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La nuova frontiera radicale del capitalismo sostenibile
Militant
Quasi contestualmente a questa lunga riflessione, in cui il neoministro greco Varoufakis spiega le ragioni della sua adesione e della sua critica al marxismo generalmente inteso, qualche giorno fa usciva un contributo di Slavoj Zizek su Repubblica, teso ad inquadrare politicamente il problema ISIS nello scenario globale. Due spunti profondamente diversi, ma che convergono verso un’identica ipotesi interpretativa della realtà ed un’unica soluzione politica per l’avvenire. Una casualità eccessivamente casuale per non destare interpretazioni – e preoccupazioni – politiche. Sebbene da punti di vista differenti, il ministro descamisado e il filosofo lacaniano confluiscono verso l’idea che il capitalismo vada salvato dalla barbarie, cioè da tutto ciò che si pone fuori dal perimetro liberale. Capitalismo o barbarie, termina la lunga riflessione del ministro greco; allo stesso modo, sebbene non così esplicito, Zizek converge spiegando che solo una tensione stimolante della sinistra radicale può salvare il capitalismo dai suoi eccessi liberisti, riaffermare il liberalismo come metodo politico progressista così da impedire sul nascere degenerazioni à la ISIS. Poco male, la solita fuffa buonista di una certa sinistra salottiera, potremmo liquidarla. Non fosse che Zizek da qualche anno viene percepito come uno dei più rilevanti maitres a penseer della nuova sinistra radicale e anticapitalista, mentre Varoufakis – insieme a Syriza – visto come possibile leader della sinistra europea.
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Il viaggio dell’eroe e la coscienza di classe
di Luca Cangianti
L’eroe delle narrazioni moderne percorre lo stesso cammino di chi prende coscienza di una situazione d’oppressione e decide di ribellarsi. Nel Viaggio dell’eroe, un manuale di sceneggiatura di ampio successo, Chris Vogler afferma che il protagonista, l’eroe per l’appunto, è spinto a intraprendere un’avventura che lo strappa alla realtà quotidiana, portandolo alle soglie di un mondo straordinario nel quale dovrà superare prove mortali nel tentativo di sconfiggere il nemico. Tuttavia “Gli eroi non si limitano a visitare il regno dei morti per poi tornare a casa. Ne escono trasformati” (C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Audino, 2005, p. 128.)
Tre storie gestaltiche
Nel film Tutti a casa il sottotenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi), dopo il collasso dell’8 settembre 1943, intraprende un viaggio drammatico e picaresco attraverso l’Italia sconvolta dalla guerra e invasa dai nazisti. Innocenzi all’inizio si comporta da opportunista, ma il corso degli eventi lo cambia progressivamente. Nel finale, di fronte all’assassinio del suo compagno, ha uno scatto di dignità e decide di non subire più la violenza dell’oppressore. Prende coscienza, s’impossessa di una mitragliatrice e inizia a combattere: l’inquadratura si allarga sulle azioni coordinate di una brigata partigiana; l’eroe non è più solo, è parte di una comunità più grande che sfida il potere e crea a una nuova società.
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La tragedia greca: l’Europa a un bivio?
di Andrea Fumagalli
In questi giorni si è concluso il primo round della trattativa tra governo greco ed Eurogruppo. Presentiamo qui una prima analisi dei risultati raggiunti, delle opportunità guadagnate e delle eventuali occasioni perse. L’intento è quello di problematizzare con lucidità l’attuale fase, importante e delicata, evitando di farsi cogliere dal disfattismo o viceversa dall’euforia. Il presente contributo si è avvalso di un fruttifero scambio di opinioni con Christian Marazzi.
Si è chiusa la prima fase della trattativa tra il governo Tsipras e la troika (ora chiamata “le istituzioni”) per la ristrutturazione del debito greco e il possibile superamento delle politiche di austerity. Non sappiamo ancora come il processo avviato nel mese di febbraio si concluderà e quindi è prematuro tracciare un bilancio definitivo. Ma alcune considerazioni possono essere avanzate già da ora.
La successione degli eventi
Cominciamo con i fatti. Perché un minimo di informazione è necessaria, per capire di che stiamo parlando.
Il 4 febbraio 2015 la Bce decide di non accettare più come garanzia “collaterale” i titoli di stato greci per fornire la liquidità necessaria al sistema creditizio greco al fine di far fronte alle normali operazioni bancarie. Di fatto, un drastico taglio alla liquidità greca che incentiva la fuga di capitali all’estero. Di fatto, un atto di terrorismo economico per condizionare la trattativa che si sarebbe aperta da lì a poco. Il governo greco inizia così la trattativa con una pistola puntata alla tempia.
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I luoghi dell’etica economica
[Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo la postfazione al volume L’Europa dei territori. Etica economica e sviluppo sociale nella crisi a cura di Emanuele Leonardi e Stefano Lucarelli, Orthotes, 2014]
di Stefano Lucarelli
Heidegger: Così come non si possono tradurre le poesie, non si può tradurre un pensiero. Si può tuttavia in ogni caso parafrasarlo. Ma appena si tenta una traduzione letterale, tutto viene modificato.
Spiegel: È un’idea scomoda.
Heidegger: Sarebbe bene si prendesse sul serio e su grande scala questa scomodità e si meditasse finalmente su quale trasformazione, ricca di conseguenze, abbia subito il pensiero greco attraverso la traduzione nel latino dei Romani, un evento che ancora oggi ci impedisce un sufficiente ripensamento delle parole-base del pensiero greco.
Postfazione
Tra l'economia politica e la politica economica: i luoghi dell'etica economica
I luoghi dell’etica economica
Parlare di etica economica comporta innanzitutto un lavoro di comprensione non banale di questa coppia di parole – il sostantivo “etica” e l’aggettivo “economica” – parole che sorgono molti anni fa all’interno del pensiero filosofico greco, e, in particolare all’interno della riflessione di Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C.).
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Il MUOS è US Navy, non NATO
Ed è un pericolo, non una difesa.
Massimo Zucchetti
Il mutuo soccorso fra scriventi sui quotidiani (io non oso chiamarmi giornalista, non intendo usurpare una qualifica così apprezzata oggidì in Italia: TUTTI gli italiani amano i giornalisti, no?) è una buona norma.
A volte capita ai noi scriventi sui quotidiani di dover essere costretti, da — diciamo — indicazioni editoriali dall’alto a dover scrivere di cose delle quali non sappiamo assolutamente nulla: allora ci si arrangia come si può, e magari — purtroppo — si costruisce tutto il proprio pezzo su affermazioni di base che sono false.
Angelo Panebianco firma addirittura un editoriale sul Corriere della Sera, noto quotidiano a diffusione nazionale, dal titolo:
Sentenze miopi e tagli sbagliati, le armi puntate contro di noi
Non entro nel merito della prima parte dell’articolo, tutto in soccorso e difesa della Difesa, tutto pieno di rimpianto sul “c’eravamo poco armati”, tutto ardente di nuovo spirito guerriero verso Tripoli bel suol d’amore, tutto scandalizzato su come molti deputati abbiano osato esprimere addirittura la loro “opposizione di principio” verso l’acquisto degli F-35, nota arma antiterroristica efficiente e a basso costo: il tutto in questo Grave Momento in cui l’ISIS — impresa con startup USA — minaccia di invadere Roma.
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L'alternativa in Grecia
di Statis Kovelathis*
La strategia negoziale della leadership di Syriza ha fallito. Ma non è ancora troppo tardi per evitare una sconfitta totale.
Cominciamo con un fatto che dovrebbe essere indiscutibile: venerdì il governo greco è stato trascinato in un accordo con l’Eurogruppo che equivale ad una precipitosa ritirata.
Il regime del memorandum sarà prorogato, l’accordo sul prestito e la totalità del debito sono riconosciuti, la “supervisione”, altra parola per indicare il governo della troika, sarà continuata sotto altro nome, e vi sono ora ben poche possibilità che il programma di Syriza possa essere attuato.
Un fallimento così totale non è, e non può essere, una questione di fortuna, o il risultato di una tattica mal concepita. Esso rappresenta la sconfitta di una linea politica ben precisa che ha ispirato la strategia del governo.
L’Accordo di Venerdì
Nello spirito di un mandato popolare per il rovesciamento del regime del memorandum e la liberazione dal debito, la parte greca è entrata nel negoziato respingendo la proroga dell’attuale “programma”, concordato con il governo Samaras, e rifiutando la tranche del prestito di 7 miliardi di €, ad eccezione del profitto di 1,9 miliardi di € sui titoli greci, a cui aveva diritto.
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Il capitale «apre» i confini: accumulazione e crisi del globale in Rosa Luxemburg
di Michele Cento e Roberta Ferrari
Dopo l’introduzione al seminario dedicato a Riforma e Rivoluzione di Rosa Luxemburg che ∫connessioni precarie ha organizzato lo scorso autunno, pubblichiamo la seconda parte dedicata a una lettura fedele ma libera dell’accumulazione del capitale. Lo scopo principale non è tanto una filologia politicamente corretta dell’opera di Luxemburg, ma la presentazione di alcuni spunti che partendo dalla sua analisi siano all’altezza della sua intelligenza e della sua coerenza.
«…esige un’illimitata libertà di movimento…e perciò una possibilità sconfinata di disporre di forza lavoro addizionale»
«Gli errori che compie un reale movimento operaio rivoluzionario sono sul piano storico incommensurabilmente più fecondi e più preziosi dell’infallibilità del miglior comitato centrale», scrive Rosa Luxemburg in I problemi di organizzazione della socialdemocrazia. Vale forse la pena iniziare da qui perché, nelle pagine che seguono, ci occuperemo in fondo della fecondità degli errori, non del movimento operaio, ma di Rosa Luxemburg. Non è certo una novità che le tesi espresse dall’Accumulazione del capitale, volume che Luxemburg pubblica nel 1913, siano basate sull’assunto errato che l’affermazione mondiale del capitalismo coincida con la sua crisi definitiva. Quale significato può allora avere rileggerle oggi, nel momento in cui l’estensione globale del dominio capitalistico è direttamente proporzionale non solo all’inflessibilità del suo comando, ma anche alla rimozione di ogni scenario alternativo allo sviluppo capitalistico? Ha certamente ragione Slavoj Žižek quando sostiene che siamo capacissimi di immaginare la fine del mondo in seguito a un’invasione marziana, ma la catastrofe del capitalismo rimane per noi impensabile. La fecondità politica dell’errore di Luxemburg deve essere misurata allora su questa incapacità, non per trarre dalla sua oepra la via finalmente rischiarata per la rivoluzione, ma per acquisire strumenti utili alla comprensione del presente capitalistico, nel quale crisi e ripresa si giustappongono per consolidare il dominio del capitale sul lavoro che, nonostante le difficoltà organizzative, tenta sempre di sottrarsi agli imperativi che gli sono imposti, sia pure in maniera per lo più estemporanea. È cioè un presente di dominio e di lotta, di processi consolidati e di insorgenze improvvise, di rischi e di opportunità.
Fin qui, rientreremmo però ancora nell’ambito del «classico», inteso appunto come testo capace di parlare al presente. Un ambito irto di confini interpretativi, che vigila sulle letture dell’opera e le vaglia scrupolosamente.
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Concorrenza fiscale o regolazione fiscale del Capitalismo?
Un bilancio europeo1
di Salvatore Biasco
Introduzione e sintesi
E’ bene iniziare con una sintesi su ciò che tratta il saggio. Non é di percezione comune nella sinistra che in campo fiscale si giochino pezzi della regolazione del capitalismo mondiale. Ed é sfuggito a molti che - sempre in campo fiscale - é stata varata l’unica vera regola mondiale da molti anni a questa parte, siglata da un concerto di paesi a ottobre 2014, quella che porta allo scambio automatico di informazioni tra amministrazioni fiscali (di cui dirò). Pur essendo una rivoluzione da non sottovalutare, che pone qualche serio problema ai grandi patrimoni, a evasori e al denaro sporco, é una regola incompleta. Non pone, infatti, altrettanti problemi alla capacità della multinazionali di sfuggire legalmente alla tassazione, di sottrarre quest’ultima al paese in cui hanno prodotto reddito e sostanzialmente tenerla per sé, Non solo un danno di gettito, ma un'alterazione conseguente della concorrenza a proprio favore. Dovrà pure essere affrontata una situazione che vede imprese come Amazon, Apple, Starbrook e tantissime altre riuscire a pagare, sì e no, il 2% sui propri profitti, mentre altre sono soggette a tassazione piena e il lavoro é ipertassato.
Si insiste molto sulla perdita di efficacia dello Stato nazionale di fronte alla globalizzazione finanziaria. Ma, in questo campo, é così solo in parte. Gli Stati nazionali (soprattutto europei) non hanno perso potere impositivo a causa della globalizzazione, ma a causa della competizione fiscale.
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Syriza, l’Europa e la dura legge del Minotauro
Note sulla congiuntura attuale a partire da “Il Minotauro globale” di Yanis Varoufakis
di Miguel Mellino
Politica e mitologia
Yanis Varoufakis è balzato definitivamente alla ribalta dopo la vittoria di Syriza in Grecia. L’arrivo di Varoufakis nei labirinti del potere UE – come ministro delle finanze del governo Tsipras – può essere considerato come uno degli effetti più rilevanti del ciclo di lotte anti-austerity che è andato sviluppandosi nell’Europa meridiana, ma non solo, negli ultimi anni. La vittoria di Syriza pone l’UE come mai prima di fronte a un bivio: perseverare in modo diabolico nel proprio dispotismo neoliberista, e confermare così la sua guerra di classe alle diverse popolazioni europee, o cominciare a cedere a un movimento che prima o poi non potrà più contenere, se non ricorrendo a forme di violenza sempre più esplicite. Tsipras e Varoufakis rappresentano oggi qualcosa come il “punto nodale”, per riprendere qui un noto concetto lacaniano, dell’attuale scontro tra l’Europa costituita e l’Europa costituente. Al di là della mitologia costruita dai media soprattutto italiani sui “sembianti” di questi due uomini – ritratti spesso insieme, e che vanno da uno Tsipras cresciuto al “caldo del movimento no global” e della “tradizione della sinistra italiana” (come se questo di per sé fosse garanzia di qualcosa), a un Varoufakis “diverso” perché arrivato in moto al vertice dell’Eurogruppo (in un ibrido tra James Dean e Che Guevara) – sappiamo ancora poco del modo in cui intendono portare avanti la richiesta di una svolta anti-austerity in Europa per affidare unicamente al loro operato nell’ambito delle istituzioni comunitarie, ovvero alla “polizia” (per stare al modo in cui Jacques Ranciére ha definito le istituzioni sovrane moderne), il nostro futuro “politico”. E questo, ovviamente, al di là della buona volontà di entrambi. Forse si può ricavare qualche indizio in più di ciò che potrà accadere da una lettura del libro più importante di Yanis Varoufakis Il Minotauro globale (Asterios, 2012), rimasto misteriosamente in secondo piano (quasi mai citato) negli attuali dibattiti.
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Cosa si nasconde dietro le nostre rabbie quotidiane
Nicola Lagioia
“Dovresti finire in galera”. “Sei un cane!”. “Pezzo di merda”. “Peggio della camorra”. “Si vergogni! Sono una professoressa e so quanto soffrono i ragazzi sovrappeso quando vengono sfottuti dai compagni, e lei merita di essere rinchiuso qualche anno in un centro di rieducazione mentale”. “Ti auguro la morte”.
Molti di quelli che fino al mese scorso piazzavano l’icona Je suis Charlie sulle foto del loro profilo Twitter o Facebook non si sono fatti problemi a scagliarsi qualche giorno fa contro Alessandro Siani. Il comico, in nome di un cattivo gusto che non arriva ai talloni di quello sfoderato dal settimanale satirico francese, ha canzonato in diretta nazionale un ragazzino obeso.
Non amo la comicità di Siani, mi sembra morda poco e grossolanamente. Ma non posso non notare la contraddizione in chi, sentendosi ferito da un’offesa rivolta ad altri (”ma ci entri nella poltrona?”, che se volete è la versione moscia del Benigni prebeatificazione, quando diceva di Giuliano Ferrara “pensa che vita senza toccarselo mai, non ci arriva mica!”) non vede l’ora di ferire a sua volta augurando il decesso o la reclusione coatta all’autore dell’offesa. Non è la riprovazione di per sé a sembrarmi rivelatoria, ma la violenza con cui è espressa. Il caso di Siani è solo l’ennesimo in cui, crepato il vaso di Pandora del politicamente corretto, ne vengono fuori strani spettri.
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L’ impacte républicain
di Marco Zerbino
Uno dei lasciti più problematici di atti criminali come quello verificatosi lo scorso 7 gennaio nella redazione di Charlie Hebdo ha a che fare con il clima binario che tipicamente essi generano. “O di qua, o di là”, suonano sempre i primi commenti a caldo, e questo sembrava dire anche l’oceanica manifestazione tenutasi la domenica successiva al massacro, il cui slogan principale era “Je suis Charlie” (associato anche all’altro “Je suis Charlie, flic, juif”: “Sono Charlie, poliziotto, ebreo”). Buona parte delle analisi e delle ricostruzioni, come anche il vissuto (più o meno conscio e ammesso) del cittadino medio occidentale bianco, finiscono fatalmente per strutturarsi attorno alle ben note coppie antinomiche “bene/male”, “libertà/dispotismo”, “democrazia/teocrazia”, “lumi della ragione/tenebre oscurantiste”, “occidente/islam”, “civiltà/barbarie”, “Noi/Loro”… Lista che, va da sé, potrebbe continuare.
Vorrei tuttavia rassicurare il lettore. Quanto sta per leggere non contiene l’ennesima tiritera sulla falsariga di quelle che le prefiche liberal e progressiste amano intonare in riferimento ad accadimenti terribili come quello di rue Nicolas Appert: che il “vero” islam non ha niente a che fare con il fondamentalismo; che esso è anzi religione di pace e di tolleranza; che l’islam ha contribuito tantissimo allo sviluppo della civiltà umana sin dal Medioevo e via discorrendo.
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Fine della lentezza
Paolo Gervasi
Lamberto Maffei ha scritto, per la collana “Voci” del Mulino, un Elogio della lentezza (Il Mulino, 2014) percorso dal gusto rinascimentale ed erasmiano per il paradosso. Il libro si apre con l’immagine di una tartaruga sul cui dorso è issata una grande vela gonfiata dal vento, accompagnata dal motto Festina lente, “affrettati lentamente”, l’emblema al quale Cosimo I de’ Medici affidava la sintesi della sua filosofia politica. Anziché inscenare un conflitto schematico, da risolvere unilateralmente, tra lentezza e velocità, Maffei, riprendendo alcuni degli spunti contenuti nel suo precedente, importante libro La libertà di essere diversi (Il Mulino, 2014) mostra la complessità delle relazioni tra due modalità del pensiero, tra due attitudini cognitive biologicamente radicate. Da un lato il pensiero rapido, prevalentemente automatico e inconscio, che guida le reazioni irriflesse e immediate agli stimoli ambientali, legate alle necessità primarie della sopravvivenza, ed è riconducibile alle aree più arcaiche del cervello, alle facoltà tradizionalmente associate all’emisfero destro. Dall’altro lato il pensiero lento, riflessivo, logico, il pensiero razionale associato all’emisfero sinistro, strutturato secondo sequenze temporali, espresso e messo in forma attraverso il linguaggio, modellato da un alto quoziente di plasticità neuronale, dalla plasmabilità delle connessioni sinaptiche, che si modificano a contatto con l’ambiente e nell’interazione sociale e culturale.
Se il pensiero lento ha bisogno di stabilità e di durata, si fonda sulla continuità e sulla stratificazione dinamica di elementi concatenati nel tempo e legati da rapporti consequenziali, il pensiero rapido crea una dimensione temporale discreta, in senso matematico, o saltatoria, che tende a dissolvere sia la continuità retrospettiva costituita dalla memoria, sia quella proiettiva della progettazione del futuro.
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Europa: l’illusione socialdemocratica di Syriza e Podemos
di Giovanna Cracco
Si fa un gran parlare, nei salotti a sinistra del Pd, di un vento nuovo che soffia in Europa: Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. L’entusiasmo con cui se ne discute ha un che di infantile. Certo la novità è positiva, e ai due partiti va il merito di voler portare al centro del dibattito europeo un pensiero politico alternativo al neoliberismo dominante, ma ciò di cui la sinistra pare non rendersi conto è la conseguenza che questo avrà sulla sua visione politica, la resa dei conti che l’aspetta; da qui, dal non capirlo, l’infantilismo. Syriza e Podemos costringeranno l’Unione a togliersi il velo, a mostrare la sua radice ontologica di istituzione nata al servizio del grande capitale finanziario e manifatturiero – in una parola, la sua natura classista – e questo obbligherà la sinistra a confrontarsi con la miopia che la caratterizza da quando ha abbandonato gli strumenti di analisi della propria cultura, primi fra tutti quelli economici. E a trarne le conseguenze politiche: sinistra e Unione europea sono incompatibili.
Né Syriza né Podemos parlano di uscita dall’euro, al contrario, vogliono restarci. Entrambi sono unanimemente definiti, dalla politica e dai media, ‘sinistra radicale’, e già questo dovrebbe indurre a una prima riflessione.
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Note sul dopo Charlie
di Marco Assennato
1. Sottomissione. Si direbbe: il mercato editoriale funziona come un orologio: batte il tempo e sforna preciso – lievemente sbilanciato indietro a dire il vero, come a giocare d’anticipo – prodotti adatti ad accarezzare l’ansia, ingoiarne l’inquietudine, confermando tutti i bassi istinti, e le nevrosi del giorno. Così la storia ignobile degli attentati fascisti contro il settimanale Charlie Hebdo è stata preceduta dalla mercanzia editoriale dell’anno: un volume che immagina – certo in un orizzonte cinico e nichilista, di chi coltiva la passione di non aver passione politica – la Francia governata da funzionari religiosi, in una Europa che inverte miracolosamente il corso della sua pluricentenaria secolarizzazione, precipitando in una seconda, più subdola barbarie. E giù a leccarsi i baffi nel dichiararne il bello e il brutto, senza privarsi del piacere di scandalizzare gli animi sensibili, proclamando l’uomo, uno dei più grandi autori del nostro tempo – che in fondo non c’importa nulla di cosa egli pensi, né del fatto che non abbia capito un fico secco della cultura “del ’68″, e neppure si tratta di stare lì a misurare l’improbabile della sua narrazione, le ombelicali contorsioni d’una autobiografia senza corpo di mamma, il piccolo mondo mostruoso fatto di forme di vita putrefatte e in fondo innocue.
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Sinistra
di Mario Tronti
Per gentile concessione di Mario Tronti e della casa editrice Ediesse, nella persona di Angelo Lana, pubblichiamo per il web questo saggio di filosofia politica contenuto nel volume Per la critica del presente, libro edito da Ediesse nel 2013 e di cui si consiglia la lettura. [lcd]
Uno spunto di David Caute: «La sinistra, bisogna riconoscerlo, ha avuto un brutto inizio: il Vecchio e il Nuovo Testamento trattano la destra come simbolo del bene, e la sinistra del male». Matteo 25, 33-34: «…e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il Re dirà a quelli della sua destra: venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo». Marco 14, 62: «…e vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza». L’Ecclesiaste, 10, 2: «Il savio ha il cuore alla sua destra, lo stolto alla sua sinistra». Tommaseo cita dalla Vita di Barlaam e Giosaffatte: «Metterà i buoni alla sua destra, e’ rei dalla sinestra». Decisamente un brutto inizio. Ed è inutile prendersela con il complotto biblico-teologico. La laica mitologia arcaica riservava la parte destra agli dei e la sinistra ai demoni. Non c’è scampo. Quando, qualche decennio fa, cominciò la crisi della politica, quando lo Stato cominciò a perdere il monopolio della politica, allora nacque «il politico». Anche su questo versante, la sinistra è bloccata. Nuovo Vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, 1897: «Sinistro; Fig. Cattivo; Dannoso. Es. si manifestano già i sinistri effetti di una cattiva politica». E il Dizionario moderno di Alfredo Panzini, 1942: «Sinistro. Voce generica che vale a significare qualunque disgrazia: terremoti, naufragi, scontri, incendi, ecc.». Prima riflessione. Si potrebbe leggere l’intera storia della sinistra come il tentativo di emancipazione dal male, dal peccato, dal cattivo destino, come liberazione dal negativo, come affermazione, a dispetto di tutto, della propria bontà, e virtù, e capacità, e efficienza. Questa via crucis sta arrivando al sacrificio finale. Ci sarà resurrezione, o si tratterà di vera morte?
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Grecia, una nuova moneta fiscale la salverà?
di Enrico Grazzini
Comunque vadano le trattative con la Troika, il governo Tsipras dovrà porsi certamente la questione se emettere o no una moneta nazionale parallela all'euro, possibilmente al posto della dracma. Su questo il Financial Times sembra avere tesi contrapposte. Ma per uscire dalla crisi di liquidità anche l'Italia dovrebbe emettere certificati di credito fiscali, non vi sono altre soluzioni
La Grecia può stampare una sua moneta parallela all'euro? Sì, secondo Wolfganf Munchau, autorevole commentatore del Financial Times. Questo sarebbe il vero piano B del governo greco per uscire dalla crisi: emettere una (quasi)moneta, cioè un titolo fiscale che funzionerebbe come mezzo di pagamento per sfuggire alla stretta monetaria imposta dall'Unione Europea e dalla BCE1. Munchau è stato però aspramente contraddetto sull'autorevole quotidiano britannico da Hugo Dixon, noto editorialista della Reuters. Secondo Dixon se la Grecia stampasse una sua moneta parallela si suiciderebbe2.
Comunque vadano le trattative in corso sul programma di “salvataggio” (?) della Grecia, una cosa è certa: il governo greco dovrà certamente porsi la questione se emettere o no una moneta nazionale, una moneta parallela all'euro, possibilmente al posto della dracma. Anche l'Italia ha un problema analogo di crisi di liquidità, e, secondo l'appello lanciato da Luciano Gallino, Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Guido Ortona, Stefano Sylos Labini e da chi scrive, dovrebbe emettere una sua moneta statale-fiscale3.
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Un dialogo evoluto
Laura Di Corcia intervista Telmo Pievani
Secondo Leopardi la “natura” è crudele e la teoria evoluzionistica darwiniana non ha fatto che confermare questo sospetto, quello di un grosso meccanismo continuamente stritolante, dove ogni tassello non ha nessun altro interesse se non quello di badare a se stesso, pensare alla propria sopravvivenza. È davvero così? Perché, allora, esiste l’empatia, come mai gli uomini (alcuni fra loro) tendono a far comunità, ad aiutarsi reciprocamente? In parole semplici, l’uomo è un animale individuale o sociale?
Abbiamo posto queste domande a Telmo Pievani, filosofo della scienza ed epistemologo, grande conoscitore delle teorie evoluzionistiche che ci ha parlato di nuove frontiere, nello studio della nostra storia di uomini, di una selezione, operata a livello macro-individuale, fra gruppi, che tenderebbe a favorire gli individui cooperativi, a fare in modo che siano proprio loro (in apparente contraddizione con quanto sostenuto da Darwin nel suo L’origine della specie, 1859) a resistere nel tempo come modello vincente.
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Il vostro futuro è una nuova Norimberga
di Nico Macce
Un anno è passato dalla caduta del governo Yanukovich in Ucraina, da Euromaidan. Da quella che tutti i media occidentali avevano annunciato come la seconda rivoluzione arancione per la democrazia.
Un anno denso di atrocità in quei luoghi e infarcito di menzogne e censure da parte dei principali media nostrani.
Non è mia intenzione ripercorrere le tappe di questa vicenda. Ci sono siti e blog che sono già molto esaustivi. Piuttosto ritengo importante inquadrare questa sporca e irresponsabile guerra creata dai poli imperialisti USA e UE dell’Alleanza Atlantica, in un disegno più ampio che si va formando in Europa e più in generale a livello internazionale.
Se menzionerò qualche dato è per i più pigri, che non hanno voglia di andarsi a documentare, ma che rischiano così di non avere la dimensione reale di quello che ritengo essere il rischio più grande di guerra su vasta scala che il pianeta stia correndo dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
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Varoufakis
di Alberto Bagnai
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=1KSmcUyAZwU
Un compagno economista mi ha proposto il video qua sopra. Ho condiviso seco lui ed altri illustri politici ed economisti di sinistra alcune considerazioni, che mi pregio di sottoporre alla vostra riverita attenzione. Faccio un cut and paste, così famo prima, eliminando dettagli che potrebbero farvi riconoscere gli interlocutori...
==============================INIZIO LETTERA==========================
Scusate, credo che dovrò smettere di frequentarvi perché abbiamo due concetti di democrazia diversi!
Io mi sto spaccando da cinque anni per informare, e se fossimo stati in dieci i risultati sarebbero stati cento volte tanto (guardate quanto poco mi considero).
Voi vi state chiedendo quale sia e se sia efficace la strategia di un politico che promette una cosa (restare nell'euro) e (forse) vuole farne un'altra, cioè di uno che nella migliore delle ipotesi è un paternalista alla Padoa Schioppa, nell'ipotesi intermedia un coglione, nella peggiore un ascaro della Bce.
Sinceramente trasecolo (e mi rammaricherei per i cinque anni buttati al cesso, se non mi fossi comunque divertito).
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L'Italia ha perso nella guerra tra capitali
di Pasquale Cicalese
«La decisione di immettere base monetaria attraverso il canale dell’acquisto di titoli di stato per un totale di 130 miliardi da parte della Banca d’Italia ha due conseguenze. Mina il bilancio di Palazzo Koch impegnando – in maniera obbligatoria, pare – le riserve ufficiali anche auree. E impedisce in futuro allo stato italiano ogni genere di rinegoziazione o di dichiarare default del proprio debito senza determinare gravi conseguenze anche per la “sua Banca centrale”. Il QE funziona come un’ulteriore bardatura che impedirà al paese scelte diverse da quelle di stare in Europa, obbedendo a Berlino-Bruxelles a rischio di trasformarci in colonia politica». Paolo Savona, economista, già Ministro dell’Industria del governo Ciampi, in “Quel trucchetto di Draghi per incatenare l’Italia all’euro”. Il Foglio 12 febbraio 2015.
Abbiamo perso la guerra, perché non l’abbiamo mai combattuta. Resa senza condizioni, sin dal 1992, quando si decise la fine della Prima Repubblica fondata sul ruolo dei partiti nati dalla Resistenza e si decise, in ossequio a Washington e Berlino, di smantellare i colossi pubblici.
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Una filosofia del nostro tempo?
Un libro su Slavoj Žižek
Valerio Romitelli
Valerio Romitelli ha recensito per “Inchiesta” il libro di Igor Pelgreffi, Slavoj Žižek, Orthotes, Napoli-Salerno 2014
Ogni epoca, ogni tempo ha il suo filosofo. O meglio ogni due o tre generazioni c’è quasi sempre una filosofia a tenere a banco non solo tra esperti e appassionati del settore, ma anche più o meno direttamente o indirettamente in tutti gli ambiti della cultura. Restando ai tempi moderni, basti pensare a quanto Hegel e l’hegelismo hanno influenzato non solo le idee, ma anche le opinioni e i comportamenti dei loro contemporanei lasciando in seguito tracce indelebili. Ma lo stesso si può dire di nomi come Comte e il positivismo, Husserl e la fenomenologia, Heidegger e l’ontologia fondamentale, Sartre e l’esistenzialismo, senza dimenticare i vari ritorni di fiamma, quali il neokantsimo tra ’8 e ’900 o il neoidealismo dei “nostri” Gentile e Croce e così via.
Meno oziosa o specialistica di quel che può sembrare è dunque la domanda su quale sia la filosofia del nostro tempo. Capirlo non ha interesse solo per esperti o appassionati di filosofia, ma anche per chiunque non si appaghi dell’oggi onnipresente cronaca globale e tenga invece ad interrogarsi più profondamente su quale sia il tempo in cui vive. La filosofia o una filosofia che più ha successo per un certo tempo ci dice infatti qualcosa di fondamentale di quel che il mondo è, al di là di come ci appare. Ossia ne è un sintomo più profondo e duraturo, che dura più dell’istantaneità dell’informazione. Forse è proprio in ragione del trionfo della comunicazione che più recentemente la filosofia non ha più i riscontri d’altri tempi. O meglio, ne ha solo se ridotta in quelle pillole delle pratiche terapeutiche o di counseling che sono state confezionate per sedare i problemi di comunicazione interpersonali o di management[1]. Sia quel che sia, oggi almeno un filosofo di successo, e che si presenta come tale, c’è. Per informarsene basta vedere la sua enorme prolificità premiata da vendite non trascurabili e traduzioni in tutto il mondo.
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Le previsioni di Keynes
di Marino Badiale
In un post di qualche tempo fa ho citato, come esempio di un tipo di analisi che potrebbe entrare in sinergia col pensiero della decrescita, il saggio di Keynes sulle “Possibilità economiche per i nostri nipoti”, originariamente pubblicato nel 1931. Curiosando qua e là, mi sono accorto che in anni recenti quel saggio ha suscitato un certo interesse. Ha avuto varie ristampe ed è stato discusso da un certo numero di autori. Evidentemente, di fronte alla crisi attuale, che appare irrisolvibile, si cercano stimoli intellettuali un po' diversi dai soliti. Fra le altre cose, è stata pubblicata una raccolta di saggi di economisti mainstream ad esso dedicata: "Il ventunesimo secolo di Keynes. Economia e società per le nuove generazioni", a cura di L. Pecchi e G. Piga, LUISS University Press 2011. Vi sono presenti sia autori che in qualche modo possiamo ascrivere ad una specie di “ala sinistra” del mainstream (Stiglitz, per esempio), sia autori di vedute opposte. Si tratta di testi che stimolano molte riflessioni, e che hanno spesso intuizioni notevoli, come quando Fitoussi parla, a proposito del mondo futuro delineato da Keynes, di una sorta di “comunismo delle élite”.
Nonostante le molte cose interessanti che il libro contiene, la mia sensazione generale è stata quella di una certa lontananza rispetto ai temi che personalmente sento importanti, lontananza derivante dalla presenza, nei vari autori, di alcune assunzioni implicite.
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La speranza del mostro democratico, fra Syriza e Podemos
di Antonio Negri e Raúl Sánchez Cedillo
“Uno spettro si aggira per l’Europa”: così titolava in questi giorni il giornale italiano “il manifesto”, commentando le visite di Tsipras e Varoufakis ai governi europei. Un vero incubo per gli ordoliberali tedeschi, un Geisterfahrer, per l’appunto, l’autista suicida che vuole scaraventarsi contro l’autobus europeo – ha detto in prima pagina “Der Spiegel”. Immaginiamo che cosa potrà succedere con la vittoria di Podemos in Spagna: quale enorme spettro sarà allora visto aggirarsi, un vero e proprio mostro generato dagli sfruttati e dalle forze produttive della quarta economia europea! Fra poche settimane cominceranno le scadenze elettorali in Spagna e si ripeterà, con forza moltiplicata, il ritornello dei governi europei inteso a far paura ai cittadini spagnoli. Prepariamoci. Certi che le malauguranti prepotenze propagandiste europee saranno battute. Ma intanto prepariamoci: che cosa potrà replicare Podemos sull’Europa?
Consapevole dell’accelerazione temporale e politica che la vittoria di Syriza ha imposto, il discorso di Podemos sull’Europa è da un lato di sincera solidarietà e d’alta considerazione per la vittoria dei democratici greci, d’altra parte è un giudizio di prudenza – la linea Tsipras può fallire nel breve tempo che divide dalle scadenze spagnole. E la prudenza non è ambiguità. Tutti sappiamo infatti che nulla sarebbe più pericoloso di una posizione ambigua non solo sulla trattativa ora aperta dalla Grecia con l’Europa ma soprattutto nei confronti delle politiche che l’Europa della troika ha finora sviluppato. Qualsiasi ambiguità su questo terreno dev’essere tolta – e lo è stata effettualmente da quanto si è drammaticamente visto in questi ultimi mesi: esistono due Europa e bisogna collocarsi nell’una o nell’altra.
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Il fascino discreto della crisi economica
Noi Restiamo intervista Simon Mohun
Continua il ciclo di interviste ad economiste ed economisti eterodosse-i a cura degli attivisti della campagna “Noi Restiamo”. Siamo ormai arrivati alla settima puntata. È la volta di un’economista inglese, Simon Mohun. Mohun è professore emerito di economia politica presso l’Università Queen Mary di Londra. Di tradizione marxista, influenzato dal lavoro di Duncan Foley, Dumenil e Levy, Mohun ha concentrato la sua ricerca sulla misura, la descrizione e la spiegazione dei trend del profitto aggregato nelle economie capitaliste sviluppate. Ha pubblicato su varie riviste accademiche, fra cui il Cambridge Journal of Economics e Metroeconomica. Ha curato il libro “Debates in value theory” (1994, Macmillan).
Domanda: L’emergere della crisi ha confermato la visione di alcuni economisti eterodossi secondo la quale il capitalismo tende strutturalmente ad entrare in crisi. Tuttavia, le visioni sulle cause del disastro attuale divergono. Una posizione piuttosto diffusa (appoggiata ad esempio dai teorici della rivista “Monthly Review”) è quella che attribuisce la crisi al seguente meccanismo: la controrivoluzione neoliberista ha portato ad un abbassamento della quota salari; per sostenere la domanda privata è stata quindi necessaria un’enorme estensione del credito e lo scoppio della bolla nel 2007 ha interrotto il meccanismo. Altri pensatori, come il marxista americano Andrew Kliman, ritengono invece che le cause della crisi non si possano trovare nella distribuzione dei redditi e che la depressione sia spiegabile tramite la caduta del saggio tendenziale di profitto, che è una visione tutta improntata sulla produzione. Lei cosa ne pensa?
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La Grecia, l’Europa e la necessità di una nuova politica economica continentale
Simone Casavecchia intervista Riccardo Bellofiore
Il caso Grecia dimostra ampiamente non solo il fallimento delle politiche economiche europee ma anche la necessità di nuovi interventi su scala continentale che valorizzino la spesa pubblica come strumento per una nuova crescita: l'analisi del prof. Riccardo Bellofiore
Il negoziato tra i rappresentanti del nuovo governo greco e l’Eurogruppo che vede iniziare oggi, a Bruxelles, il suo secondo round, potrebbe aprire la strada a un accordo sul salvataggio della Grecia o determinarne il collasso nel giro di poche settimane. Si tratta di una trattativa cruciale non solo per il futuro della Grecia ma anche per l’Europa dal momento che potrebbe rivelarsi un’occasione privilegiata per acquisire una nuova consapevolezza sulla mancata efficacia delle politiche economiche di austerità finora attuate nel vecchio continente.
Mentre la Germania manifesta ossessivamente il suo spirito luterano nessuno dei politici europei riconosce, infatti, quelli che ormai sono due dati innegabili: l’inesigibilità del debito pubblico greco e il bisogno di nuove politiche economiche su scala europea che, facendo leva sull’aumento della spesa pubblica e dei salari, consentano una reale rinascita della fiducia nei cittadini e una ripresa della domanda.
Ne è convinto il prof. Riccardo Bellofiore, Ordinario di Economia Politica, presso il Dipartimento di Scienze Economiche “Hyman P. Minsky” dell’Università degli Studi di Bergamo, studioso della teoria marxiana e attento conoscitore delle dinamiche economiche della globalizzazione, che in questa intervista spiega a Forexinfo.it quali sono le possibili via d’uscita della crisi ellenica e perché il caso Grecia può essere considerato una cartina di tornasole della crisi europea per la quale occorrono strumenti economici inediti.
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