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sinistra

I lunghi anni Sessanta, non ancora finiti?

di Emiliana Armano e Raffaele Sciortino

Introduzione a Revolution in our Lifetime, conversazione con Loren Goldner sul lungo Sessantotto, a cura di Emiliana Armano e Raffaele Sciortino, ed. Colibrì, 2018

goldneranni60           Non voglio parlare di me, ma seguire il secolo, il rumore e l’evolvere del tempo

Osip Mandel'štam

Molto è già stato scritto sul Sessantotto, di memorialistica come di analisi storico-politica, eppure a distanza di anni quel processo-evento continua a sollecitare domande e a dividere i fronti tra chi l’ha vissuto ma anche tra chi si occupa o è attivo nei movimenti sociali. Evidentemente ha lasciato qualcosa d’irrisolto, e di rilevante a tutt’oggi, se non altro perché è stato l’ultimo movimento di ribellione radicale a scala globale1.

Che cosa ha spinto i giovani degli anni Sessanta, nei più differenti contesti, alla militanza politica attiva? Quali strade, quali punti di svolta e convinzioni maturarono a supporto delle loro scelte? E che cosa ha permesso ad alcuni, pochi, di loro di diventare poi marxisti e comunisti eretici? Quali le conseguenze per i loro percorsi nei decenni successivi? E soprattutto, a distanza di oramai cinquant’anni, che cosa ci dice tutto ciò oggi per interpretare e intervenire nel presente?

Attraverso alcune conversazioni con il marxista statunitense Loren Goldner, questo libro ricostruisce il processo di politicizzazione di un giovane militante della Nuova Sinistra statunitense degli anni Sessanta, che nel 1968 partecipò all’occupazione del campus di Berkeley (è l’episodio evocato nell’immagine di copertina). Da questo racconto la conversazione si estende poi a temi che continuano ad essere meritevoli di approfondimento teorico e politico. In che maniera il movimento del Sessantotto è maturato come fenomeno globale? Quali i problemi che dovette affrontare e come cercò di risolverli? Che cosa ci dicono oggi i legami che all’epoca si strinsero, o non si strinsero, tra le lotte studentesche e quelle delle altre molteplici componenti sociali che costituivano il movimento? Ma, soprattutto, quali le rotture e quali le continuità con i cicli di lotta precedenti e successivi? Sono alcune delle questioni di fondo che vengono sollevate o per lo meno evocate.

La forma della conversazione che abbiamo scelto contempla un approccio dialogico, oltre che narrativo, pensato aperto a successive implementazioni, a ulteriori risposte e nuove possibili domande. Il lettore troverà un racconto accompagnato da considerazioni politiche che porta alla luce quella trascorsa esperienza anche per poterla ripensare e ridiscutere con altri, collettivamente. Non ci si aspetti dunque l’ennesima esposizione di memorie per un imbarazzato cinquantenario, bensì uno scambio a tutto campo, tra esperienza di vita e di lotta, che non infinge continuità generazionali e di fase ma, al contrario, si dà sotto la cifra della distanza a volte abissale da quel clima.

L’idea di questo libro nasce con Loren nell’estate 2017 allorché gli abbiamo chiesto di condividere la sua storia concedendoci un’intervista via e-mail. Il risultato finale è una lunga conversazione con al centro un racconto che è testimonianza personalissima di una storia collettiva filtrata attraverso l’interpretazione orgogliosamente di parte di un componente della generazione militante degli anni Sessanta, con tratti quasi da saggio interpretativo costruito attraverso l’analisi e il confronto con le idee e i materiali che giravano nel movimento. Le tre forme: testimonianza, storia militante, saggio, si susseguono, intrecciandosi e ibridandosi reciprocamente, così come nella vita i momenti dell’esperienza risultano spesso indistinguibili dalla riflessione e dall’analisi. Anche da questo punto di vista, nel fondersi liberamente di differenti convenzioni espressive, è un luftmentsh sessantottino che ci si para dinanzi.

Il lettore si imbatterà così nelle radici anche biografiche della politicizzazione di quella generazione, nel senso di insoddisfazione e ingiustizia che la spinse a distinguersi da quella dei padri e ad assumere posizioni radicali nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, tra ribellione morale e ricerca della felicità pubblica. Loren Goldner ci descrive il Sessantotto non come evento puntuale ma come un lungo processo di rivolta che si prepara nelle inquietudini e nelle mobilitazioni degli anni precedenti e continua nel decennio successivo sull’onda delle mobilitazioni esplose a scala internazionale. E su questo sfondo si delineano anche la sua peculiare traiettoria politico-teorica nel contesto del marxismo americano e internazionale, la lettura di esperienze e snodi del movimento proletario internazionale. Il suo è un posizionamento critico dentro lo spettro differenziato delle sinistre comuniste, e insieme il tentativo di andare oltre le loro debolezze proprio a partire da un bilancio dei lunghi Sessanta. Di qui l’impegno nel riscoprire e reintepretare categorie marxiane in relazione alla prassi del movimento operaio nelle sue cesure storiche. Questo lavoro di ricerca teorico-militante, del quale queste conversazioni vogliono solo dare un assaggio, si articola nella sua produzione di più di trent’anni di pubblicazioni rigorose ma non accademiche, militanti ma non propagandistiche, che sono circolate solo parzialmente in Europa anche per via della cesura nella memoria politica degli ultimi decenni.2

Questi in estrema sintesi, i motivi che ci hanno portato al progetto editoriale. Passiamo ora a qualche breve cenno su struttura e contenuti. Il libro è suddiviso in due parti, con un prologo e quattro conversazioni.

Il prologo, suggerito da Loren, riporta una lettera inviata per e-mail all’amico e compagno Paul3 [nome di fantasia], ricca di spunti stimolanti sulla parabola di una generazione o meglio di quella sua componente che fece scelte radicali, e sulla solitudine di chi ha continuato a rielaborare la teoria comunista come chiave interpretativa per leggere il presente. Non c’è traccia di rinuncia alla trasformazione radicale in questa visione, quanto piuttosto consapevolezza di una marginalità culturale ed esistenziale come prezzo da pagare, oggi, per restare coerenti con le proprie fondamentali convinzioni dal punto di vista etico e politico e preparare così il futuro. Già qui si possono leggere, come in filigrana, i contorni di una questione centrale che ritorna nelle conversazioni: il rapporto tra marxismo rivoluzionario e Sessantotto. Ovvero, da un lato, come si sono formati prima del ’68 e come sono stati dentro il ’68 quei marxisti che hanno saputo demarcarsi dalle vulgate gauchiste - anche a prezzo di una precoce e a tratti amara consapevolezza dei limiti del movimento proprio nel corso del suo pieno svolgimento. Dall’altro, quale bilancio hanno tratto dalla sua strana sconfitta data dal suo riassorbimento nel nuovo ordine capitalistico una volta normalizzati i tratti antagonistici.

La prima conversazione, richiamato il contesto statunitense negli anni Sessanta, affronta gli eventi del ’68 a Berkeley, la politicizzazione, l’approdo all’impegno politico marxista radicale dentro lo scenario del movimento con le sue molteplici componenti, black, di classe, di genere, controculturali, generazionali, fino alla formazione dei gruppi. Di particolare interesse è la ricerca di contaminazione con le istanze di rivolta che provenivano da oltreoceano, dall’Europa. E’ singolare che mentre in Europa i giovani che in quella fase si mobilitavano, andavano alla ricerca di riferimenti teorici e controculturali oltreoceano, Loren Goldner faceva il percorso inverso cercando in Europa le risposte alle domande teorico-politiche inevase dal movement nordamericano. Come se la sua esperienza fosse volta più a portare certe suggestioni rivoluzionarie europee negli States che non a seguire il movimento contrario. Il ritmo di questa conversazione è sincopato, come se la narrazione seguisse gli alti e bassi del movimento, e delle aspettative di Loren. Così, nonostante i precoci segnali di crisi, in particolare con la dissoluzione dell’SDS4 , dopo le grandi speranze legate agli anni Sessanta, gli inizi anni Settanta sembrano un rilancio, sia del movimento contro la guerra sia con le lotte operaie spontanee, per poi dar luogo a un deciso mutamento di clima sociale all’irrompere della crisi economica.

La seconda conversazione torna in maniera più riflessiva sui nodi già toccati nella prima a proposito del lungo Sessantotto, inteso come i lunghi Sessanta5 non solo americani ma su scala internazionale, e sul nesso continuità/discontinuità rispetto alle esperienze storiche precedenti di assalto proletario al cielo, in termini di forme, contenuti e domande sollevate. Emerge qui un’interpretazione di questi nodi decisamente differente dalle correnti prevalenti allora nel movimento, se solo si pensa alla New Left o al gauchisme maoista o terzomondista. Chiara però è la percezione della cesura che quegli anni hanno segnato anche rispetto alle correnti rivoluzionarie anti-staliniste che con il Sessantotto hanno vissuto il canto del cigno malgrado la riproposizione nelle pratiche sessantottine di autonomia - che è la vera cifra del Sessantotto - di istanze in senso lato consiliariste. I limiti del movimento - così noi leggiamo le note di Loren - sono i limiti di una ripresa di classe che non riesce a misurarsi con le implicazioni del pieno passaggio al dominio reale del capitale o, in termini debordiani, allo spettacolo integrale; più che essere ancora segnata dal lungo ciclo della controrivoluzione, come per la Sinistra comunista italiana. Di qui la contraddittoria compresenza di manifestazioni di autonomia di classe nei comportamenti militanti immediati con l’incapacità di passare dalla critica pratica della produzione, e circolazione, immediata a quella della riproduzione sociale complessiva. Incapacità che svuota oggettivamente di significato rivoluzionario la rivendicazione del controllo operaio così come di ogni altro potere (studentesco, nero, femminile) separato dalla rimessa in discussione del meccanismo complessivo. Come questa rimessa in discussione fosse fattibile, il Sessantotto non l’ha mostrato - né poteva farlo, pensiamo - al tempo stesso è solo a partire dalle domande e dalle criticità sollevate ma soprattutto dalla onnilateralità di questa ribellione che potrà delinearsi la ripresa anticapitalistica del futuro. Insomma, il Sessantotto si presenta come un punto di non ritorno. È questo l’argomento decisivo, a nostro avviso, che colloca Loren Goldner oltre le sinistre comuniste. Sotto questa luce - in tutta la complessità di quella strana rivoluzione che ha saputo riproporre l’utopia concreta di una forma di vita alternativa al capitalismo senza poterla però realizzare - Loren appare un consiliarista senza Consigli, un rivoluzionario senza Partito, un oppositore del proprio imperialismo senza essere antimperialista terzomondista.

La terza conversazione vira sull’Asia. Dagli anni Novanta, infatti, di fronte al declinare della prospettiva di classe e al progressivo restringersi degli spazi politici dei movimenti radicali negli Stati Uniti e in tutto l’Occidente, Loren Goldner ha tentato di riposizionare la sua analisi a scala globale andando a investigare la contraddizione capitalistica nel continente in cui i fenomeni di proletarizzazione e di lotta stavano emergendo con forza. Ci torna più volte negli anni alla ricerca delle nuove forme che di volta in volta assume la lotta di classe. Descrive gli incontri, le discussioni, le pratiche. D’altro canto appare evidente che il nuovo ciclo di mobilitazioni in Asia Orientale non può replicare il ciclo che si è dato in Occidente durante gli anni Sessanta intorno alla figura dell’operaio massa della fabbrica fordista, se non altro per via delle nuove forme di accumulazione flessibile nelle quali va collocato. L’analisi non è dunque ingenua: l’investigazione delle tendenze della lotta di classe è sempre accompagnata dall’analisi del rapporto sociale di capitale.

La quarta conversazione, infine, offre spunti sugli aspetti di teoria marxista sviluppati da Loren Goldner in questi ultimi anni. Di rilievo il concetto di capitale fittizio con il quale egli descrive l’affermarsi del dominio reale del capitale a livello di riproduzione sociale complessiva. La conversazione richiama e sintetizza le tesi esposte nel libro su Il capitale fittizio6 . La ristrutturazione capitalistica e la lotta di classe come fenomeni irreversibilmente globali, affermatisi con e dopo il Sessantotto, tornano così al centro dell’analisi della cosiddetta finanziarizzazione, ma in un peculiare chiasmo per cui alla ricomposizione del capitale fa da contrappunto la frammentazione ancora non superata del proletariato. In tal modo anche la lettura dei lunghi Sessanta viene collocata all’interno della periodizzazione del rapporto di capitale, di cui segna una cesura fondamentale dalle implicazioni a tutt’oggi rilevanti.

Il testo della conversazione si chiude così su uno scenario, attuale ma con importanti rimandi di prospettiva, che è ancora quello del lungo post-Sessantotto. Anche per questo abbiamo scelto di far seguire, come a chiudere il cerchio, un testo in inglese di Loren sulla sua esperienza giovanile a Berkeley7 .

Molti i temi che sarebbero da discutere e approfondire ulteriormente, molti i confronti, per continuare a mettere a fuoco il significato di quella che a tutti gli effetti si è rivelata essere una cesura per il movimento operaio, per il movimento anticapitalista, per il marxismo, di cui ancora fatichiamo a prendere le misure. Il dibattito sulla natura del Sessantotto - rivoluzione fallita per il gauchiste o riuscita ma sul piano culturale e della mentalità di giovani e ceti medi per il progressista, spinta alla modernizzazione capitalistica per il sociologo struttural-funzionalista o addirittura viatico, più o meno stravolto, al neoliberismo per altri - è ovviamente ancora aperto, anche se fatica ad andare oltre una lettura sociologica o fenomenologica del moto antiautoritario degli studenti, della presa di parola dei nuovi ceti medi, della ribellione di operai e popoli oppressi della periferia e del loro problematico incontro.8 Altra cosa è provare a intrecciare quel processo-evento sul filo del tempo della tortuosa costituzione del proletariato in classe, in nesso dialettico con il capitale come rapporto sociale e non cosa o struttura. Sotto questa luce, ipotizziamo, il Sessantotto ha rappresentato la chiusura di un intero ciclo storico sia del capitale che del movimento proletario, all’altezza del passaggio alla piena sussunzione reale9 non solo del lavoro ma dell’intero rapporto sociale sotto il dominio del capitale. Uno spartiacque o, in termini hegeliani, un Knotenpunkt, un punto nodale che ha potuto, sì, essere in parte anticipato teoricamente dalle correnti eretiche del marxismo ma non affrontato adeguatamente sul piano pratico, e per ragioni non contingenti ma legate appunto alla sua natura di chiusura di tutta una configurazione del rapporto tra il proletariato, la sua identità e organizzazione distinte, la sua lotta al capitale nelle forme di affermazione dell’autonomia di classe, il controllo della produzione come obiettivo possibile - configurazione di cui gli eretici erano comunque parte. Così, dove si riallaccia alla continuità storica del movimento operaio, il Sessantotto la esaurisce; dove rompe con essa, sulla base delle nuove istanze di liberazione non rinchiuse in un mero economicismo, viene alla lunga riassorbito dal capitale, non senza un durissimo scontro. Di qui il suo paradosso, la sua tragicommedia tra rivoluzione impossibile e sussunzione effettiva. In questo processo simile al Quarantotto europeo, i risultati immediati non potevano che essere raccolti dal nemico, contro ogni attesa di subitanea ripresa di classe. Così come l’estensione della lotta a tutte le forme dell’alienazione, e non solo allo sfruttamento, non poteva non rovesciarsi nella separatezza delle singole questioni e identità dei nuovi movimenti sociali, divincolate dalla declinante identità operaia. L’alba in realtà era un crepuscolo. Necessario, in ogni caso, per portare a esaurimento il vecchio anche a costo di rafforzare transitoriamente il capitale. Non a caso, a distanza di cinquant’anni, appaiono complicate e ingarbugliate le prospettive di ripresa della lotta di classe. Nel mondo industriale fordista di fine anni Sessanta la ribellione muoveva contro l’autoritarismo disciplinare e modelli di vita seriali mettendo al centro delle proteste le istanze di liberazione del desiderio. Ma oggi, nel capitalismo flessibile digitale, le cifre fondamentali sembrano essere, in una paradossale ingiunzione, proprio l’autonomia, la creatività, la presa di parola come capacità di prestazione continua e pervasiva per le finalità del capitale. Molto più difficoltoso, dunque, individuare una controparte ed elaborare una prospettiva antagonistica quando i processi capitalistici si realizzano anche attraverso la partecipazione e non principalmente tramite logiche esterne o coercitive. Di qui quell’estrema frammentazione del tessuto sociale che vive, contraddittoriamente, della linfa dell’attivazione individuale. Altra faccia, oggi, della costituzione del marxiano individuo sociale ancora nascosto a se stesso, base potenziale di quell’universalismo empirico che solo una rivoluzione effettivamente internazionale potrà inverare.

Con questo, nessun problema concreto dell’oggi è non diciamo risolto ma anche solo impostato. Ciò cui queste conversazioni - e le note che fanno come da controcampo al testo10 - possono forse contribuire, è una rafforzata consapevolezza che il ricominciare quasi da zero, per il marxismo rivoluzionario, non è affatto in contraddizione con il recupero critico del passato della propria classe. Entrambe le cose essendo condizioni fondamentali per porre la domanda cruciale: quali le forme e i contenuti di un nuovo Sessantotto, probabilmente più spurio del suo antesignano, senza più progressismi possibili, senza più socialismi d’ostacolo?


Note
1 Da più parti è stata sottolineata la dimensione globale del Sessantotto. In Italia tra i principali testi che l’hanno messa in evidenza ricordiamo Guido Viale, Il Sessantotto, Mazzotta, Milano 1978; Nanni Balestrini, Primo Moroni, L'orda d'oro. 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, SugarCo, Milano 1988; Pier Paolo Poggio (a cura di), Il Sessantotto. L’evento e la storia, Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 1989; Peppino Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1998. Di recente ci torna Donatella della Porta in (a cura di) Il Sessantotto. Passato e presente dell'anno ribelle, Feltrinelli, Milano 2018.
2 In Francia, la pubblicazione in due volumi comprende una selezione dei suoi più importanti articoli. V. Yves Coleman (a cura di) Loren Goldner: Nous vivrons la Révolution, Vol. I (in corso di pubblicazione il secondo volume), Edition Mondialisme, Parigi 2009.
Qui di seguito le principali pubblicazioni in italiano (ma vedi la bibliografia selezionata in fondo al volume):
  • Loren Goldner, L’avanguardia della regressione, pensiero dialettico e parodie postmoderne nell’era del capitale fittizio, Ed. PonSinMor, Torino 2003.
  • Loren Goldner, Capitale fittizio e crisi del capitalismo, Ed. PonSinMor, Torino 2007.
  • Loren Goldner, La classe operaia coreana: Dallo sciopero di massa alla precarizzazione ed alla ritirata, 1987-2008, in Devi Sacchetto e Massimiliano Tomba (a cura di), La lunga accumulazione originaria. Politica e lavoro nel mercato mondiale, Ombre corte, Verona, 2008, pp. 157-176.
3 Con l’accordo di Loren e di Paul che hanno riletto il testo.
4 Vedi oltre nel testo, in particolare la nota 74.
5 Di ciò discute diffusamente Bruno Cartosio ne I lunghi anni Sessanta: movimenti sociali e cultura politica negli Stati Uniti, Feltrinelli, Milano 2012.
6 Capitale fittizio e crisi del capitalismo, op. cit.
7 Scritto per la special issue di Insurgent Notes dedicata al Sessantotto. IN è la rivista online statunitense di tendenza comunista di sinistra fondata da Goldner con diversi compagni internazionalisti nel 2010: v. insurgentnotes.com.
8 Ci riferiamo comunque ai livelli alti del dibattito accademico, esemplificati da Morin, Touraine, Tarrow, Boltanski.
9 Che non significa la scomparsa di forme di sussunzione formale o ibrida, secondo quella che sarebbe una visione lineare e meccanica.
10 Redatte da Loren Goldner dove indicato come nota di LG, e dai curatori dove non specificato, come ausilio alla ricostruzione della ragnatela dei riferimenti storico-politici e teorici presenti nel testo.

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