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L’indecifrabile genealogia degli anni Settanta
di Alessandro Barile (Università “La Sapienza” di Roma)
Riflessioni a partire dal libro di Marco Morra, Fabrizio Carlino, Traiettorie operaiste nel lungo ’68 italiano, La città del sole 2020
Anni di anniversari importanti questi. Ne ricordiamo di sfuggita alcuni, che hanno stimolato riflessioni e impegnato giornali e case editrici: la Rivoluzione russa e la nascita di Marx, di Lenin e di Engels; e poi ancora, più vicini a noi nel tempo e nello spazio, la nascita del Pci, il cinquantenario del Sessantotto, dell’Autunno caldo, i quarant’anni dal 1977 o dall’assassinio di Moro. Il Sessantotto aveva forse esaurito le parole e la carta nelle stagioni precedenti, e l’anniversario si è spento nella retorica di alcuni e nell’accanimento degli altri. Eppure, ragionare sui nostri anni Settanta sembra ancora utile, nonostante l’evidente sollievo con cui se ne parla, di qualcosa cioè di sepolto, da studiare sine ira et studio (sine ira per modo di dire). D’altronde, l’unica narrazione che resiste è quella dietrologica, che insiste a chiedersi: quale è il mistero degli “anni di piombo”? Trovando nel complotto la risposta che non riesce ad accettare nella cosa, e alimentando un mercato editoriale fondato sul retroscena. Un tentativo utile per ripensare gli anni Settanta è dato dal recente lavoro di Marco Morra e Fabrizio Carlino, due giovani ricercatori che hanno raccolto una selezione di interventi svolti ad un convegno del 2018 sui cinquant’anni dal ’68, organizzato presso l’Università di Napoli Federico II. Il libro (Traiettorie operaiste nel lungo ’68 italiano), proprio perché espressione di più voci e sensibilità, si presta ad una lettura ragionata, sollevando una molteplicità di questioni che vanno ad incidere nel rapporto tra storia e politica, investendo la riflessione sull’ultimo grande ciclo di lotte di classe del nostro paese. Proprio questo incrocio di problemi, e di tensioni, rende difficile studiare gli anni Settanta senza implicare un inevitabile posizionamento. Il confine tra ricerca storica e valutazione politica slitta continuamente, si fa poroso, s’intrufola nei giudizi o sorprende lo storico nei suoi involontari lapsus. Dunque, una storia difficile.
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La “questione comunista” e la fase che viviamo
di Fosco Giannini
“Si abbonda nei dettagli, quando a mancare è l’essenza”. È una citazione di Luigi Pintor, che invita noi comunisti italiani a non perderci in mille fumisterie, ma andare all’essenza delle cose. E tale essenza è la seguente: il movimento comunista italiano versa, oggi, in una crisi profondissima, una crisi innanzitutto teorica, ideologica e conseguentemente sociale e politica, una crisi enorme di radicamento, di militanza, di capacità di elaborazione tattica e strategica. Tutto ciò in forte e nefasta controtendenza con lo stato delle cose del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario mondiale che, in questa fase, governa circa un quinto dell’intera umanità e agisce positivamente su oltre la metà della popolazione mondiale e su tanta parte degli Stati del mondo.
Una crisi, questa del movimento comunista italiano, che si manifesta nel pieno della sconfitta strategica del sistema capitalista, platealmente incapace di uscir fuori dalle gigantesche contraddizioni – sociali, economiche, politiche, culturali – da esso stesso prodotte se non attraverso l’acutizzazione dello sfruttamento operaio generale e internazionale, sulla spoliazione dei popoli e attraverso le guerre.
In sintesi: è lo stesso, attuale, contesto storico e internazionale a rendere oggettivamente necessaria la presenza del partito comunista in Italia, necessitato il suo ruolo politico e sociale. Sarebbe lo stesso quadro mondiale a favorire l’unificazione e il rafforzamento del movimento comunista italiano, se ciò non fosse scientemente impedito dalla presunzione e dalla cieca ostinazione alla divisione praticata dai diversi gruppi dirigenti comunisti italiani.
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Gas: i fenomeni del "Whatever it takes"
di Leonardo Mazzei
Ci scalderemo ancora con il gas nel prossimo inverno? Probabilmente sì, ma solo chi potrà permettersi di pagarlo. Sulla disponibilità del metano scriviamo “probabilmente”, piuttosto che “certamente”, perché l’incertezza è connaturata con la situazione di guerra in atto. Certezza totale, invece, riguardo ai prezzi: se non aumenteranno, di certo non caleranno.
Un disastro targato Draghi
Il “governo dei migliori” ha già da tempo apparecchiato il disastro. Anche se piuttosto complicato, sganciarsi dalla dipendenza del gas russo è sì tecnicamente possibile, ma economicamente disastroso. Siamo in campagna elettorale, e chi volesse affrontare seriamente il tema avrebbe da dire una sola cosa di buon senso: basta con le sanzioni, torniamo a normali rapporti commerciali con la Russia!
Ma ovviamente il buon senso è proibito, ed il pensiero unico anti-russo imperversa. Il prezzo lo pagherà la povera gente.
Già nella primavera scorsa era chiaro il vicolo cieco in cui il governo Draghi stava portando il Paese. Allora imperversava la caccia al fornitore, per l’immediato e per gli anni a venire. Da qui i frenetici contatti, e gli innumerevoli viaggi del governo e dell’Eni in Algeria, Azerbaigian, Egitto, Qatar, Congo, Angola, Nigeria, Mozambico: tutti paesi produttori di gas, ma solo i primi due già collegati via tubo con l’Italia. Da qui la necessità di nuovi rigassificatori.
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Paul Auster e i fantasmi della guerra civile americana 2.0
di Sandro Moiso
“Forse questo è il punto più interessante di tutti: vedere quello che accade quando non rimane più nulla e scoprire se, anche così, sopravviveremo”. (Paul Auster – Nel paese delle ultime cose)
“Negli Stati Uniti sta destando sempre più scalpore un sondaggio realizzato dall’Institute of Politics dell’University of Chicago e reso pubblico in questi giorni, secondo cui la maggioranza degli americani ritiene che il governo sia “corrotto” e che agisca “contro gli interessi della gente comune”. La stessa indagine demoscopica ha inoltre evidenziato che un terzo degli statunitensi sarebbe pronto a “imbracciare le armi contro le autorità”. (Gerry Freda – Il Giornale, 27 luglio 2022)
“La guerra civile è già in corso”. (Gloria Feldt, femminista americana, 26 giugno 2022)
E’ il fantasma della guerra civile che oggi sembra assumere, sempre più spesso, forme concrete e tangibili nella società statunitense. Qualcuno, gravemente contagiato dal politically correct, potrebbe affermare che ad aggirarsi nell’immaginario di quella società sia ancora e soltanto il fantasma di Donald Trump, ma in realtà quel fantasma agita le coscienze e l’immaginario americano da ben più tempo.
Almeno dagli anni che precedettero e seguirono la Guerra Civile svoltasi tra il 12 aprile 1861 e il 23 giugno 1865. Quella guerra che costituisce infatti, al di là di ogni retorica, il fatto politico fondamentale della nazione nord-americana, ben più della Dichiarazione di Indipendenza e della successiva guerra contro la corona britannica. Un fatto politico e militare la cui valenza mitopoietica e fantasmatica per l’immaginario collettivo fu chiaramente colta già all’epoca dal fondatore della poesia americana moderna, Walt Whitman:
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Lo statuto dell’immagine digitale
di Enrico Livraghi
Una riflessione sulla differenza ontologica tra immagine analogica e immagine digitale, e le sue conseguenze
Di tutti gli equivoci appiccicati alle nuove tecnologie, i più insidiosi sono certamente quelli relativi allo statuto della cosiddetta immagine digitale. In particolare, intorno a un tema che dovrebbe ormai essere venuto a fuoco nitidamente – quello relativo alla differenza ontologica tra immagine analogica (fotografica e fotodinamica) e immagine numerico-digitale – tali equivoci appaiono paradigmatici di una difficoltà reale nell’elaborare concettualmente un simile nodo tematico.
La critica più accorta – quella che ha percepito il problema e si è posizionata davanti a una simile (invisibile) differenza ontologica – sembra inchiodata alla questione, certo importante, della cosiddetta «verità» o «sincerità» dell’oggetto visivo, che però si mostra anche l’unico terreno sul quale la stessa critica pare disposta a spingersi e a prospettare un qualche giudizio. Si tratta, come è noto, di un semplice constatare la scomparsa della traccia, o impronta sensibile, dall’immagine digitale; traccia invece da sempre conservata nell’immagine analogica grazie alla stessa struttura tecnica dell’apparecchio di ripresa (camera, otturatore, diaframma, pellicola fotosensibile eccetera). Detto di passagio, ai fini di una definizione minimamente rigorosa, ci sarebbe da chiedersi se sia ancora appropriato – al di là dell’abitudine – chiamare foto-grafia un’istantanea scattata con una macchina mediante la quale la luce emanata dal soggetto (insieme con i suoi tratti) è calcolata e immagazzinata in un file, e non più impressa, ovvero in-scritta, necessariamente e automaticamente in un supporto sensibile.
In ogni caso, quel constatare di cui sopra è ineludibile: l’oggetto concreto – ciò che è stato davanti all’obiettivo, per dirla barthesianamente – non è affatto necessario all’immagine digitale, la quale, al contrario di quella analogica, si costituisce come potenzialmente autoreferenziale.
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Niente è risolto
di Jacques Camatte
Si conclude, con questo articolo, lo studio relativo al rischio di estinzione[1]
Gli uomini combattono, si uccidono, ma è la natura a soffrire di più: la sua distruzione aggrava il rischio di estinzione, che si accresce anche a causa della continua erosione della naturalità delle specie. - Jacques Camatte
Niente è stato risolto e, globalmente, oggettivamente, l’umanità vive nella déréliction [solitudine esistenziale, abbandono], per quanto riguarda i dominati, e nella fuga in avanti dei dominanti, che pensano, nei fatti, di scongiurare o manipolare la minaccia di estinzione.
Grazie all’uscita dalla natura, l’umanità pensava di poter sfuggire al rischio di estinzione, soprattutto con lo sviluppo del capitale, che avrebbe dovuto garantire la sicurezza, ma la morte di esso [2] e la persistenza del rischio sono la prova lampante che niente è stato risolto. Diversi fenomeni lo testimoniano.
Il covid-19 si manifesta periodicamente con grande virulenza, mentre altre malattie, come il vaiolo delle scimmie, sono in aumento.
La dipendenza e lo sradicamento accrescono la perdita dell’immunità naturale, di conseguenza aumenta l’assistenzialismo.
La siccità, che aumenta ogni anno in intensità e durata, è accompagnata da una serie di incendi sempre più distruttivi. Si può dire che, parallelamente, si assiste sempre più a sparatorie, come se l’incendio coinvolgesse la specie stessa.
La fame colpisce sempre più persone in tutto il mondo.
Rivolte, sommosse, in rapporto a un malcontento persistente, e persino crescente, in diversi Paesi.
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Caccia alle streghe: successo di una mitologia e “razionalità” politica
Lettura sotto l’ombrellone
di Gaspare Nevola
Caccia alle streghe. Imperniata su una mitologia. Su una mitologia che ottiene grande successo. E che possiede una sua sorprendente “razionalità” politica. Una storia paradossale ed enigmatica, su cui riflettere. Tra Progresso, Medioevo e Modernità
Prologo
«La natura aborre il vuoto, anche nella mente. Oggi il penoso vuoto della noia viene riempito e continuamente rinnovato dal cinema e dalla radio, dalla televisione e da giornali. Più fortunati di noi, oppure meno fortunati (chi sa?), i nostri antenati dipendevano, per il lenimento della noia, dagli spettacoli settimanali del loro parroco, completati di tanto in tanto dai discorsi dei cappuccini in visita o dai gesuiti di passaggio. La predicazione è un’arte, ed in questa, come in tutte le altre arti, i cattivi esecutori superano di gran lunga quelli buoni» (Aldus Huxley, 1952)
Oggi, settanta anni dopo, qualcosa di questo ritratto va certamente aggiornato. Rispetto agli anni ’50 dello scorso secolo, alcuni interpreti nuovi della partitura devono trovare posto. Così come è necessario tenere conto di altre arti del sapere e del dire che riempiono il vuoto della mente.
Negli scorsi giorni, sempre al riparo del sacro ombrellone, per distrarmi da una campagna elettorale tirata fino al grottesco da politici e giornalisti e compagnia cantando, ottimi interpreti della “teoria dei campi” ereditata da Bourdieu, ho letto-riletto un vecchio saggio dello storico inglese Hugh Trevor-Roper (1914-2003), La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento, ripescata nella memoria e nella libreria. Ero studente quando lessi per la prima volta questo denso saggio, e ricordo che ne avevo scritto sul quaderno delle letture (chissà dove finito). Procederò con una certa libertà, inseguendo sfide interpretative del passato che si accompagnano a interrogativi sul presente. Cosa pretendere di più da una lettura sotto l’ombrellone e l’orizzonte oltre le onde?
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Ucraina: l’invasione del capitale
di Michael Roberts
La scorsa settimana, i creditori privati stranieri dell’Ucraina hanno accolto la richiesta del Paese di congelare per due anni i pagamenti di circa 20 miliardi di dollari di debito estero. Ciò consentirebbe all’Ucraina di evitare l’insolvenza sui prestiti contratti all’estero. A differenza di altre “economie emergenti” in difficoltà sul fronte del debito, sembra che gli obbligazionisti stranieri siano felici di aiutare l’Ucraina, anche se solo per due anni. La mossa farà risparmiare all’Ucraina 6 miliardi di dollari nell’arco del periodo, contribuendo a ridurre la pressione sulle riserve della banca centrale, che sono diminuite del 28% da un anno all’altro, nonostante gli ingenti aiuti esteri.
L’economia ucraina è, non a caso, in uno stato disperato. Si prevede che il PIL reale diminuirà di oltre il 30% nel 2022 e il tasso di disoccupazione è del 35% (Constantinescu et al. 2022, Blinov e Djankov 2022, Banca Nazionale Ucraina 2022). “Siamo grati per il sostegno del settore privato alla nostra proposta in tempi così terribili per il nostro Paese”, ha risposto Yuriy Butsa, viceministro delle Finanze ucraino, “Vorrei sottolineare che il sostegno che abbiamo ricevuto durante questa transazione è difficile da sottovalutare…”. Rimarremo pienamente impegnati con la comunità degli investitori anche in futuro e speriamo nel loro coinvolgimento nel finanziamento della ricostruzione del nostro Paese dopo la vittoria della guerra”, ha detto Butsa.
Qui Butsa rivela il prezzo da pagare per questa limitata generosità da parte dei creditori stranieri: l’accelerazione della richiesta delle multinazionali e dei governi stranieri di assumere il controllo delle risorse dell’Ucraina e di portarle sotto il controllo del capitale straniero senza alcuna restrizione e limitazione.
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Istantanee per le anime afflitte e per quelle esaltate
di Il Rovescio
Pubblichiamo anche qui l’editoriale del numero 14 (Luglio 2022) della rivista anarchica “i giorni e le notti”. Il titolo è nostro
1. Excusatio non petita. È passato un anno dall’ultimo numero della rivista. E che anno. Neanche il tempo di analizzare come l’Emergenza Covid-19 stesse affondando i propri artigli nelle relazioni sociali, nei sentimenti e nei corpi, che ci troviamo ai bordi della Terza Guerra mondiale. Mentre la spirale si fa sempre più veloce nei moti e sempre più imprevedibile negli effetti, non possiamo certo far rientrare – per forza e per pigrizia – l’inedito del presente storico dentro il già-visto. Il ritardo con cui usciamo è dovuto senz’altro a una serie di cause oggettive: il sequestro poliziesco-giudiziaro di materiali preparatòri e di articoli già pronti, gli impedimenti dovuti alle varie misure repressive, gli sforzi per mantenere comunque una presenza nelle strade. Ma le ragioni sono anche e soprattutto soggettive. L’assenza negli ultimi quattro anni di una riunione redazionale – nel senso umano e non tecnologico del termine: stare nello stesso luogo e discutere ad agio e a lungo – ha avuto un effetto sullo slancio, sulla qualità e sulla puntualità delle nostre riflessioni teoriche. Siamo di fronte a un passaggio epocale che non può essere affrontato da cervelli isolati che assemblano i rispettivi contributi. Soprattutto se non si vogliono evitare le domande scomode e difficili. Soprattutto se dalle risposte si fanno discendere i necessari orientamenti etico-pratici.
Ecco spiegati la composizione e i limiti del numero che avete tra le mani. Nonché la maggiore aperiodicità che la rivista avrà in futuro.
2. «Origine è la meta». Queste parole di Karl Kraus, che ritroviamo anche nelle tesi Sul concetto di storia di Walter Benjamin, vanno oggi applicate letteralmente alle dinamiche statali. Nelle Emergenze, il dominio ricapitola la violenza della propria origine storica, che la quotidianità capitalistica e la finzione democratica riescono in buona parte, almeno alle nostre latitudini, a nascondere.
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COVID. I vaccinati si ammalano più degli altri: cosa cambia con la “scoperta” dell’ISS
di Mariano Bizzarri
Variante Omicron 5, reiterazione dei vaccini, efficacia di quelli a mRna, eventi avversi: gli ultimi studi sul Covid stanno smontando molte tesi ideologiche
È quantomeno curioso che nessuno in Italia – né enti istituzionali, né l’Accademia e tantomeno i politici – avvertano l’esigenza di promuovere un momento di riflessione pubblica su quanto è successo in Italia con la comparsa del Covid dai primi del 2020 in poi.
Eppure, tanti sono gli interrogativi sospesi – da come è iniziata l’epidemia alla tempestività e appropriatezza delle misure predisposte – e che oggi tornano ad incombere a fronte dell’incertezza delle prospettive che si profilano al nostro orizzonte. Ci sarà una recrudescenza della pandemia? Quali vaccini dovremo utilizzare? Non dovremmo sviluppare una strategia diversificata? È pronto il nostro sistema sanitario a farvi fronte?
Non sono questioni di scarsa irrilevanza ed è scandaloso che l’informazione debba limitarsi a riportare le esternazioni – spesso strampalate, quando non addirittura ispirate ad una visione catastrofista priva di qualunque fondamento – di un manipolo di esperti, invero conosciuti ormai più per le loro intemerate televisive che per le ricerche che realmente conducono in laboratorio o nei reparti.
Proviamo noi a formulare – quantomeno – le domande fondamentali.
Punto primo: è cambiato non solo il profilo epidemiologico ma anche il quadro clinico, dato che l’attore prevalente è ormai Omicron, parente alla lontana del Sars-CoV-2 che– con le sue varianti principali Alpha e Delta – ha alimentato i primi due anni di epidemia. Omicron – a prescindere dall’efficacia dei vaccini – ha considerevolmente ridotto l’impatto sul sistema sanitario perché, anche se più contagioso, si accompagna ad un ridotto tasso di occupazione dei reparti di medicina e di terapia intensiva.
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La società automatica secondo Bernard Stiegler: lo stato della mutazione
di Igor Pelgreffi
Il nostro corpo sta mutando, anche qui, ora, mentre scriviamo o leggiamo, per effetto degli automatismi, per esempio del nostro essere ora esposti a uno schermo, o all’esserlo stati così a lungo negli ultimi mesi, o anni… Che sia una sorta di mutazione antropologica – legata al digitale, ai processi generali di automatizzazione della società e ai dispositivi connessi a tali processi – dal sapore neo-pasoliniano? Forse. Vero è che anche Stiegler, come Pasolini, fa una critica alla società dei consumi dove, però, il consumo è oggi digitale, reticolato, quindi meno evidente, ma non per questo immateriale: il punto fermo è che il consumo algoritmico investe la psiche umana, dunque i corpi. I quali, appunto, si consumano in rete. Non si tratta più di un soggetto che consuma un oggetto (la merce). E non si tratta neppure di un soggetto egli stesso merce di consumo. Nella società automatica, quel che si attua è il processo definitivo e storico di auto-consumazione dei corpi, processo che paradossalmente, in definitiva, consuma la materia vivente su cui esso si sostiene.
Sarà allora la psicosomaticità diffusa, di cui ampiamente argomenta Stiegler, quella zona intermediale, cioè di inter-mediazione tra i differenti livelli del problema, la leva teorica maggiore in una riflessione sul pharmakon. Perché, indubbiamente, quel che occorre oggi è una nuova, inedita, forma di mediazione, che possa configurarsi, almeno, come rimedio minimo. Questo significa però anche che, per Stiegler, l’innesco possibile di una critica alla società automatica non potrà che transitare dal piano psico-corporeo, unica sede in cui possa aver luogo la triangolazione tra a) il tema ecologico e il “problema della natura”, b) il tema dell’automatizzazione post-industriale e c) il tema antropologico.
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Tra antirazzismo di maniera e razzismo di fatto
di Michele Castaldo
Massimo Giannini, il precoce giornalista partito giovanissimo da Repubblica e approdato a dirigere La Stampa del padrone per eccellenza, la famiglia Agnelli, in un accorato editoriale rivolge un appello a tutti i partiti ad andare al funerale, svoltisi sabato 6 agosto, del povero Alika ucciso dal bianco italiano Ferlazzo, un dissociato. Epperò la cosa suona un poco sospetta per una ragione molto semplice, perché il Giannini paragona l’uccisione del povero Alika di fine luglio 2022 a Civitanova Marche a quella di G. Floid negli Usa il 25 maggio del 2020 ad opera di un poliziotto bianco che premette per alcuni minuti il ginocchio sul collo soffocandolo nonostante che gli urlasse che non riusciva a respirare.
L’uso strumentale che ne voleva fare Massimo Giannini e tutta la stampa democratica italiana giunge piuttosto sospetta. C’è un allarme che va spiegato.
I giornali e tutti i mezzi di informazione sanno perfettamente che gli immigrati di colore vengono trattati peggio delle bestie nei lavori più umili nel nostro paese. Nei confronti delle persone di colore viene fatta un’unica distinzione che riguarda i fuoriclasse dello sport e dello spettacolo, strumenti di arricchimento di holding finanziarie e personaggi collegati a società che sfruttano la fame circense del popolo per scaricare le proprie frustrazioni.
Giochiamo allora a carte scoperte: ma a chi si vorrebbe dar da bere la frottola che gli immigrati arrivano come disperati sulle nostre coste e verrebbero salvati dalla buona volontà di volontari capitati per caso in mezzo al mare? Va bene la propaganda, ma c’è un limite a tutto.
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Chi salvò il liberalismo da se stesso
Una lettura di Ordoliberalismo di Adelino Zanini
di Lauso Zagato
Ordoliberalismo ed economia sociale di mercato sono concetti politici ed economici che tendono a essere sovrapposti, oppure relegati a una fase specifica del Novecento. In realtà, come ci spiega Adelino Zanini nel suo Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973) (Il Mulino, 2022), si tratta di sviluppi teorici e pratici distinti che arrivano fino alla crisi degli anni Settanta e continuano a essere importanti per comprendere e dunque poter analizzare criticamente – anche ponendo nella giusta luce taluni passaggi politico/giuridici rilevanti – quel processo di costruzione europea, avviluppato oggi in una crisi profonda. In questa attenta e approfondita lettura del volume, Lauso Zagato ci consente di analizzare genealogia e attualità di questi concetti, prima di Foucault e oltre Foucault.
* * * *
La nuova avventura scientifica di Adelino Zanini, cui l’Autore lavorava da tempo, pone prima facie problemi di non facile soluzione al lettore, quand’anche di formazione operaista, che non risulti sufficientemente qualificato sotto il profilo disciplinare di riferimento (la teoria economica). Forse, cresciuto nel solco dell’incontro/scontro con Keynes, egli avrà ignorato l’esistenza di un neoliberismo diverso da quello classico; ciò, almeno, fino al drammatico impatto con l’anarco-liberismo americano trionfante degli ultimi decenni. Esempio tra i tanti, chi scrive è tra costoro, e confessa di aver letto la parola ordoliberalismo per la prima volta in relazione alla formazione teorica (seconda formazione, provenendo l’interessata dalla ex Germania dell’Est e quindi essendosi inizialmente formata nel delirio del diamat) della allora cancelliera Merkel. Il riferimento costituiva una apparente giustificazione della riluttanza di costei nell’assumersi i compiti «interventisti» in materia economica che la crisi del 2008 richiedeva alla Ue e in primis al suo Stato-guida.
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La guerra sporca che si combatte intorno a Zaporizhzhia
di Giorgio Ferrari
Notizie sempre più allarmanti giungono in questi giorni dalla centrale nucleare ukraina di Zaporizhzhia dove, secondo fonti ukraine (le uniche prese in considerazione), i russi starebbero letteralmente minando le attrezzature della centrale.
Non c’è dubbio che la sorte degli impianti nucleari ukraini, data la guerra in corso, è cosa che desta serie preoccupazioni nell’opinione pubblica mondiale, ma soprattutto europea che certamente non può dimenticare i giorni terribili vissuti nel 1986 quando la nube di Chernobil investì buona parte dell’Europa centro orientale, ma anche della Bielorussia e del territorio russo confinante.
Perciò, quando i russi all’inizio della guerra occuparono militarmente il sito di Chernobil (febbraio 2022) l’incubo di quella catastrofe si ripropose in tutta la sua gravità, con l’aggravante che ai primi di marzo paracadutisti russi circondarono la centrale nucleare di Zaporizhzhia, che annovera sei reattori nucleari ed è la più grande concentrazione nucleare di tutta l’Europa.
Perché compiere una mossa così azzardata, sapendo che avrebbe oltremodo alimentato le critiche all’operato della Russia già condannata unanimemente per aver invaso uno stato sovrano?
La ridda di ipotesi che fin dall’inizio furono sviluppate dai mezzi di informazione europei convergeva, con qualche sfumatura, nell’attribuire ai russi l’intenzione di minacciare l’intera Europa attraverso una forma di deterrenza terroristica avente per oggetto la distruzione o il danneggiamento di siti nucleari. A nessuno venne in mente di prendere in considerazione l’ipotesi che l’occupazione di Chernobil e Zaporizhzhia avesse uno scopo non distruttivo, ma protettivo, forse per la consumata abitudine, tutta occidentale, di considerare i russi gente spietata e senza scrupoli.
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C’era una volta la FIAT di Bocchigliero
Dagli operai idraulico-forestali ai tirocinanti
di Eugenio Donnici
"Era na vota e mo' chest'è 'a realtà” - cantano i 99 Poss - per sottolineare che il tempo andato non torna più, non sarà più come prima, il tempo non può essere fermato e gli avvenimenti si succedono con un ritmo che ricorda il pulsare della vita. Ciò che resta nelle nostre menti e nei nostri corpi sono gli odori che si associano alle emozioni, le espressioni visive di teste parlanti, la dimensione onirica di soggetti che si muovono e interagiscono in un determinato spazio fisico, le tracce mnestiche della memoria semantica e ovviamente i segni e i simboli del linguaggio scritto.
Ed è proprio su questo sentiero che mi appresto a indagare ciò che è accaduto, il divenire dei contrasti dialettici in un determinato contesto
La dimensione diacronica del racconto, della narrazione, mette in evidenza che una serie di relazioni e interazioni reciproche non esistono più. Esse sono state trasformate, hanno subito una modifica, una variazione che ha imposto un cambiamento nella gerarchia dei valori sui quali si fonda la base riproduttiva di una determinata comunità.
Qualcosa del genere è accaduto in un piccolo Comune della Sila, ma il suo raggio d’azione ha riguardato l’intera Calabria ed è collegato a variabili esogene così come alle caratteristiche peculiari di quest’area regionale.
A cavallo tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, nel piccolo Comune dell’Altopiano silano, le cose non potevano andare diversamente: si seguiva il flusso delle lotte e delle rivendicazioni del movimento operaio, il quale era riuscito a spostare l’ago della bilancia a favore dei lavoratori.
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Dodici anni di distruzione economica per convincere la BCE a fare la Banca Centrale
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Nonostante l'abbassamento del nostro rating da parte di Moody's, un debito che sale ed una campagna elettorale dagli esiti incerti, lo spread scende. A favorirne la discesa, sarebbe la BCE, lo dimostrano i numeri degli ultimi due mesi
Diciamolo chiaramente, per ben dodici lunghissimi anni, la paura per i tanto paventanti mantra dello “spread” e dei “mercati”, ci ha accompagnato a pranzo e cena, fino a non farci dormire nella notte.
Non passava giorno, senza che i vari e “così detti” economisti di regime di casa nostra – rappresentati in prima linea da Marattin, Brunetta ed il banchiere fiorentino Bini-Smaghi con moglie a seguito (l’economista Veronica De Romanis) – ci ricordassero attraverso i loro social o nelle loro ospitate televisive quotidiane, quanto il destino del nostro debito pubblico, fosse in mano ai mercati finanziari.
I più fervidi credenti, ha sentire tale e ripetuta predica, nelle loro preghiere serali, sono arrivati addirittura ad affiancare a Nostro Signore il “Dio dei mercati”. Sì, avete capito bene, oggi, quando parliamo con qualcuno, in particolare con chi opera nel mondo finanziario, si ha la netta percezione che molti, ancora considerino i mercati alla stregua di una divinità degna delle opere di Omero.
Il “mercato” sopra tutto e tutti e che nessuno più comandare e distruggere, insomma la paura assoluta da infondere nel genere umano e da sbandierare ogniqualvolta sia necessario per l’élite imporre qualcosa al popolo ignaro.
Dire, oggi ancora una volta: “Noi ve lo avevamo detto, che i mercati non contano niente di fronte alla potenza di fuoco di una banca centrale….!!!” – non serve a niente e fa apparire “Megas” e tutti gli studiosi della Modern Monetary Theory, antipatici e perfino narcisisti. Vi assicuro che non è così!
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Scienza e dibattito sui virus
Non abbiamo titoli per entrare nei dibattiti scientifici. Tuttavia, normalmente dotati di buon senso, interessati alla ricerca della corretta informazione, stanchi di esaltazioni e demonizzazioni, crediamo giusto evidenziare le voci che si levano dal mondo scientifico nell’intento di andare alla radice di un problema: la definizione di virus in questo caso – una cosa non da poco, visto quanto accaduto negli ultimi due anni, ma tranquillamente potremmo dire negli ultimi decenni.
La scienza, come la storia, devono almeno ogni tanto avere il coraggio di mettere in discussione le proprie verità date per scontate, rivedendo se del caso le opinioni correnti: la scienza, quella vera, è sempre progredita così facendo. Il dibattito, a questo scopo, è essenziale. Drammaticamente pericoloso accusare di revisionismo quelli che la pensano diversamente: rivedere le opinioni correnti non può e non deve essere considerata una colpa. Altrimenti il principio della libertà di pensiero si dissolve.
Una delle opinione date per scontate è appunto che i virus siano entità indipendenti, dotate di proprie caratteristiche specifiche. Essi sono concepiti, dagli scienziati che hanno maggiore audience 1, come dei potenziali aggressori del corpo umano, come tali da combattere come può esserlo un nemico che invade uno Stato sovrano.
Una visione bellicista della medicina che è alla base anche delle strategie vaccinali di questi anni: tant’è che alla fine in Italia la loro messa in opera è stata affidata ad un alto ufficiale delle Forze Armate!
Ci sembra giusto dare quindi ampio spazio ad un punto di vista diverso: che ha il pregio tuttavia di non mettere solo in discussione la vulgata corrente, ma di suggerire una sperimentazione scientifica indipendente che la possa verificare, secondo l’impostazione galileiana (di cui troppo spesso la scienza si dimentica), coerente anche con i criteri a suo tempo enunciati da Robert Koch (anch’essi forse troppo spesso accantonati).
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Disagio psichico e democrazia
di Antonio Martone
Il disagio psichico ha raggiunto vette record nel mondo occidentale. Già negli Stati Uniti, punta di diamante del capitalismo consumistico globale e patria del consumismo, è considerata un’ “emergenza”, benché tutto sommato “normalizzata”, l’overdose da pain killer (farmaci antidolorifici su base oppioide). A questo, si aggiunge l’iperconsumo di psicofarmaci. Probabilmente, il fenomeno ancora più rilevante non si è ancora del tutto manifestato: riguarderà le dipendenze tecnologiche, la cui gravità sono le meno misurabili e anche le più sistemiche e, in quanto tale, difficili da affrontare.
Le cause sono tante e quelle politiche, sociali ed economiche sono ovviamente fondamentali. La ECity (città elettronica) globale è costantemente attiva nell’erodere lo spessore delle identità e potenziare la dimensione del precario e del contingente. I processi di sradicamento globali procedono senza sosta nella direzione di un iper-individualismo nel quale i vincenti sono pochi e i perdenti masse sterminate e, a volte, interi paesi. Non credo occorra sottolineare in quale misura la dimensione del precario e del contingente (o dell’eccezione elevata ormai a norma), e la logica della competizione neoliberista, possano incidere sulla coscienza dell’uomo e sui processi di formazione della personalità.
Peraltro, e rimanendo all’interno dei paesi occidentali, sembra che la situazione sia fuori controllo anche per professionisti e benestanti. Non è certo che le persone si rendano conto dello sforzo psicofisico necessario per correre verso standard professionali che permettano di stare sul mercato. La verità è che questa nuova schiavitù sta producendo dei veri e propri disastri psichici.
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«I figli della crisi». Studenti e scuola al tempo della guerra
di Gigi Roggero
Il filo rosso che abbiamo seguito, il punto di vista che abbiamo voluto costruire.
Con la prima presentazione che abbiamo organizzato, (Transizione ecologica e territorio: quale futuro per Modena?, 11 dicembre 2021) volevamo capire come sarebbe cambiato, dopo la pandemia, l’uso capitalistico del nostro territorio, Modena e l’Emilia, attraverso il Pnrr, il piano di investimenti europeo che grossomodo è stato presentato come un nuovo New Deal. Non ci siamo limitati a statistiche sull’occupazione, ma abbiamo cercato di anticipare delle traiettorie, per esempio guardando a quello che gravita intorno alla “transizione ecologica”, vale a dire il passaggio, la ristrutturazione, verso un certo tipo di produzione e ai suoi effetti per il nostro territorio: è da poco l’approvazione di una direttiva dell’Unione Europea che fissa nel 2035 la data dell’ultimo anno in cui verranno prodotti motori a combustione interna, e immaginate cosa può voler dire per una zona come la nostra, denominata Motor Valley, in cui si costruiscono automobili, veicoli e soprattutto componentistica. Ecco, quel sabato avevamo provato a ipotizzare come potrebbe cambiare il nostro territorio soprattutto per chi lo abita, chi ci lavora, chi ci vive.
Con il secondo incontro (Dentro e contro il «modello Emilia», 5 marzo 2022) siamo passati invece dal presente alla storia del “modello emiliano”, delineando quali sono stati i processi che hanno portato Modena e l’Emilia a quello che sono oggi. Nel ripercorrere i punti nodali dal dopoguerra, passando ovviamente per gli anni Sessanta e Settanta, abbiamo riletto quelle traiettorie alla luce delle lotte operaie e studentesche, in particolare quelle impulsate dall’operaismo e dagli operaisti locali poi divenuti Potere Operaio, che hanno interessato la nostra città e tutta la provincia in un modo inedito.
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Rivoluzione e Partito comunista
di Renato Caputo (Collettivo La Città Futura)
Perché non si può realizzare il fine senza il mezzo indispensabile alla sua realizzazione, né il mezzo è effettivamente tale senza il fine al quale è necessario
Come è nota la scienza politica moderna si fonda sul pensiero di Machiavelli, al centro del quale vi è la radicata convinzione che un grande obiettivo divenga praticabile – non rimanendo una mera utopia – solo nel momento in cui si individuano e si mettano a frutto i mezzi indispensabili alla realizzazione di tale grande ideale. Nella nostra epoca quest’ultimo, naturalmente, non consiste più nella fondazione di un moderno e unitario Stato nazionale – grande obiettivo e ideale storico dell’epoca di Machiavelli – ma nella realizzazione di uno Stato socialista quale necessaria e indispensabile fase storica di transizione da una società capitalista e/o imperialista a una società comunista. Per poter seriamente e conseguentemente operate in funzione di questo grande ideale e renderlo praticabile necessariamente abbiamo oggi bisogno – come peraltro ci insegna già Gramsci – di un mezzo indispensabile, cioè di quello che il più significativo marxista e comunista italiano definiva il “moderno principe”. In effetti, come argomenta già Gramsci, suffragando la propria tesi con una grande raccolta di dati e di esempi storici, nella nostra epoca il soggetto rivoluzionario non può più essere un grande personaggio storico universale, come il Principe, ma un soggetto collettivo, cioè il partito politico effettivamente rivoluzionario, il partito comunista.
Non a caso la prima grande battaglia politica condotta da Marx e da Engels è stata volta a trasformare la Lega dei giusti nella Lega dei comunisti e la loro prima grande opera teorica della maturità ha portato alla realizzazione di un efficacissimo strumento, indispensabile al passaggio dal socialismo utopistico al socialismo scientifico, cioè la realizzazione di un grande Manifesto del partito comunista.
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La crisi, la finanza creativa e le leggi della fisica
di Noi non abbiamo patria
È sempre una questione di fisica e di strumenti di misura. Se poi lo strumento della misura, un elemento prodotto dall’uomo, che deve cercare di perfezionare per necessità, si distingue tra i popoli in diverse unità di misura, non muta la sostanza e non muta il rapporto con le leggi della fisica: lo strumento della misura deve poter rappresentare grandezze che esistono in natura secondo il suo ordine di spazio e di tempo. Tanto più l’azione dell’uomo lo costringe a comparare lo spazio ed il tempo in estensione, lo strumento di misura deve affinarsi, puó entrare in crisi, ma non puó sovvertire le leggi della fisica. Semmai l’uomo è costretto a specializzare le operazioni di calcolo attraverso sistemi numerici più complessi, ma sempre essi stessi sono rappresentativi della fisica come essenza della natura in termini di spazio e di tempo.
Oro, moneta e denaro, Bretton Woods, parità oro dollaro, sganciamento del dollaro dall’oro, e ora deglobalizzazione, dedollarizzazione dell’economia non sono nient’altro un momento della crisi tra quantità fisiche da comparare e lo strumento della misura. A tirare le fila della deglobalizzazione e dedollarizzazione dell’Economia, come ho sempre sostenuto, non sono i paesi nemici e concorrenti del dollaro, bensì gli Stati Uniti d’America stessi, rimettendo al centro il possesso delle materie prime sopra il dollaro, l’imperialismo neocoloniale milatare e della finanza sopra l’imperialismo basato solo sulla finanza e il monopolio.
“L’eredità dell’America come potenza dominante mondiale nell’industria dei semiconduttori è incisa nel nome del suo hub tecnologico più famoso, la Silicon Valley. Nel corso dei decenni, tuttavia, l’arte di realizzare microchip con wafer di silicio è diventata un’impresa davvero globale.
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Lo spettro del conflitto termonucleare globale durante la Guerra fredda
di Roberto Paura*
Una rassegna storica e tecnica delle previsioni, le strategie e le minacce degli anni in cui l’impensabile è stato pensato
Nel luglio 1985, in risposta a un colpo di stato promosso dai sovietici a Belgrado, le forze americane invadono la Jugoslavia. In Unione Sovietica il Politburo – che vede la sua sfera d’influenza scricchiolare dopo che la Corea del Nord e il Vietnam hanno intrapreso processi di liberalizzazione e i paesi del Patto di Varsavia sono squassati da movimenti di protesta – decide di rispondere mobilitando l’Armata Rossa e invadendo l’Europa attraverso la Germania ovest, la Norvegia e la Turchia. Ben presto, tuttavia, la forza d’invasione convenzionale si scontra con una dura opposizione e i sovietici non riescono a spingersi oltre l’occupazione dei Paesi Bassi. Frustrata dallo stallo, Mosca lancia un attacco nucleare su Birmingham, a cui gli americani rispondono distruggendo Minsk. Poco dopo, un colpo di stato da parte dei nazionalisti ucraini rovescia il governo sovietico e mette fine alla guerra.
Nel 1988 invece, per prevenire il dispiegamento di una rete intelligenti di satelliti anti-missili balistici in orbita da parte degli Stati Uniti, l’Unione Sovietica fa esplodere sei bombe atomiche sopra i cieli americani, mettendone a tappeto le apparecchiature elettroniche. Prima che il suo aereo precipiti, il presidente statunitense riesce a dare l’ordine di una rappresaglia massiccia che distrugge le principali città sovietiche, inclusa Mosca. L’URSS reagisce con un altro lancio di missili balistici che spazza via le principali città della costa est, tra cui Washington e New York. Al termine di questo devastante scambio, durato appena 36 minuti, le vittime si contano in decine di milioni, mentre i paesi europei decidono di dichiarare la neutralità sulla base di un accordo segreto precedentemente siglato da Francia, Regno Unito e Germania ovest: la loro scelta mette fine all’escalation nucleare.
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Proletari e dominio di classe
di Carlo Di Mascio
Nikolai Alexandrovic,
si trova da me il compagno Ivan Afanasevic Cekunov, un contadino assai interessante, che propaganda a modo suo i principi del comunismo. Egli ha perso gli occhiali e ha pagato 15 mila rubli per una porcheria! Non lo si potrebbe aiutare a trovare dei buoni occhiali? Vi prego molto di aiutarlo e di pregare il vostro segretario di comunicarmi se ci siete riuscito.
Lenin, Al compagno Semascko
I
Lenin, in modo estremamente chiaro, affermava che in una società fondata sulla lotta di classe, in cui esistono dominanti e dominati, non può esistere una scienza imparziale, per cui anche la filosofia, che mira a giustificare e a ricucire il vecchio con il nuovo in funzione di un ordine minacciato1, destinata cioè a servire o a sfruttare le pratiche scientifiche, come sottolineava Althusser, non può in definitiva che rappresentare istanze di parte2. Si tratta quindi di schierarsi, di prendere posizione a favore o contro qualcosa o qualcuno, si tratta in buona sostanza di demistificare chi pretende di costruire ideologicamente la realtà per un obiettivo di classe, soprattutto quando questo obiettivo è finalizzato a controllare la conflittualità sociale e ad implementare massivamente il rapporto tra chi sfrutta e chi è sfruttato.
Il dominio di classe, dunque, quando si sente minacciato si difende, e per farlo ricorre ad ogni accorgimento, sapendo che tutto deve in ogni caso svolgersi all’interno dell’organizzazione del capitale che non è altro che organizzazione della società, sicché il suo sistema ideologico, filosofico e burocratico-giudiziario, non rappresenta altro che la condizione essenziale della dialettica dello sviluppo capitalistico-borghese, la quale si dipana violentemente tra imposizione al lavoro e riproduzione sociale del rapporto di sfruttamento.
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Morto un Draghi, se ne farà un altro?
di Vladimiro Merlin
Stiamo parlando, ovviamente, di una morte politica. In questa morte, come per Giulio Cesare, le coltellate sono venute da molte parti e da molti “figliocci” del ex premier.
Da molti suoi seguaci che, fino al giorno prima, lo esaltavano e lo adulavano.
SuperMario era il nuovo “uomo della provvidenza”, l’italiano più “prestigioso” a livello internazionale, l’unico che poteva portare l’Italia fuori dalla crisi sanitaria, economica, ecc. le adulazioni di molti leader politici e di quasi tutti i media erano persino imbarazzanti, non si erano mai viste, in quei termini, nella storia della Repubblica; bisogna tornare agli “imperi” per trovarne di analoghe, da quello del ventennio del ‘900 a quelli più antichi.
Ma appena si è aperto uno spiraglio, una possibilità, è stato subito liquidato.
Più che ironica è ridicola questa situazione se si pensa che poco tempo fa, quando è stato rieletto Presidente della Repubblica Mattarella, quasi contro la sua volontà, nonostante la disponibilità avanzata dallo stesso Draghi, si è sostenuto che non si poteva eleggere Draghi perché era “indispensabile” come Presidente del Consiglio.
Noi non siamo certo tra quelli che si strappano i capelli per la fine prematura di superMario, anzi, ne siamo felici, vista non solo la sua “carriera” precedente ma anche quanto ha fatto, e quanto non ha fatto, da Presidente del Consiglio.
Tra i suoi assassini c’è lo stesso Draghi, quando ha deciso di far scattare un attacco pesante volto alla distruzione del M5S.
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Armi letali / 3: A cercar la bella morte
di Sandro Moiso
Dedicato a tutti i giovani che hanno meravigliosamente animato il festival Alta Felicità a Venaus dal 29 al 31 luglio
«La resa per noi è inaccettabile, non avremmo grandi possibilità di sopravvivere se venissimo catturati. I nemici vogliono distruggere gli ucraini, per noi è chiarissimo. Noi siamo consapevoli che potremmo morire in qualsiasi momento, stiamo provando a vivere con onore. I nostri contatti con il mondo esterno potrebbero essere sempre gli ultimi. Siamo accerchiati, non possiamo andare via, in nessuna direzione. Abbiamo rinunciato alle priorità della difesa personale. Non sprecate i nostri sforzi perché stiamo difendendo il mondo libero a un prezzo molto alto». (capitano Svyatoslav Kalina Palamar, vice comandante del battaglione Azov).
«Scappare è da codardi. Non possiamo fermarci e trattare, il nostro obiettivo è fermare la minaccia russa: stiamo lottando non solo per l’Ucraina ma per il mondo libero… La debole reazione del mondo è uno dei motivi per cui siamo ancora qui. L’Ucraina è lo scudo dell’Europa, lo è stata negli ultimi due secoli. Abbiamo lottato contro le invasioni nei tempi passati, adesso è un’altra storia. Lottiamo da soli da quasi due mesi e mezzo, abbiamo ancora acqua, munizioni e armi. I soldati mangiano una volta al giorno, ma continueremo a lottare». (Denis ‘Radis’ Prokopenko, comandante del battaglione Azov)
“I nostri militari in un certo senso stanno ripetendo quello che ha fatto Gesù Cristo, sacrificando la propria vita per il prossimo, per i figli, per la propria gente e difendendo la loro terra dall’aggressore. Per questo consacro le loro armi, perché le usino per riprendersi la nostra terra benedetta da Dio”. (Mykola Medynskyy, cappellano militare ucraino membro del partito Pravyj Sektor)
La saga di Azovstal è terminata ormai da tempo. Il sacrificio in stile Götterdämmerung (crepuscolo degli dei) auspicato in un primo tempo da Zelensky e dal suo governo non c’è stato (forse anche per le proteste dei famigliari dei combattenti là asserragliati) e i russi sono stati abbastanza saggi da non trucidarne i difensori sotto gli occhi di tutto il mondo.
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