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poliscritture

Dialettica senza speranza?

Il comunismo nel buio (14)

di Ennio Abate

jean paul marat politician and publicist dead in his news photo 1682349107Il tarlo di La Grassa: Ripensare Marx per abbandonarlo? Contrapporgli Comunismo del 1989 di Fortini. (Lotta per il comunismo e non domande sulla sua realizzabilità). Inutile ripetergli ancora le stesse obiezioni. Gli ho, però, mandato “Filtrando e rifiltrando il manifesto di Marx” con dedica. Paura elementare: lasciando da parte Marx (e i dominati), con chi ci ritroviamo?

(E. A. Riordinadiario, 9 gennaio 2010)

Nel quasi dibattito su “Il comunismo nel buio” è sottinteso questo dilemma: il socialismo/comunismo, che da ottocentesco sol dell’avvenire è finito – appunto – al buio (non ne vediamo neppure più un raggio) -, è morto definitivamente? Anche nella versione che Fortini delineò nella voce ‘Comunismo’ del 1989? E, dunque, ogni sua idea o ipotesi (di ripresa, rifondazione, rinnovamento) va abbandonata? Oppure, in forme oscurate e per ora indecifrabili, è ancora da ricercare?

Se si risponde sì, non resta che adattarsi alla “realtà com’è” – (come ce la raccontano, come ciascuno la vede o l’immagina) – e dimenticare la “Cosa”, la “Grande Illusione”, la “Rivoluzione”. Se si risponde no, ci si pone – mai dimenticando la “realtà com’è” – il compito di ridefinirla meglio quell’idea, di ricercarne ancora alcuni segni nella cronaca, nelle ricerche scientifiche, nella storia e nel pensiero (antico, moderno, postmoderno), ripartendo – ma non necessariamente – dalle rovine (buone e cattive) che le esperienze socialiste otto-novecentesche (di vario tipo) ci hanno lasciato.

In Dialettica e speranza di Partesana una risposta chiara al dilemma appena ricordato non la trovo. Trovo, invece, due affermazioni chiave: «La lotta per il comunismo non è già il comunismo»; «Finora abbiamo solo interpretato Fortini, è venuto il momento di cambiarlo». E una (vaga) indicazione o un invito a studiare Hegel (in particolare la sua Scienza della logica) e Adorno. Mi pare, perciò, di trovarmi di fronte a una sostituzione di Fortini come riferimento principale (ma non per questo unico o indiscutibile), che viene articolata attraverso quattro passaggi: 

1. Enfatizzando la religiosità di Fortini rispetto alla sua scelta marxista (come già fece a suo tempo Sebastiano Timpanaro e come fanno oggi studiosi fortiniani come Lenzini, Daino, Dalmas). Un esempio? Si rifletta su questo brano di Partesana: «La “infermità radicale”, il riconoscimento della quale viene invocato come parte del Comunismo, è però un ritorno, contro tutte le premesse, a una dimensione di “sapienza etico-religiosa” che funziona come lo stupore di Sir Isaac Newton di fronte alle Leggi della Gravitazione universale: So che è così, ma cosa sia è un mistero».

2. Sminuendo la qualità del pensiero dialettico che sorregge la voce ‘Comunismo’. Ancora un esempio: «La dialettica di questo articolo è un’allegoria della dialettica, un affresco del Prinzip Hoffnung che non trova, nonostante tutte le precauzioni, il duro oggetto che gli si dovrebbe contrapporre, ovvero la produzione dell’individuo a opera della società». 

3. Ribaltando lo slogan-pilastro dello scritto fortiniano del 1989, non a caso posto all’inizio di ‘Comunismo’: «La lotta per il comunismo non è già il comunismo».

4. Usando un linguaggio filosoficamente elaborato e rigoroso, ma in vari punti non facile da capire.1

 Una tendenza degli ultimi decenni, ma in realtà attiva già Fortini vivente, ha prodotto un mutamento complesso degli orientamenti culturali, che si è ripercosso anche – chiamiamola così – nell’area fortiniana (studiosi o semplici e mai numerosi lettori di Fortini) e ha allontanato – nolenti, volenti – anche noi da Fortini e dall’idea stessa di comunismo in tutte le forme che ha avuto da Marx alla fine del Novecento.2

Che l’allontanamento effettivo e spesso banalmente ricondotto alla voglia di staccarsi da Padri reali o ideali vissuti come ingombranti abbia investito più generazioni e sia stato particolarmente evidente tra i più giovani è questione non trascurabile, ma tutto sommato secondaria.

Dunque, non mi scandalizzo che Partesana, ben più giovane di me, non voglia più interpretare Fortini (il suo lascito, ecc.) ma proponga di cambiarlo. Mi pare legittimo chiedersi, però, se tale cambiamento, che – mi pare d’intendere – dovrebbe rivedere Fortini alla luce della Scienza della logica di Hegel e dell’opera di Adorno, comporti anche la revisione-correzione-critica-abbandono del comunismo fortiniano o del comunismo in generale. E se Partesana pensa che sia possibile delineare o lottare per un altro comunismo, ripartendo da Hegel e Adorno. O, invece, se si debba proprio pensare ad “altro”. (Che è il dilemma posto all’inizio di questa mia replica al suo scritto).

Sui quattro passaggi, che sostengono la proposta di Partesana, aggiungo le seguenti osservazioni/obiezioni:

1. Religiosità di Fortini.

In fondo questa bistrattata religiosità fortiniana consisteva nel riconoscimento che il comunismo da costruire non è logicamente, matematicamente, serenamente dimostrabile davanti a un consesso di scienziati o di filosofi o di un immaginario popolo convocato in assemblea che decida se convenga farlo o meno (esigenza che, nelle nostre passate discussioni, mi è parso d’intendere in alcuni interventi di Luciano Aguzzi e Giulio Toffoli). Nel caso di Fortini si è trattato di una religiosità “lavorata” da una buona conoscenza di Marx e capace sempre di tenere in debito conto sia i bisogni sociali materiali o concreti e sia il rapporto di potere squilibrato e fortemente diseguale tra dominatori ben organizzati e dominati in condizioni di bisognosità spesso laceranti e impediti nei loro tentativi di ribellarsi e organizzarsi. E, più precisamente, tra classi subordinate e classi dominanti. Quella di Fortini non è mai stata, insomma, la religiosità controllata dalle Chiese e dalle loro gerarchie, che convivono benissimo coi potenti operanti ai livelli nazionali o mondiali.

E poi, per quante ne so, tra le alternative, che si potrebbero prendere in considerazione per confrontare se siano migliori dell’atteggiamento religioso-marxiano (e umanistico) di Fortini, abbiamo il materialismo illuministico alla Timpanaro, quello scientifico alla Althusser (o del La Grassa prima fase), il geopoliticismo più o meno complessificato (alla Fagan, alla Caracciolo), il multitudinarismo di Negri. E forse i rivoli ancora sotterranei di vari ricercatori (Fineschi, Finelli, Graeber, Bologna, alcune teoriche del femminismo come Butler, Melandri, Muraro, Federici).

Per me, dunque, meglio ancora oggi scegliere, come punto di resistenza e di possibile ripartenza, questo comunismo di Fortini, perché le altre posizioni sembrano essersi disfatte del conflitto capitale-lavoro e pongono come decisivo il conflitto tra superpotenza imperiale USA declinante e potenze emergenti. (Si vedano i discorsi riguardanti l’unipolarismo e il multipolarismo). E sono convinto che anche la critica alla religiosità fortiniana comporti in fondo un abbandono – per sempre o chissà per quanto tempo – di qualsiasi ipotesi sul comunismo, che viene ridotto a volgare superstizione e abbandonato alle sette dei nostalgici.

2. Insufficienza dialettica di ‘Comunismo’.

Che Fortini non abbia assimilato la “vera dialettica”, avendo trascurato un’opera fondamentale di Hegel («non immagino Fortini leggere e glossare la Scienza della logica, non era il suo mestiere né, direi, la sua vocazione», scrive Partesana ), non mi scandalizza. Mi viene da dire: e con questo? Perché sottoporre l’esperienza di comunista di Fortini o la valutazione di questo suo scritto, soprattutto a un esame della sua competenza in dialettica da parte dei professori di filosofia? Per ripensare il comunismo o ritentarne la costruzione, può servire ma non bastare un’ottima conoscenza della dialettica. E lo dico senza svalutare la filosofia o le scienze.

lo apprezzai e ancora apprezzo questo scritto fortiniano, niente affatto secondario anche se apparso su un supplemento satirico de L’Unità, come un prezioso riassunto di una tradizione scolastica secolare elaborata da intellettuali ma non solo da loro. E nel realizzarlo Fortini non dovette affrontare soltanto «una sfida, come una scommessa metrica», ma dovette districarsi tra trabocchetti intellettualistici e spinte ora elitarie ora populistiche. E fare i conti sia con l’egemonia del PCI del suo tempo (anche nei suoi aspetti nefasti) e sia con l’esigenza, mai da lui sottovalutata, di tenere aperto il dialogo – come diceva – tra il filosofo e il tonto (che è poi il vecchio problema del rapporto avanguardia/masse o partito/ classe).

Inoltre in quel 1989, anno simbolico del tracollo dell’Urss, quando scrisse, forse presentiva che quella cultura stava venendo meno e dovette decidere di riassumerla “in poche parole” anche per i lettori digiuni di dialettica e di filosofia. Stavano già scomparendo i lettori che s’erano sforzati di capire cosa è il comunismo e cosa aveva detto Marx leggendo dei libri. E scrisse ‘Comunismo’ per non abbandonare la questione, per non farla finire al buio, come purtroppo è accaduto.

Da qui anche la sua insistenza sulla protezione delle nostre verità, protezione che non si sognava di affidare ai filosofi di professione o soltanto a loro. In un periodo, tra l’altro, che già vedeva nelle università l’abbandono degli studi su Marx per quelli su Heidegger.

Credo, dunque, che Partesana, staccando la figura di Fortini dai “veri filosofi” (Hegel e Adorno) o facendosi scudo di Hegel e di Adorno per mettere in ombra Fortini, faccia un errore di specialismo; e abbandoni qualcosa che in Fortini sicuramente c’è ma che in Hegel e Adorno non è detto che ci sia.3

3. Il comunismo è già o non è già nel combattimento.

Se vogliamo restare nell’area problematica del “comunismo nel buio”, questo punto è centrale. Dovremmo aver chiaro che, se non c’è combattimento (o lotta) per il comunismo, non c’è neppure possibilità di comunismo. Né come assaggio («un’anticipazione del futuro») né come possibilità di «vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante». Altrimenti, si rischia di ridurre il comunismo a credenza o a oggetto esclusivo di un pensiero contemplativo.

A differenza di posizioni che respingevano il termine stesso di ‘combattimento’ – (vedi su Poliscritture del 2017 le obiezioni di Giulio Toffoli o di Massimo Parizzi, che lo ritenevano cruento e fuori luogo per la situazione odierna, a loro avviso pacificata o di torpore insuperabile delle masse, Partesana riconosce che in certe lotte degli anni ‘60-’70 «un’anticipazione del futuro è entrata nell’esistenza dei compagni» nonostante il «furore» (e direi gli errori che le accompagnarono). Ma perché, oltre ad avvertire dei limiti, della finitezza umana e che in quelle esperienze «non sono scorsi latte e miele e il deserto non è fiorito», ridurre lo scritto di Fortini a preghiera o vederci una volontà di «mettere il futuro nelle mani degli uomini come se fossero Dio»? 

Oggi tutto attorno a noi congiura contro una riflessione su Fortini, la sua opera e sulla prospettiva/ipotesi/speranza del comunismo in cui la volle iscrivere. Tante cose sono cambiate in peggio. Guerre, massacri, impoverimento, smarrimento politico e morale, impotenza degli individui ridotti a spettatori hanno reso più arduo e – diciamolo pure – forse quasi impossibile il «combattimento per il comunismo» auspicato da lui e da una parte dei movimenti del ‘68 e del ‘77. Non esito a sottolineare che lo stesso Fortini da ‘Comunismo’ del 1989 era arrivato a Composita solvantur, che non è la stessa cosa. E che testimonianze di una posizione più disperata ho ritrovato anche in persone a lui care e vicine come Edoarda Masi e Ruth Leiser, ma nei suoi dintorni si deve restare perché in lui la difesa delle nostre verità trova nutrimento e non si separa mai dalla consapevolezza della tragedia. 

P.s.

Metto in nota alcune osservazioni/obiezioni sul quarto passo, di cui ho detto (linguaggio con punti oscuri o poco comprensibili), perché richiederebbero un esame meticoloso, necessario ma anche noioso, da parte di lettori che vogliono seguire il senso generale dello scritto di Partesana e non addentrarsi nei particolari.4


Note
1 Non dico che Partesana non si vuol far capire – altrimenti non scriverebbe -, ma che esaspera l’indubbia difficoltà e a volte l’impossibilità di capirsi attraverso il linguaggio “comune”, per una sfiducia nella discussione, nel dialogo, nel confronto tra il filosofo e il tonto. Sfiducia solo in parte riscontrabile in Fortini. (Rimando a «Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico» di Daniele Balicco e alla recensione che gli dedicai). 
2 Sempre a titolo d’esempio, ricordo: «Sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo paura cinismo nell’età del disincanto » di AA.VV. (1990); il nostro progetto (interrotto) di scrivere un «Manuale per Franco Fortini» (2014); «Come ci siamo allontanati». Ragionamenti su Franco Fortini» (2016).
3 Lo prova l’affermazione: «La lotta per il comunismo non è già il comunismo.» – (per la precisione Fortini scrisse: «Il combattimento per il comunismo è già il comunismo») -. che ribalta completamente quella basilare nello scritto: «La lotta per il comunismo è già il comunismo.». la collegherei ad una obiezione scettica che Partesana mi fece durante la presentazione del mio Nei dintorni di Franco Fortini (aprile 2025, vedi: https://www.poliscritture.it/2025/04/05/22229/): «Che cavolo è una verità che ha bisogno di protezione?». Ma tutto il lavoro di Fortini è consistito in una protezione delle verità di Marx, Lenin Mao, Dante, Manzoni, Noventa, Panzieri. Perché non esiste una verità che si imponga da sé, da sola, senza organizzarsi con altri per affermarla o, in tempi bui, difenderla.
4 Ecco i punti per me semioscuri o oscuri di Dialettica e speranza:
a- Non saprei valutare la correttezza dell’affermazione : «la dialettica mal sopporta il sublime». Non ho trovato troppo sublime in ‘Comunismo’, se non forse in quel passo in cui parla di luogo più alto, visibile e veggente. 
b – Non intendo bene cosa Partesana vuol dire qui: « l’impazienza di Fortini è una lezione da apprendere letteralmente come Prinzip Bewusstsein, e rassomiglia in questo alla confessione, dove nulla cambia se non avere visto e avere detto. La contraddizione però così scompare in una disciplina che può anche mettersi al servizio della futura umanità, ma rimane, giustamente, nel mondo delle rappresentazioni e non della cosa in sé.» 
c- Né che vuol dire qui: «Sono consapevole di aver accostato due astrazioni: il Comunismo di Fortini, e la Dialettica di Adorno; “Rendere sensibile e intellegibile la materialità della cose dette spirituali” mi valga però come salvacondotto per attraversare un territorio “ch’i non avrei creduto / che morte tanta n’avesse disfatta”». 
Infine, non sono riuscito a comprendere bene, nel commento di Eros Barone allo scritto di Partesana, questo passo: « l’irrealtà di ciò che è rappresentato è, a sua volta, un momento della realtà dell’immagine e, così, un momento della realtà.». Mi pare di capire che, mentre Partesana sembra diffidare della rappresentazione che Fortini darebbe del comunismo, perché immagine, Barone ammette, invece, la «realtà dell’immagine» e non la svaluti, perché essa sarebbe «un momento della realtà.»
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