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Questioni teoriche II
Stato, nazione, sovranità
di Mimmo Porcaro
Qui la prima parte
1.
Abbiamo finora visto che lo stato, non solo nei momenti di crisi ma anche in quelli di relativa quiete, è essenziale all’esistenza del capitalismo e che quindi il concetto di stato fa parte del concetto stesso di capitale. Abbiamo inoltre visto che la guerra non è per nulla l’effetto della sovrapposizione della logica bellicista degli stati a quella “pacifica” del commercio, ma è la prosecuzione con mezzi statuali di una logica feroce di dominio che nasce dall’economia capitalista. Dobbiamo ora chiederci quale sia l’interno funzionamento dello stato capitalistico: che cosa è, insomma, lo stato? Se si pensa lo stato come un insieme di istituzioni pubbliche che, governato da uno o più enti formalmente preposti al compito di direzione, ha piena sovranità su un territorio e su tutte le classi che lo abitano ed esercita tale sovranità attraverso leggi rese efficaci, in ultima istanza, dalla forza militare, se lo si pensa cioè come una realizzazione della modellistica politologica, hanno buon gioco coloro che dichiarano morto o inefficace lo stato perché la globalizzazione ha dissolto la sovranità, il caos ha moltiplicato i centri di potere invisibili o informali, i capitali sfuggono ad ogni controllo e la complessità ha reso inefficace la legge universalistica rispetto ai patti della governance e alla microfisica del potere.
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La dittatura in un click
di Il Pedante
Confesso di essermi documentato poco sui referendum autonomisti del Lombardo-Veneto. Perché, lo confesso, non mi interessavano. Confesso anzi che fino a ieri li reputavo irrilevanti, nel bene e nel male, salvo chiedermi come avrebbe reagito l'elettorato cispadano e quanto l'iniziativa avrebbe danneggiato - e quanto giustificatamente - la credibilità delle aspirazioni nazionali dei suoi promotori. Fino a ieri, appunto. Poi ho ascoltato il commento di Roberto Maroni alla giornata elettorale e mi si è accesa una lampadina, anzi una sirena antiaerea:
... è un sistema perfetto. Quindi è il futuro. Abbiamo sperimentato il futuro per l'Italia, per il sistema di voto che potrà essere utilizzato in qualunque elezione e io chiederò, ho già annunciato e preannunciato al ministro Minniti, che già le prossime elezioni in regione Lombardia possano utilizzare questa procedura. Abbiamo garantito oggi che funziona in tanti seggi diversi e in tante modalità operative diverse e abbiamo dimostrato che è sicuro.
E ancora:
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Ogni cosa che sai circa il neoliberalismo è sbagliata
di Bill Mitchell e Thomas Fazi
Diciamolo: la sovranità nazionale è diventata irrilevante nell’economia internazionale sempre più complessa e interdipendente. L’approfondirsi della globalizzazione economica ha reso i singoli Stati sempre più impotenti nei confronti delle forze del mercato. L’internazionalizzazione della finanza e la crescente importanza delle grandi aziende multinazionali hanno eroso la capacità dei singoli Stati di perseguire autonomamente le politiche sociali ed economiche, in particolare quelle progressiste, e di offrire prosperità ai propri popoli. Pertanto, la nostra unica speranza di conseguire qualsiasi cambiamento significativo è che i paesi “riuniscano” la loro sovranità e la trasferiscano in istituzioni sovranazionali (come l’Unione Europea) che siano sufficientemente grandi e potenti da far sentire la loro voce, riguadagnando così a livello sovranazionale quella sovranità che è stata persa a livello nazionale. In altre parole, per preservare la loro “reale” sovranità, gli stati devono limitare la loro sovranità formale.
Se questi argomenti suonano familiari (e persuasivi), è perché li abbiamo ascoltati per decenni. I progressisti spesso sottolineano come il neoliberismo abbia comportato (e comporti) un “ritiro”, un “approfondire” o uno “spogliarsi” da parte dello stato, cosa che a sua volta ha alimentato la nozione che oggi lo stato è “sopraffatto” dal mercato. Questo è comprensibile, considerando che la filosofia politica ed economica di ideologi d’avanguardia come Margaret Thatcher e Ronald Reagan hanno sottolineato il ridotto intervento dello Stato, i mercati liberi e l’imprenditorialismo.
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La crisi e la Transizione
di Sergio Bellucci
I. Il giudizio sulla crisi
Il giudizio sulla natura dell’attuale “crisi” del capitalismo contemporaneo, è il tema di partenza per la definizione di una strategia politica in grado di affrontare il passaggio storico che stiamo vivendo
Sulla differenza di giudizio della fase, infatti, derivano le conseguenti scelte politiche che caratterizzeranno le opzioni politiche in questo secolo. Il punto di partenza, quindi, non può che essere l’analisi di questa crisi e il giudizio che se ne dà.
A mio avviso, per comprende la vera natura della crisi è necessario analizzare le trasformazioni che il capitalismo ha generato nella forma di produzione, nei cicli economici, nel forma del lavoro – e al sua stessa idea -, nei prodotti. In altre parole, se non si affronta il tema qualitativo della cosiddetta “Digital Disruption” – e si rimane all’interno dello schema quantitativo dei vari schemi basati sul modello keneysiano, del puro intervento sulla moneta o sulla domanda – si rimane puramente all’interno delle possibilità di intervento offerte dalle logiche redistributive. Si rinuncia, cioè, all’autonomia politica derivante da una autonoma visione del mondo, si rimane imprigionati nella logica di “aggiustamento interno al sistema”.
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Agli estremi confini del centenario della Rivoluzione d'Ottobre
L'eredità del 1917 che possiamo rivendicare
di Loren Goldner*
Generalmente l’anno 1917 è associato strettamente alla Rivoluzione Russa, ma a me sembra più giusto collocarlo nel vasto sommovimento mondiale delle lotte della classe operaia che, tra il 1917 e il 1921 (e in Cina fino al 1927), pose termine alla prima guerra mondiale inter-imperialista (1914-1918).
Quell’ampia lotta incluse la rivoluzione tedesca (1918-1921), le occupazioni delle fabbriche nel Nord Italia (1919-1920), l’ondata nazionale di scioperi del 1919 in Gran Bretagna, la rivoluzione in Ungheria (1919) e gli scioperi di massa in Francia nel 1919-1920, in Spagna tra il 1919 e il 1923, e negli Stati Uniti (1919).
Quelle lotte continuarono e amplificarono il fermento radicale d’anteguerra associato agli IWW negli Stati Uniti, all’ondata di scioperi sindacali in Inghilterra, in Irlanda e in Scozia tra il 1908 e il 1914, alla «Settimana Rossa» in Italia nel 1914 e soprattutto alla Rivoluzione russa del 1905-1907, che pose i consigli operai e soprattutto i soviet all’ordine del giorno, scoperta pratica della classe operaia in lotta, non prodotta da alcun teorico.
All’epoca un testimone sgradevole, il re d’Inghilterra Giorgio VI si espresse in questa maniera «Ringraziamo Dio per la guerra! Essa ci ha salvato dalla rivoluzione».
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Sette considerazioni sulla crisi catalana
di Pablo Iglesias
In esclusiva presentiamo ai lettori un documento in sette tesi di Pablo Iglesias, segretario generale di Podemos. Un documento molto importante perché segnala il carattere plurinazionale dello stato spagnolo e denuncia il vero disegno del regime monarchico: sconfiggere il nazionalismo catalano per edificare uno Stato centralista e autoritario sul modello del franchismo. Presenta infine la posizione di Podemos sulla vicenda catalana: indire un referendum concordato in cui i cittadini catalani possano decidere il loro futuro, non quindi avendo sulla scheda solo le due opzioni (unionista e indipendentista), ma pure quella di rifondare la Spagna come Stato democratico, plurinazionale federale. Posizione che noi condividiamo pienamente.
* * * *
Lettera aperta agli iscritti/e di Podemos
Da 135 al 155 o la controrivoluzione dall’alto del blocco monarchico
La Spagna vive una crisi di regime contraddistinta da almeno tre aspetti: sociale ( la continua pauperizzazione delle classi popolari, così come il peggioramento del livello di vita e delle aspettative dei settori della classe media); istituzionale (la corruzione e il patrimonialismo del Partido Popular non è l’eccezione ma bensì la regola); e l’aspetto territoriale; quest’ultimo lo tratterò in queste considerazioni.
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Dopo mondializzazione e globalizzazione, le sfide dell’Europa e degli Stati
di Matteo Vegetti*
Un recente articolo pubblicato da Pierluigi Fagan su Megachip (Lo spazio del politico nel mondo multipolare. Nuovi Stati, secessioni, sovranità [anche qui]) solleva un insieme di questioni rilevanti, addirittura centrali per comprendere il nostro tempo, e pertanto non sorprende che abbia suscitato le altrettanto interessanti riflessioni di Fabio Marcelli [anche qui], Paolo Bartolini e Lelio Demichelis [anche qui].
Quelle che Fagan identifica come le quattro forze produttive di una trasformazione geopolitica planetaria si potrebbero a mio avviso anche intendere come altrettante sfide, nel senso che Collingwood ha attribuito all'espressione nella sua Question Answer-Logic. Una sfida (Challenge) di questo genere sorge infatti nel momento stesso in cui l'azione congiunta di forze sociali di varia natura determina un mutamento storico di tale portata da esigere una risposta politica innovativa in grado di contenerne gli effetti.
La prima minaccia che grava sull'assetto geopolitico attuale è di natura demografica. Su questo Fagan ha certamente ragione. Il vertiginoso aumento della pressione demografica nei cosiddetti paesi in via di sviluppo (mi riferisco in particolare a quelli africani, dove per altro lo sviluppo economico è progressivamente fiaccato dalle guerre civili e forse anche dal mutamento climatico), condurrà certamente ai problemi che l'autore ha posto in luce (e ad altri ancora, come l'inurbamento di enormi masse di diseredati che andranno ad accrescere gli attuali slum o che, per altro verso, proprio perché sradicate e ingovernabili, accentueranno le dinamiche migratorie interne ed esterne al continente).
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Storia della creatività
1. In pochi capivano, quaranta anni fa, che nel giro di un decennio la centralità della fabbrica nella società sarebbe scomparsa; in ancor meno credevano che l’universo simbolico dell’Italia operaia si sarebbe sgretolato nel giro di una manciata d’anni. Eppure, gli schemi con i quali oggi consideriamo economia e mondo del lavoro sono frutto dei mutamenti intervenuti, in Italia, a partire dalla metà degli anni Settanta: aumento esponenziale degli addetti del terziario a discapito dell’industria, esplosione del mercato della merce immateriale, post-fordismo e delocalizzazioni della produzione. Alla trasformazione economica segue il ridisegnarsi del rapporto fra l’individuo e la sfera sociale e politica; sul piano culturale, miti e modelli di interpretazione si avvicendano, in una successione sempre più rapida. L’impressione è che, davvero, tutto sia cambiato.
2. I cambiamenti che hanno interessato l’universo economico e produttivo negli ultimi quarant’anni non potevano che avere delle ricadute complesse sul mondo del lavoro. La certezza per cui «il mondo del lavoro è completamente cambiato», o semplicemente «il mondo è cambiato», esprime una verità legata ai fenomeni articolati e globali cui abbiamo accennato sopra. La robotizzazione della produzione e – parzialmente – della logistica, unita allo spostamento dell’asse economico sul terziario e delocalizzazioni, determina una richiesta di forza lavoro diversamente specializzata. La differenza con la fase economica precedente riguarda, almeno per alcuni campi, la flessibilità della specializzazione: non è data una volta per sempre, deve piuttosto adattarsi alle esigenze del lavoro e saper attraversare i confini del proprio specialismo, rimanere aggiornata, programmare autonomamente il proprio «restare al passo».
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La “grande paura” della borghesia e la Rivoluzione d’Ottobre
di Sergio Cararo
Dal novembre del 1917, la realizzazione della Rivoluzione d’Ottobre in Russia trasferì la prospettiva del comunismo dalla teoria alla realtà. Nelle file della borghesia europea e internazionale, si diffuse quella che è stata definita “La Grande paura”. La stessa che era dilagata tra le monarchie europee dopo la Rivoluzione Francese, quando cadde la testa del re e i castelli dei nobili vennero assaltati e saccheggiati. La determinazione con cui i bolscevichi portarono a fondo la rottura rivoluzionaria, seminò una ondata di isteria, paura e ferocia controrivoluzionaria durata più di settanta anni.
La feroce reazione delle potenze imperialiste contro la Rivoluzione d’Ottobre e poi contro l’URSS, si può schematizzare in tre fasi storiche che hanno visto la messa in campo di strumenti diversi con il comune obiettivo di distruggere la prima sperimentazione del socialismo possibile nella storia. Questo obiettivo è stato raggiunto solo nel 1991 con la dissoluzione dell’URSS stessa.
La prima fase della “Grande Paura”
La rottura rivoluzionaria dell’ottobre avviene nel pieno della maggiore crisi e guerra interimperialista che il mondo avesse mai visto.
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Pensioni: l’estremismo di Bankitalia e Corte dei Conti
di Vincesko
Pur nel quadro delle compatibilità neo-liberiste, c’è davvero bisogno di tanto rigore?
Il governo ha da poco varato la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) sposando le considerazioni di Bankitalia e Corte dei Conti sulle pensioni. “Le ultime proiezioni sulla spesa pensionistica mettono in evidenza l’importanza di garantire la piena attuazione delle riforme approvate in passato, senza tornare indietro”, osserva palazzo Koch, mentre i magistrati contabili evidenziano che “non si tratta, evidentemente, di rispondere alle nuove evidenze con ulteriori restrizioni dei parametri sottostanti al disegno di riforma completato con la legge Fornero; si tratta invece di cogliere ancor meglio il senso della delicatezza del comparto e confermare i caratteri strutturali della riforma, a partire dai meccanismi di adeguamento automatico di alcuni parametri (come i requisiti anagrafici di accesso alla evoluzione della speranza di vita e la revisione dei coefficienti di trasformazione). Ogni arretramento su questo fronte, esporrebbe il comparto e quindi la finanza pubblica in generale a rischi di sostenibilità”.
Parole pesanti che chiudono la porta ai Sindacati che avevano chiesto un ammorbidimento del meccanismo introdotto dalla riforma Sacconi dell’adeguamento all’aspettativa di vita, che dovrebbe far scattare un altro aumento di ben 5 mesi a decorrere dal 2019, portando così l’età di pensionamento di vecchiaia esattamente a 67 anni per tutti.
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Il Partito Comunista Cinese allo specchio
di Diego Angelo Bertozzi e Francesco Maringiò
Congresso e "Socialismo con caratteristiche cinesi" per una nuova era
Per settimane l’avvicinamento al 19° congresso del Partito comunista cinese è parso, soprattutto in occidente, un inseguirsi frenetico di puntate di un serial televisivo, tutto incentrato su dinamiche esclusivamente personali, in special modo sulla figura del segretario Xi Jinping il cui unico obiettivo – questo il senso della trama – era quello di perpetuare il proprio potere a scapito degli avversari di turno, promuovendo amici e sodali. A poche ore dalla sua conclusione (dove tutto sembrava scontato, a leggere i media mainstream) la realtà si è incaricata ancora una volta di fornirci un quadro diverso e più complesso. A partire dal protagonista assoluto, che non è stato l’intrigo di palazzo ma il Partito Comunista Cinese con i suoi poco meno che 90 milioni di iscritti.
Per lungo tempo (sicuramente dal dopo 1989) si è teso a separare il “miracolo economico” cinese dalla leadership politica che quel miracolo stava realizzando. Basta scorrere i giornali per rendersene conto: il PCC si era praticamente eclissato in qualsiasi cronaca e sembrava quasi che i successi fossero frutto di una tecnocrazia al potere che, mantenendo nome e simboli antichi, avesse oramai abbracciato il capitalismo più sfrenato.
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La miseria del sistema bancario italiano
di Andrea Fumagalli
Ringraziamo la segreteria nazionale della CUB-SALLCA per l'invio del materiale relativo al Convegno su Europa e banche tenutosi a Torino il 6 ottobre scorso, e volentieri pubblichiamo il contributo di analisi del sistema bancario italiano presentato dal prof. Andrea Fumagalli
Pubblichiamo una mini inchiesta sullo stato del sistema bancario italiano.
Nella prima parte di questo scritto ci limitiamo a descrivere il contesto macro e europeo in cui sono maturate le recenti dinamiche speculative che hanno investito alcune banche italiane. Non è un caso che ciò avvenga a inizio anno, dopo che il 1 gennaio 2016 è entrato in vigore il nuovo regolamento bancario denominato Basilea 3, ultimo step per la costituzione dell’ Unione Bancaria Europea, più fittizia che reale (come vedremo).
Nella seconda parte, grazie all’analisi ora svolta, ci focalizzeremo più in particolare sul microcosmo italiano delle banche locali: un intreccio politico affaristico all’interno dei quali agiscono processi di espropriazione e di distribuzione che, pur differenti, non hanno nulla da invidiare a quelli più noti delle politiche di austerity a livello macro.
* * * *
Le banche italiane sono vittime della speculazione?
Spesso le vicende economiche tendono a ripetersi. Ma, come la storia, mai nello stesso modo.
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Meditazioni della istruzione offesa
Il problema politico della condizione scolastica nel neoliberismo
di Andrea Cengia
Di neoliberismo e di controrivoluzione liberale, di Thatcher e di Reagan, si è tornati a parlare recentemente. Due lavori su tutti vanno citati: quelli di Dardot-Laval,[1] e di De Carolis.[2] Questi testi permettono di descrivere, tra l’altro, la forza e l’impatto, governamentale di quel modello risultato vincente in particolare nel post 1989. Supportato dalla rivoluzione informatica e, in generale tecnologica, ci ha consegnato un mondo svuotato, dominato dalle passioni tristi,[3] in cui effettivamente sembra aver trionfato, per il momento, il modello di una società atomica, obbediente, formattata secondo le richieste di un mondo produttivo, che vuole cittadini (ancora?) acritici, perfetti portatori d’acqua al mulino dei meccanismi di produzione di plusvalore, secondo le forme di razionalità strumentale che ben descriveva la prima generazione della Scuola di Francoforte.
L’impatto politico generale di questo processo ha assunto, nell’arco di tempo che ci porta dal 1989 ad oggi, svariate forme: privatizzazioni, trasformazioni e strappi più o meno riusciti ad esempio in Italia, alla Carta costituzionale e al patto sociale che l’avrebbe dovuta sostenere. Le politiche economiche e le politiche hanno assunto prevalentemente una indicazione di ossequio alle richieste pressanti del cosiddetto “mercato”, trasformando alla radice gli stili di vita e di convivenza di larghe porzioni della popolazione occidentale.
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Oro, petrolio, dollari, Russia e Cina
di William Engdahl
Il sistema monetario internazionale di Bretton Woods del 1944, per come si è evoluto nel presente, è diventato, detto onestamente, il più grande ostacolo alla pace e alla prosperità nel mondo. La Cina è sempre più sostenuta dalla Russia, e le due più grandi nazioni eurasiatiche stanno prendendo passi decisivi per creare un’alternativa molto valida alla tirannia del dollaro americano nel commercio mondiale e nella finanza. Wall Street e Washington non ne sono contenti, ma sono impotenti nel fermare questo cambiamento.
Poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo degli Stati Uniti, influenzato dalle maggiori banche internazionali di Wall Street, ha istituito ciò che molti credettero erroneamente essere un nuovo standard dell’oro. In verità, fu uno standard del dollaro in cui ogni altra valuta dei paesi del Fondo Monetario Internazionale ebbe il valore agganciato al dollaro. A sua volta, il dollaro americano fu legato poi all’oro con un controvalore pari a un trentacinquesimo di un’oncia d’oro. All’epoca Washington e Wall Street potevano imporre un tale sistema poiché la Federal Reserve deteneva circa il 75% di tutto l’oro monetario mondiale in conseguenza della guerra e degli sviluppi correlati. Bretton Woods incoronò il dollaro, che da allora è diventato la valuta di riserva del commercio mondiale detenuta dalle banche centrali.
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Amazon e il suo monopolio
di Alessandro Visalli
Nel Trono di Spade un uomo che non è più tale conduce in modo irresistibile uno strano esercito: ogni nemico sconfitto ne diventa automaticamente parte, e tra i membri ed il nemico c’è una barriera insuperabile, … sono morti.
Gli ‘estranei’ della fortunata serie televisiva aspirano ogni energia che si trova nel più ampio, complesso e vario mondo dei vivi. In modo in qualche modo simile i nuovi modelli di distribuzione, dalla potenza irresistibile, fanno il vuoto del settore intermedio più rilevante per l’assetto ordinario delle nostre città e della stessa stratificazione sociale: il commercio.
Prima venne la grande distribuzione, e il modello più puro ed aggressivo di questa, Walmart, ma ora sulla sua strada si fa avanti un campione di purezza dall’abbacinante nitore: Amazon. Quando Walmart apre un nuovo punto di vendita nel territorio le reti di commercio di prossimità, anche le più forti ed organizzate, cedono, non riuscendo a stabilire con i fornitori la stessa relazione di potere schiacciante. La grande catena nata pochi anni fa da un solo punto vendita nello stato di Bill Clinton e divenuta una delle multinazionali più grandi al mondo, di cui abbiamo molte volte parlato (ad esempio qui), basa il suo potere nell’unione perfetta di un monopsonio (di fatto diventa, per la sua grandezza l’unico possibile acquirente per i suoi fornitori) e di un monopolio (con i suoi prezzi diventa l’unico a vendere su un territorio),
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Troppi giovani poveri inutilmente acculturati? No problem, la soluzione è la “decrescita culturale”
di Valeria Finocchiaro
Recensione al recente libro di Raffaele Alberto Ventura, “Teoria della classe disagiata”, uscito per Minimum fax
Choosy, bamboccioni, sfigati: è così che negli ultimi anni diversi politici hanno variamente definito la generazione degli attuali trentenni; l’idea è che i giovani tardino deliberatamente a inserirsi nel mondo del lavoro, vivano a casa con i genitori fin quasi alle soglie della pensione e costituiscano un peso per la società. Dopo anni di politiche all’insegna della precarizzazione del lavoro e di tagli del welfare, si scopre che quasi tutto ciò che negli anni della Guerra Fredda veniva considerato un diritto è oggi diventato un lusso socialdemocratico di cui sbarazzarsi, un feticcio religioso che il moderno illuminismo progressista contribuisce a distruggere per far posto alla nuova mistica neoliberale. Il primo idolo da abbattere, naturalmente, è lo stato sociale: come scriveva nel 2010, in piena crisi greca, Alberto Orioli sul Sole 24 Ore, “il welfare state del Vecchio continente si scopre vecchio come la sua patria. E insostenibile”.
Anche la “cultura” è insostenibile, ci dice Raffaele Alberto Ventura nel suo Teoria della classe disagiata, almeno per come l’abbiamo pensata all’epoca del boom. Per dimostrare questa tesi l’autore elabora la categoria di classe disagiata, una versione più colta e meno volgare degli epiteti di cui sopra.
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Martin Lutero, grande riformatore e profeta della borghesia
di Eros Barone
Il quinto centenario della Riforma protestante induce a richiamare l’attenzione sull’importanza e sulla forza della personalità di quell’ex monaco agostiniano che risponde al nome di Martin Lutero. Importanza e forza che spiegano come la figura di Lutero abbia suscitato echi profondi anche nelle file della socialdemocrazia tedesca e del movimento comunista internazionale. Correva l’anno 1890 quando Antonio Labriola, il primo e forse il maggior teorico marxista del nostro Paese, avviò una corrispondenza di eccezionale interesse con Friedrich Engels, cofondatore, insieme con Karl Marx, del socialismo scientifico e figura prestigiosa della Seconda Internazionale, e con Filippo Turati, fondatore e direttore della rivista “Critica Sociale”, nonché esponente di primo piano del movimento socialista italiano che di lì a poco, nel 1892, si sarebbe costituito in partito. Un documento importante dell’impegno pratico profuso da Labriola nella formazione del partito socialista è costituito, a questo proposito, dal messaggio di saluto al congresso della socialdemocrazia tedesca, tenuto a Halle nell’ottobre del 1890, che Labriola redasse d’accordo con Turati. In esso troviamo l’auspicio di un rapido progresso del movimento operaio internazionale, insieme con affermazioni classicamente marxiste, e una conclusione molto significativa, che vale la pena di riportare: «Voi congregati ad Halle potrete esclamare come Lutero innanzi alla Dieta dell’Impero: «Noi siamo qui e noi non possiamo altrimenti» [frase che in tedesco suona: “Hier stehe ich, und kann nicht anders”].
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L’Europa al bivio, rottura o cambiamento?*
di Domenico Moro
Rompere l’Europa o cambiarla? Si tratta di una domanda naturale a fronte di una crisi economica che si è manifestata nella Uem in forme più gravi che in altre aree avanzate del mondo, come il Giappone e gli Usa, e di fronte alle enormi difficoltà a individuare politiche comuni in ambiti diversi e strategici. Quanto la situazione sia ormai giunta a un bivio è dimostrato dalle forze centrifughe che sono in atto, a seguito dell’aumento delle divergenze economiche, all’interno della Ue e della Uem (Unione economica e monetaria). Nell’ultimo anno e mezzo si sono verificati due fenomeni significativi della crisi della Ue: la Brexit e il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Entrambi i fatti affondano le loro radici nella storia e nelle specificità della Gran Bretagna e della Spagna, ma certo la crisi della Ue e della Uem non è estranea al precipitare degli avvenimenti.
Provare a dare una risposta sull’atteggiamento da assumere nei confronti della Ue e della Uem non è facile e va fatto non solo in termini economici, ma anche politici, sociologici e soprattutto inquadrando il tutto all’interno del contesto storico. Per cominciare dovremmo chiederci: che cosa è l’Europa? E qual è la sua funzione? L’Europa e il suo nucleo più compatto, la Uem, sono essenzialmente organizzazioni inter-statali o, più precisamente, inter-governative e mercatistiche.
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Neoliberalismo, l’idea che ha inghiottito il mondo
di Stephen Metcalf
Sul The Guardian, un approfondimento che risale alle origini del neoliberalismo per rintracciarne le caratteristiche peculiari e sottolineare l’ambizione di trasformare completamente la visione del mondo contenuta in quella “Grande Idea” di Von Hayek, che alla fine è riuscita a permeare completamente la società di oggi. Il neoliberalismo è divenuto l’idea dominante della nostra era, che venera la logica del mercato, deprivandoci delle capacità e dei valori che ci rendono più propriamente umani
La scorsa estate, ricercatori del Fondo Monetario Internazionale hanno messo fine a una lunga e aspra disputa sul “neoliberalismo”: hanno ammesso che esiste. Tre importanti economisti dell’FMI, un’organizzazione non certo nota per la sua imprudenza, hanno pubblicato un documento che si interroga sui benefici del neoliberalismo. Così facendo, hanno contribuito a ribaltare l’idea che la parola non sia altro che un artificio politico, o un termine senza alcun reale potere analitico. Il paper ha chiaramente individuato un’ “agenda neoliberalista” che ha spinto la deregolamentazione delle economie in tutto il mondo, forzato l’apertura dei mercati nazionali al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali e richiesto la riduzione del settore pubblico tramite l’austerità o le privatizzazioni. Gli autori hanno dimostrato con dati statistici la diffusione delle politiche neoliberali a partire dal 1980 e la loro correlazione con la crescita anemica, i cicli di espansione e frenata e le disuguaglianze.
Neoliberalismo è un termine vecchio, risalente agli anni Trenta, ma è stato rivitalizzato come un modo per descrivere la nostra politica attuale o, più precisamente, l’ordine delle idee consentite dalla nostra politica. All’indomani della crisi finanziaria del 2008, è stato un modo per attribuire la responsabilità della débacle, non a un partito politico di per sé, ma ad un establishment che aveva ceduto la sua autorità al mercato.
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La contraddizione fra proletariato e capitale è ineluttabile
di R. - Théorie Communiste
Che si scelga l'uno o l'altro dei due corni del dilemma, l'alternativa tra ineluttabilità e non- ineluttabilità (possibilità) del comunismo è priva di senso. L'alternativa ed entrambi i suoi termini, presi separatamente, si basano su una sola ed unica confusione tra il processo di caducità del modo di produzione capitalistico e il suo superamento. Una volta acquisita questa confusione, l'alternativa si impone: per gli uni la confusione è totale e rivendicata: il comunismo è ineluttabile; per gli altri la confusione è altrettanto totale, ma il superamento potrebbe avere luogo soltanto essendo qualcosa di più che un'oggettività, poiché – lo sanno tutti – la rivoluzione è attività, e dunque soggettività: il comunismo diventa allora un possibile. Possibilità e ineluttabilità del comunismo non esistono che come termini di un'alternativa; il problema è il fondamento di questa alternativa.
La tesi della possibilità funziona, come quella dell'ineluttabilità, sulla base di una contraddizione dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, che fornisce all'azione un dato oggettivo (insufficiente per la prima, sufficiente per la seconda). I “possibilisti” dicono: il proletariato può utilizzare questo dato. Gli “ineluttabilisti” dicono: il proletariato è costretto ad utilizzare questo dato.
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Le cronache del nostro scontento III
2014: Il “fenomeno Renzi” mentre arriva la deflazione (ma tra i due fatti non c’è relazione)
di Giorgio Gattei
Qui e qui le cronache precedenti
1. Come narrato nella Cronaca precedente, alla fine del 2013 il governo Letta compie il “miracolo” di conquistare una crescita zero e c’è chi ne gioisce perché l’ISTAT, nel confermare i dati a marzo 2014, potrebbe anche metterci «un segno più di fronte al numero del PIL. Il dato positivo non si riferirà a un anno intero, ma solo a un trimestre. E il numero non sarà elevato, ma non dopo una contrazione dell’economia simile a quella prodotta dalla prima guerra mondiale» (“La Repubblica”, d’ora in poi: R., 3.2.2014). Il fatto sarebbe significativo dopo la disastrosa stagione del governo Monti. Però c’è chi si muove per rimuovere Letta, anche perché un altro in pole position è pronto a prendergli il posto.
Si tratta di Matteo Renzi, che scalpita fin da quando nel settembre 2012 aveva sfidato nelle primarie del PD il padrone della “ditta” Pier Luigi Bersani. Allora aveva perso, ma nel 2013 ci riprova e questa volta stravince a mani basse (il “popolo piddino” è abituato a fare sorprese). Lo statuto del PD dice che il suo segretario deve essere il candidato premier alle successive elezioni politiche, ma quelle elezioni non sono alle viste eppure Renzi ha fretta di andare al governo. Così muove all’attacco di Letta e sabato 22 febbraio 2014 ce la fa a salire al Quirinale a giurare da nuovo Presidente del Consiglio nelle mani dell’intramontabile “re Giorgio”. Ma come ha fatto? Per Marco Damilano (La repubblica del selfie. Dalla meglio gioventù a Matteo Renzi, Milano, 2015) «l’outsider arriva al potere non con un voto popolare, ma con una manovra di palazzo: un tradimento, il brutale assassinio politico del capo del governo Enrico Letta, appena rassicurato.
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Blade Runner 2049: l'autenticità del sé nell’era della sua riproducibilità tecnica
di Riccardo Manzotti
Blade Runner 2049 ha suscitato molte discussioni. Nella confusione delle prospettive che in parte lo caratterizza esso ci permette tuttavia di insistere su una intuizione di tipo benjaminiano: nell’era della riproducibilità tecnica dell’umano, l’aura degli esseri umani è destinata a scomparire
Nel suo celebre saggio del 1935, Walter Benjamin si interroga sul problema dell’autenticità dell’opera d’arte nell’era della riproducibilità tecnica: che cosa differenzia una copia, per quanto perfetta, da un originale? In quegli anni la riproducibilità tecnica riguardava soprattutto gli oggetti costruiti dall’uomo, oggi riguarda l’uomo stesso. Nel nuovo film di Denis Villeneuve, Blade Runner 2049, ovvero il sequel del quasi omonimo film di Ridley Scott (1982), siamo di fronte allo stesso problema applicato alle persone invece che alle opere d’arte. Nell’era della riproducibilità tecnica di noi stessi, che cosa garantisce l’autenticità di un essere umano? Che cosa distingue una copia da un originale? In che cosa consiste la nostra identità? Che cosa è un essere umano?
La domanda non è oziosa. Come tante altre intuizioni del primo film e del racconto da cui aveva preso spunto – il fin troppo citato Do Androids Dream of Electric Sheep di Philip Dick 1968 – sta diventando urgente. La ucronia distopica si sta progressivamente materializzando – la crisi economica, il disastro ecologico, la sovrappopolazione, la creazione di versioni artificiali di noi stessi. È proprio su quest’ultima possibilità che si sviluppa la trama: nel momento in cui possiamo creare agenti dotati di capacità cognitive non lontane dalle nostre, esiste ancora una linea di confine tra noi e gli altri? Si tratta di una domanda per nulla teorica ma attuale e politica.
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Trasporto pubblico locale: il problema è politico
di Collettivo Clash City Workers
Risale a vent'anni fa la riforma del trasporto pubblico locale (Tpl) in Italia, con il decreto legislativo n. 422/ 1997 teso alla diffusione di meccanismi di "concorrenza per il mercato". Sono passati invece dieci anni dal regolamento europeo (n. 1370/2007) che prevede la messa a gara del Tpl, con un periodo di transizione che finisce nel 2019 a meno che le amministrazioni locali non scelgano l'opzione della gestione in house.
Da anni si moltiplicano le spinte verso la privatizzazione ed esternaliz-zazione dei trasporti locali, anche in anticipo rispetto alla messa a gara. Questo anche grazie all'attivismo di aziende come la controllata di FS, Busltalia, che, tramite acquisizioni, si è accaparrata vari pezzi del Tpl, dall'Umbria alla provincia di Padova, e che punta a presentarsi come l'operatore più qualificato nelle future gare d'appalto per i più grandi bacini: Milano e Roma.
Proprio su Roma si sta giocando una partita ricca di implicazioni economiche, politiche e sindacali. Il Movimento 5 Stelle è salito al governo della città promettendo un netto cambiamento dopo gli scandali delle giunte di destra e centrosinistra e dopo l'emersione del gigantesco debito di Atac.
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Angela Davis e la maturità di una rivoluzionaria
di Sara Zucchini
Sono le 20:15 e la fila per entrare in teatro conta già qualche centinaio di persone. Dopo due giorni di incontri sulla politica internazionale, l’economia, i migranti, il global warming, il Venezuela, le graphic novel che sono anche reportage di guerra, la Siria, la Libia, la Brexit, la stanchezza comincia a farsi sentire. Mi fanno male gli occhi, mi fa male la schiena, sento che sto perdendo lucidità, ma se sono qui al Festival di Internazionale, dove da giovanissima ho lavoravo per mettere da parte un po’ di soldi extra e intanto sgattaiolavo dentro i teatri per ascoltare Chomsky o Randall, è per incontrare una donna da foto sul muro, come diceva De Gregori, che oggi è scesa dal muro, è uscita dai libri e dai poster, è diventata tridimensionale e parlerà qui, nella mia cittadina umida.
Angela Davis è una femminista, una filosofa, una comunista, un’attivista del movimento per i Diritti Civili degli Afroamericani, prima come affiliata del Black Panther Party, poi come militante nella cellula nera del Partito Comunista Americano; si è opposta alla guerra del Vietnam, si è battuta per i diritti degli omosessuali e dei transgender e ha sviluppato una critica profonda contro il sistema giudiziario e l’istituzione carceraria, svelandone la natura razzista e la struttura industriale.
Angela Davis ha settantatré anni e nessuna intenzione di abbandonare la lotta politica.
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A dieci anni dalla "Grande Crisi"
di Sebastiano Isaia
Lo scritto che segue si compone di una serie di appunti messi insieme da chi scrive in un ordine forse discutibile. Appunti che non ho avuto il tempo, né la voglia in verità, di rivedere, e di ciò mi scuso con i potenziali lettori, i quali molto probabilmente si imbatteranno in errori formali e sostanziali, sgrammaticature e ripetizioni. Penso tuttavia che la loro lettura non sia del tutto impraticabile, né forse del tutto inutile, e per questo li pubblico, sempre confidando sulla buona predisposizione dei lettori
Ogni scienza sarebbe superflua, se la forma fenomenica e l’essenza delle cose coincidessero immediatamente
(K. Marx, Il Capitale).
Parte I
Yanis Varoufakis e altri cosiddetti “marxisti irregolari” hanno paragonato la Grande crisi iniziata nel 2007 negli Stati Uniti al crollo del «Comunismo reale» iniziato nel 1989 con la caduta del famigerato Muro. L’analogia non regge neanche un poco; e non solo perché il Capitalismo è lungi dall’essere crollato definitivamente, mentre del regime “sovietico” non è rimasto che un pessimo ricordo, ma soprattutto perché allora non crollò il Comunismo, né un Socialismo più o meno reale, quanto un regime capitalistico incapace di reggere il confronto con il più forte e dinamico assetto capitalistico di “stampo occidentale” che aveva negli Stati Uniti il suo più importante pilastro.
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L'eterno "Drang nach Osten" europeo
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BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
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Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
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Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
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Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
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Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto