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Il Capitale, per molti e non per pochi

di Sebastiano Taccola

Roberto Fineschi riesce a tenere insieme complessità e divulgazione della teoria di Marx, disegnandola come una «cassetta degli attrezzi» per analizzare il modo di produzione capitalistico

marx jacobin italia 1 1536x560Negli scorsi anni, anche grazie alle celebrazioni del bicentenario della nascita, in Italia (e nel mondo) si è assistito a un intensificarsi delle pubblicazioni su Karl Marx. Testi nuovi e di carattere diverso – divulgativo e scientifico, ammesso che sia possibile fare una distinzione netta tra questi due piani – hanno riportato Marx e il marxismo sugli scaffali delle novità delle nostre librerie e biblioteche. Una simile vitalità ha probabilmente un valore duplice: da un lato, ha rappresentato un’espressione dell’esigenza di un «ritorno a Marx» fortemente avvertita con la crisi economica del 2007-2008; dall’altro lato ha tentato di dare nuovi spunti critici in grado di entrare in sinergia con i fermenti del presente e dare loro nuova forza. 

Se all’estero sono stati soprattutto studiosi come David Harvey o Michael Heinrich a tentare di riportare all’attenzione del grande pubblico la teoria dell’autore del Capitale, in Italia, invece, c’è stata più timidezza (con alcune eccezioni, come ad esempio il Karl Marx di Marcello Musto e la Storia del marxismo curata da Stefano Petrucciani). Del resto, gli addetti ai lavori conoscono bene la difficoltà di sciogliere e rendere comprensibili i nodi e i passaggi più complessi della teoria marxiana del Capitale, pur essendo altrettanto consapevoli della necessità di compiere questo lavoro. Non si tratta tanto di divulgare Il capitale di Marx, ma di operare nelle maglie della società e della cultura contemporanee per radunare un nuovo pubblico per quest’opera: un’opera di scienza, le cui categorie possono aiutarci a spiegare la riproduzione e l’ampliamento delle più diverse forme di sfruttamento oggi in atto. Le sfruttate e gli sfruttati non mancano. Si tratta di tentare di tessere i fili nella direzione giusta.

Se letto in questo orizzonte problematico, il libro di Roberto Fineschi, Marx può stimolare qualche riflessione produttiva. Si tratta di un profilo introduttivo, che intende tenere la complessità delle questioni sopra evocate, senza perdere la specificità analitica caratteristica di ogni serio lavoro scientifico. 

Quando abbiamo a che fare con la lettura del profilo di un autore il rischio è quello di perdere ciò che invece dovrebbe starci più a cuore, vale a dire la specificità del discorso che prendiamo a oggetto. Per quel che riguarda la filosofia, poi, si direbbe che questa specificità ha a che fare con un campo ben definito: la scienza e il pensiero che si vuole scientifico. L’intera storia della filosofia occidentale, infatti, nei suoi punti più alti (da Eraclito a Platone, da Aristotele a Hegel, da Kant a Spinoza e Marx) può considerarsi come uno sviluppo delle determinazioni di un pensiero, un logos assolutamente impersonale, il quale, proprio a partire da questa sua impersonalità e imparzialità, tende a definire le condizioni della propria scientificità. Si tratta di una prospettiva spesso relegata in secondo piano, e oggi assolutamente trascurata in forza di una tradizione, che ha dissolto l’unità di fondo della forma del discorso filosofico in una serie discreta di Weltanschauungen, di concezioni del mondo soggettive (e dunque, almeno potenzialmente, arbitrarie). Di qui a concepire l’intera storia della filosofia come un agone in cui si scontrano le personalità dei vari filosofi il passo è breve. 

Se questa prima matrice «personalistica» e «agonistica» ha dissolto la logica specifica del pensiero filosofico, una seconda tradizione ha invece portato a perderne la storicità. Si allude qui a quella maniera «storicistica» di fare storia della filosofia, che si limita a resoconti cronachistici delle vicende biografiche di un determinato autore, costruendo nessi consequenziali immediati tra queste e l’elaborazione teorica secondo un ordine temporale cronologico e progressivo. 

Si tratta di due matrici non necessariamente parallele; anzi, spesso capita che l’una si innesti sull’altra. È chiaro che cadere da una parte o dall’altra è un rischio effettivamente concreto quando si ha a che fare con la composizione del profilo di un filosofo. A maggior ragione, poi, se questo filosofo è Karl Marx: il pensatore dell’unione di teoria e prassi, la cui esperienza biografica è tanto ricca da intrecciarsi più volte con alcuni passaggi fondamentali dell’elaborazione teorica. Ecco, un primo tratto di originalità del libro di Fineschi è proprio il suo evitare di correre un rischio simile. Fineschi dà scacco ai resoconti storicisti, cronachistici e personalisti in un paio di mosse: la biografia (per ragioni editoriali) è ridotta a poche pagine iniziali e nettamente separata dal resto; questo «resto», poi, non è nient’altro che la scienza marxiana, e in particolare Il capitale. La parte centrale e più corposa del volume, infatti, è divisa in due sezioni: «Prima del Capitale» e «La costruzione della teoria del Capitale». 

La ricostruzione del pensiero marxiano proposta da Fineschi è innanzitutto concettuale e non immediatamente storica. Essa cioè parte dal riconoscimento della forma matura assunta dal discorso scientifico di Marx (la costruzione del sistema della critica dell’economia politica, il cui precipitato principale, sebbene incompiuto, è Il capitale). Questa è la lente analitica attraverso la quale Fineschi fa filtrare il fascio continuo dell’opera omnia marxiana. Il filo conduttore dell’intera produzione di Marx può essere infatti riconosciuto nel concetto di «critica». Partire, dunque, dalla compiutezza della forma espositiva della critica permette poi di procedere nella direzione di una lettura morfologica e contrastiva del corpus marxiano. Un simile esercizio ermeneutico, come mostra bene Fineschi, non è fine a se stesso, ma permette di cogliere nessi di continuità e discontinuità assai profondi e articolati, non privi di spunti di riflessione per il nostro presente. Un tipo di interpretazione, dunque, scientificamente accurata e fortemente produttiva. 

In questo senso, l’intera produzione di Marx può essere interpretata come un «one long argument» (secondo la nota espressione di Darwin), un lungo ragionamento di progressiva penetrazione nel campo della critica dell’economia politica. Nelle opere giovanili si possono ritrovare i primi germogli di questa scienza, e Fineschi mostra le linee di tendenza e controtendenza di questa maturazione: dalla critica a Hegel, passando per il giovanile avvicinamento al comunismo (La questione ebraica, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, entrambi del 1843) e il primo approccio ai temi dell’economia politica (i celebri Manoscritti economico-filosofici del 1844), fino a un’iniziale abbozzo di materialismo storico (La sacra famiglia, 1844). In tutti questi scritti, il più grande limite di fondo che grava sull’esposizione marxiana è il retroterra antropologico e feuerbachiano, che porta Marx a pensare le forme dell’emancipazione al di là di ogni storicità specifica, come ritorno a un’essenza originaria della specie umana (Gattungswesen). Il superamento di questo umanesimo radicale è portato avanti da Marx nel biennio 1845-1847 in opere come L’ideologia tedesca, le Tesi su Feuerbach, la Miseria della filosofia. Opere in cui, tuttavia, l’esposizione complessiva si muove su un piano espositivo ancora troppo dipendente dall’economia politica classica ed è ancora priva di quei lineamenti fondamentali che porteranno Marx ad affinare al meglio le sue armi della critica. 

«Tutta la scienza sarebbe superflua se la forma fenomenica e la essenza delle cose coincidessero in maniera immediata». Questa citazione tratta dal terzo libro del Capitale esprime appieno il fondamento epistemologico della critica dell’economia politica, oltre che la sua differenza specifica rispetto a ciò che la precede. Nella prospettiva marxiana, infatti, la scienza, per essere effettivamente tale, deve avere un carattere anti-empirico, anti-naturalistico e controintuitivo. E ciò significa rimettere in discussione il dato, considerarlo sempre come il risultato di uno specifico processo di genesi e formazione. Ed è su questa strada che Marx si mette in cammino a partire dal 1857 (l’anno in cui inizia la stesura di quel primo abbozzo della teoria del Capitale successivamente noto come Grundrisse). Da qui in avanti la società, lo Stato, le classi, l’economia, ecc. non sono più entità che possono essere assunte acriticamente, per come si presentano alla superficie della società, quali statici presupposti del nostro agire (pratico o teorico che sia); al contrario, è proprio la loro costituzione, il loro processo genetico e riproduttivo, che devono essere oggetto di analisi critica. 

La critica di Marx considera ogni dato sociale come un risultato di un rapporto, che essa aspira a spiegare su base sistematica. E a spiegare a partire da che cosa? Da un’astrazione determinata, che si fa struttura concreta in grado di governare i processi di riproduzione della società attuale tanto da orientarne, se pur con gradi di incidenza diversi, le forme espressive (istituzionali, politiche e giuridiche), l’azione dei soggetti e la maturazione delle soggettività, in base a quelle leggi coercitive che essa sovraimpone agli attori sociali. A questa struttura Marx dà un nome scientifico: modo di produzione capitalistico. È questo l’oggetto della critica dell’economia politica. A esso sono dedicati i tre libri del Capitale, che Fineschi riassume coraggiosamente, seguendo l’esposizione marxiana nei suoi diversi gradi di astrazione, senza lasciare da parte nessun passaggio cruciale. 

Il volume si chiude con due sezioni almeno parzialmente collegate e intitolate, rispettivamente, «Concetti chiave» e «Storia della ricezione». Parzialmente intrecciate perché entrambe evocano la questione del rapporto tra Marx e il marxismo. In particolare, per quel che riguarda la prima delle due sezioni (che prende in esame concetti assai problematici come «materialismo storico», «materialismo dialettico», «lotta di classe», «rivoluzione», «comunismo», «metodo dialettico», «alienazione e feticismo della merce», «valore-lavoro e trasformazione”), Fineschi opera in maniera quasi chirurgica riportando a Marx ciò che è di Marx ed effettuando una lettura contrastiva tra le categorie effettivamente elaborate da Marx e quelle successivamente sviluppate, approfondite e divulgate dal marxismo. In queste pagine, Fineschi tocca temi che hanno avuto un peso assai rilevante nella storia del marxismo senza trarre conclusioni affrettate, ma mostrando bene la complessità teorica delle questioni dibattute. 

Fineschi sottolinea come su molte di esse sia difficile trovare una risposta definitiva, anche perché Marx si è semplicemente limitato, per così a dire, a lasciarci una «cassetta degli attrezzi», fra l’altro assemblata per uno scopo preciso: l’analisi del modo di produzione capitalistico. È cosa nota, infatti, che l’edificio teorico della critica dell’economia politica è rimasto qualcosa di sostanzialmente incompiuto (e ciò è vero non solo per i libri secondo e terzo, ma anche per il primo libro del Capitale). A ciò hanno contribuito, oltre che le vicende esistenziali (gli impegni politici, le difficoltà economiche, i problemi di salute), anche la forte sensibilità autocritica e la grande scrupolosità teorica di Marx. Comprendere a fondo i lineamenti e la maturazione della critica dell’economia politica di Marx, dunque, significa anche seguire il «filo conduttore» dei suoi studi, oltre che confrontarsi con un metodo di lavoro estremamente travagliato, sempre aperto al ripensamento e all’integrazione di nuovi spunti teorici. In questo senso, la nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe, nota con l’acronimo di MEGA2, la cui pubblicazione, ancora in corso, è iniziata nel 1975), insieme a una serie di materiali precedentemente inediti, ha messo sul tavolo anche la necessità di una rinnovata interpretazione di Marx e della sua opera. 

La MEGA2 rappresenta dunque uno strumento necessario per approntare nuove lenti analitiche in grado di indagare i lineamenti di fondo e il senso complessivo di quella che, a ragione, può essere considerata l’opera principale di Marx. E ciò è valido non soltanto per quel che riguarda gli studi di carattere storico-filologico (che rimangono un momento fondamentale), ma anche per quelle letture e interpretazioni che tornano a rivolgersi alla teoria marxiana per mostrarne l’attualità, il suo porsi all’altezza delle sfide teorico-pratiche del nostro presente. Ecco, Fineschi ha lavorato in questa direzione da molto tempo. Gli esiti delle sue ricerche sono raccolti in volumi come Ripartire da Marx (La città del sole, 2001), Marx e Hegel. Contributi a una rilettura (Carocci, 2006), Un nuovo Marx (Carocci, 2008), La logica del Capitale (Istituto Italiano degli Studi Filosofici, 2021), la sua nuova traduzione del primo libro del Capitale (La città del sole, 2011) a partire dall’edizione della MEGA2, più tutta una serie di pubblicazioni e articoli su volumi e riviste scientifiche. Certo, si tratta di pubblicazioni di natura spesso assai specialistica, ma che forniscono linee guida fondamentali per rinnovare il marxismo e impedire che Marx venga considerato alla stregua di un celebre «cane morto». 

I risultati degli studi specialistici di Fineschi sono l’intelaiatura fondamentale di questo volume più divulgativo. Un libro che dunque riesce a tenere insieme piani diversi e a rivolgersi a un pubblico variegato (in particolare, a parere di chi scrive, questo profilo potrebbe rappresentare un ottimo strumento per chi si trova a spiegare Marx nelle nostre scuole superiori e che, magari, intenda farlo al di là del senso comune che si è stratificato su di lui). Oltre a essere un’ottima introduzione al pensiero di Marx, questo libro è anche una testimonianza di come la grande ricerca specialistica possa (e debba, magari) intrecciarsi con la divulgazione scientifica e la formazione della coscienza sociale, culturale e politica. E anche da questo punto di vista, verrebbe da dire che Fineschi ci dà (indirettamente) uno stimolo metodologico importante, su cui è urgente riflettere in tempi come i nostri. Talvolta tornare indietro ci permette di gettare uno sguardo più lucido in avanti. Si tratta di affinare le nostre lenti analitiche e di sincronizzare il respiro del pensiero. La teoria del Capitale di Marx richiede un serio sforzo di traduzione per i molti, perché non rimanga appannaggio di pochi.


*Sebastiano Taccola ha studiato filosofia presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è docente di filosofia e storia nei Licei.

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