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sinistra

Nuovo municipalismo e vecchi merletti

di Cosimo Scarinzi

L'esperienza del movimento No-Tav a confronto con quella del sindacalismo di base e dei nuovi movimenti sociali. Una riflessione necessaria

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Mi è sovente capitato di rilevare che ogni accadimento sociale rilevante è interpretato da ogni soggetto politico in qualche misura coinvolto, e la considerazione vale, questo va da sé, anche per chi scrive, sulla base di paradigmi sedimentati nel tempo oltre che, ovviamente, di personali propensioni, pregiudizi, convincimenti non necessariamente pienamente consapevoli.

Non voglio, sulla base di questa banale considerazione, negare la funzione di rottura, innovazione, produzione, in senso positivo o negativo, di crisi dei movimenti sociali stessi, al contrario, ma porre l'accento su di una dialettica complessa ed interessante che contribuisce alla trasformazione e ridefinizione della prassi intesa, compiutamente, come attività volta alla trasformazione e, perché negarlo?, al sovvertimento dell'esistente.

Credo che quanto ho sinora affermato valga in maniera evidente, per stare all'oggi, per il movimento No Tav. Una mobilitazione di massa, fortemente legata ad una vicenda locale ma capace di porre problemi generali, nella quale si è intrecciata la difesa dell'ambiente e quella delle libertà politiche e sindacali, la discussione su chi avesse titolo per decidere sulle scelte che riguardano una popolazione e quella sulla struttura della spesa pubblica è, nei fatti, un vero e proprio laboratorio sociale che suscita passioni, energie, speranze, reti di relazioni a livello nazionale ed internazionale.

Per me, senza attribuire troppo peso ai miei convincimenti ed alle mie vicende, è stato assolutamente rilevante l'occasione che ho avuto di riflettere sulla dialettica fra settori della comunità scientifica e movimenti, sul rapporto fra contraddizioni interne alla classe politica e spazi che si aprivano all'azione di massa, sull'intreccio fra movimento dei lavoratori e questione ambientale, sul nesso fra rivendicazione di tradizioni ed identità locali e apertura al confronto con soggettività ed esperienze diverse.

 

Credo che su quest'ordine di problemi sia importante che i compagni e le compagne d'orientamento libertario sviluppino una discussione approfondita e, soprattutto, un intervento durevole nel tempo e, nella misura del possibile, coordinato.

Ritengo anche che valga la pena di ragionare su come la vicenda della Valle di Susa, e non solo, abbia pesato nella discussione politica in aree diverse dalla nostra sia che si tratti di settori di movimento con i quali si può condurre un'azione comune sia che si tratti di segmenti della classe politica e, in genere, di quella che possiamo definire la classe dell'inquadramento.

In particolare, ho la sensazione che valga la pena di tenere d'occhio quanto sta avvenendo in settori minoritari ma non marginali (1) della sinistra istituzionale anche in considerazione del fatto che, con ogni probabilità a breve le sinistre governeranno, oltre a molte regioni, province e comuni, il paese.

Mi riferisco ad un'area che va dai Disobbedienti ai settori maggioritari dell'Unione passando per il PRC e per i Verdi e che potremmo definire neofederalista o municipalista.
Non si tratta, con ogni evidenza, di un nuovo partito ma di una rete di amministratori, intellettuali, sindacalisti, quadri di partito, leader di movimento che iniziano a parlare un linguaggio comune ed a dotarsi di una comune progettualità.

Ho avuto modo, in occasione di un'assemblea svoltasi a Condove in preparazione della marcia contro il ponte sullo Stretto di Messina di ascoltare una serie d'interventi che riassumevano l'orientamento di cui tratto e di notare sia alcune simiglianze con la proposta libertaria che alcune, importanti, differenze.

Per evitare equivoci, non è mia intenzione denunciare l'ennesima “appropriazione indebita“ del discorso libertario, sono, infatti, serenamente convinto che esistono correnti di pensiero federaliste che non è il caso di ricondurre al comunismo libertario e, soprattutto, sono convinto che ad un'ipotesi rivoluzionaria non si aderisca in maniera inconsapevole. In altri termini, vi sono evidenti differenze fra ipotesi democratico radicale ed ipotesi anarchica e, di conseguenza, non si tratta di denunciare equivoci ma di chiarire posizioni politiche.
Per fornire una prima, provvisoria, definizione del municipalismo solidale che settori della sinistra stanno proponendo, utilizzerò il saggio di Alberto Magnaghi “Il nuovo municipio: un laboratorio di democrazia partecipativa per una economia solidale” (2) che mi sembra ne riassuma bene l'impianto.


Il referente sociale

Magnaghi lo definisce con chiarezza: “La composizione sociale dei nuovi movimenti che si sono affacciati sulla scena globale negli ultimi anni è profondamente diversa da quella che caratterizzava il “dualismo antagonista” delle classi nella società industriale matura e che connotava la profonda estraneità della classe operaia industriale rispetto ai fini della produzione: si tratta oggi di un multiverso di differenti componenti sociali (nel terzo come nel primo mondo) composto da: agricoltori che ricostruiscono un rapporto di cura con la terra, la qualità alimentare, l'ambiente, il paesaggio e attivano relazioni di scambio conviviale con la città; associazioni femminili che sperimentano simboli e luoghi comunitari fondati sulla relazione di genere; sindacati che affrontano la ricerca di qualità dei processi produttivi e dei prodotti; associazioni ambientaliste e culturali che praticano forme capillari di difesa e cura dell'ambiente; aggregazioni giovanili che realizzano spazi pubblici e sociali autonomi; movimenti etnici che perseguono il riconoscimento delle identità linguistiche, culturali e territoriali; migranti che costruiscono nuovi spazi di cittadinanza e di scambio multiculturali; imprese produttive e finanziarie a finalità etica, ambientale e sociale; associazioni per l'autoconsumo, il consumo critico e l'acquisto solidale; reti del commercio equo e solidale; ampi settori del volontariato, del lavoro sociale, dei servizi e del lavoro autonomo, che creano reti di scambio non monetario e non mercantile, e così via.”

Ho avuto modo, ragionando su questo paradigma con autorevoli compagne e compagni nostri, come me impegnati nella lotta contro la TAV, di notare che la proposta di un “multiverso”, magari non proprio quello proposto da Magnaghi ma in ogni modo un multiverso, non dispiace loro. Anzi, in maniera simpaticamente burlesca, la mia attenzione alla contraddizione fra capitale e lavoro veniva, in queste discussioni, definita come una forma d'operaiolatria. Senza, in questa sede, riprendere una vecchia questione, m'interessa segnalare il fatto che, al centro della riflessione di Magnaghi vi sono le categorie d'estraneità e di qualità. I nuovi soggetti del federalismo solidale si caratterizzerebbero per la loro natura di produttori di beni e servizi, di relazioni e di senso. Non più negazione dell'esistente ma costruttori di una sorta d'universo parallelo rispetto a quello dominante, mercantile e statale.

E, come logica conseguenza, con l'estraneità scompare l'antagonismo e, quindi, ogni prospettiva di rottura radicale.

Dal punto di vista empirico, quello che ritengo più fecondo, non si tiene conto del carattere povero, ripetitivo, alienato del lavoro nella società attuale, un lavoro non riconducibile meccanicamente, questo è evidente, al tradizionale lavoro operaio ma non per questo “liberato”, anzi…

E, se il lavoro, non è, né può essere, sulla base delle attuali relazioni sociali effettivamente libero ne consegue che la sua liberazione non può che avvenire passando per una pratica di negazione delle gerarchie attuali e di espropriazione degli espropriatori.

Pensare che possa essere volto alla qualità ed alla socialità dentro le attuali relazioni sociali significa, probabilmente in buona fede, pensare che al lavoro concreto delle donne e degli uomini effettivamente esistenti si possa estendere il carattere, parzialmente, emancipato, del lavoro di ricerca dello stesso Magnaghi.

Piccolo è bello?

Facciamo parlare sempre Magnaghi: “….associazioni sociali, ambientali e culturali; rappresentanze degli agricoltori, dei commercianti, delle piccole e medie industrie, degli artigiani, del capitale finanziario, privilegiando gli attori che consentono di praticare delle politiche sulla produzione orientate all'autosostenibilità e all'equità sociale; dando peso e priorità a questo fine alle intraprese economiche e finanziarie (in particolare artigianato e microimpresa, sistemi produttivi a base locale, aziende di economia sociale, terzo settore, no profit, cooperative, ecc) che si pongono finalità etiche, di valorizzazione ambientale e sociale, di costruzione di reti di solidarietà e reciprocità; che selezionano la qualità e tipicità dei prodotti per un consumo etico in relazione alla valorizzazione durevole dei giacimenti patrimoniali locali; riducendo progressivamente in questo modo i poteri contrattuali delle imprese di profitto.”

Se il comunismo libertario è un progetto di non facile realizzazione, per usare un eufemismo, la riduzione progressiva del potere contrattuale delle imprese volte al profitto mi sembra al limite del surreale. Un capitale finanziario volto a favorire finalità etiche della produzione è un ossimoro concettuale e sociale straordinario. Dietro la favola bella del capitalismo dolce si nasconde, male, la scoperta di occasioni di profitto determinate dal crescente interesse per prodotti ecologici, ambienti salubri, oggetti di qualità. Ancora una volta evitiamo equivoci, non sono per nulla un cultore della produzione industriale di serie e dell'estetica della grande fabbrica. Si tratta solo di capire di cosa si ragiona. Il modo di produzione capitalistico, infatti, non è, non è mai stato e mai sarà solo la grande industria fordista. Ciò che lo caratterizza è la ricerca del profitto e se la produzione di lardo di Colonnata e tome della Valle di Susa dà profitto nessuna impresa capitalistica seria si tirerà indietro.

In estrema sintesi, il referente sociale del nuovo municipalismo sono i cosiddetti ceti medi riflessivi, un aggregato di lavoratori autonomi e dipendenti, di professionisti e di imprenditori che vivono crescenti contraddizioni nei confronti delle oligarchie politiche e sindacali, industriali e finanziarie dominanti.

A mio avviso, si tratta di una contraddizione reale ed interessante perché apre contraddizioni nel blocco dominante, oppone una sorta di democrazia ideale alla democrazia realmente esistente e pone all'attenzione questioni quali quella ambientale che il movimento operaio tradizionale aveva sottovalutato.

Detto ciò, vi è nel discorso municipalista solidale una dimensione illusoria quando pretende di eludere, per un verso, la questione dell'espropriazione dei mezzi di produzione e, per l'altro, di sospingere sullo sfondo la rivolta degli esclusi, quegli esclusi che hanno dato una, corposa, prova di esistenza, con la recente rivolta delle banlieue francesi.

Credo, di conseguenza, che vadano assunte le questioni che questa corrente pone ma che si debba avere il coraggio intellettuale e la determinazione di collocarle in una prospettiva più ampia e radicale, l'unica, a ben vedere, realista.

Note

   1. Non marginali perché pongono, in chiave istituzionale e riformista, problemi reali – quali quello della crisi della rappresentanza – alla stessa cultura tradizionale della sinistra parlamentare.
   2. Dal n. 2 di MAUSS – Quale “altra mondializzazione”?, a cura di Alain Caillé e Alfredo Salsano, Bollati Boringhieri, Torino 2004.

 

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