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Il potere alienato dalla folla

di  Toni Negri

La raccolta di saggi «Il comunismo del capitale» di Christian Marazzi ripercorre le trasformazione del capitalismo contemporaneo dove la finanza è diventata strumento di governo dello sviluppo economico. La dismissione del welfare state e la precarietà dei rapporti di lavoro risultano, così, due momenti della appropriazione privata del «comune». Il libro dell'economista di origine svizzera non si limita, però, a una rassegna dei cambiamenti avvenuti, ma si pone l'obiettivo di fornire strumenti per la trasformazione

Sono stati scritti in un decennio, questi saggi di Christian Marazzi raccolti nel volume Il comunismo del capitale (Ombre corte, pp. 160, euro 23). Hanno il buon sapore che si sentiva nel bel volume che ha reso questo economista di origine svizzere abbastanza noto in Europa e negli Usa: Il posto dei calzini (pubblicato dalla casa editrice Casagrande nella Svizzera italiana e ripreso poi da Bollati Boringhieri). Lì, per la prima volta, il postindustriale era coniugato con la sovversione femminista ed il postmoderno trovava non una voce debole o molle per dichiararsi (come ci avevano abituato i suoi fondatori) ma mostrava i muscoli della rivoluzione sociale.

Leggo qui con voi le prime due parti di questo libro: la prima, «Biocapitalismo e finanziarizzazione» e la seconda, «Il lavoro nel linguaggio». Parto da una questione posta da Marazzi che sembra, a prima vista, bizzarra e mi chiedo con lui: perché i manager sono spesso dislessici? Perché - risponde Christian -se la difficoltà di focalizzare e decodificare i fonemi sviluppa nei dislessici, in generale, la capacità di vedere o percepire molto rapidamente il quadro d'assieme, il contesto nel quale si trovano ad operare i manager trasforma la condizione dislettica nella facoltà di alterare e creare percezioni, organizza un'estrema consapevolezza dell'ambiente nel quale sono immersi. Pensiero ed intuito si applicano insieme su scene multi-dimensionali e qui esprimono potenza e creatività.

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Precarietà operaia: leva decisiva per l'affossamento del capitalismo?

di Karlo Raveli

La ricetta liberista di precarizzazione massiccia e crescente, per di più nella logica dell'economia transnazionale della conoscenza, è lo sbocco politico principale della classe oligarchica per rompere tutte le possibili egemonie, passate e future, di settori lavoratori più stabili della classe.

Dal lavoratore professionale – egemone da Marx a Luxemburg – al lavoratore-massa fordista, e passando poi per l'impiegato toyotista, il liberismo ha registrato molto bene questa necessità di scomposizione permanente della classe antagonista per sviluppare il suo dominio.

Ma non la pseudo-classe lavoratrice, bensì La classe: operaia.

La primitiva lettura marxista del lavoratore professionale (accompagnato dalla comparse di un esercito 'industriale' di riserva) come equivalente determinante della classe – da cui sorge la confusione o sinonimicità dei due termini, operaio e lavoratore, è la peggior zavorra ideologica che trasciniamo da ben oltre un secolo.

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Operai della conoscenza

Sergio Bologna

Milano centro, zona Missori, filiale italiana di una multinazionale del fashion. Ci lavora da quattro mesi, dalle 9 alle 18 (ma in genere la gente si ferma un’ora in più) e piace a Luca quel lavoro, 26 anni, laurea specialistica con lode. Non ha voluto fare il dottorato né prendere una borsa per l’Olanda, una terza lingua straniera da imparare gli pareva troppo, in fin dei conti il suo inglese è migliore dell’italiano del capo. Non gli hanno dato una lira e per altri due mesi sarà così, il suo è uno stage, un tirocinio semestrale gratuito, nemmeno un ticket ristorante. Ma l’altro giorno la vice del capo lo chiama e gli fa capire che «piace» alla ditta e alla fine dei sei mesi chissà che non gli venga proposta un’assunzione. A termine, ovviamente. Se tutto va bene e lui ci sta, saranno cinquecento euro al mese per un anno, ma poi magari «salta fuori un indeterminato».

Nel 2009 il 13% dei laureati nelle diverse università lombarde che sono entrati nel mondo del lavoro hanno dovuto passare per la porta stretta dei tirocini gratuiti. Una volta, dopo il tirocinio, c’era «il tempo determinato», oggi nella maggior parte dei casi c’è un altro tirocinio. Fino a ieri si pagava sui settecento/ottocento euro un contratto a termine a tempo pieno, oggi siamo arrivati a cinquecento. Almeno così è nel mondo della cosiddetta «creatività».

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Lavorare senza saperlo: il capolavoro del capitale

Carlo Formenti

Nel 1961 nasce «Quaderni Rossi», una rivista destinata ad agitare le acque stagnanti del marxismo italiano, impelagato in una stucchevole ortodossia teorica (cui faceva da paradossale controcanto il pragmatismo «revisionista» del Pci). Vi scrivono autori come Mario Tronti, Raniero Panzieri, Vittorio Rieser e Antonio Negri, i quali propongono un'inedita reinterpretazione delle pagine più «visionarie» di Marx: il ciclo capitalistico non è governato dalle leggi «oggettive» dell'economia ma rispecchia il continuo sforzo di «adattamento» del capitale ai comportamenti soggettivi del lavoro. Il contributo fondamentale di questa eresia «operaista» (come verrà battezzata) consiste nell'avere recuperato il punto di vista della «critica dell'economia politica», vale a dire dell'unica prospettiva in grado di smascherare la natura ideologica della «scienza» economica, mettendo in luce i rapporti di forza fra le classi sociali che si celano dietro le sue presunte verità oggettive.

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controlacrisi

Sulla coscienza di classe nell'attuale fase del capitalismo

di Vittorio Rieser

1. Il problema e alcune risposte ideologiche

Che in questo momento la coscienza di classe del proletariato non sia particolarmente brillante ed antagonistica, è un dato del senso comune. Il problema è: per quali ragioni? Dalla risposta a questo interrogativo derivano anche previsioni e possibili indicazioni di azione.

Partiamo, estremizzandoli, da due possibili (e “classici”, perchè si sono periodicamente riproposti) “poli di risposta”:

  - l’offuscamento della coscienza di classe è dovuto al fatto che le organizzazioni del movimento operaio hanno abbandonato una prospettiva di classe (è la classica ipotesi del complotto-tradimento);

- l’offuscamento della coscienza di classe è la conseguenza inevitabile dei mutamenti strutturali (e non solo strutturali) del capitalismo: che fan sì (a seconda delle interpretazioni) che “la classe non c’è più” o “si è integrata nel sistema” o “si è atomizzata” (e via sproloquiando).

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infoaut

Difficile transizione...

di Raffaele Sciortino

Il dibattito si è oramai spinto al di là del “caso” italiano toccando un problema più generale: come situarsi nel presente in relazione a un percorso storico di cui si è smarrito quasi il senso o, comunque, dagli esiti apparentemente capovolti rispetto alle premesse. Sottesa alla tesi della dittatura dell’ignoranza è una periodizzazione(1) del post-‘68 come regressione complessiva, dal livello socio-politico a quello antropologico. Senza qui indulgere a false visioni “progressiste”, il problema di quella tesi è che rischia di dare per perso un sapere (e non solo) che non è mai esistito nelle forme che si rimpiangono. Piero Bevilacqua e Mario Pezzella approssimano invece la questione cruciale: la capacità del neoliberismo di presentarsi ed essere accolto come messaggio di liberazione - risucchiando lo strumento principe del movimento operaio: il partito di massa -  e, contestualmente, la capacità del potere di creare un ampio consenso riprendendo e deformando spinte non sue di trasformazione radicale(2).

Lavoro su questa traccia ma utilizzo altri strumenti. Procedo per punti cercando di non farla troppo lunga; e scontando una visuale eurocentrica. Il nodo è, in estrema sintesi, da rintracciare nelle trasformazioni degli stessi soggetti sociali “antagonisti” in rapporto di lotta/spinta/sussunzione con le trasformazioni del capitalismo sulla via del suo farsi globale.

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La rottamazione dell'intelligenza

Franco Berardi Bifo

Non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista era stata anticipata da Michel Foucault: nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus. L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente.

«Tutti devono sapere» è lo slogan di una campagna di informazione e denuncia sulla riforma Gelmini che partirà a metà del mese di maggio nelle scuole di Bologna. Tutti devono sapere che in Italia si è avviato un processo di smantellamento del sistema di produzione e trasmissione del sapere, destinato a produrre effetti devastanti sulla vita sociale dei prossimi decenni.

Taglio di otto miliardi di finanziamenti per la scuola pubblica mentre il finanziamento alle scuole private viene triplicato. Gli effetti di questo intervento sono semplicissimi da prevedere.

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Lavoro autonomo in crescita anche se colpito dalla crisi

di Sergio Bologna

Nella costellazione della precarietà, il lavoro autonomo non gode certo di buona salute, anche se è spesso il modo per evitare una disoccupazione di lunga durata. In assenza di politiche del lavoro, la sua unica possibilità per sopravvivere ai colpi della crisi è riappropriarsi delle risorse destinante alla formazione

Nella provincia di Milano, la più ricca d’Italia (in termini di valore prodotto, non di reddito pro capite), secondo alcune statistiche recenti, riguardanti il primo semestre 2009, le assunzioni a termine avevano toccato punte dell’80%, portando l’incidenza di questa forma contrattuale al 56% dell’occupazione totale dipendente. Se a questo si aggiunge un 12% tra lavoro interinale e intermittente, risulta che nelle nuove assunzioni i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato stanno sotto la soglia del 30%, ma di questi un quarto circa ha un contratto part time. Aggiungiamo le collaborazioni occasionali, cresciute del 30% nello stesso periodo, e mettiamoci su il dato impressionante che il 38,9% degli assunti a tempo indeterminato dopo 18 mesi ha cambiato lavoro – ed avremo un’idea, parziale ma non distorta, di quanto siamo diventati «flessibili». La precarietà, condizione tipica del lavoro autonomo e parasubordinato, si sta estendendo a macchia d’olio a tutti i rapporti di lavoro, quindi deve essere assunta come il punto di partenza di qualunque discorso sulla condizione umana oggi.

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La nuova generazione

di Andrea Fumagalli

Terziario avanzato e lavoro autonomo

Che il mercato del lavoro sia in ebollizione è cosa nota. Non siamo più nei tempi in cui la stabilità del lavoro rappresentava una delle poche certezze della vita. Tuttavia, l’implosione della fabbrica fordista, con il suo carico di gerarchia, comando, subordinazione e alienazione, non ha liberato potenzialità e opportunità di vita migliori. Anzi. Venendo meno la differenza tra tempo di vita e tempo di lavoro, più che liberare la vita, ha fatto sì che essa sia stata sempre più sottomessa al ricatto del lavoro.

Tutto è cominciato alla fine degli anni Settanta, quando le prime strategie di delocalizzazione (outsourcing) e di snellimento della grande fabbrica (downsizing) hanno scomposto l’organizzazione rigida dei siti industriali, prevalentemente situati nel nord-ovest del paese. Nuove filiere produttive si sono evolute in direzione est e sud-est. L’asse pedemontano che da Milano arriva a Trieste, passando per Bergamo Brescia, Verona, Treviso, Udine è diventato uno dei centri della produzione manifatturiera italiana. Parimenti, lungo la via Emilia, verso Bologna e lungo la dorsale adriatica, si è espanso un modello di industrializzazione diffusa, eminentemente metalmeccanico, specializzato nei rapporti di subfornitura con le grandi imprese internazionali.

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Manuel Castells

di Benedetto Vecchi

Intervista con il teorico spagnolo che ha studiato l'«Età dell'informazione». I tentativi di mettere sotto controllo Internet e i mezzi di informazione derivano dal fatto che i conflitti politici volti a definire i rapporti di forza nella società sono diventati sempre più conflitti mediatici

Manuel Castells è uno studioso tanto rigoroso, quanto riottoso a concedere interviste. Preferisce che le sue analisi e riflessioni possono essere ponderate da chi le legge e che vengano misurate sulla «lunga durata» dei fenomeni che studia. La sua trilogia sull'Era dell'informazione (Università Bocconi editore) ha avuto una lunga gestazione - dieci anni - e Castells si è sempre sottratto a chi gli chiedeva se fosse una analisi sul capitalismo digitale, perché ritiene che il «cambio di paradigma» che ha cercato di delineare non riguardava un tipo particolare di società, bensì la concezione stessa di società. Al punto che il terzo volume era interamente dedicato a quelle realtà - la Russia post-sovietica e la Cina post-maoista - che lo studioso catalano ha sempre considerato né socialiste, né capitaliste.

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ernesto testata online2

La classe operaia ed il "blocco dei produttori" berlusconiano-leghista

Chi ha rapito Cipputi?

di Domenico Moro

lega1. La fase post elettorale, di solito, è orfana di sconfitti e figlia di molti vincitori. Nelle elezioni europee 2009 ci sono, però, due sconfitti evidenti. Uno è il Pd, ma questo era nelle aspettative. L’altro era meno prevedibile. Si tratta del Pdl e del suo padrone, Silvio Berlusconi.

 

PD e PDL sconfitti nelle elezioni europee

Confrontando i voti assoluti delle europee del 2009 con le politiche del 2008, se il Pd, dato quasi per spacciato e sulla via della spaccatura interna, perde il 28% (includendoni voti dei radicali, che nel 2008 si erano presentati nella stessa lista), pari a 3,3 milioni di voti, il Pdl non va molto meglio, perdendo il 21%, equivalente a 2,8 milioni di voti.

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economiaepolitica

Dove ci porta l’economia della conoscenza?

Carlo Formenti*

prova home6Se si analizza attentamente la produzione teorica degli ultimi dieci anni in  merito alle trasformazioni che la rivoluzione digitale ha indotto nei meccanismi di funzionamento dell’economia capitalistica, sorgono tre interrogativi di fondo : 1) esistono effettivamente (e, se esistono, quali sono) elementi di assoluta novità nell’attuale fase del capitalismo, caratterizzata dall’uso intensivo delle tecnologie di rete?; 2) Quali sono le contraddizioni strategiche (e i relativi conflitti sociali) innescate da tali novità?; 3) perché i riferimenti al pensiero di Marx e Polanyi sono scarsi (se non assenti) nel dibattito teorico sulla cosiddetta “nuova economia”? Rispondere all’ultima domanda sembrerebbe il compito più agevole: i due autori appena citati sono quasi spariti dalla discussione scientifica in quanto vengono considerati “datati” e/o “politicamente scorretti” (nel caso di Polanyi vale il primo motivo, per Marx entrambi).

Personalmente, suggerisco una risposta meno scontata: Marx e Polanyi vengono ignorati perché, nell’analisi del capitalismo, utilizzano concetti che “sporgono” dall’ambito economico, invadendo i territori della sociologia, della politica e dell’antropologia, concetti che, proprio a causa di tale approccio “trasversale”, mettono in crisi il punto di vista che attribuisce carattere di novità assoluta alle forme che il capitalismo viene assumendo nell’era digitale.  Proverò ora a chiarire i motivi per cui sono convinto della necessità di abbandonare questa ideologia “nuovista” che ispira (quasi) tutte le analisi teoriche della società attuale.

Tornando alla produzione teorica sull’economia dell’era digitale, una prima considerazione da fare è che molte delle definizioni dell’attuale fase del capitalismo – mi limito qui a ricordarne tre:

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nazione indiana

La 133 viene ritirata? La vostra condizione non cambia

E’ questa condizione che dovete cambiare

di Sergio Bologna

Nello spirito del ’68 – senza nostalgie nè tormentoni (dopo un incontro all’Università di Siena, organizzato dal Centro ‘Franco Fortini’ nella Facoltà di Lettere occupata, il 6 novembre 2008)

State vivendo un’esperienza eccezionale, l’esperienza di una crisi economica che nemmeno i vostri genitori e forse nemmeno i vostri nonni hanno mai conosciuto. Un’esperienza dura, drammatica, dovete cercare di approfittarne, di cavarne insegnamenti che vi consentano di non restarvi schiacciati, travolti. Non avete chi ve ne può parlare con cognizione diretta, i vostri docenti stessi la crisi precedente, quella del 1929, l’hanno studiata sui libri, come si studia la storia della Rivoluzione Francese o della Prima Guerra Mondiale.

Ho letto che l’Ufficio di statistica del lavoro degli Stati Uniti prevede che nel 2009 un quarto dei lavoratori americani perderà il posto.

Qui da noi tira ancora un’aria da “tutto va ben, madama la marchesa”, si parla di recessione, sì, ma con un orizzonte temporale limitato, nel 2010 dovrebbe già andar meglio e la ripresa del prossimo ciclo iniziare. Spero che sia così, ma mi fido poco delle loro prognosi. (dopo un incontro all’Università di Siena, organizzato dal Centro ‘Franco Fortini’ nella Facoltà di Lettere occupata, il 6 novembre 2008).

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materiali resistenti

Una storia impossibile: Gli Autonomi I, II e III. Aspettando il IV volume...

di Marcello Tarì

E parlavano di lui, scrivevano di lui / lo facevano più bamba che bambino / e parlavano di lui, scrivevano di lui / sì ma lui rimane sempre clandestino.
Gianfranco Manfredi, Dagli Appennini alle bande

Vi è un trito luogo comune delle scienze storico-antropologiche in cui si sostiene che solo una volta messe a distanza (in senso temporale o spaziale, innanzitutto, ma anche soggettivamente) si è in grado di indagare le vicende umane, ovvero riproducendole in quanto altro da noi. La Storia, indubbiamente, è uno dei più potenti dispositivi di produzione dell'alterità, nella sua capacità di separare ciò che è stato da ciò che è proiettandolo in un altro tempo, in un altro spazio, in un altro mondo. Ma l'alterità è una finzione, un trucco epistemologico tramite il quale lo storico e l'antropologo occidentale hanno provato nella modernità a collocare nello spazio dei saperi dominanti ciò che era ai margini dello sviluppo, ai bordi della norma, fuori dalla governabilità. In realtà non c'è mai nessun altro così come non vi è identità, se non in quanto produzioni di una epistemologia che nel moderno è stata quella del capitale armato. Tutte le lotte e i conflitti che hanno attraversato la modernità sono stati in questo senso altrettanti squarci inferti a quel sistema dei saperi; almeno questo lo si è capito, da una parte e dall'altra. Gli Autonomi e le Autonome hanno rivendicato la possibilità di non essere più l'Altro del/nel potere, l'Altro del/nel capitale, l'Altro della/nella società, bensì una densa, presente, possibilità di vita dislocata nel fuori di ogni dentro. Comunismo ora, qui: adesso o mai più. E se proprio un Altro doveva esserci, ebbene che lo fosse il padrone.

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manifesto

Politica al lavoro

 Mario Tronti

I lavoratori tra globalizzazione e territorializzazione. E la loro cancellazione come soggetto politico. Un convegno a Brescia, per riprendere l'inchiesta. Il 3 ottobre, organizzato da Crs, Associazione per il rinnovamento della sinistra e il manifesto

Appuntamento a Brescia, il 3 ottobre. Ne ha parlato già Paolo Ciofi sul manifesto del 18 settembre. Prende l'avvio il progetto di un impegno di ricerca di tipo nuovo. Il tema è: lavoro e politica. Sì, perché è una novità occuparsene. Questo dice molto della condizione in cui siamo. Quello che fino a qualche tempo fa era una vecchia convinzione è oggi una constatazione del tutto nuova: e cioè che o i lavoratori sono una forza politica o non esistono. E l'inesistenza politica dei lavoratori è il problema della sinistra certo, ma è anche il problema della società e dello Stato, è il tema vero della crisi di civiltà. Se non mettiamo la cosa così, non riusciamo a trovare la bussola che cerchiamo per orientarci nel mare aperto del capitalismo-mondo di nuovo in subbuglio per affari tutti suoi. E' questo che fa male oggi a vedere: che l'avversario di classe non se la passa bene e non riesce a far star bene la gran parte dei suoi subalterni, e tuttavia i suoi problemi sono tutti relativi ai rapporti tra le sue parti interne. In fondo anche la forza-lavoro era parte interna del capitale, ma quando smetteva i panni di produttrice di plusvalore e assumeva la veste di realizzatrice di valore politico, minacciava, come si diceva, l'ordine costituito e accennava a qualcosa d'altro e di oltre. Adesso invece le contraddizioni capitalistiche sono sempre e solo rese di conti tra pezzi delle forze dominanti, finanziarizzazione contro economia reale, liberalizzazione versus regolazione e viceversa, mercato e/o Stato, distribuzione mondiale delle risorse energetiche e quindi pezzi di mondo contro altri pezzi di mondo, dentro però un pensiero unico di rapporti sociali: comandano i padroni, privati o pubblici, e i lavoratori eseguono. Riportare il tema lavoro al centro dell'agenda politica.