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liberazione

Sei un ponte sconnesso, ma sei il solo ponte...

di Rossana Rossanda

Rossanda si rivolge alla grande “S” cioè alla Sinistra fatta dai 4 partiti

antoniolatrippaCaro Sansonetti, se la grande S si è impantanata su una legge elettorale darebbe ragione a chi ci ha creduto poco. Non è la prima volta che il tema “elezioni” manda in tilt qualsiasi progetto sui tempi medi. Ne ha fatto esperienza il manifesto nel 1972, poi nel 1976. E’ per questo che Rifondazione ha mandato a picco la Camera di consultazione di Asor Rosa. E su questo adesso l’inciampo viene dal Pdci.

Nel caso di piccoli partiti non è misera voglia di poltrone: è il timore di diventare invisibili, cessare di esistere come i grandi partiti non nascondono di sperare. La stessa base militante esige una lista, dimostrando quanto sia ancora contraddittorio il bisogno, teorizzato al meglio da Tronti, di “andare oltre la democrazia”, che è poi quella “rappresentativa”. E sarà così, penso, finché non sarà chiaro come “andare oltre” senza riprodurre i “socialismi reali”; perché, oggi come oggi, altro non conosciamo.

Intanto nessuno dei quattro partiti in campo si fida che l’altro ne garantisca le ragioni di esistenza. Soltanto Rc è ragionevolmente certa di passare lo sbarramento di una proporzionale; toccherebbe ad essa dunque di garantire le altre, facendo qualcosa di comprensibile dell’attuale slogan “unità plurale”.

Non è semplice e non è soltanto - come mi sembra tu scriva - una questione di metodo.

Certo è anche di metodo, se gli Stati Generali sono stati organizzati in modo da autorappresentare pubblicamente solo i quattro – Mussi, Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio.

Neppure il lavoro dei workshop è stato portato all’assemblea generale. Le donne si sono sentite ancora una volta escluse. La verità è che gli attuali gruppi politici non conoscono che questo modo di esprimersi, specie se non sono già ferreamente uniti, pochi che parlano a molti o una specie di happening. Neanche le donne sanno come stare assieme quando la pensano diversamente. Tutti riflettiamo ancora quello che Gramsci chiama “spirito di scissione” con il quale nascono le posizioni innovative, e stentiamo a far esprimere e fare esprimere il bisogno che porta altri attorno a noi e noi a tentare di rompere i nostri confini. E anche a tollerarci: il Pdci si vuole fedele ad alcuni “socialismi reali” e all’ultimo (o penultimo) Pci. Io non lo credo utile. Ma non prenderei per pura fisima identitaria il suo timore che, sgomberati “i comunisti” e le relative falci e martelli, esca di scena la stessa idea di rivoluzione - anche non in armi, anche non violenta, anche la più soave - ma che non sia una resa all’assetto sociale esistente. Finora è andata così.

A proposito, la S quale trasformazione reale persegue? Diciamocelo. Non basta che tu scriva: oggi non è sufficiente il lavoro, ci sono altri bisogni, il movimento delle donne, l’ecologia, la pace, eccetera. Che intendete per “il lavoro”? I “lavoratori”, i salariati più visibili e raggruppabili, gli operai insomma, forse qualche categoria impiegatizia o tecnica, da qualche tempo gli inafferrati “precari”, gli autonomi - come se oggi gli uni non precipitassero sugli altri, andata e ritorno, figure sociologiche ogni tanto affogate e ripescate. Diciamoci la verità, c’è stato un decennio di cancellazione del salariato, salariati, identificati con la fabbrica e quando questa è fisicamente diradata o scomparsa, via anche loro. Non c’è più la fabbrica di “Tempi moderni”, non si vedono più uscire assieme gli operai, non ci sarà più la contraddizione fra capitale e lavoro. Non è casuale che i ragazzi del 1968 di Torino non si siano visti ai funerali dei morti della Thyssen a Torino. Non è stata innocente neanche la variante “i lavori” al posto del “lavoro”. Voi stessi, Rc, in uno degli ultimi congressi lo avevate rimosso, il famoso lavoro, come residuale fra altre e più sentite “soggettività”. Più di una femminista mi ha detto “il lavoro non mi interessa”. Più di un professore: “non interessa ai giovani”. Più d’un compagno scuote la testa: “Gli operai non ci sono più”. Sparita la primazia della fabbrica, è scomparso dalle menti il lavoro salariato, o dipendente, o eterodiretto. Rinaldini ghepardo, specie in estinzione. E invece il salariato non è mai stato così esteso, dal manovale alla famosa “mano d’opera” (o cervello d’opera) del capitale cognitivo. Com’è questa faccenda?

Direte: ma quella ha in testa sempre il sistema, il modo di produzione, il capitale, Marx. E’ vero. E voi che cosa avete invece, quando parlate di globalizzazione? e ne parlate tutti?

Non si i tratta di allungare l’elenco dei bisogni, ma di capirne i nessi. Quasi nessun fenomeno oggi è del tutto dipendente ma nessuno del tutto indipendente dal modo di produzione. Salvo la questione dei sessi. Millenaria, ha attraversato civiltà precapitaliste, capitaliste e postcapitaliste. E non come differenza fra i sessi ma come gerarchia, di un sesso sull’altro, rassegnando al maschio il potere pubblico e fingendo di attribuire alla donna il governo del privato. L’ultimo femminismo ha messo in luce la frode. Come contate di metter il problema in agenda? Agli Stati Generali c’è stato un incidente. Che rispondi a Melandri, la quale ti scrive «non ci vedete e non ci rappresentate perché il vostro, dei politici, è un modo di conoscere razionale e maschile, che sottovaluta, nasconde a se stesso, il terreno e il linguaggio delle emozioni, del corpo, che è nostro?». Io, da parte mia, dubito che le due forme di conoscenza siano sessuate e divisibili, mi pare un’approssimazione costruita dalla storia, e perdipiù europea. Dubito che si farà un passo avanti finché noi, le donne, diremo ai maschi: Riconoscete che il potere, asse della politica, comincia da quello del maschio sulla femmina (Marx ed Engels lo avevano detto della proprietà, che nel caso è lo stesso). E finché voi, uomini, risponderete: a) ma io non c’entro, b) questa è un’altra storia. E’ sicuramente un’altra storia, ma non una fra le altre, e non ne siete esenti.

Concludo. La famosa “unita plurale” si fa entrando nel merito. Il “metodo” è solo andare subito al massimo di unità d’azione, non rompere finché non ci si è arrivati (cosa per la quale non basta una maggioranza) e nel contempo avanzare subito una o più analisi, e quindi obbiettivi a medio e lungo termine, verificando se tengono e ci tengono assieme. Questo non siamo capaci di fare da quaranta anni in qua. Se lo ammettessimo e vi ci mettessimo subito - domani mattina? - avremmo più attenzione, anche più pietà, l’uno per l’altro, l’una per l’altra.

E anche meno pretese. Alla grande S direi: avanzate una trama, esponetevi, avendo chiaro in testa che c’è stata l’alluvione, che siete un ponte, e anche un po’ sconnesso, ma il solo in vista. Non siete “la” soluzione. Prendetevi sul serio come passaggio, finitela di chiuderlo a ogni momento. Neanche assieme fate una maggioranza, ma isolati non siete niente.

O no?

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