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antiper

Tutto è restato impunito

di Antiper

Riflessioni a 40 anni dalla strage di Piazza Fontana

 Una bomba dello Stato contro i lavoratori

Il 12 dicembre 1969, alle 17 e 37, una bomba con 7 chili di tritolo scoppia nella filiale di Milano della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana uccidendo 16 persone e ferendone altre 87.

In poche ore scatta la “caccia agli anarchici” che vengono subito additati come responsabili della strage dalla Questura milanese, piena di elementi fascisti, a cominciare dal Questore Guida.

Prima viene fermato e assassinato il ferroviere Giuseppe Pinelli1; poi viene arrestato e tenuto in carcere per anni Pietro Valpreda.

Le inchieste dimostreranno non solo l'estraneità degli anarchici ma, al contrario, la responsabilità diretta dello Stato nell'attuazione e nel depistaggio delle indagini attraverso i servizi segreti cosiddetti “deviati”, con il concorso dei centri di potere “occulto”2 e di settori rilevanti della polizia, della politica, della magistratura,... nonché di esponenti neo-fascisti e neo-nazisti. Alla fine, nessuno verrà condannato e a distanza di 40 anni la strage di Piazza Fontana resta, come tutte le stragi successive, impunita. Ma in fondo, perché stupirsi? Poteva lo Stato condannare se stesso?

La strage di Piazza Fontana inaugura - seppure in modo principalmente simbolico3 - la fase del terrorismo di Stato passata alla storia come “strategia della tensione” e le cui tappe sono state scandite da una serie di stragi che hanno insanguinato l'Italia dalla fine degli anni '60 fino agli anni '80. In realtà, è già dalla metà degli anni '60 che settori dello Stato assieme a settori dell'estrema destra sviluppano ipotesi golpiste (dal “Piano So-lo”4 del generale Giovanni De Lorenzo nel 1964 fino ad arrivare al Golpe di Junio Valerio Borghese del 1970).

Solo che questi strani tentativi di “colpo di stato” (come del resto la stessa “strategia della tensione”) non hanno affatto una funzione destabilizzatrice, come si è spesso affermato, ma puntano piuttosto a creare le condizioni per il rafforzamento dell'assetto politico-istituzionale esistente attraverso la prefigurazione di una sorta di “stato d'assedio” che legittimi la richiesta di “misure d’emergenza” per la difesa dello Stato e vengono usati per lanciare messaggi sempre più inequivocabili verso l'opposizione comunista che infine “cede” con la famosa dichiarazione di Berlinguer

“Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento”5

Quando avviene la strage di Piazza Fontana siamo in pieno “autunno caldo”6 ovvero in una fase di grandi agitazioni “lanciate” dal rinnovo di una ventina di contratti nazionali che coinvolgono 5 milioni di lavoratori e che produrranno importanti conquiste sindacali7; è naturale quindi considerare quella come una bomba dello Stato contro i lavoratori.

 

Fascisti e Stato

Che negli anni ’60 qualche gruppo neofascista nutra effettivamente intenzioni eversive (ovvero di rovesciamento in senso reazionario del sistema politico-istituzionale) è noto. Ma questi gruppi possono svilupparsi ad un certo livello solo grazie all'appoggio economico e logistico dello Stato (e della Nato8) che però non hanno affatto intenzione di sostenere una “controrivoluzione”9, ma solo di tenere a bada il movimento dei lavoratori che da qualche tempo sta imboccando una strada di autonomia politica ed organizzativa che sfugge anche al controllo delle stesse organizzazioni sindacali.

Stando alle dichiarazioni del neo-nazista Vincenzo Vinciguerra - reo-confesso dell'agguato di Peteano del 1972 in cui morirono 3 carabinieri - lo Stato ebbe in pochissimi mesi le prove per incarcerarlo e decise non solo di non farlo, ma anzi di proteggerlo (in particolare fu Gladio, ovvero una struttura segreta della NATO, che lo pose sotto la propria protezione e lo fece espatriare nella Spagna franchista).

Questo ci dice che persino le frange più estreme dell’eversione nera hanno goduto di appoggi ad altissimo livello e questo perché, malgrado la Resistenza, l’Italia del dopoguerra è un paese fortemente influenzato da uomini e istituzioni legate al regime fascista.

“Può non sembrare, ma uno slogan del tipo “Fascisti carogne, tornate nelle fogne” costituisce l’espressione (oltre che, molto spesso, di impotenza nascosta sotto parole truci) di una incomprensione storica su cui vale la pena di dire qualcosa. Sia chiaro: nelle fogne, i fascisti, non sono stati mai. Sono stati, anche dopo il 1945, ai vertici del potere militare ed economico, ai vertici dei servizi segreti, ai vertici dello Stato. Hanno diretto le repressioni operaie del dopoguerra (Valletta alla FIAT, Scelba al Ministero dell’Interno); hanno progettato colpi di stato militari (Piano “solo”, Rosa dei venti, golpe Borghese…) con tanto di lista degli esponenti politico-sindacali da uccidere o imprigionare e con altissimi avalli istituzionali (Segni); hanno costruito un potere “occulto” dentro lo Stato (la loggia massonica “P2”) capillarmente ramificato soprattutto negli ambienti militari, ma anche nella comunicazione, nella politica…; sono stati la co-manovalanza dello Stato nella “strategia della tensione” con gli attentati che hanno fatto centinaia di morti; hanno costruito organizzazioni dedite alle più diverse attività di infiltrazione, provocazione, contro-rivoluzione preventiva… sotto l’egida della NATO (Gladio); hanno collaborato con forze mafiose negli attentati contro i sindacalisti meridionali, ecc….

E si potrebbe andare avanti per ore nell’elencazione delle attività che i fascisti hanno realizzato in concorso e sotto la protezione dei settori dirigenti (altro che “deviati”) dello Stato. Il tutto, conseguentemente, senza essere mai o quasi mai perseguiti. I fascisti sono stati capaci di costruire una rete di complicità e solidarietà, di appoggi e connivenze, che ha permesso loro di ricoprire ruoli importanti mentre eravamo noi, i proletari, che marcivamo nelle fogne delle fabbriche, morivamo di amianto, venivamo rinchiusi nei “reparti confino”, ci intossicavamo per salari da fame, finivamo in miseria dopo licenziamenti, ristrutturazioni, repressioni…”10

La vicenda delle coperture su Peteano ci dice anche altro: ci dice come lo Stato possa agire con una propria strategia sulla strategia altrui - colpendo o decidendo di non colpire - e quindi mostra che nella scelta di metodi e obbiettivi, si deve sempre tenere conto non solo delle proprie intenzioni, ma anche di quelle dell'avversario, per non esporsi alle sue strumentalizzazioni.

 

Piazza Fontana nel suo contesto storico

Negli anni '60 il quadro internazionale è ancora dominato dalla divisione del mondo nei due “campi”: capitalista e socialista. Cina ed Unione Sovietica, aldilà del giudizio che possa essere dato, sostengono i vari movimenti antimperialisti in funzione antiamericana.

Da anni è in atto un poderoso processo di decolonizzazione e di riconquista della sovranità nazionale in tutta una serie di paesi. Dopo la cacciata della Francia, la guerra in Vietnam (o, per meglio dire, la guerra per il controllo americano dell'Indocina) è in pieno sviluppo e i suoi riflessi sull'”opinione pubblica” americana sono molto forti. In America Latina cresce un'onda progressista spinta dalla rivoluzione cubana e, successivamente, dalla vittoria del 1970 di Salvador Allende in Cile: in tutto il continente nascono e si sviluppano guerriglie rivoluzionarie che saranno sconfitte solo attraverso una serie di veri e propri colpi di Stato e di dittature militari.

La resistenza algerina ha vinto contro i francesi e in tutta una serie di paesi africani crescono i movimenti di liberazione. Molti dirigenti di questi movimenti vengono assassinati (Patrice Lumumba, Mahdi Ben Barka).

Nel gennaio del 1966 si tiene all’Avana la Conferenza Internazionale di Solidarietà con i Popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina alla quale partecipano 94 tra paesi e movimenti di liberazione; dalla Conferenza emerge un’alleanza “tricontinenta-le” che preoccupa molto l’imperialismo, non solo nord-americano, ma anche inglese e francese. Negli anni successivi, la risposta degli USA sarà - tra le altre - l’avvio del “Plan Condor”11 attraverso il quale il terrorismo di Stato nord-americano agirà sui paesi dell’America Latina per favorire la repressione dei movimenti politici e sociali, nonché l’avvento o il rafforzamento di feroci dittature militari.

D'altra parte, il capitalismo internazionale è alla vigilia dell'avvio di una crisi economica che esploderà all'inizio degli anni '70, ma che già alla fine degli anni '60 può essere intravista dagli analisti.

Il quadro politico nazionale è caratterizzato dalla lenta ma costante crescita elettorale del PCI e dalla “rinascita del movimento dei lavoratori” negli anni '60 dopo le difficoltà degli anni '50. Il “centro-sinistra” - ovvero l'alleanza di Governo tra DC e PSI - è in difficoltà da mesi specie dopo le elezioni del 1968

“... la maggioranza, alla ricerca di una mediazione, non riesce a proporre che una versione ancora più sbiadita del centro-sinistra. È il terzo Governo presieduto da Aldo Moro che affronta le elezioni del 19 maggio 1968. I risultati del voto hanno come effetto la crisi del centro-sinistra e l'affidamento a Giovanni Leone di un monocolore democristiano cosiddetto “balneare””12

La V Legislatura (5 giugno 1968 - 24 maggio 1972) vedrà avvicendarsi 6 diversi Governi (della durata media 8 mesi ciascuno) e sarà caratterizzata, dal punto di vista sociale, dall'avvento sulla scena del movimento studentesco del '68 e dall'esplosione delle lotte dei lavoratori.

Il 1968 propone sulla scena il movimento degli studenti13 che - pur non essendo un movimento rivoluzionario ed anzi essendo per molti aspetti una componente della modernizzazione capitalistica - vede crescere al proprio interno una domanda di trasformazione sociale che comincerà a saldarsi con quella dei lavoratori. In Italia, ad esempio, nasceranno assemblee unitarie di operai e studenti al cui interno si svilupperà un acceso dibattito politico.

Dopo il '68 il PCI continuerà a crescere elettoralmente14; il movimento dei lavoratori continuerà a strappare importanti conquiste sindacali ed anzi a sperimentare nuove forme di democrazia diretta (dai Comitati di Base - CUB - al movimento dei Consigli di Fabbrica) mettendo in discussione alla radice la struttura della rappresentanza sindacale (Commissioni Interne) e la linea dei sindacati; nascerà e si svilupperà - contraddittoriamente, ma con forza - un variegato movimento rivoluzionario e anti-capitalista che pone in termini innovativi, sia dal punto di vista politico che dal punto delle forme di lotta, il tema della trasformazione sociale, culturale, politica... del paese.

Anche la “strategia della tensione” proseguirà: dentro un numero enorme di attentati piccoli e medi, le stragi principali saranno quella del 22 luglio 1970 a Gioia Tauro contro il “Treno del sole” (6 morti); quella del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia, a Brescia (8 morti); quella del 4 agosto 1974 contro il treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna (12 morti); quella del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna (85 morti); quella del 23 dicembre 1984 contro il Rapido 904, sempre a San Benedetto Val di Sambro (17 morti).

Nello scenario politico-sociale della fine degli anni '60 c’è chi teme che il PCI possa riuscire, sulla spinta del movimento dei lavoratori, a conquistare un consenso tale da permettergli di raggiungere il Governo del paese mettendo a rischio la solida tradizione di servilismo italico verso gli USA e volgendo lo sguardo, magari, verso l'URSS. Non si teme, beninteso, una rivoluzione comunista: è chiaro a (quasi) tutti che il PCI non è un partito rivoluzionario, ma un partito riformista che non lotta per il potere dei lavoratori, ma per raggiungere il Governo. Quello che si teme è l'indebolimento del Patto Atlantico nei confronti dell'Unione Sovietica e quello del padronato nei confronti dei lavoratori.

Si tratta allora di creare le condizioni affinché il sistema di potere esistente possa rafforzarsi contro le tendenze in atto e per far questo è necessario creare un clima che spinga settori sempre più vasti della popolazione a sentirsi in una situazione di emergenza che legittimi la sospensione di alcune “tutele democratiche”, la concessione di poteri speciali alle forze di polizia15 e l’approvazione di alcune leggi liberticide.

 

Gli “opposti estremismi” e la risposta rivoluzionaria

Gli strateghi della “strategia della tensione” sono convinti che le bombe non potranno non suscitare una reazione armata dei comunisti (almeno di quelli che cominciano ad organizzarsi alla sinistra del PCI dopo il ’68 e l’“autunno caldo”). Pensano anche che vi sarà (come in effetti vi fu) una radicalizzazione di settori dello stesso PCI. A quel punto verrà facile descrivere la società italiana come sottoposta all’attacco degli “opposti estremismi”. Basterà evocare l'idea che “comunisti” e “fascisti” “se le suonano di santa ragione” a colpi di bombe e di revolverate, per spingere la “gente” - che ama la tranquillità - a rifugiarsi sotto le materne ali della vecchia “balena bianca”. È, in sostanza, un piano di stabilizzazione in senso “moderato” del quadro politico.

In questa lettura - che ha certamente molti elementi di verità - le stragi vengono usate per provocare la risposta armata dei comunisti e impedire che essi possano realizzare la trasformazione della società italiana, anche solo per via riformista. Una volta che i comunisti avranno reagito i depistaggi e le coperture serviranno solo per non colpire materialmente gli “esecutori”; la “matrice politica fascista”, invece, dovrà emergere perché è uno dei presupposti della teoria degli “opposti estremismi”

Se il terrore è il fine primario – ha scritto Norberto Bobbio - un atto è tanto più terrorizzante quanto più è circondato da un mistero impenetrabile. Ma la difficoltà maggiore incontrata dalla magistratura è consistita in una serie di ostacoli frapposti nel corso delle indagini; reperti e documenti importanti distrutti, testimoni attendibili e possibili imputati fatti espatriare, testimoni falsi fatti comparire, continue indicazioni fuorvianti. Per oltre un decennio, dal 1970 fino al 1981, cioè fino alla scoperta delle liste degli iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli e alla conseguente epurazione dei cosiddetti “servizi deviati” essi hanno interferito in tutte le indagini sulle stragi e solo in quelle; non si ha notizia, infatti, di depistaggi a danno delle indagini sul terrorismo rosso”16.

Ma questa è anche una lettura parziale.

È certamente vero che Piazza Fontana spinge il dibattito nella “sinistra rivoluzionaria” italiana sul tipo di risposta da dare all'offensiva terroristica dello Stato e del neofascismo. Così come è certamente vero che dopo Piazza Fontana si fa strada la consapevolezza che alle “armi della critica” sia ormai necessario affiancare la “critica delle armi”, sia in termini difensivi, sia in termini offensivi.

Del resto, quando alle lotte sindacali si risponde con le bombe non è incomprensibile pensare che ad un ulteriore livello di lotta sindacale possa corrispondere solo un ulteriore numero di bombe. E un conto è cercare di non farsi trascinare dalle provocazioni su terreni che non si ha la capacità di sostenere o su terreni su cui non si è scelto consapevolmente di collocarsi; ma un altro conto è offrirsi come “agnelli sacrificali” all'attacco armato dello Stato.

Che la strage di Piazza Fontana abbia spinto migliaia di compagni sul terreno di una riflessione concreta in merito alla necessità di una risposta adeguata al livello di scontro terroristico scatenato dallo Stato17 (anche - ma non solo - attraverso la sua componente fascista) è indiscutibile. Ciò non significa essersi lasciati adescare all’amo degli “opposti estremismi” o essersi lasciati “etero-dirigere” dallo Stato anche perché la “risposta rivoluzionaria” ha incontrato in molte occasioni il favore di settori popolari di massa; forse non di larga massa, ma di massa, il che significa che quella risposta corrispondeva ad una domanda reale e non solo ad una valutazione soggettiva.

Naturalmente, è qui impossibile ricostruire la complessità di eventi e di tendenze che hanno caratterizzato lo scenario politico del dopo Piazza Fontana. Ma una cosa possiamo dirla: la strage del 12 dicembre segna uno “spartiacque” tra un prima e un dopo: è la fine di un epoca caratterizzata, per milioni di persone, dalla convinzione che attraverso un processo graduale di riforme e di conquiste sociali il movimento dei lavoratori avrebbe potuto realizzare una transizione “pacifica” e “democratica” al socialismo; è la sanzione che lo Stato (in quanto espressione istituzionale del potere capitalistico) non avrebbe mai accettato questa prospettiva e che avrebbe messo in opera ogni tipo di azione per impedirla.

D'ora in poi ci saranno solo due strade: accettare il capitalismo come limite invalicabile della società umana con tutti i suoi meccanismi (per parafrasare Marx, una sorta di passaggio dalla “sottomissione formale” al capitalismo rappresentata dal riformismo ad una “sottomissione reale” organica ai meccanismi del capitale); oppure, comprendere che puntare al superamento del capitalismo significa dotarsi degli strumenti materiali ed intellettuali anche per resistere alla controffensiva del sistema di potere dominante.

“Cosa intendeva Berlinguer quando, riflettendo sull’esito dell’esperimento riformista in Cile di Salvador Allende, deposto ed assassinato nel 1973 dal colpo di stato di Pino-chet appoggiato dagli USA, affermava che in Italia il PCI non avrebbe potuto governare neppure con il 51%? Non certo, ovviamente, che avrebbe dovuto conquistare il 60 o il 70%, ma che il grande capitale italiano e internazionale non avrebbero mai permesso un governo di “comunisti” o con i “comunisti” senza un accordo strategico che garantisse in modo inequivocabile il suo profitto e potere reali. Ecco come il colpo di stato militare in Cile (assieme anche alla “strategia della tensione”) ha messo fine anche alle illusioni democratico-riformiste del PCI18".

Certo, molti altri fattori hanno concorso alla definizione della nuova linea del PCI (la crisi economica incipiente, innanzitutto, l'incapacità di reggere ulteriormente la “con-ventio ad excludendum” anti-comunista imposta dagli USA, la ricollocazione sul piano internazionale19...), ma la consapevolezza che, pur con tutta la sua forza sociale, elettorale e culturale, il PCI non avrebbe retto l'urto della risposta terroristica dello Stato è stato anch'esso un elemento cardine della sua ulteriore “svolta”: dopo aver accettato negli anni '40 il terreno “democratico” come il terreno sul quale costruire l'ipotesi della trasformazione della società italiana, nei primi anni '70 il PCI chiarisce, anzitutto a sé stesso, che non c'è proprio alcuna società da trasformare.

 

Lo Stato borghese tra “democrazia” e autoritarismo

La strage di Piazza Fontana e la “strategia della tensione” (nella sua più vasta accezione) costituiscono un “insegnamento” importante anche per l'attualità perché mostrano come possa reagire uno Stato “democratico” di fronte alla perdita, anche solo ipotetica, del proprio consenso e del proprio potere istituzionale.

Come abbiamo scritto in altre occasioni, il fascismo e i fascisti sono strumenti ai quali il potere capitalistico ricorre quando non è più in grado di legittimarsi attraverso la “democrazia” ma, come ci mostra proprio la “strategia della tensione” in Italia, possono essere usati dal potere anche per ri-legittimarsi.

Si potrebbe dire così: in “democrazia”, quando i partiti che esprimono gli interessi delle classi dominanti vincono le elezioni, governano; quando le perdono, ti mettono le bombe o ti fanno i “colpi di stato”. A qualcuno potrebbe persino venire il dubbio che ai lavoratori non convenga “vincerle”, le elezioni.

Naturalmente noi “tifiamo” per la “democrazia” borghese contro il fascismo e l’autoritarismo non solo perché questo ci consente un’agibilità che diversamente non avremmo, ma anche e principalmente perché in questo modo - come ebbe a scrivere il buon Lenin - i lavoratori possono comprendere che i loro problemi non derivano da una particolare forma di capitalismo - il fascismo, ovvero il sistema basato sulla “mancanza di democrazia” - ma dal capitalismo stesso – democratico o meno -. Finché invece i lavoratori continuano a battersi solo per difendere la democrazia borghese (ovvero il sistema politico-istituzionale preferito dai padroni) contro il fascismo (ovvero il sistema politico-istituzionale a cui ricorrono in situazioni di emergenza) siamo ancora ad uno stadio di autonomia politico-culturale piuttosto arretrato.

Oggi si fa un gran parlare della presunta trasformazione molecolare della società italiana in un sistema sostanzialmente “autoritario”. Di “democrazia autoritaria” parlano i leader dell'“opposizione” parlamentare e diversi intellettuali (Giovanni Sartori, per fare un esempio); ma di “deriva autoritaria” parlano anche molti gruppi comunisti. Da più parti si paventa una sorta di “fascistizzazione” strisciante, sottolineando – a volte in modo un po’ esagerato - l'aumento della repressione, ecc... Si indica nel “berlusconi-smo” una specie di neo-fascismo a base cesaristica e mass-mediatica, ma non si tiene conto del fatto che ogni fascismo, nella storia del '900, si è affermato come risposta reazionaria ad una ipotesi di trasformazione rivoluzionaria (o, quanto meno, autenticamente riformista).

Sarebbe già un buon inizio per capire meglio la situazione attuale domandarsi che bisogno ci sia di ricorrere al fascismo in una fase storica in cui il proletariato oppone solo una resistenza puramente “meccanica” all'attacco che gli viene portato quotidianamente su tutti i fronti. Così come sarebbe un buon inizio domandarsi come mai il centrosinistra - quando non le ha anticipate, culturalmente e temporalmente - non ha mai cancellato alcuna delle leggi precedentemente approvate dalla destra, ivi comprese le cosiddette leggi “ad personam”.

È sempre più evidente che, aldilà delle finte diatribe tra maggioranza e opposizione, le politiche di governo in Italia sono sostanzialmente equivalenti e siccome queste politiche vengono portate avanti da coalizioni elette dai tre quarti dell’elettorato se ne deduce che non siamo di fronte ad un sistema – come il fascismo – che impone le sue politiche soprattutto con la forza, ma siamo di fronte ad un sistema che realizza le proprie politiche soprattutto attraverso una salda egemonia culturale sul “senso comune” popolare.

“Definire “fascisti” fenomeni riscontrabili in tutti i paesi capitalisticamente sviluppati (come la militarizzazione del territorio, l’ingrossamento dell’apparato repressivo, la riduzione delle libertà civili e democratiche…) rischia di essere il riflesso di un retro-pensiero influenzato dalla vulgata ideologica dominante secondo il quale la democrazia borghese sarebbe una cosa buona e “democratica”, mentre il fascismo sarebbe una cosa cattiva e “non democratica”. Invece, anche prima del fascismo, la democrazia liberale era già pienamente compatibile con cose assai poco “democratiche” come ad esempio la schiavitù”20

Se il movimento comunista esistente oggi in Italia conservasse un minimo di memoria della storia recente (e non solo di quella “resistenziale” che ci spiega sempre meno della società odierna); se questo movimento avesse la capacità di leggere le dinamiche profonde della società capitalistica e non solo le sue espressioni “sovra-strutturali” e “fenomeniche”, comprenderebbe che l'Italia è stata vicina ad una svolta apertamente reazionaria più all'inizio degli anni '70 che non oggi e che tale svolta avrebbe potuto prodursi effettivamente se non fosse andata in porto (come è andata in porto) l'opera stabilizzatrice realizzata attraverso la finta destabilizzazione stragista/golpista e attraverso la definitiva cooptazione del PCI; comprenderebbe che molte delle contraddizioni istituzionali esistenti sono sostanzialmente interne al campo del sistema di potere dominante (sia esso rappresentato dalla destra, sia esso rappresentato dalla “sinistra”). Ma sappiamo bene che questo tipo di impostazione fa orrore a tutti coloro che hanno ereditato culturalmente il processo - storico e teorico - che ha portato l'opposizione politica italiana da concezioni comuniste e anti-capitaliste, prima verso posizioni democratiche e “antifasciste da parata”, e poi verso l'anti-berlusconismo e il “legalitarismo” borghese dei Di Pietro, dei Travaglio, dei Grillo e oggi persino dei Fini

“...il passaggio dall’ideologia del classismo all’ideologia dell’antifascismo permette alla “sinistra” di parlare a settori sociali di piccola e media borghesia, il passaggio dall’ideologia dell’antifascismo all’ideologia dell’anti-berlusconismo permette di parlare a qualunque settore sociale. Si porta a compimento, quindi, il percorso che dalla “democrazia progressiva” di Togliatti conduce, passando attraverso il “patto” di Amendola e il “compromesso storico” di Berlinguer, all’alleanza dei produttori di Veltroni e di Bertinotti”21.

Siamo consapevoli di “far orrore”. Ma spesso la verità fa questo effetto.

A volte ci chiedono: ma non vi ponete proprio il problema della differenza tra destra e “sinistra”? Non capite che in questo modo dividete la “sinistra” e fate vincere il “monarca” Berlusconi e il “ducetto” Fini?

Ovviamente ci poniamo il problema, ma non in termini teorici giacché riteniamo che Berlusconi e Veltroni - tanto per parlare dei due tizi che si sono confrontati nelle elezioni politiche dell'aprile 2008) siano due espressioni neppure troppo diverse di un identico sistema di potere. E noi non siamo qui per combattere l'una o l'altra “espressione” del potere capitalistico, ma il potere capitalistico indipendentemente da come esso si esprime.

Ci poniamo il problema da un punto di vista pratico essendo consapevoli che se lo pongono milioni di persone, ma sempre tenendo presente che a guardare troppo il singolo albero si finisce per perdere di vista l'intera foresta. In questo caso l'albero è Berlusconi e la foresta è il sistema capitalistico. Dunque, combattiamo Berlusconi in quanto rappresenta una delle espressioni del capitalismo; siamo anti-berlusconisti” solo in quanto siamo anti-capitalisti. Ma, domandiamo, si può essere anti-capitalisti e nello stesso tempo appoggiare elettoralmente e mandare al potere il secondo partito della Confindustria per mandare a casa il primo?

Quando saremo convinti si essere di fronte al fascismo - ovvero, di fronte ad un sistema nel quale è ormai preclusa qualsiasi agibilità politica, un sistema che conquista il potere attraverso azioni armate e “marce su Roma” e non attraverso il voto dei lavoratori - ne trarremo le conseguenze e non ci limiteremo certo a invocare, come suprema forma di resistenza, l'unità elettorale con Dini e Mastella (come fu per Ferrero e Diliberto agli infausti tempi del Governo “Prodi 2”).

Contro il fascismo non si fanno “cartelli elettorali”; si fa quello che fecero i comunisti nel “ventennio” e i partigiani nella Resistenza.

E a coloro che parlano di “fascistizzazione, non di fascismo” diciamo solo una cosa: è dagli anni '70 (almeno) che si parla di “fascistizzazione”: ma quanto tempo ci vuole per capire che quello che abbiamo avuto di fronte non è stato un processo di “fascistizzazione”, ma bensì un “semplice” processo di rovesciamento progressivo di alcuni rapporti di forza tra le classi, realizzato attraverso il concorso attivo e decisivo delle forze politiche e sindacali che negli ultimi 30 anni si sono definite “di sinistra”?

 

Note
1 Un inciso che merita di essere segnalato è il seguente. Giuseppe Pinelli era già stato accusato di avere messo alcune bombe il 25 aprile 1969. Come avrebbe poi fatto successivamente per la strage di Piazza Fontana, il non compianto “Commissario CIA”, Calabresi, indirizzò subito le indagini solo verso gli anarchici (ma “poi” si scoprì che a mettere le bombe erano stati i fascisti). Strana simmetria. Fascisti che mettono le bombe e polizia che incolpa agli anarchici cercando di restringere immediatamente il campo delle indagini. Anche l'”ostinazione” di Calabresi, a qualcuno, sarebbe potuta apparire come la prima di quella che sarebbe poi stata una lunga serie di azioni di depistaggio. Una nota: nella successiva inchiesta, l'assassinio di Pinelli fu classificato come “malore attivo” (?) e “caduta dal quarto piano” mentre i suoi assassini furono prosciolti; il PM era la “toga rossa” Gerardo D'Ambrosio, quello del pool “Mani pulite”. Niente male come inizio carriera...
2 Tra i “centri di potere occulto” possiamo annoverare la loggia massonica P2 (diretta da Licio Gelli proprio a partire dal 1969) che nel giro di pochi anni diventerà - appunto - un centro di potere dello Stato sottratto allo sguardo dell’”opinione pubblica” (come possono esserlo gli altri poteri “ufficiali”: Parlamento, Magistratura, Governo). Gelli ha dichiarato recentemente che “Con la P2 avevamo l'Italia in mano. Con noi c'era l'Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia”, La Repubblica, Intervista di Klaus Davi, 4 dicembre 2008.
3 “Simbolicamente” perché in realtà moltissimi attentati, alcuni anche di carattere stragista (come quelli ai treni dell'agosto 1969 che provocarono il ferimento di 12 persone), erano già stati progettati e attuati da tempo. “Le bombe del 12 dicembre scoppiano in un Paese dove, a partire dal 3 gennaio 1969, ci sono stati 145 attentati: dodici al mese, uno ogni tre giorni, e la stima forse è per difetto. Novantasei di questi attentati sono di riconosciuta marca fascista, o per il loro obiettivo (sezioni del PCI e del PSIUP, monumenti partigiani, gruppi extraparlamentari di sinistra, movimento studentesco, sinagoghe. ecc.) o perché gli autori sono stati identificati. Gli altri sono di origine ufficialmente incerta (come la serie degli attentati ai treni dell'8-9 agosto), oppure vengono addebitati a gruppi della sinistra estrema o agli anarchici (come le bombe del 25 aprile alla Fiera campionaria e alla stazione centrale di Milano). In realtà ci vuole poco a scoprire che la lunga mano che li promuove è sempre la stessa, e cioè una mano che pone diligentemente in atto i presupposti necessari alla "strategia della tensione" che sta maturando a più alto livello politico”. La strage di Stato. Controinchiesta, Cap, I, Le bombe del 12 dicembre, Ed. Samonà e Savelli. “Sempre nell'agosto del '69 altri attentati dinamitardi sono compiuti nell'Ufficio Istruzione dei Tribunali di Milano e Torino. In un documento inviato dal Ministero dell'Interno al SID, scritto in francese, mentre viene svalutata l'ipotesi di una strategia eversiva dell'estrema destra, se ne attribuisce la paternità a gruppi anarcoidi, filo-cinesi e maoisti”, in Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, (trascr. Antiper). Gli attentati, 10 anni dopo, verranno definitivamente attribuiti ai neo-nazisti Franco Freda e Giovanni Ventura; ma nel frattempo il Ministero dell'Interno indicava al SID di costruire prove contro anarchici e comunisti (quella è, evidentemente, l'interpretazione da dare alla “circolare”).
4 Così chiamato perché avrebbe dovuto assicurare alla “sola” Arma dei Carabinieri il ruolo di comando dello Stato.
5 Enrico Berlinguer, Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile, Rinascita, 12 ottobre 1973. Qui Berlinguer svolge, nei fatti, un parallelo tra la situazione cilena e quella che si sarebbe potuta presentare in Italia dopo l’eventuale conquista del Governo da parte delle forze della sinistra.
6 “Con questa espressione ci si intende riferire all'autunno 1969 e primo semestre 1970, stagione caratterizzata dal più grande scontro sindacale del dopo guerra per il rinnovo di contratti di lavoro dell'industria e agricoltura e le riforme nel settore edilizio e fiscale. Scioperarono 4-5 milioni di lavoratori per il periodo di 3-4 mesi e per il totale di 520 milioni di ore (Giugni). Gli imprenditori di Confindustria e Confagricoltura subirono una netta sconfitta e dovettero accettare quasi tutte le richieste e l'approvazione in Parlamento dello Statuto dei lavoratori. Il Governo avviò le riforme dell'edilizia, fiscale e sanitaria”. Piero Boni, Lezione Facoltà di Economia e Commercio, Università di Roma "La Sapienza".
7 Tra le conquiste che possiamo considerare “figlie” dell'”autunno caldo” possiamo annoverare l'abolizione delle gabbie salariali, lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, le 150 ore per il diritto allo studio, la riforma sanitaria, la riduzione graduale dell'orario di lavoro a 40 ore settimanali pagate 48 (accordo con Intersind del 10 dicembre 1969), gli aumenti salariali uguali per tutti (fino al punto unico di contingenza del 1975), la nascita di nuovi organismi di lotta e di nuove forme di rappresentanza sindacale dentro luoghi di lavoro (Consigli di Fabbrica, Comitati di Base) e fuori (Assemblee operai-studenti, Gruppi di Studio).
8 Sui legami con gli USA bastino ricordare due organizzazioni: la “Rosa dei venti” (della quale facevano parte tra gli altri il “principe nero” Junio Valerio Borghese e l'altro terrorista Stefano Delle Chiaie) e l’organizzazione “Stay behind”, la famosa Gladio, che faceva opera di provocazione interna e di copertura logistica degli stragisti.
9 Come sostenevano i vari partecipanti al convegno dell'Hotel “Parco dei Principi” promosso dall'Istituto di Studi Militari “Alberto Pollio" nel maggio del 1965 (e finanziato dallo Stato Maggiore dell'Esercito) nei loro deliri sulla presunta guerra rivoluzionaria messa in atto dal PCI: "...Qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, nel quadro della loro guerra rivoluzionaria nei confronti del "santuario", come per esempio il riuscire, da parte loro, sfruttando opportunità d'eventi e debolezza dei governi, di inserirsi in una nuova maggioranza o peggio ancora a penetrare, non fosse che con un sottosegretario alle poste e telegrafi in un gabinetto ministeriale, costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro lo spazio politico vitale dello Stato, da rendere necessaria l'attuazione nei loro confronti di un piano di difesa totale. Vale a dire l'intervento deciso e decisivo delle Forze Armate..." (Enrico de Boccard); "...Se sapremo finalmente aprire gli occhi sulla guerra rivoluzionaria, se sapremo reagire in maniera adeguata, allora, e soltanto allora, potremo riprenderci e vincere. Ma attenzione: è tardi. Molto tardi. Siamo arrivati agli ultimi cinque minuti..." (Guido Giannettini, poi inquisito per Piazza Fontana e importante collaboratore dei Servizi Segreti italiani); "...alla scoperta della guerra sovversiva e della guerra rivoluzionaria deve seguire l'elaborazione completa della tattica controrivoluzionaria e della difesa..." (Pino Rauti); "...Sappiamo che i comunisti sono pronti a scattare. Che cosa si oppone ad essi in questo momento? Niente. Il comunismo sta entrando lentamente nel santuario... È tempo di fare qualcosa che vada al di là di questo convegno. Occorre adottare sistemi altrettanto rivoluzionari di quelli che usano i comunisti... Le forze Armate godono la mia e la nostra fiducia e sono pronte a fare miracoli, ma non basta..." (Giorgio Pisanò).
10 Antiper, Essere antifascisti. Riflessioni su fascismo e democrazia, Aprile 2009, www.antiper.org.
11 Da sottolineare che anche l’Italia, attraverso il SID (Servizio Informazioni della Difesa), la P2 ed alcuni esponenti neofascisti (Stefano Delle Chiaie, innanzitutto) parteciparono attivamente alla realizzazione del Plan Condor.
12 Sergio Zavoli, La notte della Repubblica (trascr. Antiper).
13 Peraltro già avviato alla fine del 1967 con l'occupazione di molte università.
14 Il PCI passa dal 22,6% del 1953 al 27,1% del 1972 e, sull'onda lunga proprio delle lotte sociali dei primi anni '70, balzerà al 34,4% nel 1976.
15 Si pensi alla “Legge Reale” (dal nome del Ministro della Giustizia, Oronzo Reale) approvata il 22 maggio 1975, che prevedeva l’estensione della custodia preventiva e del fermo di polizia, l’ampliamento della possibilità per la Polizia di ricorrere all’uso delle armi nelle manifestazioni, le norme contro il cosiddetto “travisamento”.
16 Sergio Zavoli, La notte della Repubblica (trascr. Antiper).
17 E nella sinistra rivoluzionaria italiana fu abbastanza chiaro sin da subito che quella di Piazza Fontana fosse una “strage di Stato” (anche se la famosa “controinchiesta” - La strage di Stato -si concentrava molto sul ruolo dei fascisti).
18 Antiper, Il ciclo sgonfiato. Riflessione aperta sulla situazione politica italiana dopo le elezioni del 13-14 aprile 2008, agosto 2008, www.antiper.org.
19 Si prenda ad esempio il passaggio al cosiddetto “Eurocomunismo”.
20 Antiper, Essere antifascisti. Riflessioni su fascismo e democrazia, Aprile 2009, www.antiper.org.
21 Antiper, Il ciclo sgonfiato. Riflessione aperta sulla situazione politica italiana dopo le elezioni del 13-14 aprile 2008, agosto 2008, www.antiper.org.

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