
Dall'Occidente in crisi al modello cinese: la via socialista nel XXI secolo
di Giambattista Cadoppi
Paolo Botta: Cos’è lo stato. Capitalismo, socialismo e democrazia nel XXI secolo. Rogas, 2025, Prefazione di Thomas Fazi. € 19.70
Il poliziotto del mondo potrebbe essere occidentale, ma il maestro del mondo, come è stato per millenni, risiede ancora in Oriente.
Andrew Hughes (2008)
Il saggio di Paolo Botta “Che cos’è lo stato” analizza con grande lucidità la crisi strutturale del capitalismo contemporaneo e la ridefinizione dello Stato come attore centrale nella regolazione dei processi economici, sociali e tecnologici del XXI secolo. L’autore sviluppa una prospettiva originale che intreccia critica marxiana, analisi geopolitica e riflessione sulle nuove forme di socialismo, ponendo particolare attenzione all’esperienza cinese come paradigma alternativo alla crisi occidentale.
Questo saggio si configura come un'opera di fondamentale importanza per la comprensione delle dinamiche socio - politiche contemporanee. L'autore non si limita a commentare l'attuale crisi dello Stato - nazione, ma procede a una ricognizione teorica radicale dei concetti di Potere, Politica e Stato. Il risultato è una tesi audace e ben argomentata: lo Stato non è affatto in declino, ma ha semplicemente rimodulato la sua sovranità e il suo protagonismo, spesso nascondendoli dietro le narrazioni ideologiche della globalizzazione e del neoliberismo. L'intero impianto logico, che culmina nell'analisi della strategia statale, compresa quella sulle diverse forme di socialismo, è di un rigore ammirevole e di una pertinenza ineguagliabile.
I. Il decostruzionismo metodologico: superamento dei falsi miti. Il fraintendimento dello Stato e il Mito antistatalista
Il punto di partenza è la critica al mito anti - statalista che ha dominato il dibattito occidentale dal Trattato di Maastricht in poi.
L'autore espone chiaramente come la narrazione neoliberale abbia dipinto lo Stato come un'entità inefficiente e corrotta, responsabile del fallimento del "compromesso keynesiano" (1945 - 1975), con l'intento di proclamare l'autonomia e l'intoccabilità dell'economia.
Il saggio capovolge questa prospettiva con fermezza. L'autore sostiene che questa non è una "reale marginalizzazione", ma un "ripensamento del suo ruolo", uno spostamento strategico delle sue funzioni. La presunta impotenza dello Stato è definita un mero "auspicio" ideologico, mentre a livello concreto il suo "protagonismo" è rimasto inarrestabile.
Dalla Globalizzazione come alibi alla visione pan - politica
La critica si estende al concetto di globalizzazione, smascherato come una "giustificazione razionale" (alibi) per imporre la riduzione dell'intervento pubblico e l'adeguamento delle politiche del lavoro alla "concorrenza internazionale" basata sui bassi salari. La globalizzazione, lungi dall'essere un movimento spontaneo, è presentata come il risultato di un "di segno" consapevole dei maggiori poteri internazionali.
Per contrastare gli approcci scientifici insufficienti (monofattoriale e multifattoriale), l'autore propone una "visione pan - politica della società". In quest'ottica, lo Stato è un'"entità strettamente e oggettivamente riscontrabile" e un "fenomeno puramente politico", distinguendosi dalla politica popolare (partiti, sindacati, movimenti sociali). La sua centralità deriva dal monopolio della forza (secondo Weber) e da una sovranità che, si afferma, è distinta da quella popolare. Questa distinzione non è un esercizio astratto, ma la chiave per comprendere le sue performance strategiche.
II. Lo Stato e l'economia: il capitalismo come fenomeno politico
Uno degli aspetti più notevoli dell'analisi è il modo in cui il saggio demolisce l'idea di un capitalismo unitario e autonomo che determina in ultima istanza le scelte politiche. L'autore argomenta che il capitalismo non può essere considerato un "soggetto politico unitario" a causa della sua intrinseca non - unitarietà organizzativa e dei conflitti interni.
Al contrario, lo Stato, in virtù della sua fisionomia omogenea, esercita un'"influenza molto forte" sul modo di produzione capitalistico. La domanda cruciale che emerge è: il capitalismo assume forme differenti nei diversi contesti politici (e quindi statu ali) entro i quali è costretto ad agire? La risposta è affermativa. Il saggio sottolinea che il capitalismo, con un approccio puramente liberista e anti - interventista, non esisterebbe come tale. L'intervento statale non è un'anomalia, ma la condizione sine qua non del sistema.
Il Neo - assolutismo e la crisi della democrazia liberale
A riprova della centralità e dell'autonomia dello Stato, l'autore introduce il concetto di "neo - assolutismo". Esso descrive un processo di accentramento dei poteri negli Stati occidentali, dove la sovranità dello Stato prevarica quella popolare, depotenzializzando la politica democratica e lo Stato costituzionale. Il neo - assolutismo è una "condizione permanente" degli Stati occidentali, simile concettualmente, ma più pervasiva dello "Stato d'eccezione" (Schmitt/Agamben)1 professando ideali democratici e liberali, mantenga il controllo strategico attraverso apparati autonomi e scelte che non sono sempre rintracciabili nel dibattito parlamentare.
Questo dimostra come lo Stato, pur professando ideali democratici e liberali, mantenga il controllo strategico attraverso apparati autonomi e scelte che non sono sempre rintracciabili nel dibattito parlamentare.
III. L'analisi del Socialismo: tattica e progetto
La sezione dedicata alla natura delle politiche keynesiane e socialiste rappresenta l'apice dell'originalità del saggio. L'autore distingue nettamente tra due tipi di adozione del socialismo, basati sulla logica strategica dello Stato:
A. Il socialismo provvisorio (o tattico)
Il saggio classifica le politiche adottate dagli Stati occidentali (come il "compromesso keynesiano" del dopoguerra) come "socialismo provvisorio". Questa etichetta è un riconoscimento del fatto che tali politiche, pur essendo socialiste nei contenuti (piena occupazione, crescita salariale, massiccia presenza dello Stato nei settori strategici), erano destinate a essere abbandonate.
Lo Stato le adottò non per convinzione ideologica, ma per necessità strategica. Furono la risposta all'esigenza di ottenere il consenso popolare dopo l'esperienza bellica. Inoltre, fornire un modello alternativo al "socialismo reale" in un contesto di Guerra Fredda (fattore geopolitico) e, infine, gestire il dissenso interno e le crisi di sistema attraverso un forte intervento pubblico.
Il "socialismo provvisorio" è, quindi, uno strumento politico - monetario usato dallo Stato per stabilizzare il sistema; una volta che la necessità (la competizione con il Socialismo Reale) è venuta meno, lo Stato è tornato alle logiche neoliberali, dimostrando la sua piena autonomia decisionale. Del resto, il liberalismo “puro” era già collassato (Wall Street, 1929) prima del socialismo “puro ”. Alcuni autori hanno infatti parlato paradossalmente del Novecento come del secolo della vittoria del socialismo2. Naturalmente intendevano per“socialismo” quello che Botta chiama “socialismo provvisorio”.
B. Il Socialismo Prospettico (o Strutturale)
In netto contrasto, l'autore identifica in Paesi come la Cina un "socialismo prospettico" (o "neo - socialismo"). Questa scelta non è tattica, ma strutturale e definitiva, ed è pienamente inserita nelle lotte anti - coloniali.
L'adozione del socialismo in questi Paesi fu una risposta esistenziale e una necessità storica per salvaguardare l'esistenza e la sicurezza dello Stato di fronte alla colonizzazione e alla sottomissione occidentale, garantendo al contempo uno sviluppo rapido.
Botta mette in discussione la narrazione dominante secondo cui il capitalismo globale rappresenterebbe la fine della storia e la forma definitiva dell’organizzazione umana. L’autore ribalta questa tesi: lo Stato non scompare ma si riconfigura, e i suoi modelli emergenti non vengono più dall’Occidente, bensì da Oriente. Botta individua dunque nella “via socialista cinese” una delle risposte più innovative alla crisi del capitalismo neoliberale. Lungi dal proporre un ritorno all’economia pianificata di tipo sovietico, egli mostra come la Cina abbia saputo articolare un modello di economia mista in cui il partito - stato conserva la direzione strategica dei processi produttivi, mentre il mercato opera come strumento, non come fine.
L'analisi del caso cinese è estremamente lodevole. La Cina è presentata come un'"alternativa reale al liberismo politico", dove l'identificazione tra Stato e Partito Comunista funge da "costituzione vivente". Questo modello ha vanificato il dualismo Stato/ società civile tipico dell'Occidente e ha portato a un "nuovo tipo di democrazia" con uno "sviluppo economico incredibile" e successi oggettivi (abolizione della povertà per 850 milioni di persone).
La tesi centrale è che la Cina rappresenta la dimostrazione concreta della possibilità di un socialismo del XXI secolo capace di produrre crescita, innovazione e stabilità, senza adottare le logiche di espropriazione neoliberale tipiche dell’Occidente. L’autore mostra con chiarezza che il socialismo non è una nostalgia del passato, ma una possibilità viva e in trasformazione, capace di incorporare la tecnologia e la pianificazione come strumenti di libertà collettiva.
Nel suo complesso, il testo offre una visione del socialismo come progetto storico aperto, capace di rinnovarsi nei suoi strumenti pur mantenendo la finalità emancipatrice. È una lettura che si colloca controcorrente rispetto alle narrazioni dominanti sul “fallimento del socialismo” e sulla “fine della storia”, e propone invece una riflessione rigorosa e concreta sul futuro del potere pubblico, della sovranità economica e della giustizia sociale.
Questo approccio non solo chiarisce il perché diversi Stati adottano politiche simili con esiti diversi, ma ribadisce il principio guida del saggio: la scelta tra liberismo, keynesismo e socialismo è sempre dettata dalla Strategia Geopolitica dello Stato, e non da un determinismo economico astratto.
IV. Strumenti di governo e consenso: l'ingegneria sociale
Il saggio si conclude con un'analisi penetrante degli strumenti attraverso cui lo Stato esercita il suo potere, fondato su un necessario "mix di coercizione e consenso".
L'ottenimento del consenso è gestito attraverso l'ingegneria sociale che si manifesta in due modalità:
Il consenso Élargisseur è basato su concessioni materiali e miglioramenti della qualità della vita (es. il Welfare State), funzionali a ottenere un'adesione sistemica.
Il consenso manipolatorio, come già analizzato da Noam Chomsky, è realizzato tramite la trasmissione dell'ideologia dominante (intesa marxianamente come falsa coscienza) veicolata dai mass - media e dalle agenzie formative (scuola). Questa ideologia impone una visione della realtà sociale "fortemente individualistica" e "utilitaristica", frammentando il pensiero e impedendo una comprensione sistemica della realtà del potere.
In definitiva, questo volume non è tanto uno studio accademico sullo Stato, ma un manuale di decodificazione della politica moderna. Il suo impianto teorico, la critica fondata all'egemonia neoliberale e, in particolare, l'illuminante distinzione tra le forme di socialismo, ne fanno un’opera di cui si sentirà a lungo l'eco nel dibattito scientifico e militante. Il libro combina chiarezza analitica e profondità critica, restituendo al socialismo la dignità di un pensiero vivo, sperimentale e orientato al futuro. È un invito pressante a guardare lo Stato per ciò che è realmente: il centro del potere politico e l'artefice ultimo della strategia sociale ed economica.
Paolo Botta è stato professore a contratto presso le università di Cagliari e La Sapienza di Roma. Ha svolto attività in qualità di docente in varie istituzioni, tra cui l’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli. Ha preso parte come relatore a numerosi convegni e seminari. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Non lontano dai padri (Edizioni Lavoro, 1981); La lunga attesa (Edizioni Lavoro, 1991); Identità e classi sociali (Armando, 1995); Il divario digitale nel mondo giovanile (Rubbettino, 2011).
Note
1 Anche Domenico Losurdo usa il concetto, derivato da Schmitt, di “stato d’eccezione” nel contesto sovietico tra le due guerre, ma solo per descrivere la situazione dell’Unione Sovietica tra le due guerre. Vedi il mio “I giorni dell’acciaio” (2025).
2 Si veda il mio “Crisi, crollo e rinascita del socialismo. Il socialismo dalla «primavera di Praga» alla caduta nell'Europa orientale, alla rinascita in Asia” (2018).






































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