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economiaepolitica

Post-democrazia e fabbrica tecno-capitalista

di Lelio Demichelis

La crisi della democrazia è legata all’egemonia della tecnica nel capitalismo moderno. Solo ri-democratizzando l’impresa e la tecnica sarà possibile uscire dalla crisi politica dei nostri giorni

tecnocapitalismoLa democrazia politica è in crisi. Scriverlo è scrivere niente di nuovo. Ma la relazione di causa-effetto tra capitalismo e crisi della politica e della democrazia nasce non solo dal 2008 o dagli anni ‘70, ma dall’egemonia della tecnica come apparato/sistema tecnico integrato al capitalismo; dall’immaginario collettivo che questo tecno-capitalismo sa produrre; ma soprattutto dal fatto che la forma/norma tecnica (Anders[i]), è in sé e per sé a-democratica/antidemocratica ma tende a divenire forma/norma sociale e oggi anche politica.

Ovvero, il tecno-capitalismo confligge in premessa con la democrazia[ii]. E produce antidemocrazia.

 

Il populismo e la disruption tecno-capitalista della democrazia

Perché i populismi, fomentando la rabbia popolare contro caste ed élite (ma non contro le vere nuove caste/élite globali, quelle della Silicon Valley[iii]) in realtà sono il proseguimento dell’egemonia tecno-capitalista con altri mezzi, perché tutti i populismi al potere oggi sono neoliberali e insieme tecnici, nel sostenere questo modello di crescita. Perché se non deve esistere la società – obiettivo del neoliberalismo, ormai pienamente raggiunto – può essere invece utile al sistema creare il popolo: molto più attivabile e plasmabile, molto più bisognoso di un pastore o di un Capitano, molto meno riflessivo/responsabile, ma soprattutto funzionale a sostenere l’incessante disruption (il populismo incarnando esso stesso la disruption del demos) richiesta dal sistema.

Uno degli elementi del populismo, uno dei suoi usi politici infatti, è anche quello di ottenere la modernizzazione e di proseguire nella rivoluzione industriale mediante il ricorso alle figure della tradizione e dell’identità[iv], cioè a meccanismi/dispositivi di compensazione emotiva/identitaria utili a ristabilire (in apparenza) un certo equilibrio psichico individuale e sociale.

Perché il rancore e la rabbia e la paura e l’amico/nemico e il capro espiatorio servono a costruire l’identità e sono soprattutto funzionali (attivano e riproducono anch’essi la competizione sociale, in perfetto spirito del tempo) alla istituzionalizzazione dello stato di natura[v] neoliberale, dopo avere prodotto la disruption dell’uguaglianza e della solidarietà, del contratto sociale e del compromesso tra capitale e lavoro novecentesco. In sintesi, i populismi odierni sono populismi neoliberali[vi].

E l’invenzione (la produzione industriale) dell’identità da un lato serve a impedire di vedere la complessità e la molteplicità (semplifica il mondo, gli dà ordine dividendolo in categorie e schemi semplici e calcolabili: casta/popolo, noi/loro-altri ma anche io-competitore/altri competitori-auto-imprenditori-startup nel mercato) in una perfetta logica di razionalità strumentale/calcolante tecno-capitalista. Che mette al lavoro e a profitto per sé anche l’identità – che è oggi un prodotto capitalistico e tecnico, prima che produzione politica – estraendo valore da quella che è comunque una modalità esistenziale di ogni uomo, cioè la coesistenza psichica in ciascuno di voglia di individualizzazione/personalizzazione anche se apparente (dei mezzi di produzione via rete, dei beni di consumo via marketing, della politica via social e blog – e narcisismo e pigmalionismo come forme di attivazione prometeica di ciascuno a vivere creativamente e imprenditorialmente nel mercato[vii]); e insieme il bisogno di omologazione/aggregazione (il popolo, ma anche le imprese-comunità, i social, le brand community e poi il dover essere connessi e il dover condividere, la creazione di comunità online sempre più autoreferenziali).

L’identità quindi – nelle sue diverse forme – è un espediente ideologico per contrastare tutto ciò che è fluido, precario e instabile[viii], ma anche e appunto, per garantire la continuazione con altri mezzi della instabilità e della precarietà neoliberale e tecnica: perché l’identità drammatizza[ix] e questo aiuta a sostenere la drammatizzazione – l’attivazione del suo pathos[x] – di ciascuno nello stato di natura della società della prestazione.

 

Verso il villaggio operaio globale della fabbrica-rete

In realtà, già il paternalismo imprenditoriale tra Ottocento e Novecento era la costruzione eteronoma e funzionale di un populismo dell’impresa e dell’imprenditore paternalista/populista come soggetto sovrano/autocratico sul popolo del villaggio operaio. Un meccanismo psichico compensativo per integrare/ordinare in una comunità/villaggio gli uomini dopo la loro precedente de-socializzazione (passaggio dalla campagna alla fabbrica), come lo sono oggi i modelli gestionali dell’impresa come comunità e i social, come lo è il welfare aziendale dopo la disruption del welfare universalistico. Il populismo e il paternalismo imprenditoriale non sono quindi una forma di iper-politicizzazione e di iper-partecipazione/collaborazione alla polis o all’impresa-comunità – questa è solo l’illusione offerta al popolo o ai lavoratori; ma di definitiva de-politicizzazione del demos/classe operaia. Dove anche la cittadinanza viene commercializzata (Crouch) e insieme – e soprattutto – ridotta (quindi negata) a vivere in un villaggio operaio ormai globale (il popolo della rete) – tutti proletari digitali nel lavoro, nel consumo, nella produzione di dati – dopo che il sistema ha prodotto la recinzione/privatizzazione (le nuove enclosures) della terra comune chiamata democrazia, generando il villaggio operaio globale chiamato rete/social.

Non solo: se l’impresa si è frammentata, esternalizzata, decentralizzata, uberizzata e vive in just in time e di lean production (fino al lavoro on demand), allora anche la forma partito (fordista, di massa, il partito-macchina[xi]) del Novecento doveva sciogliersi per poter poi attivare una (falsa) partecipazione politica anch’essa in modalità lean production politica (i populismi, i partiti-azienda, il marketing politico, la rete come nuova democrazia dal basso) – e ancora Anders: le forme tecniche ed economiche che devono diventare forme sociali e politiche per far adattare la società alle esigenze della rivoluzione industriale e della divisione del lavoro – Lippmann.

Un partito flessibile ma soprattutto elitario/leaderistico/autocratico, ideologicamente oltre la destra e la sinistra nella logica omologante di integrazione delle differenze; dove il leader politico è colui che, come il manager empatico/motivante dell’impresa-comunità o il guru della Silicon Valley, sa appunto motivare, attivare, mobilitare, creare gruppo/squadra/team, magari usando i social per meglio raggiugere l’obiettivo. Replicando in altro modo la teoria elitista di Robert Michels, tipica di ogni forma di organizzazione, sia reale che virtuale/digitale, se non bilanciata da un contro-potere.

Così come doveva sciogliersi – perché morisse appunto la società (e sopravvivessero solo individui/monadi) – ogni intralcio di società civile, compreso il sindacato, così come ogni riferimento ai diritti sociali e alla solidarietà. Mentre le grandi narrazioni del Novecento si spezzano in auto-narrazioni individuali, egolatriche, ego(t)istiche, auto-referenziali – narrazioni-frattali[xii], ma dentro alla grande narrazione tecno-capitalista e ad essa funzionali.

 

Dall’egemonia neoliberale alla nuova ‘società amministrata’

Il processo di degenerazione/liquefazione della democrazia politica moderna si accentua (dopo essersi fermato nei trenta gloriosi) dalla fine degli anni ’70, per il combinato disposto di neoliberalismo e di nuove tecnologie. Ma è molto più antico. Perché è nell’essenza della tecnica moderna e del capitalismo scomporre, suddividere, separare, individualizzare e poi, oggi, apparentemente liberare l’individuo dai lacci e lacciuoli dello stato e della società e dal lavoro fordista. Alla fine perfino illudendo il popolo della rete che la democrazia possa virtuosamente tradursi/trasformarsi in un network/piattaforma e il voto in un feed e diventare la formula perfettamente orizzontale di uno vale uno – ma è vero esattamente il contrario[xiii], la rete generando non una dis-intermediazione rispetto alle mediazioni e alle gerarchie di ieri, ma nuove forme di intermediazione, di gerarchia, di populismo digitale[xiv] e di villaggio operaio globale, di subordinazione, come nel capitalismo delle piattaforme; e di verticalizzazione top-down.

Tecno-capitalismo, dunque; come fabbrica della post-democrazia e dell’autocrazia. Perché se la post-democrazia politica è resa possibile dalla tecnica, allora ciò che tecnicamente si può fare, si deve fare (Anders), compresa la cancellazione della democrazia, delegando tutto alla tecnica e alla sua predominante autocrazia. E «il processo tecnico del lavoro si è esteso all’intera esistenza… Esso modella i soggetti che le servono e talvolta si è tentati di dire che li produce pure»[xv] (Adorno). E ancora: «Ogni individuo si trasforma per così dire nel funzionario della sua stessa amministrazione»[xvi], come accaduto quando abbiamo accettato di dover essere sempre connessi in rete e di dover condividere tutto della nostra vita e di dover rinunciare alla privacy: tutto necessario alla nostra amministrazione algoritmica e alla automazione non più solo delle macchine quanto e soprattutto del pensiero[xvii]. E «la libertà si è trasformata in un mero pretesto per poter meglio amministrare gli uomini» e tuttavia, all’interno di questa amministrazione (Horkheimer[xviii]) si deve sviluppare tra gli individui una concorrenza forse più accanita che in passato – ed eccoci alla società iper-competitiva e della prestazione e del rancore di oggi, ciascuno dentro la propria amministrazione (o, come l’abbiamo ridefinita: dentro a una biopolitica disciplinante[xix]). Che produce poi il massimo di alienazione (politica, economica, tecnica, esistenziale) quando, come oggi, deleghiamo sempre più alla tecnica (algoritmo/app/Iot) la decisione, rinunciando alla capacità e alla possibilità di decidere (infra), automatizzando il pensiero e quindi la democrazia.

«D’altra parte, il mondo amministrato non fa che annunciare gioia, libertà e progresso» (ancora Horkheimer) – ma questa è solo la maschera per meglio integrare e connettere ogni parte (facendola identificare) con il tutto, nascondendo la sua auto-alienazione[xx]. E intanto (Adorno) «sempre nuovi settori vengono inglobati nel meccanismo e resi controllabili» – per un controllo totale ben oltre il Panopticon[xxi]. «L’organizzazione persegue in ciò l’unificazione tecnica, dunque anche la propria potenza» ed è (sempre Adorno) «un potere onniavvolgente che struttura completamente la società».

Perché se la società amministrata è quella società dove tutto potrà essere regolato automaticamente, che si tratti dell’amministrazione dello stato, del traffico o del consumo (Horkheimer[xxii]), questo è la rete.

In un doppio movimento psichico che permette al tecno-capitalismo – che bene lo conosce – di ottenere che tutti e ciascuno, dopo essere stati divisi e separati possano essere poi più facilmente uniti – isolati e impotenti – in un collettivo[xxiii] – Adorno).

 

La postdemocrazia politica ed economica (e tecnica)

Cosa sia la democrazia politica moderna lo sappiamo: potere del demos, principio di uguaglianza, cittadinanza attiva, società civile e corpi intermedi di partecipazione, diritti civili e politici (in nome dell’arendtiano diritto ad avere diritti[xxiv]), tutto fondandosi sul riconoscimento dell’autonomia e della libertà dell’individuo, della sua possibilità di soggettivazione e di individuazione e della sua capacità di agire fino a quando la sua libertà non va a confliggere con la libertà degli altri.

Principi e pratiche che oggi sono entrati in crisi, il popolo (anche della rete) sostituendosi al demos, la forza al diritto, la disuguaglianza all’uguaglianza, il rancore al ragionamento, la razionalità calcolante/strumentale alla ragione illuministica, al principio di responsabilità[xxv] e al principio di precauzione, ma anche al principio speranza[xxvi].

Perché in crisi è anche la democrazia economica novecentesca. Eppure, se non vi sono diritti sociali e democrazia anche nei luoghi di lavoro, come in ogni forma di organizzazione, è impossibile che vi siano diritti politici fuori dall’impresa; e se oggi si parla di post-democrazia[xxvii], una post-democrazia esiste anche nel mondo dell’economia e delle imprese[xxviii]. Impresa – questo si insegna nelle scuole di management – che deve massimizzare i profitti e quindi non può e non deve essere democratica. E questa sorta di assolutismo imprenditoriale – diventato modello e benchmark economico ma anche politico e sociale – era già nella logica neoliberale di un Wilhelm Röpke, per il quale nell’impresa la democrazia è fuori luogo, come in una sala operatoria[xxix].

Un modello ovviamente assurdo e fuorviante (un’impresa non è una sala operatoria), ma ormai interiorizzato dall’intera società modellizzata sull’impresa, per cui, applicando questo modello a-democratico/antidemocratico, necessariamente si produce la morte anche della democrazia politica, oltre che economica. Ma ciò ha anche permesso e permette al sistema delle imprese di accrescere ulteriormente il comando monocratico e il controllo sul lavoro e di aumentare anche e nuovamente il pluslavoro marxiano (oggi h24). Trasformando questo incessante pluslavoro in crescente plusvalore, relativo e assoluto. E davvero «sembra che la produttività diventi sempre più fine a sé stessa e che il quesito circa il suo uso resti non solo aperto, ma venga anche rimosso in misura sempre maggiore», scriveva Herbert Marcuse[xxx].

 

Attivarsi o essere attivati. La democrazia oltre i cancelli degli algoritmi

Ma cosa dobbiamo intendere per democrazia? Riprendiamo e integriamo una riflessione di Gustavo Zagrebelsky[xxxi]: nella democrazia ci si deve poter attivare, mentre nelle altre forme politiche (ma anche, aggiungiamo: economiche e tecniche) si è invece attivati da qualcuno/qualcosa di etero-normante, etero-normativo, etero-attivante, dalla pubblicità/marketing alle vecchie ideologie politiche, dalla psicologia industriale e del lavoro del ‘900[xxxii] alla trasformazione del lavoro da prestazione in collaborazione con l’impresa, fino al prosumer e alla stimolazione della dopamina per la nostra modificazione comportamentale[xxxiii].

Attivarsi, senza essere attivati da altri. Nella democrazia politica e nella democrazia economica. E oggi nella (tutta da costruire) democrazia tecnica[xxxiv]. Perché Amazon, Facebook, Google sono sì imprese da democratizzare, ma la tecnica che usano è diversa dalle macchine del passato, è sempre più una forma tecnica che si integra nella società, sostituendosi alla società e alla politica ed è questa tecnica, prima dell’impresa a dover essere democratizzata, pena la morte stessa della democrazia.

Ripensiamoci: cosa è stato il conflitto sindacale del Novecento – pur dentro il compromesso tra capitale e lavoro – se non l’acquisizione della consapevolezza/coscienza di una democrazia da dover portare anche oltre i cancelli delle fabbriche? Cos’è lo Statuto dei lavoratori, se non la validazione e il riconoscimento di una possibilità di essere cittadini anche dentro i luoghi di lavoro – non più legibus solutus – per la democratizzazione (certo parziale, fragile, incerta) dell’impresa? – ottenibile però mediante la creazione di un contropotere sindacale/collettivo/di classe (il mezzo), capace di contrastare e controllare/bilanciare (il fine democratico) il potere dell’imprenditore. E cos’è la Costituzione se non il progetto per una democratizzazione del capitalismo?

Tutto questo oggi sembra scomparso. Per l’egemonia del pensiero neoliberale. E per l’egemonia, meno evidente e quindi meno riconosciuta, della tecnica e delle tecnologie di rete. Egemonia che si genera soprattutto quando il tecno-capitalismo impone a ciascuno di identificarsi con sé come impresa/brand/social ma soprattutto come mega-macchina amministrativa (la rete). Ma identificarsi con l’apparato è la forma più raffinata di soft power per nascondere non solo l’alienazione ma per catturare l’individuo impedendogli di attivarsi e fare conflitto/democrazia ad esempio contro il management algoritmico o contro la piattaforma o contro un social. Perché proprio l’identità – e l’identificazione con qualcosa produce appunto identità con questo qualcosa – è ciò che inibisce la possibilità e la capacità di uscire dalla minorità kantiana o dalle rappresentazioni false della caverna platonica/tecno-capitalista – e qui rielaboriamo le riflessioni di Francesco Remotti[xxxv].

Per questo è necessario tornare – per evitare che davvero la tecnica uccida la democrazia come ha sostenuto Emanuele Severino – al concetto e al senso della possibilità: inteso, con Salvatore Veca, come «il senso del nostro reputare qualcosa possibile»[xxxvi] – un reputare nostro, cioè umano e sociale – per continuare a far esistere (passando dalla possibilità alla capacità di farlo) una molteplicità di possibilità[xxxvii].

Il futuro della democrazia e della libertà si gioca quindi oggi su una nuova ri-democratizzazione dell’impresa e del capitalismo ben oltre il modello novecentesco; su una de-costruzione dei meccanismi di cattura e dell’immaginario collettivo tecno-capitalistici; ma soprattutto, come detto, su una democratizzazione della tecnica.


*Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria

Note
[i] G. Anders (2003), L’uomo è antiquato, 2 voll. Bollati Boringhieri, Torino
[ii] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/de-michelis-ci-crediamo-smart-ma-siamo-alienati-e-il-nuovo-tecno-capitalismo/?utm_source=social&utm_campaign=dlvr&utm_medium=twitterd360;
[iii] F. Foer (2018), I nuovi poteri forti, Longanesi, Milano
[iv] L. Incisa di Camerana, voce Populismo, in N. Bobbio – N. Matteucci – G. Pasquino, Il Dizionario di Politica (2004), Utet, Torino, pag. 738
[v] M. De Carolis (2017), Il rovescio della libertà, Quodlibet, Macerata
[vi] L. Demichelis – https://www.economiaepolitica.it/il-pensiero-economico/ordoliberalismo-ordoliberalismo-2-0-e-ordopopulismo-2/
[vii] È la tesi che sosteniamo in: L. Demichelis (2018), La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo, Jaca Book, Milano
[viii] F. Remotti (2019), Somiglianze, cit., pag. 28
[ix] Ivi, pag. 24
[x] L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.
[xi] M. Revelli (2019), La politica senza politica, Einaudi, Torino, pag. 93
[xii] Ivi, pag. 156
[xiii] M. Panarari (2018), Uno non vale uno. Democrazia diretta e altri miti d’oggi, Marsilio, Venezia
[xiv] A. Dal Lago (2018), Populismo digitale, Cortina, Milano
[xv] T. W. Adorno 2010), La crisi dell’individuo, Diabasis, Reggio Emilia
[xvi] Ivi
[xvii] F. Foer (2018), I nuovi poteri forti, cit.
[xviii] . W. Adorno 2010), La crisi dell’individuo, Diabasis, Reggio Emilia
[xix] L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.
[xx] Ivi
[xxi] L. Demichelis (2019), Sorvegliati e contenti: così i social hanno realizzato la forma di controllo perfettahttps://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/sorvegliati-e-contenti-cosi-cosi-i-social-hanno-realizzato-la-forma-di-controllo-perfetta/
[xxii] M. Horkheimer (2000), Eclisse della ragione, Einaudi, Torino.
[xxiii] T. W. Adorno (2011), Minima moralia, Einaudi, Torino, pag. 246
[xxiv] S. Rodotà (2012), Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari
[xxv] H. Jonas (1990), Il principio responsabilità, Einaudi, Torino
[xxvi] E. Bloch (1994), Il principio speranza, Garzanti, Milano
[xxvii] C. Crouch (2003), Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari
[xxviii] L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.
[xxix] W. Röpke (1974), Scritti liberali, Sansoni, Firenze, pag. 160
[xxx] H. Marcuse, Progresso e felicità, in Adorno, Fromm, Horkheimer, Löwenthal, Marcuse Pollock, La Scuola di Francoforte (2005), Einaudi, Torino, pag. 300
[xxxi] G. Zagrebelsky (2015), Liberi servi, Einaudi, Torino
[xxxii] Cfr., F. Novara – G. Sarchielli (1996), Fondamenti di psicologia del lavoro, il Mulino, Bologna
[xxxiii] J. Lanier (2018), Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, il Saggiatore, Milano
[xxxiv] Da rileggere: L. Gallino (2007), Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Einaudi, Torino; J. Ellul (2009), Il sistema tecnico, Jaca Book, Milano; L. Demichelis (2015), La religione tecno-capitalista, Mimesis, Milano-Udine – oltre ad Heidegger, Severino e Galimberti
[xxxv] F. Remotti (2019), Somiglianze, cit., pag. 8
[xxxvi] S. Veca (2018), Il senso della possibilità, Feltrinelli, Milano
[xxxvii] L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.

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ernesto rossi
Wednesday, 10 April 2019 20:53
... (Perché in crisi è anche la democrazia economica novecentesca. Eppure, se non vi sono diritti sociali e democrazia anche nei luoghi di lavoro, come in ogni forma di organizzazione, è impossibile che vi siano diritti politici fuori dall’impresa... Attivarsi, senza essere attivati da altri. Nella democrazia politica e nella democrazia economica).... I rivoluzionari francesi furono essenzialmente liberali, affermando così i Diritti Politici, i Diritti Civili, i Diritti Umani e così via; si dimenticarono di affermare i Diritti Economi, dove senza questi, quelli non erano esigibili, risultavano solo una burla nei confronti dei proletari. Questa fù la premessa e scavalcamento da parte socialista del liberalismo che in questo modo lo inglobava e superava.... Quindi potremo così parlare di Liberal_Socialismo, qualcuno volle proseguire distinguendosi come comunista, ma tutti i Dirigenti della Sinistra, provenendo dallo stesso immaginario sei-settecentesco, furono liberal-socialisti. L'aver da parte comunista voluto troncare questo legame, per occupare idealmente tutto lo spazio politico dell'immaginario evidente allora e incontestabile oggi, ci ha fatto perdere ogni rapporto con la dinamica rivoluzionaria che dall'epoca di "Parigi" ancora necessità di essere conclusa. Infatti non c'è nessuno se non negli ultimi tempi che non usi il termine neoliberismo, mentre quello giusto sarebbe neofascismo... Proprio in quanto ancora evocativamente esplicativo della situazione; bisogna dire neofascismo e i più profumati se proprio non ce la fanno, usino l'ultra raffinato di ordoliberismo... Allo stesso modo se non si chiarisce al popolo che la questione atavica e attuale è di tipo malthussiano e che il fine è ucciderci tutti, specialmente in quanto occidentali, in un contesto dove la guerra viene sostituita da semplici e perfette azioni di polizia, favorite queste, certo moltissimo dalla tecnologia, manca ancora lo stadio della moneta elettronica. Infatti ad esempio tutti possiamo vedere come Wikipedia, chieda aiuti economici, ma al contempo rinuncia a quantità enormi di denaro che gli arriverebbe dai bollettini postali, pur di favorire esclusivamente il pagamento elettronico... Esiste un'altra possibilità di leva, nei confronti del Popolo, ed è quella di svelargli il fatto che all'epoca della sconfitta della battaglia per la Casa Popolare, sono stati tutti truffati, proprio perchè tutti sperarono di divenire proprietari della propria abitazione, dovuto anche al fatto che tutti vivevano nell'intimo, il concetto di Casa, come bene estremamente durevole, il quale era legato alla costruzione antica, di tipo archivoltato, mentre la casa in cemento armato è un bene di rapido consumo; importante dunque avvisare tutti di questo misfatto a firma Fanfani, ovvero da parte dei preti, dei democristiani, dei fascisti in una parola sola... Tutte le case andranno abbattute, non possono durare centinaia di anni come quelle antiche, per cui tutti resteranno con un pugno di mosche. Ovviamente il Potere traghetterà man mano che le vecchie generazioni si seppelliscono, le nuove generazioni in nuove case, costruite per quei pochi che riusciranno a campare. Ora sarà uno sconquasso, ma è ancora possibile gestire la situazione a favore di Sinistra, dopo sarà solo questione dimentica...

Fonti - (i miei coglioni e "I Discorsi Parlamentari di Giuseppe Di Vittorio, Vol: II - 1974, ediz. parlamentari)
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Aliquis
Wednesday, 10 April 2019 11:37
Forse, più che "democrtizzare" la tecnica, sarebbe il caso di distruggerla? Nel senso, che le tecniche inutili, funzionali al capitalismo e ontologicamente antidemocratiche (come il capitalismo stesso) vanno distrutte per sostituirle con la democrazia.
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