Il Reaganismo, la Curva di Laffer e la Flat Tax
Alcune considerazioni realistiche
di John Komlos1 e Salvatore Perri2
Presentiamo un saggio degli economisti, professori John Komlos e Salvatore Perri, che pone una serie di interrogativi sui conclamati effetti positivi della politica economica adottata negli Stati Uniti dal presidente Ronald Reagan negli anni ’80. I prevalenti toni di ammirazione per quelle teorie – egli fu comunque un grande Presidente – vanno forse ridimensionati, solo a por mente agli effetti reali sugli investimenti e sulla redistribuzione dei redditi che l’applicazione di quei principi generò – e continua a generare – sull’economia mondiale
Abstract. I partiti e i movimenti sovranisti che stanno salendo alla ribalta in gran parte dei paesi occidentali hanno come comune denominatore, di politica economica, la proposta di una riduzione generalizzata delle tasse sulla scorta delle ipotesi teoriche di Arthur Laffer. I tagli delle tasse alle classi più abbienti così come sperimentate negli Stati Uniti da Ronald Reagan e come applicate anche oggi da Donald Trump, vengono riproposte in altri termini sotto forma di regimi fiscali forfettari come la “Flat Tax”. I limiti di questa proposta risiedono proprio negli effetti a lungo termine che tali politiche hanno avuto sul tessuto sociale ed economico statunitense, nell’evanescenza, ai limiti dell’irrealismo, delle ipotesi teoriche su cui si fonda la curva di Laffer e nei possibili effetti catastrofici che una tale politica potrebbe avere sui conti pubblici di un paese indebitato, come l’Italia. Promettere meno tasse può portare consensi politici nel breve periodo, ma non è detto che non sia foriero di disastri economici nel lungo.
Riduzioni delle tasse e crescita tra mito e realtà
Le proposte di riduzione generalizzate delle tasse caratterizzate dallo slogan “meno tasse per tutti” hanno sempre rappresentato un formidabile catalizzatore di consensi nelle campagne elettorali dei paesi occidentali.
La ragione di un tale approccio da parte dell’elettorato è molto semplice, ognuno è convinto di pagare troppe tasse in quanto ogni soggetto, a torto o a ragione, è convinto di utilizzare servizi pubblici in misura inferiore di quanto egli versi in termini relativi. Pertanto la politica ha gioco facile nell’offrire rappresentanza ad istanze che coinvolgono una platea elettorale così vasta, che va dai lavoratori autonomi fino ai pensionati.
Sul piano delle proposte di politica economica sono stati affermati nel tempo diversi meccanismi di trasmissione attraverso i quali la riduzione generalizzata delle tasse avrebbe determinato i suoi effetti benefici in termini di crescita economica. Il primo argomento è quello secondo cui la riduzione delle tasse aumenterebbe provocherebbe un aumento dei consumi, ma questo argomento si scontra inevitabilmente con due limiti teorici insormontabili. Il taglio delle tasse, generalizzato, avrebbe effetti diversi sui diversi segmenti della popolazione, le classi povere guadagnerebbero poco mentre le classi agiate guadagnerebbero di più (Rotschild 1982). I ricchi hanno una propensione a consumare che è mediamente inferiore a quella delle classi povere, di conseguenza, anche un notevole taglio delle tasse potrebbe avere effetti modesti sui consumi. Se l’obiettivo fosse il rilancio dei consumi aggregati, sarebbe più efficiente aumentare gli stanziamenti pubblici verso le classi disagiate appunto perché hanno una propensione maggiore a consumare3.
Se la riduzione lineare delle tasse potrebbe non favorire i consumi potrebbe invece stimolare gli investimenti? L’argomento in questo caso riguarda i profitti degli imprenditori, se un imprenditore pagasse meno tasse potrebbe investire sull’innovazione della sua azienda oppure in ultima istanza aumentare i salari dei propri lavoratori. Ma nemmeno questa relazione è scontata, si dà il caso che la componente degli investimenti insensibile rispetto ai tassi di interesse4 dipenda da motivazioni molto profonde. I così detti “spiriti animali” dell’imprenditore si mettono in moto quando si intravedono nuovi mercati, nuovi prodotti, prospettive di profitto derivanti da scelte strategiche innovative. Se nessuna di queste condizioni si manifesta, può una semplice riduzione delle tasse giustificare questo cambio di prospettiva? Probabilmente no, se il contesto rimane immutato. La somma derivante dalla riduzione delle tasse potrebbe essere accantonata, investita altrove in titoli, o spostata all’estero sotto forma di investimento finanziario.
Di fatto, dal punto di vista della teoria economica, non esiste un automatismo fra la riduzione delle tasse “per tutti” e la crescita economica, inoltre è certo che la riduzione delle tasse peggiora lo stato del bilancio pubblico, almeno a breve termine, e questo non sembra affatto una buona ragione per applicarla. Ed è proprio per questo motivo che assume grande rilevanza in questo dibattito la Curva di Laffer. Secondo la teoria di Arthur Laffer (1981), il gettito fiscale avrebbe un andamento prima crescente e poi decrescente, pertanto basterebbe calibrare l’aliquota al livello che massimizza le entrate complessive. Se il livello della tassazione fosse superiore al livello ottimale si potrebbe quindi ottenere il risultato miracoloso di ridurre la tassazione aumentando il gettito, in questo caso la critica principale al taglio delle tasse sarebbe superata definitivamente, in quanto provvedimenti come la “flat tax” finirebbero per autofinanziarsi, ma è andata veramente così?
Il Reaganismo ed i suoi effetti a lungo termine
Il periodo delle presidenze di Ronald Reagan viene ricordato spesso nel dibattito odierno come esempio fulgido di efficacia nelle scelte di politica economica. Crescita e riduzione della disoccupazione, tutto determinato dalle politiche di riduzione delle tasse. Ma è veramente questa l’eredità storica del Reaganismo? Analizzando i dati la risposta è decisamente no. L'impatto socio- economico della Reaganomics può essere considerato deleterio a lungo termine per la società statunitense (Komlos 2019). Vi è evidenza empirica del fatto che le riduzioni delle tasse del 1981 e del 1986 non hanno avuto un effetto positivo durevole sulla crescita economica. Il PIL è tornato al suo potenziale ma non ha accelerato oltre i tassi raggiunti nei decenni precedenti o successivi. Le ipotesi teoriche che dovevano sostenere dal lato dell'offerta non si sono concretizzate. Le persone non hanno aumentato l’offerta di lavoro, non sono aumentati i saggi di risparmi e nemmeno quelli degli investimenti. I benefici sono andati quasi esclusivamente a coloro che avevano un reddito alto5 ed altissimo, e non sono “ridiscesi” verso le classi meno abbienti, come le ipotesi di Laffer postulavano.
La presidenza di Reagan è stata uno spartiacque nello sviluppo economico degli Stati Uniti, ma in senso negativo, in quanto ha invertito molti dei successi del New Deal e ha inaugurato un'era in cui i salari dei lavoratori con un basso livello di istruzione hanno iniziato un lungo periodo di declino. La sua vera eredità è la nascita anche negli Stati Uniti di un’economia duale che ha gradualmente accompagnato la classe media fuori dall’agenda politica, grazie ad un quadro normativo più favorevole alle imprese per Wall Street, le cui conseguenze deleterie si sono viste nelle crisi finanziarie recenti.
L’ultima e forse più istruttiva eredità del Reaganismo, è il poderoso aumento del debito pubblico che è passato dal 30% al 50% del PIL, aumento che ha posto le basi per gli aumenti successivi che lo hanno portato oltre il 100% nel 20126.
E oggi? Donald Trump ha varato ulteriori provvedimenti fiscali a favore delle classi agiate sempre sulla base degli stessi presupposti, favorire gli investimenti, in realtà del taglio delle tasse solo il 20% sarebbe andato in investimenti, il resto incamerato dai beneficiari (Kopp et al. 2019). Inoltre esistono autorevoli opinioni secondo le quali gli interventi di Trump avrebbero frenato la crescita anziché favorirla (Pressman 2019).
I potenziali effetti della Flat Tax in Italia
Si è detto, al netto delle ricostruzioni fantasiose ed artefatte, che l’eredità del Reaganismo è molto controversa. La riduzione delle tasse per i ceti alti ha lasciato in eredità un debito pubblico raddoppiato, la crescita delle disuguaglianze ed una profonda divaricazione sociale che ha cambiato, forse in maniera permanente, l’intera società americana (Komlos e Perri, 2019). Ma gli Stati Uniti possono essere considerati un caso anomalo? Può la Curva di Laffer funzionare altrove? Giampaolo Galli e Luca Gerotto7(2019), analizzando gli studi scientifici disponibili dimostrano che non esistono evidenze empiriche attendibili che confermino la teoria di Laffer.
Di fatto, una eventuale Flat Tax, andrebbe finanziata dalla fiscalità generale perché non sarebbe in grado di “autofinanziarsi”. Quindi il taglio delle tasse può essere anche possibile, se si è consapevoli che gli effetti certi in prima battuta sono una riduzione delle entrate fiscali che può portare solo a tagli di spesa o ad aumenti del debito pubblico.
E quindi quali potrebbero essere i potenziali effetti di un taglio delle aliquote fiscali per i ricchi o di una Flat Tax in Italia? Si è detto che la riduzione “per tutti” ha un effetto positivo inferiore sui consumi rispetto ad una politica redistributiva, una riduzione delle tasse mirata sui ceti medio bassi costerebbe di meno ed avrebbe un effetto sicuramente maggiore sui consumi. Sappiamo che i consumi interni in Italia sono proprio il segmento che ha subito maggiormente gli effetti della crisi economica e stanno trascinando al ribasso il tasso di crescita del PIL. E sugli investimenti? Si è già detto che gli investimenti autonomi dipendono dalle prospettive di profitto. Una riduzione delle tasse che avvantaggiasse l’imprenditore, in questo momento storico in Italia, genererebbe assunzioni o nuovi investimenti? Per quanto riguarda il mercato del lavoro stiamo affrontando una fase in cui le imprese utilizzano maggiormente il Part-Time involontario e le altre forme di flessibilità previste dalla legge. In una fase di stagnazione, con una domanda interna asfittica, appare improbabile che un risparmio sulle tasse si concretizzi in espansione produttiva e quindi in assunzioni. Molto più probabile che l’imprenditore usi questo bonus alla maniera dei “soldi intelligenti”, investendo in attività finanziarie a scopo precauzionale.
In buona sostanza, oltre la retorica, quello che potrebbe accadere con una Flat Tax all’italiana, sarebbe un peggioramento epocale dello stato dei conti pubblici nell’immediato, con ritorni improbabili nel lungo. Considerando anche la situazione del debito pubblico, e la rischiosità del sistema Italia nel suo complesso (incluso il settore bancario) è veramente arduo sostenere che un taglio delle tasse in deficit possa essere definito un atto di coraggio, quando appare invece essere un atto di incoscienza8.
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