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“La sfida populista”, tra demagogia e democrazia

di Nadia Urbinati

Un ebook collettaneo, edito dalla Fondazione Feltrinelli, analizza il fenomeno del populismo evitando visioni manichee e catastrofiste, nel tentativo di comprenderlo nella sua complessità. Che cosa lo rende diverso dalla democrazia, visto che entrambi sono fondati sul principio di maggioranza? Pubblichiamo un estratto dal capitolo di Nadia Urbinati, secondo la quale solo a partire dalla comprensione del populismo come maggioritarismo si può affrontare criticamente il rapporto fra esso e la nostra Costituzione - Per acquistare l'ebook

populismo nadia urbinati 510L’unificazione in alternativa al pluralismo è la dinamica strutturale del populismo nel governo rappresentativo come la demagogia lo era rispetto al governo diretto. Bisogna tener presente che l’impatto dell’appello al popolo è diverso in questi due casi. Infatti, nel governo rappresentativo, la sfera dell’opinione ha più grande rilevanza perché il potere legislativo non è qui a disposizione diretta del popolo; è dunque prevedibile che l’impresa populista si sviluppi nella dimensione ideologica e che possa in teoria restare un fenomeno di opinione, senza conquistare il governo. Diverso è il caso della demagogia antica che aveva un impatto diretto, non solo sull’opinione ma anche sulla legge perché operava in un’assemblea di cittadini dotata del potere sovrano immediato. Tenendo conto di questa differenza tra le due forme di governo democratico, mi servo dell’analisi della demagogia antica per illustrare la relazione conflittuale che essa aveva con la democrazia e proporre un parallelo con l’azione del populismo nel regime rappresentativo: in entrambi i casi centrale è l’uso e l’abuso del principio della maggioranza.

Aristotele è l’autore che offre la più puntuale caratterizzazione della demagogia. Le sue idee sono illuminanti per comprendere la natura e la dinamica sociale del populismo moderno. Prima di tutto, egli ruppe l’identificazione di Platone della demagogia con la tirannia e rese la demagogia parte della lotta politica democratica. Introdusse poi una distinzione che avrebbe emancipato la demagogia dal disdegno generale, avanzando l’idea di una possibile trasformazione interna al governo costituzionale verso forme via via meno moderate, per giungere infine al maggioritarismo del governo del demagogo (Lane 2012). Aristotele separa la “buona” (costituzionale) dalla “cattiva” (demagogica) democrazia.

Per esempio, il capo-popolo Pisistrato, parte dell’élite anche se reputato amico del popolo, usò con astuzia la sua popolarità per aizzare lo scontento dei molti e con il loro aiuto conquistare il potere. Clistene fu invece il capo-popolo che “dopo la caduta della tirannia” diede ad Atene una “costituzione più democratica”. Anch’egli era un membro dell’élite, eppure guidò Atene verso più democrazia per mezzo della retorica e della persuasione, mobilitando gli asserviti ateniesi verso la richiesta della libertà politica e instaurando, infine, una costituzione più popolare di quella che aveva istituito Solone (Aristotele 1998, 1304b1– 10). Nel governo diretto dell’assemblea, la demagogia era una possibilità permanente, benché non in se stessa un’uscita dalla democrazia e un nuovo regime.

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D’altro lato, fino a quando l’opposizione ha il potere di sfidare la maggioranza, ed essere quindi sempre parte della trattativa politica, è improbabile che una forte maggioranza in assemblea o in parlamento sia in grado di mettere a repentaglio la stabilità del sistema. A certe condizioni, la demagogia può trasfigurare la democrazia pur senza sovvertirla. Lo stesso può avvenire col populismo, che tende a crescere in condizioni di crisi economica e si avvantaggia dello scontento sociale per esaltare lo scontro e nutrire nel vincitore (la maggioranza) la tentazione di usare il poter dello Stato per punire l’opposizione e le minoranze, ovvero per rompere il compromesso tra le classi (o, secondo Ernesto Laclau, per sostituire la generalità “formale” della politeia con la “vera” generalità del popolo-maggioranza; Laclau 2005, p. 169). Il rovesciamento della regola della maggioranza nel dominio della maggioranza spiega la differenza normativa tra democrazia costituzionale e democrazia populista. Comparata alla maggioranza numerica in cui il processo decisionale della democrazia consiste, la demagogia reifica una determinata maggioranza nel senso che promuove una politica che traduce gli interessi dei vincitori immediatamente nella decisione dello Stato, con poca o nessuna pazienza per la mediazione e il compromesso e, soprattutto, per la divisione dei poteri. La polarizzazione del sociale aiuta ovviamente questa strategia politica. Dalla regola di maggioranza come procedura per prendere decisioni in un clima di pluralismo, al potere della maggioranza in un clima in cui il pluralismo è avvertito come un ostacolo al processo veloce ed efficace di decisione: questa è la radicale trasformazione dall’interno della democrazia che il populismo mette in atto. E’ la demagogia un poter tirannico della maggioranza? Non completamente secondo Aristotele, che è attento al gioco delle parole nella sfera pubblica e alla formazione del consenso per mezzo del discorso. Certo, il demagogo ha bisogno del consenso della maggioranza e usa la parola per portare l’assemblea dalla sua parte, così da farne una cosa sola con l’opinione dell’agora.

Tuttavia, la manipolazione per mezzo della parola è parte della retorica in un sistema in cui la politica è competizione mediante le parole; è dunque difficile fare una distinzione netta tra ciò che è discorso giusto e il discorso manipolato quando la libertà di parola caratterizza l’ordine politico. In un governo fondato sul discorso e la ricerca del consenso, distinguere populismo da democrazia, retorica populista da retorica di partito è difficile. Se la regola di maggioranza funziona sia in una democrazia pluralista che in una democrazia populista, se non viene sospesa la libertà politica, come possiamo proporre una distinzione che tenga? Aristotele ci dice che benché si basino sulla maggioranza, democrazia e demagogia sono diverse. La sua idea può essere estesa anche al governo rappresentativo rispetto al populismo.

Questo ci dovrebbe portare a convenire che conquistare una larga maggioranza in un collettivo democratico non è la stessa cosa che avere una politica democratica. Lo stesso argomento può essere trovato nel Contratto sociale di Rousseau, il quale ci dice che quando la volontà e l’opinione si soprappongono, la repubblica gode di una più forte legittimità perché la volontà dell’assemblea è così poco contestata (le decisioni sono prese a così larga maggioranza) che il popolo tutto si sente un corpo politico unico de iure e de facto. Non è l’unanimità o la larga maggioranza per sé che rende una democrazia demagogica dunque, ma il modo come essa è ottenuta. Dobbiamo ricordare che Rousseau suggerisce che l’assemblea non dovrebbe essere un luogo di discussione se si vuole prevenire la nascita di oratori capaci di mesmerizzare la mente dei singoli cittadini, falsandone il giudizio. Convinzione per ragione invece che persuasione retorica era secondo Rousseau la condizione per fare convergere sovranità de iure (volontà generale) e de facto (l’opinione generale) senza con ciò violare la giustizia politica, anzi mostrando come il potere della volontà non era semplicemente una questione numerica e neppure la volontà strumentale di una parte che conquistava il consenso della maggioranza dei voti (la volontà di tutti).

Eppure il problema resta; infatti, è possibile ottenere questa unione di volontà e di opinione sia per via di ragione che per via di retorica – la demagogia come il populismo è per questo una possibilità permanente in un regime che, come la democrazia, è fondato sul discorso pubblico e in pubblico, un processo aperto e in divenire di formazione dell’opinione e della volontà. Togliendo il diritto di parola nell’assemblea, come proponeva Rousseau, non è una scelta praticabile nella democrazia rappresentativa, dove la discussione pubblica è la condizione irrinunciabile per formare, criticare e cambiare rappresentanti e maggioranze. Dunque, ancora una volta, il problema risiede nel significato dell’unità del popolo, se materiale (identità sociale) o regolativa (procedurale), che incanala la diversità delle opinioni e la dialettica maggioranza/minoranza (Kelsen 2013, cap. 6).

L’unificazione del popolo sotto un leader e con un irrisorio pluralismo, ovvero con una radicalizzata semplificazione sociale, è la sorgente dei problemi. Aristotele ci offre alcune griglie interpretative su come leggere il fenomeno dell’unificazione o, nelle parole di Laclau, di creazione dell’unità egemonica del popolo. Si deve ricordare che la buona costituzione è, secondo Aristotele, un congegno istituzionale che riposa su un equilibrio dinamico tra due maggiori classi sociali — i ricchi e i poveri. A prescindere dalla forma di governo, questo equilibrio è quel che rende il governo moderato. Perché l’equilibrio sociale (e politico) esista, un largo ceto medio è necessario. Nel caso della democrazia, il sistema è in grado di resistere e durare se la parte veramente povera e la parte veramente ricca della società sono piccole minoranze. I problemi cominciano quando la classe media si restringe e la polarizzazione si fa accentuata: questa è la condizione che la demagogia sfrutta. Questo è il caso in cui la regola di maggioranza può essere applicata con un’intensità che è sconosciuta alla democrazia costituzionale. Come abbiamo visto sopra, il contesto sociale è importante per comprendere e giudicare il populismo.

Ma, conquistare la maggioranza per fare che cosa? E perché una più intensa maggioranza è necessaria o voluta? Questa questione è importante proprio perché la demagogia non è identica alla democrazia anche se predisposta ad attirate l’opinione dei poveri o dei meno ricchi che sono la maggioranza. Perché la maggioranza sociale dovrebbe ad un certo punto cercare una più intensa maggioranza? Perché la semplice maggioranza dei voti non è più sufficiente? Queste questioni suggeriscono che, presumibilmente, l’attore della demagogia non è la maggioranza numerica per se stessa. Dato che la maggioranza è la norma della democrazia, la demagogia interpreta e occupa lo “spazio” della maggioranza e si appropria della norma. Aristotele ci offre una spiegazione sociale di questo fenomeno quando sottolinea la polarizzazione delle classi e la crescita della povertà: i compromessi che i meno abbienti erano precedentemente disposti a fare con la classe media e con i ricchi diventano più difficile quando il numero degli impoveriti cresce e, per esempio, gli interventi dello Stato in loro soccorso si fanno più necessari e dispendiosi.

Gli impoveriti hanno più bisogno che lo Stato sia dalla loro parte in un modo urgente (ecco il bisogno di aumentare le tasse o chiedere ai ricchi di contribuire maggiormente) con l’esito di generare scontento tra di loro e indurli ad unirsi per resistere alle richieste del popolo e difendere i loro interessi; per avere successo in questa intento devono però godere del sostegno della maggioranza, che è composta di non abbienti. Quindi, non è la presenza della moltitudine dei cittadini ordinari (o non ricchi) a spiegare da sola la crescita della demagogia e l’attacco alla democrazia costituzionale. Ciò che spiega questa situazione è la rottura dell’equilibrio sociale che può aprire la strada alla politica della concentrazione del potere sociale che erode l’imparzialità della legge, e non necessariamente per realizzare politiche sociali più giuste.

Una polarizzazione radicale e un sovrarafforzamento degli interessi di classe sono le premesse per una più intensa maggioranza che sia la demagogia che il populismo sfruttano per conquistare più potere dentro lo Stato. Questa dinamica viola l’ordine costituzionale, un sistema concepito in modo da far sì che nessun attore sociale o politico incorpori la volontà del popolo, che deve restare una permanente creazione del processo politico democratico. Materializzando la volontà del popolo, incorporandola in una parte (anche se larga) e concentrando il potere pubblico in un attore sociale specifico e possibilmente omogeneo, il populismo (come la demagogia) cerca di risolvere il “paradosso” dello “spazio vuoto” della politica democratica “determinando chi costituisce il popolo”. Questa è la differenza importante rispetto alla regola democratica della maggioranza, e la ragione per la quale democrazia e demagogia non sono la stessa cosa, anche se si basano entrambe sull’appello al popolo e il principio di maggioranza, e anche se appartengono al genere del governo popolare.

La crisi economica e il declino del benessere generalizzato possono rendere la maggioranza numerica pronta a passare leggi che inducano i possidenti a fare corpo insieme per resistere, per esempio, all’incremento delle tasse necessario a far fronte al bisogno di un più diretto intervento dello Stato nell’economia (nonostante i proclami protezionisti e nazionalisti, i populismi al governo perseguono politiche spesso liberiste con la giustificazione che questo è nell’interesse del popolo tutto). Questo è il fattore di classe alle origini della demagogia e che la demagogia sfrutta nel nome della nazione o del popolo. Come la storia europea dimostra con puntuale regolarità, la democrazia costituzionale rischia molto se la società diventa più povera e il welfare è messo in discussione o per crisi interne o o a causa dell’immigrazione, come accade oggi.

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