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L’accumulazione è precaria?

A cura di Andrea Fumagalli*

123216509 ce47ff64 cd25 4efa bda8 ded36f8ddf7a thIl meccanismo di accumulazione e produzione di ricchezza di oggi si basa sempre più sulla produzione a rete, sia diffusa sul territorio (esterna), che nei singoli luoghi di lavoro (interna). Una produzione reticolare che, a differenza del taylorismo, non viene mediata esclusivamente dalla macchina, ma richiede anche coordinamento e cooperazione umana.
Non si tratta cioè di una produzione rigidamente meccanica, ma “umanamene e linguistamente flessibile”.

Alcuni esempi: il funzionamento e organizzazione di un supermercato nel ciclo di produzione che va dal trasporto merci, ordini di subfornitura, scaffalatura, e servizi di vendita diretta al cliente (banco e casse). Oppure, l‘organizzazione di una rete di trasporto o, ancora, il funzionamento di una redazione giornalistica. Lo stesso funzionamento dei servizi di terra di un aeroporto richiede coordinamento flessibile (non meccanico né automatico) tra le varie fasi. Lo stesso dicasi per la strutturatemporale di un call-center e le varie specializzazione di risposta (tasto 1, 2, 3, 4, 5 ecc. a seconda del tipo di richiesta).

Nel lavoro di cura, poi, la struttura a rete diventa struttura relazionale.

Il primo risultato che consegue da queste nuove modalità organizzative è che scompare una figura lavoratrice egemone, ma piuttosto si mettono a sfruttamento differenti soggettività del lavoro. Sono proprio queste differenze, rese molecolari e individuali, spesso fra loro artificialmente messe in contrapposizione, a consentire la produzione di ricchezza. Tra queste, i fenomeni più importanti del mondo del lavoro oggi sono costituiti dalla diffusione del lavoro migrante e dal processo di femminilizzazione del lavoro.

Il lavoro migrante oggi è il paradigma di riferimento centrale per la condizione lavorativa. In esso, si concentrano tutte le contraddizioni del presente:

La commistione tra lavoro e vita è totale, sino al punto che l’esistenza (la visibilità) dei migranti viene riconosciuta solo in modo subordinato alla condizione lavorativa. Per i migranti non si tratta di svolgere un lavoro subordinato, ma di vivere una “vita subordinata”.

Viene cioè invalidato il principio sancito almeno formalmente dalla Rivoluzione Francese, secondo il quale un individuo è prima cittadino e poi lavoratore.

A chi si sottrae o non può accedere a questo subordinazione della vita al lavoro, non solo viene negato lo status di cittadinanza ma viene negata anche la libertà di movimento (Schengen e Cpt).

Ne consegue che il lavoro migrante è soggetto a totale disciplina e discrezionalità padronale. E, in quanto tale, è intrinsecamente e strutturalmente “precario”. Il lavoro migrante è il paradigma assoluto della condizione di precarietà lavorativa e esistenziale.

· Da questo punto di vista, nell’ambito della condizione di precarietà, la precarietà migrante assume una centralità politica (seppur non sociale).
· Per il lavoro migrante, la lotta contro la precarietà è quindi lotta congiunta contro la precarietà dei diritti di cittadinanza, contro la precarietà esistenziale, contro la precarietà del lavoro.

Il processo di femminilizzazione del lavoro, invece, evidenzia il forte ingresso nel lavoro delle donne della nuova generazione soprattutto nelle attività terziarie, esisto anche dello smantellamento della produzione materiale-industriale a vantaggio di prestazioni lavorative a maggior contenuto cognitivo.

In tale contesto, si attua un processo ambiguo, non scevro di contraddizione.

Da un lato, rimangono più o meno inalterate le disparità di trattamento rispetto al lavoro maschile, dall’altro, tale processo viene visto da alcune componenti del pensiero femminista come un processo di emancipazione (fine del patriarcato??).

Nella realtà tuttavia, la maggior presenza di donne al lavoro, soprattutto giovani, tende ad incrementare il tasso di precarietà. Aumenta dunque la presenza femminile nel mondo del lavoro, ma aumenta anche la condizione di precarietà femminile e assoluta (le donne sono infatti più precarie degli uomini).

Uno sguardo particolare dovrebbe poi essere dato alla figura del lavoro femminile-migrante, la cui presenza soprattutto nel lavoro di cura è oramai alquanto diffuso. Condizioni in cui gli elementi di negatività e sfruttamento connessi all’essere migrante e all’essere donna tendono a sommarsi.

Altri aspetti relativi al processo di accumulazione che si basa sulla condizione di precarietà riguardano i cambiamenti che hanno interessato sia il che cosa si produce che il come si produce.

Vi sono oggi delle differenze strutturali che fanno si che il lavoro di oggi non sia assimilabile a quello dell’operaio massa delle fabbriche, anche quando si tratta di lavoro manuale.

La prima differenza è che la gerarchia e il comando sul lavoro (oggi anche più forte di ieri) non dipende da un mezzo meccanico (la catena di montaggio con i suoi tempi), ovvero non è demandata ad un elemento fisico, ma dipende in massima parte dalla relazione umana.

La seconda differenza è che nella prestazione lavorativa viene chiesto al lavoratore/trice di metterci del suo: non è più semplice appendice subordinata dalla macchina, ma vi è la necessità di un suo coinvolgimento emozionale (sia che serva un cliente, che risponda al telefono, che guidi un muletto (attenzione non ripetitiva), che scriva un testo, che curi una persona , ecc....).

In altre parole: l’organizzazione della produzione oggi richiede allo stesso tempo cooperazione e gerarchia. Potrebbe trattarsi di una contraddizione in termini, ma in realtà non lo è. Si tratta piuttosto di un equilibrio molto precario.

Occorre far sì che i lavoratori cooperino fra loro all’interno di un quadro gerarchico preciso e dato. Il meccanismo che fa sì che la contraddizione tra necessità di cooperazione e comando gerarchico non esploda è che la cooperazione è sociale mentre la gerarchia è individualizzata. Ed è proprio la condizione di precarietà che consente tutto ciò.

In uno schema: produzione e cooperazione sociale versus individualizzazione del rapporto di lavoro e gerarchia.

È su questa coppia dialettica che si sviluppa la produzione di ricchezza, si attua l’accumulazione, si registra il processo di sfruttamento del capitalismo contemporaneo e si consumano le nuove forme di alienazione. È qui che si definisce il nuovo rapporto capitale - lavoro nelle sue manifestazioni reali. Da un lato la richiesta di partecipazione, relazione e comunione degli intenti produttivi dell’impresa, dall’altro la precarietà dei rapporti individuali, l’inquietitudine, l’incertezza e la frustrazione psicologica ed esistenziale che ne deriva (precarietà).

Se guardiamo tutto ciò dal lato del consumo, abbiamo l’analoga contraddizione: consenso versus ricatto.

A mio parere, è su questi aspetti che dobbiamo analizzare l’accumulazione precaria, magari declinando esempi reali sulla base di casi concreti che abbiano al centro alcune esemplificazione del lavoro migrante, del lavoro femminile, delle nuove forme del lavoro manuale e la devalorizzazione crescente del lavoro cognitivo.

Per organizzare un momento di discussione e riflessione all’interno del processo della long-long MayDay.
 

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