), che occorreva sostituire la base materialista del socialismo con una base kantiana. 6 Questa “elaborazione del lutto” fu ben presto praticata, e la prima conseguenza che ne scaturì fu l’occultamento della Dialettica della natura, che Eduard Bernstein, il campione del revisionismo socialdemocratico, 7 si affrettò a riporre nel cassetto, avviando così la storia trentennale di una segretazione. Infatti, la Dialettica della natura vedrà la luce soltanto nel 1925 e Lenin non potrà prenderne visione. Del resto, quel libro era indubbiamente pericoloso per coloro che si proponevano di sottoporre a revisione il marxismo e vedevano in Kant “il vero e reale padre del socialismo tedesco” (Hermann Cohen). 8

Dal canto suo, lo scritto di Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, mostrava a sufficienza che non mancavano buone (e cattive) ragioni per non pubblicare la Dialettica della natura. Anche solo limitando la lettura alla parte filosofica, non è difficile rintracciarvi un certo numero di tesi che lo stesso Engels avrebbe rifiutato. Tali sono, ad esempio, le seguenti: che la scienza è per principio agnostica; che essa non si pronuncia sul sostrato della realtà, ma si limita alla conoscenza dei fenomeni; che ogni materialismo sarebbe “uno spiritualismo”; e infine che è possibile opporre i giudizi di fatto (scienze positive della natura) ai giudizi di valore (propri della storia). Insomma, rompendo l’unità del mondo fisico e del mondo morale, diviene possibile mostrare che il socialismo non è il risultato rivoluzionario delle contraddizioni della realtà, ma il prodotto di una scelta etica: “l’idealismo e la morale gli sono inerenti”. 9

 

3. La reazione contro la dialettica: revisionisti, centristi e ultrasinistri

A partire da questi assunti, si sviluppa un attacco diretto contro la dialettica, il cui maggiore esponente è, peraltro giustamente, individuato in Hegel. Così, in contrapposizione a quest’ultimo, la formulazione aristotelica secondo cui “natura non facit saltus” diviene la matrice di un evoluzionismo comune alla natura e alla storia. È lo stesso Bernstein che si preoccupa di precisare: “Io non ho niente contro la dialettica, eccezion fatta per l’influenza che essa ha esercitato sulla teoria socialista!...” 10

In fondo a queste critiche si delinea una corrente che ha contrassegnato un buon numero di interpretazioni del marxismo della Seconda Internazionale: l’antiengelsismo, più o meno dichiarato, si fonda infatti sul rifiuto della nozione stessa di filosofia marxista. Secondo l’ottica dualista che caratterizza questo tipo di interpretazione, il marxismo si configura, innanzitutto, come “una scienza positiva della società” (che verte su fatti, su ciò che è) e può essere completato sia da una “filosofia della conoscenza” (neokantiana) sia da un’etica. Non a caso, Max Adler, riducendo la dialettica al metodo, nega che “il marxismo come teoria sociale sia essenzialmente legato ad una qualsiasi visione del mondo e in particolare al materialismo filosofico”. 11

Se quella adleriana è una variante interpretativa con un basso coefficiente dialettico (ed esprime quindi una tendenza centrista), quella ultrasinistra, con il suo “marxismo hegelianizzato”, è invece una variante interpretativa caratterizzata da un alto coefficiente dialettico (anche se l’àmbito di validità di tale coefficiente è programmaticamente limitato alle sole scienze storico-sociali): non a caso, sia l’una che l’altra si collegano al fondamentale ceppo dell’antiengelsismo.

Quindi, laddove i revisionisti intendono ‘elevare’ il marxismo a scienza neutrale dei fatti sociali, gli ultrasinistri, attraverso il rifiuto hegeliano della nozione stessa di positività, riducono la natura ad una categoria storico-sociale indissolubilmente legata alla prassi umana, e negano alla scienza ogni autonomia. Sennonché tutti questi temi risultano trattati entro una prospettiva ed in un modo profondamente diversi dalla concezione engelsiana, la quale aveva sottolineato con forza la profonda unità storica e dialettica (dunque contraddittoria) tra uomo, società, storia e natura, così come l’irriducibile autonomia della natura nei confronti della coscienza. Non per nulla i testi di Lukács e di Korsch contengono una svalutazione della figura e dell’opera di Engels, e, per certi aspetti, anticipano alcuni di quelli che in séguito diventeranno i ‘leitmotiv’ dell’antiengelsismo, come le critiche rivolte ad Engels di essere poco dialettico, seguace di aspetti deteriori del pensiero hegeliano, critico superficiale di Kant, ed altre ancora.

Anche Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere esprime sostanziali riserve sul pensiero engelsiano a cui ritiene, tra l’altro, di poter far risalire, almeno indirettamente, la responsabilità della concezione meccanicistica di Nicolaj Bucharin: «È certo che in Engels [il riferimento è all’Antidühring] si trovano molti spunti che possono portare alle deviazioni del Saggio [di Bucharin]. Si dimentica che Engels, nonostante vi abbia lavorato a lungo, ha lasciato scarsi materiali sull’opera promessa per dimostrare la legge cosmica e si esagera nell’affermare l’identità di pensiero dei due pensatori della filosofia della praxis». 12 In realtà, Gramsci elabora un concetto di “natura umana” come “complesso dei rapporti sociali” che ripropone, anche se in un quadro teorico parzialmente diverso, la stessa accentuazione della dipendenza della natura dalla società con cui nel “marxismo occidentale” si smarrisce l’autonomia materialistica del reale. Così, dopo aver trovato i suoi primi interpreti nel giovane Lukács e in Karl Korsch, 13 questa corrente, per un verso, sarà oggetto della critica dello ‘stalinismo’ 14 e, per un altro verso, si renderà disponibile a tutte le operazioni del revisionismo di sinistra nel periodo successivo al XX congresso del PCUS.

 

4. Natura senza dialettica, storia senza rivoluzione

Orbene, limitandoci a considerare soltanto l’aspetto teorico, non è difficile riconoscere nella suddetta corrente il profilo del “marxismo occidentale”, un tratto saliente del quale è sempre stato, come ben dice Sebastiano Timpanaro, quello di “difendersi dall’accusa di materialismo”. 15

In questa direzione antimaterialistica e tendenzialmente idealista verrà modellato, non senza apporvi un’impronta esistenzialista, un “marxismo hegelianeggiante” basato su alcuni assunti che coinvolgono Engels.

Separazione radicale della natura dalla storia (separazione, come si è visto, che è comune a Bernstein e, nel contempo, è un sintomo caratteristico dell’idealismo sinistreggiante). Non vi è dialettica che della (e nella) storia, entro cui si rivelano il progetto umano, il soggetto e la totalità. Inoltre, l’assorbimento della scienza nella filosofia permette di obliterare la relazione materialistica tra l’uomo e la natura (il processo lavorativo) e il posto che occupa la questione della natura nel marxismo.

Tale separazione non è che la ripresa acritica di un vecchio schema hegeliano, non trasvalutato da una lettura materialistica e basato su di un’opposizione semplice di questo tipo: la natura è l’esteriorità, l’in-sé, la struttura senza la storia, l’intelletto analitico / la storia è l’interiorizzazione, il per-sé che supera tutte le sue differenti alienazioni, la ragione dialettica, la prassi.

Queste opposizioni rinviano ad una interpretazione idealistica della dialettica, in virtù della quale il primato della totalità si identifica con la trasformazione del proletariato in soggetto filosofico. Pertanto la figura dominante di questa dialettica poggia sull’opposizione ‘parte/tutto’ e non su una nozione di contraddizione per cui questa è concepita come la manifestazione di un processo interno alle cose stesse.

La distinzione tra il pensiero di Marx e quello di Engels acquista però la forma di un vero e proprio antiengelsismo dopo il 1956, quando nel periodo della “destalinizzazione” si è ritenuto di individuare le radici teoriche del dogmatismo e della deformazione metafisica del marxismo, di cui Stalin sarebbe stato responsabile, nel pensiero di Engels. In una simile ottica, la concezione tendenzialmente sistematica e integrale del marxismo, elaborata da Engels, acquistava il significato di una vera e propria premessa alla concezione staliniana; l’Antidühring veniva allora considerato la base dello staliniano Materialismo dialettico e materialismo storico (1938), a sua volta riconosciuto come vera e propria ‘summa’ del materialismo dialettico. La critica a Stalin in questa prospettiva antiengelsiana, di solito, conduce al rifiuto (in tutto o in parte) del pensiero di Lenin e, in buona sostanza, ad una visione gradualista ed evoluzionista della storia, scandita dalle “magnifiche sorti e progressive” della democrazia borghese.

Da qui prese le mosse tutta una serie di critiche ad Engels atteggiate secondo due forme fondamentali di antiengelsismo, le quali, pur coincidendo nei giudizi di fondo sul pensiero engelsiano, presentavano una diversa ispirazione e collocazione nell’àmbito della teoria e della storia del marxismo, e assai diversamente concepivano lo stesso marxismo. Gli ascendenti della prima di queste forme si ricollegavano, per un verso, all’“hegelo-marxismo” del giovane Lukács 16 e di Korsch, al “marxismo occidentale” francese (in ispecie alla “dialettica critica” di Jean-Paul Sartre), e per un altro verso al cosiddetto “marxismo critico” della scuola di Francoforte (i cui principali rappresentanti erano Max Horkheimer, Theodor Wiesengrund Adorno e Jürgen Habermas). In essa si produceva ancora una volta una netta separazione tra le scienze esatte (“naturali”) e le scienze umane (“storiche”), la quale, in nome della ‘filosofia’, sfociava in una forma di “reazione idealistica contro la scienza”, 17 laddove quest’ultima veniva accusata di essere nello stesso tempo creatrice e creatura della contemporanea “società repressiva”. Da parte di questi pensatori e dei loro seguaci, il cui marxismo, se tale si può definire, ha una natura essenzialmente filosofico-storicistica e umanistica, viene perciò rifiutata l’idea stessa di una “dialettica della natura” (giacché per questa corrente la dialettica concerne solo la storia e la prassi umana) e respinta la concezione di Engels, che presuppone l’autonomia e la conoscenza oggettiva della natura. A tutto ciò si è contrapposta una concezione piccolo-borghese del marxismo fondata sugli scritti filosofici del “giovane Marx”, ove il posto del proletariato è preso da una generica “autocoscienza umana” e la finalità del “rovesciamento dialettico” è la creazione di una “comunità libera da ogni forma di alienazione” (si pensi ad esponenti di questa corrente quali Iring Fetscher, Karel Košík e Roger Garaudy).

 

5. L’antiengelsismo di Della Volpe e Althusser

Sempre nello stesso periodo, fra anni Cinquanta e anni Sessanta del secolo scorso, una forma particolarmente agguerrita di antiengelsismo è sorta nell’àmbito della riflessione di Galvano Della Volpe e della sua scuola (i cui principali esponenti sono da ravvisare in Lucio Colletti, Umberto Cerroni, Nicolao Merker e Mario Rossi) e ha trovato particolari sviluppi e conferme anche nell’opera del marxista francese Louis Althusser. Tale antiengelsismo ha poi assunto l’espressione più chiara e articolata nel saggio di Lucio Colletti, Il marxismo e Hegel (1969). E qui l’esegesi antiengelsiana andava incontro ad una situazione paradossale, perché, mentre una corrente accusava Engels di non essere un filosofo dialettico, il secondo gruppo gli rimproverava esattamente il contrario, cioè di esserlo troppo, che è quanto dire di ragionare in modo idealistico e aprioristico.

Così, mentre per i primi era necessario, contro ogni dogmatico ‘positivismo’ marxista, recuperare interamente al marxismo il carattere negativo e critico della dialettica hegeliana, per i secondi si doveva prima di tutto riconoscere la totale diversità tra la dialettica di Hegel e quella di Marx, e perciò respingere anche l’impostazione del problema del rapporto tra il marxismo e Hegel data da Engels e da Lenin. Inoltre, gli studiosi della “scuola di Althusser” non accettavano di contrapporre ad Engels soprattutto il “giovane Marx” filosofo e sostenitore di un’antropologia rivoluzionaria (quello cioè dei Manoscritti economico-filosofici del 1844), che i primi privilegiavano anche nei confronti del “Marx maturo” (quello del Capitale). I marxisti di formazione dellavolpiana ponevano invece in risalto il grande valore metodologico e scientifico della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico del 1843, in cui Marx compie un’esemplare demistificazione dell’apriorismo logico di Hegel, ed insistevano sul carattere unitario dello sviluppo del pensiero marxiano dalle opere della giovinezza a quelle della maturità. Essi, infine, contrapponevano al materialismo storico-dialettico di Engels un marxismo concepito come scienza della storia e della società dotata di uno specifico metodo sperimentale (Cerroni) o un marxismo come sociologia (Colletti). 18

Entrambe queste forme di antiengelsismo coincidono peraltro, pur intendendolo in modo diverso, nella comune esaltazione del carattere scientifico del marxismo, definito dai dellavolpiani come una sorta di “galileismo morale” fondato sul metodo delle astrazioni determinate e dagli althusseriani come “rottura epistemologica” e apertura di un nuovo “continente” della conoscenza umana rappresentato dalla storia. 19

 

6. Quattro importanti rivalutazioni del lavoro filosofico di Engels

A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, contro il proteiforme antiengelsismo, e per molti versi sollecitato da esso, si è prodotta, specialmente in Italia, una vera e propria rinascita dell’interesse per il pensiero di Engels. Essa trova le proprie premesse reali nell’importanza crescente assunta dalla scienza e dalla tecnologia nella società contemporanea, e nel rapporto sempre più problematico e carico di incognite che si è instaurato tra l’uomo e la natura per il tipo di sfruttamento delle risorse naturali imposto dal modo di produzione capitalistico. Lo stesso problema ecologico ha reso particolarmente attuali certi temi engelsiani quali l’ineliminabile base naturale dell’uomo e della società (mai così evidente come in tempi di pandemia), l’uso e il controllo razionale delle forze produttive, l’uso sociale della scienza. Inoltre, tale rinascita si situa nel contesto di un ripensamento del rapporto tra cultura e natura, ordine umano e ordine naturale, avviato dalla riflessione antropologica novecentesca, ed è parte integrante della ripresa dello studio e del dibattito concernenti il rapporto tra il marxismo e le scienze.

In questa fase di ricerca una funzione importante è stata svolta da Eleonora Fiorani con il saggio su Friedrich Engels e il materialismo dialettico (1971), con cui l’autrice ha inteso compiere una ‘restaurazione’, esattamente documentata ed efficacemente argomentata (contro ogni deformazione e unilateralità polemica e ideologica) del risultato centrale dell’intera opera engelsiana, ossia l’esplicitazione dei “fondamenti ideologici della visione del mondo nella quale s’inquadra il materialismo storico”. Su questa base l’autrice ha inteso poi difendere l’attualità del materialismo dialettico sia nei confronti della moderna problematica teorico-metodologica sia, soprattutto, di fronte ad uno dei più gravi sintomi sovrastrutturali della crisi della società borghese: la scissione tra il sapere umanistico e il sapere scientifico.

Da parte di altri pensatori si è cercato, invece, di impostare e proporre nuove letture della problematica di Engels. Così, in Sebastiano Timpanaro l’accentuazione della dipendenza dell’uomo dalla natura acquista il senso di un materialismo pessimistico, che insieme al sostanziale rifiuto della dialettica intende recuperare temi e accenti di ascendenza leopardiana. Per Nicola Badaloni, studioso che ha dedicato ad Engels una ricerca profonda, acuta ed appassionata, il merito del grande amico di Marx è quello di aver saputo collegare il tema della sopravvivenza della specie umana (posto da Darwin e da Marx) con quello della dialettica, sottolineando come questa esprima, al livello astratto della filosofia, la necessità, storicamente imposta dal livello di sviluppo delle forze produttive, del passaggio, per l’appunto dialettico e rivoluzionario, dalla fase ‘istintiva’ a quella della “regolamentazione” e “direzione” coscienti del ricambio organico dell’uomo con la natura. 20

Tra i contributi che sono particolarmente rilevanti dal punto di vista marxista va infine menzionato il lavoro di John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, 21 che è, per un verso, un tentativo diretto a valorizzare, più di quanto in genere non si faccia da parte di un buon numero di marxisti, la componente materialistica del materialismo dialettico e, per un altro verso, una ricerca approfondita intorno all’analisi che Marx conduce sul rapporto tra il genere umano e la natura. 22 Il resoconto di Foster dà particolare risalto a tre figure centrali per qualsiasi recupero dell’istanza materialistica del marxismo. In primo luogo, Foster si occupa della figura di Epicuro, il filosofo dell'antica Grecia che è una figura chiave nella storia del materialismo, ove segna lo spartiacque teoretico tra questa concezione e l’idealismo, e crea le condizioni necessarie per affrontare le questioni dell’ordine politico e sociale dal punto di vista di un pensiero filosofico radicale. Non a caso, l’accusa ricorrente nei confronti di ‘eretici’ del Rinascimento come Giordano Bruno e di figure come Spinoza era quella di epicureismo. La seconda figura importante nell’esposizione di Foster è Bucharin, alla concezione del quale viene dedicata una certa attenzione all’interno del quadro del materialismo dialettico. Come è noto, la posizione filosofica di Bucharin era oggetto di forti critiche ai suoi tempi. In particolare, abbiamo visto che la sua concezione del materialismo offrì a Gramsci l’occasione di esprimere le proprie opinioni sulla scienza e sul materialismo, quindi anche sul materialismo dialettico. Dal canto suo, Foster liquida il punto di vista di Gramsci affermando che è servito a rafforzare la tendenza antiscientifica e antirealista, prima, del marxismo occidentale e poi della teoria critica e del postmodernismo. Egli apprezza invece la stretta connessione tra il materialismo di Bucharin e l’influsso delle ricerche di uno scienziato dell’epoca sovietica, Vladimir Vernadskij, il quale fu il primo presidente dell’Accademia sovietica delle scienze e va considerato come il pioniere nella elaborazione di concetti che sono entrati a far parte della tradizione comune delle scienze ambientali odierne (in particolare le idee di biosfera e noosfera). 23

 

7. Il progetto teorico di Engels

Dal punto di vista filosofico, il rapporto storico e teorico fra Marx ed Engels si accentra in un’opera la quale, ancorché incompiuta, conferisce a tale rapporto una particolare evidenza: la Dialettica della natura. Scritta lungo un arco di tempo che va dal 1873 al 1886 e interrotta nel 1877 dalla stesura dell’Antidühring, essa è rimasta incompiuta non solo per via delle difficoltà connesse alla sua elaborazione (delle quali Engels era peraltro consapevole), ma anche a causa della morte di Marx nel 1883, che obbligò Engels a consacrare una gran parte del suo tempo a redigere il secondo e il terzo volume del Capitale e a farsi carico di una responsabilità assai pesante nella direzione del movimento operaio, segnatamente in Germania ove egli diventò “il consigliere e il dirigente dei socialisti europei”. 24 Se a tutto ciò si aggiungono la stesura dell’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato nel 1884, varie introduzioni e, nel 1886, lo scritto Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, non è difficile capire perché la Dialettica della natura non fu portata a termine e perché assunse l’aspetto, stimolante non meno che istruttivo, di un cantiere di lavoro aperto.

L’esame della corrispondenza tra Marx ed Engels permette così, in prima battuta, di demolire alcuni miti negativi: operazione, questa, indispensabile per chi si accinga a delineare il progetto teorico di Engels. Orbene, il primo mito che occorre demistificare è quello che concerne il carattere presuntivamente tardivo della costituzione del materialismo dialettico, spesso riferita al “vecchio Engels”. In realtà, l’interesse di Engels per la portata teorica delle scienze della natura risale almeno al 1858. Nella sua lettera del 14 luglio 1858, indirizzata a Marx, Engels dichiara: «Mandami, ti prego, la Filosofia della Natura di Hegel, che mi hai promesso. Io mi occupo un po’ di fisiologia e vi farò seguire l’anatomia comparata. Vi sono cose di alto interesse speculativo, ma che sono state tutte scoperte recentemente; sono molto curioso di vedere se il vecchio [cioè Hegel] ne ha avuto sentore. Certo è che, se avesse da scrivere oggi una filosofia della natura, i materiali gli si accumulerebbero da tutte le parti… Tutto è cellula. La cellula è l’essere in sé di Hegel, e nel nuovo sviluppo si svolge esattamente attraverso il processo indicato da Hegel, finché non se ne sviluppa l’“idea”, l’organismo di volta in volta perfetto… Ad ogni passo si batte il naso nella più completa concordanza di struttura con gli altri mammiferi; nei tratti fondamentali la concordanza si estende a tutti gli altri vertebrati e perfino – più confusamente – agli insetti, ai crostacei, alle tenie, ecc. L’idea di Hegel del salto qualitativo nella serie quantitativa anche qui va benissimo». Engels sottolinea a più riprese che «la causa che ha rivoluzionato tutta la fisiologia e reso possibile una fisiologia comparata è la scoperta della cellula», ragione per cui a partire da questa epoca riconosce la funzione decisiva della biologia nella lotta contro l’idealismo «che colloca l’uomo al di sopra degli altri animali». 25

In una lettera scritta a Marx il 4 novembre 1859 Engels così commenta la grande svolta rappresentata dall’apparizione dell’Origine delle specie di Darwin: «Del resto, il Darwin, che sto appunto leggendo, è proprio stupendo. Per un certo aspetto, la teologia non era stata ancora sgominata, e lo si è fatto ora. E poi non è stato ancora mai fatto un tentativo così grandioso per dimostrare lo sviluppo storico della natura, o almeno non così felicemente. Naturalmente bisogna passare sopra al goffo metodo inglese». 26 Tali scoperte pongono importanti questioni teoriche, poiché provano l’esistenza di un anello di congiunzione tra la materia animata e la materia inanimata: insomma, un salto dialettico in una serie quantitativa, “una dimostrazione materiale” della dialettica. E così Engels chiede a Marx di inviargli la Filosofia della Natura di Hegel. Sono quindi reazioni entusiastiche e condivise (Marx, come è noto, intendeva dedicare il Capitale a Darwin), che non muteranno mai nella sostanza, ma che richiedono alcune precisazioni poiché, senza Darwin, il progetto di Engels sarebbe stato impossibile.

Orbene, il ‘trait d’union’ teorico fra il darwinismo e il materialismo storico-dialettico si trova senza alcun dubbio, in prima istanza, nell’introduzione del tempo e della storia nella biologia, così come nell’economia. Delineando una ‘storia’ delle specie, Darwin pone all’uomo il problema della sua comparsa in un mondo senza l’uomo: da qui scaturisce la perdita di un centro di riferimento, il cui risultato è un “decentramento” del soggetto. Per cogliere la portata di un simile ribaltamento, può essere utile evocare un altro momento topico della storia della scienza, solitamente denominato come “rivoluzione copernicana”. Se ci si pone da questo punto di vista che la fisica definisce come isotropia, il problema essenziale non è tanto quello di sostituire il geocentrismo con l’eliocentrismo, quanto quello di porre una domanda preliminare: “Il mondo è dotato o no di un centro?”. Domanda a cui si risponde diversamente a seconda di come si concepisce l’universo (finito o infinito).

L’ammirazione di Engels per la rivoluzione scientifica del XVI secolo, così come l’interesse che egli manifesta non solo per il darwinismo ma anche per la paleontologia e la geologia, procedono dalla stessa radice: l’individuazione del posto occupato dall’uomo, l’articolazione della natura e della storia, l’emancipazione della scienza della natura dalla religione. Sennonché la costituzione di una scienza ‘storica’ della natura pone al pensiero teorico una questione cruciale al fine di giustificare il tipo di universalità della dialettica, questione che può essere riassunta in questi termini: unità dei due processi storici, specificità di ciascuno di essi.

Nel Capitale Marx scrive a questo riguardo: «Lo sviluppo della formazione economica della società è assimilabile a un processo di storia naturale», 27 e più precisamente, in merito alle problematiche del saggio e della massa del plusvalore: «Qui, come nelle scienze naturali, si rivela la validità della legge scoperta da Hegel nella sua Logica, che mutamenti puramente quantitativi si risolvono a un certo punto in differenze qualitative». 28

Nonostante la sua calunniosa volgarità, poiché talvolta capita ancora di riscontrarla, merita una postilla la leggenda denigratoria di un Engels che dissertava sulle scienze della natura senza conoscerle o poco agguerrito in filosofia. Certamente, se è vero che esistono delle differenze tra Marx ed Engels nel modo di svincolarsi dalla filosofia hegeliana, è altrettanto vero che Engels, in quanto anche lui giovane hegeliano e critico di Schelling, 29 supererà l’idealismo sia attraverso una “critica immanente” di tale concezione sia, soprattutto, attraverso un’esperienze diretta e un’analisi concreta della “situazione della classe operaia in Inghilterra”. 30 Questa differenza iniziale, pur nella fondamentale comunanza del comune percorso, segnerà l’apporto decisivo e personale di Engels alla elaborazione del materialismo storico-dialettico.

Pertanto, grazie ad un accordo di fondo sulle basi teoriche di esso materialismo potrà stabilirsi una feconda divisione del lavoro fra i due grandi amici e militanti rivoluzionari, divisione che comporterà per Engels una “muda completa”, ossia dieci anni di studi per assimilare le scoperte delle scienze della natura, poiché «una concezione ad un tempo materialistica e dialettica della natura richiede di familiarizzarsi con le matematiche e le scienze della natura». 31

 

8. Il significato del lavoro filosofico di Engels

Pur assumendo che il “riflesso” può presentare gradi più o meno articolati di complessità, la teoria materialista nel campo della conoscenza presuppone di non identificare a priori l’oggetto reale e l’oggetto di pensiero. 32 Questa posizione richiede allora di rigorizzare il lavoro filosofico di Engels a partire da un punto di vista ben preciso. Alla luce del materialismo dialettico, tale punto di vista non può essere se non quello di Lenin, il quale, riguardo in particolare ad alcuni aspetti, quali il rapporto tra Hegel e il marxismo e lo statuto della pratica politica rivoluzionaria, è andato più lontano di Engels: più lontano, sì, ma nella direzione dell’approfondimento e dell’arricchimento del pensiero engelsiano. 33

È bene ribadire, in primo luogo, che la Dialettica della natura non è (né va intesa come) una ‘filosofia della natura’ e, in secondo luogo, che non è possibile, se si tiene conto del progetto di Engels, separare il materialismo dialettico dal materialismo storico. La Dialettica della natura implica, infatti, uno studio della posizione della scienza nella società, una teoria delle ideologie e una dialettica che svolge la funzione di tessuto connettivo della storia e della natura.

In numerosi testi Engels sviluppa questa direttrice di ricerca sia analizzando il ‘mixtum compositum’ formato dall’intreccio fra le scoperte scientifiche e le ideologie, sia mostrando come e perché queste ultime si situino in due distinti livelli.

a) Processi di riproposizione, a livello della “filosofia spontanea degli scienziati”, di tesi abbandonate da lungo tempo, ma tali da apparire come un “sapere del tutto nuovo” associabile a qualche nuova scoperta. In ultima analisi, si tratta di un’operazione di amalgama, per mezzo della quale gli scienziati producono della filosofia riattivando taluni strati profondi della storia dei saperi. 34 Dal canto suo, Engels conduce un’indagine critica che gli consente di riconoscere in queste filosofie obsolete altrettanti ostacoli epistemologici per l’attività scientifica. Sotto questo profilo, è istruttivo, ad esempio, il modo in cui Louis Althusser smaschera la procedura con la quale Jacques Monod riattiva il platonismo per giustificare filosoficamente la scoperta scientifica dell’invarianza. 35

b) Ideologizzazione dei concetti di una scienza ‘esportati’ in un’altra per determinate ragioni extra-filosofiche ed extra-scientifiche. Un classico esempio è il darwinismo sociale, ideologia reazionaria che sarà ripresa e inserita nell’ideologia fascista. 36

In questo àmbito, Engels, la cui intuizione epistemologica è sempre sicura, distingue due ulteriori processi.

bʹ) L’‘importazione’ di concetti scientifici da una disciplina in un’altra, che è centrale nello sviluppo delle connessioni tra le scienze. Ciò accade con le indebite trasposizioni del concetto di lavoro, a proposito delle quali Engels svolge alcune osservazioni di grande finezza linguistica, storica ed epistemologica: «Tanto la parola lavoro quanto il concetto di lavoro provengono dagli ingegneri inglesi. Ma in inglese per lavoro, in senso pratico, si dice: work, per lavoro in senso economico: labour. Anche per il lavoro fisico si usa il termine work, ed è impossibile qualsiasi confusione con il lavoro in senso economico. In tedesco non è così; son divenute perciò possibili alcune strabilianti applicazioni del concetto fisico di lavoro al campo dei rapporti economici di lavoro, e viceversa, nella recente letteratura pseudoscientifica. Abbiamo però anche la parola Werk, che è perfettamente appropriata, come la parola inglese work, per indicare il lavoro fisico. Ma giacché l’economia è un campo troppo remoto per i nostri ricercatori scientifici, sarà ben difficile che essi si decidano a introdurla al posto della parola Arbeit, che ha ormai acquistato la cittadinanza ufficiale, se non forse quando sia troppo tardi. Solo in Clausius c’è il tentativo di mantenere il termine Werk, accanto al termine Arbeit». 37 Del pari, si può aggiungere che la termodinamica, introducendo i concetti di energia e di lavoro, servirà a riformulare la biologia. Si tratta anche in questo caso di sviluppi che rispondono al processo reale dell’interconnessione delle scienze (non al criterio borghese dell’interdisciplinarità) 38 e in questo senso la dialettica si configura come vera e propria “scienza delle connessioni”.

bʹʹ) L’importazione, via slittamento non controllato, del punto di vista del nuovo oggetto scientifico, che conduce a mascherare una scienza (ossia a denegarla). Anche qui è sufficiente pensare alle ideologie di stampo biologico della società e della storia in chiave riduzionista. Oltre che nel darwinismo sociale dell’epoca di Engels, si potrebbero trovare, nella seconda metà del Novecento, taluni equivalenti di questo tipo di importazione nella ‘metábasis eis allo ghenos’ (passaggio logicamente indebito ad un altro genere logico) compiuta da Monod con il suo passaggio dalla selezione naturale delle specie alla selezione delle idee. 39

Il darwinismo sociale funziona infatti attraverso un duplice processo. Da un lato (società → natura), Darwin ha modellato la teoria della lotta per la sopravvivenza sulla teoria hobbesiana del ‘bellum omnium contra omnes’, sulla teoria economica borghese così come sulla teoria della popolazione di Malthus. Marx ha dedicato diversi commenti a questa ‘metábasis’, come risulta, ad esempio, dalla lettera ad Engels del 18 giugno 1862: «È notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società inglese con la sua divisione del lavoro, la concorrenza, l’apertura di nuovi mercati, “le invenzioni” e la malthusiana “lotta per l’esistenza”. È il bellum omnium contra omnes di Hobbes, e fa ricordare Hegel nella Fenomenologia dello spirito, dove raffigura la società borghese quale “regno animale ideale”, mentre in Darwin il regno animale è raffigurato quale società borghese». 40 Insomma, Darwin, suo malgrado, espone “un’aspra satira dell’umanità”, ed Engels, nell’Antidühring, lo difende contro Dühring che è lamarckiano, anche se avanza delle riserve sul meccanismo dei fattori ereditari. Ciò che, comunque, gli sembra decisivo è il trattamento “statistico” dell’oggetto biologico posto in atto da Darwin, in quanto «gli organismi della natura hanno egualmente le loro leggi demografiche, le quali vengono poco o niente indagate, ma la cui constatazione sarà di importanza decisiva per la teoria dell’evoluzione delle specie». 41

Da un altro lato (natura → società), la trasposizione inversa dipende da una mistificazione ideologica e procede per il tramite di un’estensione indebita delle leggi biologiche alla società. In tal modo, la critica di Engels si riallaccia strettamente a quella formulata da Marx contro Friedrich Albert Lange nelle Lettere a Kugelmann: «Il signor Lange ha cioè fatto una grande scoperta. L'intera storia può essere riassunta in un’unica grande legge della natura. Questa legge della natura è la frase “struggle for life”, “lotta per l’esistenza” (in questa accezione l’espressione darwiniana diventa mera frase) e il contenuto di questa frase è la legge malthusiana del popolamento, o rather [piuttosto] del sovrappopolamento. Invece di analizzare dunque lo “struggle for life” come esso si presenta in diverse determinate forme sociali, non occorre far altro che tradurre ogni lotta concreta nella frase “struggle for life”, e questa frase nelle “fantasie di popolamento” di Malthus. Bisogna ammettere che questo è un metodo molto persuasivo, per l’ignoranza e la pigrizia mentale ostentatamente scientifica e ampollosa. Ciò che lo stesso Lange dice sui metodi hegeliani e sulla mia applicazione di essi è veramente puerile. In primo luogo non capisce rien [nulla] del metodo hegeliano e perciò, in secondo luogo, tanto meno del mio modo critico di applicarlo. In un certo riguardo mi ricorda Moses Mendelssohn. Questo prototipo di vescica gonfiata scrisse cioè a Lessing come mai gli potesse venire in mente di prendere au sérieux [sul serio] “quel cane morto di Spinoza”! Allo stesso modo il signor Lange si meraviglia che Engels, io, ecc. prendiamo au sérieux quel cane morto di Hegel, quando Büchner, Lange, il dott. Dühring, Fechner, ecc., hanno pur da tempo convenuto di averlo – poor dear [povero diavolo] - da molto tempo sepolto. Lange è tanto ingenuo da dire che nella materia empirica io “mi muovo con la più rara libertà”. Egli non ha la minima idea che questo “libero movimento nella materia” non è assolutamente null'altro che una parafrasi per il metodo di trattare la materia, cioè il metodo dialettico». 42

Così, contro ogni confusionismo di natura ideologica, l’articolazione delle scienze della natura e della scienze della storia implica tanto il rispetto dei livelli di analisi quanto metodologie differenziate, due requisiti da cui nessuna filosofia, foss’anche il materialismo dialettico, può prescindere. In tal senso, una epistemologia dello sviluppo delle scienze, che si fondi, secondo l’ottica di Engels, sulla disàmina delle interconnessioni tra le scienze, non è concepibile indipendentemente dall’istituzione di una tipologia e di una topologia delle pratiche ideologiche, poiché sono proprio queste che svolgono l’importante funzione di cerniera fra il materialismo storico e il materialismo dialettico.

 

9. Totalità, azione reciproca e sovrastrutture

In effetti, l’analisi delle ideologie chiama necessariamente in causa la concezione marxista della totalità: ciò spiega come mai la questione dell’ideologia e dei rapporti fra lo Stato e l’economia assuma un posto centrale nella riflessione dell’“ultimo Engels” (1890-1895), Le ragioni di questa centralità sono politiche e teoriche: alla lotta di Engels contro le deviazioni opportuniste della socialdemocrazia tedesca corrisponde la lotta teorica contro una concezione meccanicistica ed economicistica del marxismo. 43 I testi in cui questa cruciale riflessione è depositata – principalmente le lettere a Conrad Schmidt, a Joseph Bloch e ad altri, sono molto noti e spesso commentati, talché non vi è bisogno di riprenderli. 44

Engels propone l’introduzione di un certo numero di concetti: determinazione in ultima istanza per l’economia, autonomia relativa delle sovrastrutture, azione reciproca della struttura sulle sovrastrutture (e viceversa). Dal canto suo, la concezione meccanicistica ed economicistica del marxismo con cui Engels si confronta è caratterizzata da due aspetti principali: per un verso, da una nozione del momento cosciente e sovrastrutturale come forma passiva rispetto alla struttura economica; per un altro verso, da una bipartizione, per l’appunto economicistica, degli àmbiti (struttura e sovrastrutture), tale che, per esempio, lo Stato o l’ideologia non esplicherebbero mai funzioni economiche, oppure le ideologie non interverrebbero nei rapporti socio-economici.

La risposta di Engels è chiara: nella misura in cui il potere statuale può svolgere una funzione motrice (agendo, ad esempio, nella stessa direzione dell’economia durante la transizione dal feudalesimo al capitalismo) o una funzione frenante (agendo in senso inverso) o, ancora, una funzione selettiva (chiudendo allo sviluppo economico certe vie e aprendone altre), nella stessa misura le ideologie non sono mai definibili al solo livello del rapporto ‘coscienza-classe’, ma incidono a tutti i livelli della realtà sociale e, ciò che più conta, in maniera differenziale. La nozione di riflesso conserva tutta la sua importanza ontologica e gnoseologica, ma da questo punto di vista ha solo un valore metodologico quale posizione materialista, di cui occorre elaborare la conoscenza mettendo a punto opportuni criteri di differenziazione tra le forme sovrastrutturali. Dunque, è utile distinguere in base ai settori, alle funzioni e ai livelli, seguendo una direttrice metodologica che si ritrova in Engels allo stato pratico.

In tutte le analisi riguardanti il nesso tra l’ideologia e lo Stato o il nesso tra la filosofia e la politica, Engels adopera determinate categorie teoriche e procede dialetticamente, come dimostra il fatto che, polemizzando con un sociologo borghese, Paul Barth, in una delle “lettere sul materialismo storico”, si sente in dovere di sottolineare: «Quel che manca a tutti questi signori è la dialettica. Essi vedono sempre e solamente qui la causa, là l’effetto. Non arrivano a vedere che questa è una vuota astrazione, che nel mondo reale simili contrapposizioni metafisiche polari esistono soltanto nei momenti di crisi, ma che l’intero grande corso delle cose si svolge nella forma dell’azione e reazione reciproca, anche se di forze molto ineguali [corsivo mio], tra cui il movimento economico è di gran lunga il più forte, il più originario, il più decisivo; essi non arrivano a vedere che in questo campo niente è assoluto e tutto è relativo. Per essi Hegel non è esistito…». 45

Fermo restando che qui è in gioco la categoria di causalità, la domanda che sorge è allora questa: che cosa si intende significare quando si afferma, per esempio, che vi è “azione e reazione” fra la base e la sovrastruttura? E ancora, tenendo conto del richiamo che Engels fa ad Hegel, in che cosa l’interazione può dirsi hegeliana e in che cosa no? Si tratta quindi di mostrare, muovendo da questo esempio, la rielaborazione a cui Engels sottopone la logica hegeliana: una rielaborazione certamente incompiuta, ma che una lettura di Hegel ‘en matérialiste’ può permettere di completare.

Sennonché, in apparenza, Engels riprende, per risolvere un problema nuovo del materialismo storico, una categoria e una figura dialettica che è all’opera nella Scienza della logica e che susciterà del resto l’entusiasmo di Lenin nei Quaderni filosofici: «Hegel riconduce a pieno la storia sotto la causalità e intende la causalità in maniera mille volte più profonda e più ricca di una folla di “scienziati” odierni». 46

Per quanto concerne Hegel, l’analisi della causalità, dell’azione e della reazione, dell’azione reciproca o interazione si trova nel capitolo della Scienza della Logica intitolato “Il rapporto assoluto”. 47 Quivi Hegel critica due concezioni della causalità che intervengono come “momenti” della sua esposizione. Da un lato, è possibile concepire il rapporto causa/effetto come l’istituzione, attraverso una falsa “sintesi”, di una relazione fra elementi o cose esteriori. Tale causalità, intesa come passaggio dalla causa all’effetto (o anche della causa nell’effetto), è transitiva e meccanica.

Hegel fornisce due esempi, uno dei quali di natura estetica, per delucidare “il carattere tautologico di questo rapporto di causalità”, così come viene còlto da un intelletto soggettivo. Dire che il pittore è “causa” del quadro, osserva Hegel, è una piatta tautologia: l’effetto prodotto non contiene nulla che la causa già non contenga (è, come dice Hegel, un rapporto di semplice “esteriorizzazione”). D’altra parte, Hegel critica parimenti ciò che sarebbe una “causalità formale”, rispetto a cui la causa è l’originale in rapporto all’effetto, perciò è sempre identica e permanente (il fatto che la base determina la sovrastruttura corrisponderebbe a questo tipo di enunciato), mentre l’effetto non è che un accidente, sostanzialmente incluso nella causa. Orbene, Engels fa sua questa duplice critica che in Hegel conduce a proposizioni di questo tipo: «La causa è causa solo in quanto produce un effetto, e la causa non è altro che questa determinazione, di avere un effetto, come l’effetto non è se non questo, di avere una causa», e in Engels alla critica del meccanicismo: «Essi vedono sempre e solamente qui la causa, là l’effetto», cadendo nel dualismo metafisico: «Che non ci si venga a dire che questa analisi è “astratta”, giacché si tratta di cose molto concrete». Contro coloro i quali non vedono che il ruolo esclusivo dell’economia, Engels fa quindi valere le ragioni del ruolo determinante della politica: «Perché dunque lottiamo per la dittatura del proletariato, se il potere politico è economicamente impotente? La violenza, ossia il potere dello Stato, è anch’essa una potenza economica».

In altre parole, se Hegel mostra l’impossibilità di mantenere fissi i due termini, questo accade perché a suo giudizio l’interazione o azione reciproca è “la causalità stessa”, che connette non cose ma attività, e in modo tale che “ciascuna di esse è rispetto all’altra, nel contempo, attiva e passiva” e “ogni differenza tra di loro è cancellata”. 48 La causalità reciproca si configura, a questo punto, come una “unità duale”, dimodoché, prendendo le mosse da questa nozione squisitamente dialettica, Lenin potrà sviluppare un’interpretazione mirabile di questi testi ponendo in risalto “il nuovo contenuto hegeliano dell’azione reciproca”, la natura della causalità che è quella di essere “una delle determinazioni della connessione universale” e “l’esigenza della mediazione… nell’applicazione del rapporto di causalità”. 49

Sennonché mutuare da Hegel la categoria di causalità reciproca configurata in base alla connessione, significa aver acquisito la chiave che permette di risolvere il problema in discussione senza ricadere in un’aporia prehegeliana del tipo: se la base è causa esterna della sovrastruttura, come può questa reagire su di essa? In realtà, come si è già notato, bisogna considerare che siccome l’azione reciproca si esplica nella totalità sociale tra forze ineguali (Engels), la cui efficacia varia in misura rilevante, essa si differenzia profondamente dalla categoria hegeliana dell’azione reciproca. La novità concettuale che si ricava da questa indagine consiste allora nel fatto che ciò che cercava Engels e che Lenin svilupperà, è la subordinazione della figura dialettica dell’azione reciproca, arricchita da Hegel in quanto da lui compresa come un caso specifico della connessione, a quella di sviluppo ineguale tra le forze in presenza, e di ciascuna forza in presenza entro un processo, laddove, per l’appunto, questa è una figura nuova, non hegeliana, della dialettica. 50 Giunti a questo livello analitico, ci si può domandare, in funzione delle concrete congiunture storiche, quali relazioni esistono fra la legge di corrispondenza (forze produttive, rapporti di produzione, Stato) e la legge dell’ineguale sviluppo. Nel frattempo, la presente analisi, pur nella sua stringatezza, ci ha consentito di dimostrare che il rapporto tra Hegel ed Engels è infinitamente più ricco di ciò a cui lo si è voluto ridurre: un puro e semplice ‘prestito’ delle tre leggi hegeliane della dialettica, applicate a qualsiasi oggetto.

 

10. Il pensiero di Engels: una risorsa preziosa del marxismo-leninismo

Nei decenni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale si è parlato e scritto molto su Marx qui in Italia, ma spesso sorvolando sui rapporti fra il suo pensiero e quello di Engels, quasi che molti degli scritti di Engels abbiano rappresentato un peso morto per il marxismo. Ciò ha favorito un’interpretazione in un certo senso idealistica del marxismo, indifferente ai problemi – che erano stati invece al centro del pensiero di Engels – della natura e, per conseguenza, delle scienze naturali.

La scarsa fortuna di Engels nella cultura italiana è un aspetto organicamente connesso alla storia di tale cultura. Per porvi riparo, non basterà, come pure si è cercato di fare nel presente scritto, confutare e liquidare le tesi dell’antiengelsismo nelle sue tre fondamentali varianti, una più falsa dell’altra: borghese, revisionista e ultrasinistra. Occorrerà mutare radicalmente la nostra cultura, che dopo Galileo ha assunto un carattere prevalentemente neutrale rispetto alla scienza.

Solo sulla base di un rinnovato interesse per Engels si potrà allora dimostrare che il marxismo-leninismo rappresenta un elemento fondamentale dello sviluppo di una cultura progressista e che perciò il pensiero e l’opera di Engels rappresentano una risorsa preziosa del movimento di classe, un patrimonio che non va dimenticato, ma approfondito e seriamente meditato. Né va smarrita, in ossequio ad un ipocrita e fuorviante ‘oggettivismo accademico’, la consapevolezza che l’esposizione e l’analisi della teoria marx-engelsiana sono sempre state la posta di aspri conflitti ideologici e politici. 51

Così, ancora una volta, in occasione del bicentenario della sua nascita, è giusto sottolineare, da un lato, il valore esemplare dell’adesione del figlio di un industriale tessile alla causa del comunismo, e dall’altro affermare con aspro accento materialistico la necessità di usare il pensiero di Engels, insieme con quello di Marx, da cui è inscindibile, come un’unica possente arma della lotta per l’emancipazione sociale.

* * * *

Ringrazio il compagno Ilario Salucci per avermi accordato il permesso di aggiungere al presente articolo la bella bibliografia su Engels senza Marx. Scritti e interventi, 1883-1895, che egli ha curato e realizzato con diligenza, precisione e completezza veramente ammirevoli.

 

Engels senza Marx.

Scritti e interventi, 1883-1895

bibliografia a cura di Ilario Salucci

Da una quindicina d'anni la pubblicazione delle opere di Marx in Italia è diventata nel complesso casuale e occasionale, pur dando talvolta sostanziosi profitti all'editore (come nell'edizione dei tre volumi del "Capitale" nella versione Maffi, diffusa nelle edicole a prezzi popolari da "Milano Finanza"). Il discorso peggiora ulteriormente se si passano a considerare le opere di Engels, da lungo tempo inviso a molti "marxisti": gli Editori Riuniti a partire dal 1990 iniziarono a ristampare le opere di Marx espungendo qualsiasi prefazione, introduzione o nota scritta da Engels, e le antologie di scritti che si sono avute in questi anni riguardano il solo Marx. Engels non gode di buona fama: è diventato "scomodo" anche a sinistra, non degno (per presunto "materialismo volgare" o quant'altro) di figurare accanto al suo compagno di ricerche e di lotte. Naturalmente in questi anni vi sono state delle eccezioni, tra cui l'attività editoriale di Lotta comunista1 e l'edizione di ben quattro volumi collettivi su Engels, con contributi importanti2. Rimane il fatto che chiunque voglia dedicarsi alla lettura e allo studio di Engels in Italia si trova una disponibilità libraria limitatissima, e una situazione molto confusa riguardo a cosa è stato tradotto, a cosa è reperibile, e dove. Per ovviare a questo problema abbiamo cercato di sistematizzare la bibliografia engelsiana per il periodo che si apre con la morte di Marx, nel marzo 1883.

Nel 1972, da parte degli Editori Riuniti, veniva avviata in Italia la pubblicazione delle "Opere" di Marx ed Engels, riprendendo e integrando la precedente edizione tedesca. Il piano prevedeva 50 volumi, in tre sezioni: "scritti filosofici e politici", in 28 volumi; "scritti economici di Marx", in 9 volumi; "carteggio", in 13 volumi. Tra il 1972 e il 1987 vennero pubblicati 17 volumi della prima sezione, a cui se ne è aggiunto uno nel 2008, pubblicato in coedizione da La Città del Sole e dagli Editori Riuniti. Gli scritti di Engels dal 1883 al 1895 dovevano essere riuniti negli ultimi due volumi, il 27° e il 28°. La precedente edizione tedesca ("Marx-Engels-Werke"), in 39 volumi più 4 supplementari, aveva riunito gli ultimi scritti di Engels nei volumi 21 e 22 (pubblicati rispettivamente nel 1962 e nel 1963)3.

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Note
1 La “scuola di Geymonat” è una felice eccezione in un panorama, quello del marxismo italiano, che a causa della duplice e convergente ipoteca idealistica e neopositivistica, non brilla per la quantità e qualità degli studi dedicati a Engels. Qui meritano di essere ricordati, oltre all’importante capitolo su Engels e la dialettica della natura nel quinto volume della Storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat, Garzanti, Milano 1971, pp. 332-371, i seguenti lavori: N. Badaloni, Scienza e filosofia in Engels, in Lenin teorico e filosofo, supplemento al n. 4, 1970, di «Critica marxista», pp. 80-110; E. Fiorani, Friedrich Engels e il materialismo dialettico, Feltrinelli, Milano 1971; S. Timpanaro, Sul materialismo, Unicopli, Milano 1997; C.I.S.E. – Centro Italiano di Studi Engelsiani, Friedrich Engels (1820-1895) – Un esempio da seguire, un pensiero da usare, Atti del convegno nazionale di studi – Gallarate, 13 maggio 1995, a cura di Claude Pottier, Galli Thierry Stampa, Milano 1997,
2 Nell’articolo in appresso segnalato ho sostenuto la tesi secondo cui il realismo è un prezioso alleato del materialismo dialettico nella battaglia ideale contro l’irrazionalismo contemporaneo, per una concezione storica e progressiva della scienza: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/17473-eros-barone-come-si-vede-il-mondo.html.
3 Sulla divisione del lavoro e sulle differenze di stile intellettuale tra i due grandi amici si possono citare due lettere particolarmente significative della loro corrispondenza. Una è quella di Engels a Marx, del 17 marzo 1845: «Suppongo… a giudicare… dal tuo carattere, che tu insisterai di più sulle premesse che sulle conseguenze»; l’altra è una lettera di Marx a Engels, del 4 luglio 1864: «Tu sai che: 1) a tutto io arrivo con ritardo e che: 2) io seguo sempre le tue orme» (K. Marx – F. Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma 1972-1986, rispettivamente vol. 38, pp. 25-29, e vol. 41, pp. 457-458).
4 È questa l’impostazione di Karl Kautsky e di David Borisovič Rjazanov per il primo aspetto, di Antonio Labriola per il secondo aspetto.
5 Per una rivalutazione di questo fondamentale testo engelsiano si veda, in questa stessa sede, il seguente articolo: https://sinistrainrete.info/marxismo/16031-eros-barone-la-dialettica-della-natura-di-engels.html
6 Cfr. Viktor Adler / Friedrich Engels, Briefwechsel, Akademie Verlag, Berlin 2011, pp. 63 sgg. La corrente ideologica, che sarà poi definita con il termine di “austromarxismo” per sottolineare la sua connessione con l’area politico-culturale austriaca, si sviluppò a cavallo dei due secoli – XIX e XX – ed ebbe fra i suoi principali rappresentanti, oltre a Viktor Adler, Max Adler, Otto Bauer e Karl Renner. Essa abbinò al revisionismo antimaterialista sul piano teorico un indirizzo improntato ad un centrismo sinistreggiante sul piano politico. In generale, il “ritorno a Kant” fu una caratteristica della filosofia borghese e dei suoi addentellati revisionisti nel periodo finiseculare: dalla scuola di Marburgo con Hermann Cohen, Paul Natorp ed Ernst Cassirer in Germania a Léon Brunschvicg in Francia, da Adelchi Baratono, contro cui polemizzò Gramsci, al machismo russo contro cui Lenin condusse una memorabile battaglia teorica nel saggio su Materialismo ed empiriocriticismo. Come si può notare, la ‘conversione’ di Lucio Colletti dal marxismo al kantismo (cfr. Intervista politico-filosofica, Laterza, Bari 1975) è stato solo l’ultimo episodio di una fenomenologia del revisionismo moderno, il cui sbocco non sarà più quello socialdemocratico (fin troppo ‘avanzato’ per un’ottica opportunista aggiornata), bensì quello liberaldemocratico e… berlusconiano.
7 Eduard Bernstein (1850-1932) è l’autore del testo classico del revisionismo, apparso nel 1899 e intitolato I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia.
8 Si veda su questo aspetto del “ritorno a Kant”, bandito da Cohen e da lui declinato in chiave fichtiana come dimostrazione del primato spirituale del popolo tedesco, quanto segnala Nicola Abbagnano nella Storia della filosofia, vol. III, Utet, Torino 1966, p. 538.
9 Una sintesi critica dei temi svolti dall’autore dei Presupposti è quella offerta, in chiave ortodossa, da Lucio Colletti nell’ampio saggio premesso all’edizione italiana del testo di Bernstein (Laterza, Bari 1968, pp. LXXXI), successivamente ripreso nel volume Ideologia e società, Laterza, Bari 1969, pp. 61-147). La Bernstein-Debatte, ad ogni modo, vide la partecipazione delle menti più acute ed agguerrite del movimento socialista europeo e statunitense: basti ricordare gli interventi di personalità quali Karl Kautsky, Rosa Luxemburg, Georgij Plechanov, Louis Boudin e Antonio Labriola.
10 E. Bernstein, Op. cit., p. 74.
11 M. Adler, Marxistische Probleme, Dietz, Stuttgart 1913, p. 208.
12 A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, vol. II, p. 1449.
13 Il riferimento è ovviamente a Storia e coscienza di classe, per quanto riguarda György Lukács, e a Marxismo e filosofia per quanto riguarda Karl Korsch. Entrambi i libri sono usciti in un anno cruciale della congiuntura politico-ideologica europea: il 1923.
14 Uso il termine ‘stalinismo’ in senso meramente descrittivo come un’abbreviazione del termine ‘marxismo-leninismo’. Riguardo al giudizio dello scrivente su Stalin si veda, in questa stessa sede, il seguente articolo: https://sinistrainrete.info/teoria/14680-eros-barone-nove-volte-stalin.html.
15 S. Timpanaro, Sul materialismo, Unicopli, Milano 1997. Nell’introdurre la prima edizione, quella apparsa nel 1970, l’autore osservava quanto segue: «Le varie correnti dell’odierno marxismo occidentale, pur divise da netti dissensi sul piano filosofico e politico, hanno in comune un orientamento antimaterialistico che risale alla ‘svolta’ idealistica compiuta dalla cultura borghese ai primi del Novecento. Tale svolta esercitò, e continua ad esercitare, un forte influsso non solo sull’ala riformista della sinistra europea, desiderosa di non rompere i ponti con l’avversario dì classe e di espungere dal marxismo tutto ciò che possa apparire “rozzo”, ma anche su minoranze rivoluzionarie che identificano il materialismo con un atteggiamento rassegnato e passivo di fronte alla realtà. Nel presente volume ci si propone di riaffermare, contro queste tendenze, la verità oggettiva del materialismo e di mostrare come esso sia essenziale ad una teoria che voglia essere insieme rivoluzionaria e “scientifica”, come appunto è il marxismo». A distanza di mezzo secolo, permanendo invariata la base strutturale, ossia il capitalismo monopolistico, la congiuntura politico-culturale è, se possibile, ulteriormente peggiorata, come dimostra il fatto che nel bicentenario della nascita di Friedrich Engels si rende necessaria una rassegna critica dell’antiengelsismo.
16 Se il giovane Lukács ha hegelianizzato Marx, sfruttando d’altronde le consistenti e generose premesse offerte, in particolare, dagli scritti del giovane Marx, il Lukács della maturità ha invece marxistizzato Hegel, e questo è forse il suo merito principale sul piano filosofico e storiografico.
17 La felice espressione si deve al filosofo ed epistemologo Antonio Aliotta (1881-1964), autore di un libro con lo stesso titolo
18 Ho cercato di lumeggiare, segnatamente rispetto alle tendenze storiciste e neopositiviste, il significato politico e intellettuale assunto dalla “scuola di Della Volpe” nell’àmbito del marxismo italiano fra anni Cinquanta e anni Sessanta, in questo articolo: https://www.sinistrainrete.info/teoria/15147-eros-barone-contro-le-ideologie-del-monopolio-e-contro-il-neopositivismo.html.
19 Per i testi classici della “scuola di Della Volpe” sono da vedere le Opere, voll. 6, Editori Riuniti, Roma 1972-1973; per i testi della “scuola di Althusser” sono da vedere Per Marx, Editori Riuniti, Roma 1967; Lenin e la filosofia, Jaca Book, Milano 1972; L. Althusser – E. Balibar, Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano 1971.
20Per avere un’idea dell’importanza di Engels nella riflessione di Badaloni (ma anche dell’importanza di Badaloni nella bibliografia critica su Engels) si veda il denso saggio di questo autoreSulla dialettica della natura di Engels e sull’attualità di una dialettica materialistica, pubblicato negli «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», a. XVII, 1976, pp. 7-65.
21 J. Bellamy Foster, Marx’s Ecology. Materialism and Nature, Monthly Review Press, New York 2000.
22 Nei Manoscritti parigini del 1844 (cfr. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1968) non mancano spunti di carattere ecologico: l’unità uomo-natura (pp. 76-77), l’uomo come essere naturale caratterizzato da bisogni e facoltà (pp. 171-173), la nascita dell’umanità dalla natura come processo storico mediato dal lavoro (p. 121), l’unità tra scienza della natura e scienza dell’uomo (p. 122), l’alienazione dei bisogni nella società mercantile (p. 127), il degrado della condizione dei lavoratori nelle città industriali (p. 129).
23V. I. Vernadskij,Pensieri filosofici di un naturalista, Teknos, Roma 1994.
24 Così Lenin definisce il ruolo politico di Engels nell’articolo commemorativo scritto in occasione della morte del grande teorico e dirigente del proletariato (cfr. Opere complete, vol. II, Editori Riuniti, Roma 1954, pp. 8-18).
25 K. Marx – F. Engels, Opere, vol. XL, Editori Riuniti, Roma 1973, pp. 351-352.
26 Ivi, Op. cit., vol. XL, Editori Riuniti, Roma 1973, p. 551.
27 Si veda il Poscritto alla seconda edizione in K. Marx, Il capitale, Libro primo, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 37-45.
28Ivi, p. 347.
29 F. Engels, Anti-Schelling, Laterza, Bari 1972.
30 Sulla formazione di Engels si veda la ricerca di E. Fiorani, Il giovane Engels. Cultura, classe e materialismo dialettico, Mazzotta, Milano 1974.
31 K. Marx - F. Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma, 1972-1986, vol. XXV, pp. 8-9.
32 Come spiegano sia Engels sia Lenin, la sensazione non ci fornisce che una prima immagine approssimata della realtà; ma è dalla somma delle immagini fornite da tante sensazioni, criticamente vagliate le une con le altre ed elaborate dalle conoscenze superiori, che noi possiamo farci un’idea sempre più esatta delle cose che esistono fuori della nostra coscienza (e in questo senso occorre puntualizzare che il riflesso è una proprietà universale della materia). Va detto poi che la nozione di riflesso e quella della dinamica conoscitiva non sono fra loro scindibili: il riflesso ci garantisce che noi ci troviamo di fronte a qualcosa che sta oltre la nostra coscienza, la dinamica conoscitiva ci garantisce che siamo in grado di afferrarla sempre più a fondo.
33 Ho mostrato il processo teorico-pratico di approfondimento e di arricchimento, che collega Lenin ad Engels, nel seguente articolo: https://sinistrainrete.info/marxismo/16031-eros-barone-la-dialettica-della-natura-di-engels.html.
34 Le “filosofie spontanee degli scienziati” esplodono, spesso in forma inconsapevole, nel periodo di “crisi” delle scienze, nutrendosi di elementi “intra-scientifici”, legati cioè alla pratica scientifica, e di elementi “extra-scientifici”, connessi invece alle ideologie e al loro ruolo di classe.
35 Cfr. L. Althusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, De Donato, Bari 1976, in particolare l’Appendice su Jacques Monod (pp. 111-144).
36 Per un’analisi magistrale di questo genere di ideologizzazione si veda il capitolo su Darwinismo sociale, teoria della razza e fascismo in G. Lukács, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1959, pp. 673-771.
37 Friedrich Engels, Dialettica della natura, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 115.
38 All’enfasi tutta ideologica sull’interdisciplinarità, laddove questa viene spesso identificata con la natura e la funzione stessa della filosofia, Althusser, nello scritto poc’anzi citato, riserva questo caustico commento: «Vi è anzitutto quella che bisogna chiamare la moda dell’interdisciplinarità… Dietro il termine interdisciplinarità, possono esserci senz’altro realizzazioni oggettive importanti e incontestabili… Ma, dietro la parola d’ordine dell’interdisciplinarità, vi è anche un mito ideologico» (Althusser, op. cit., pp. 21-24 e 29-48).
39 Althusser, op. cit., p. 126.
40 K. Marx – F. Engels, Opere, vol. XLI, Editori riuniti, Roma 1973, p. 279.
41 F. Engels, Antidühring, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. 66-67.
42Marx, Lettera del 27 giugno 1870 a Ludwig Kugelmann, in K. Marx – F. Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma 1972-1986, vol. XLIII, pp. 738-739.
43 A questo tema, spesso frainteso, e più spesso ancora volutamente deformato, dagli interpreti seriori, ho dedicato il seguente articolo, al quale mi permetto di rinviare: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/10036-eros-barone.html.
44 Cfr. F. Engels, Lettere sul materialismo storico, in K. Marx – F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1969, pp. 1239-1254.
45Ivi, p. 1249.
46 V. I. Lenin, Quaderni filosofici, in Idem, Opere complete, vol. XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 150.
47 G. W. F. Hegel, Scienza della logica, vol. II, Laterza, Roma-Bari 1981, pp. 625-646.
48 Per le citazioni da Hegel cfr. la nota precedente e per quelle da Engels la nota 44.
49 G. W. F. Hegel, op. cit., pp. 148-153.
50 Ho affrontato il fondamentale problema del rapporto base-sovrastrutture-prassi nel seguente articolo, di cui la presente analisi vuol essere, dal punto di vista storico e concettuale, un arricchimento e un approfondimento: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/12032-eros-barone-note-sul-rapporto-base-sovrastrutture-prassi.html.%20
51 Un esempio di tale ‘oggettivismo’ è, per molti versi, il volume Friedrich Engels cent’anni dopo: ipotesi per un bilancio critico, Teti, Milano 1998.

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