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orizzonte48

De Grawe e la "concessione" del liberal-global order ("un errore nel sistema")

di Quarantotto

1. Accadono strani fenomeni.

In apparenza.

E per comprendere questa apparenza, ragioniamoci un po' su.

Un indicatore del "variare" di questa apparenza, può essere la posizione che assume Paul De Grauwe, un economista certamente prestigioso e, probabilmente, il più accreditato e organico all'interno dell'ambiente istituzionale e scientifico-economico dell'Ue.

 

2. Soltanto tredici mesi fa, De Grauwe, chiamato ad esprimersi nel dibattito sull'euro apertosi nel mainstream mediatico italiano, aveva ammesso che la partecipazione all'euro della nostra Repubblica fosse stata un errore, che l'aggiustamento del costo del lavoro da operare per riconquistare la "competitività" fosse "doloroso" ma "anche inevitabile".

Tuttavia, al tempo, concludeva questa indicazione terapeutica con una diagnosi che addossava praticamente ogni responsabilità - di questo errore e di questa necessaria "sofferenza" (secondo una prognosi che aveva effettuato già Padoan dagli scranni dell'OCSE) - alla realtà antropologica e, di conseguenza istituzionale, italiana (sempre qui, p.5):

L’inevitabile conclusione è che l’Italia non funziona bene in un’unione monetaria. Le sue istituzioni politiche la rendono inadatta all’Eurozona. Se queste istituzioni politiche non cambieranno radicalmente, l’Italia sarà costretta a lasciare la moneta unica: non può rimanere ferma a guardare il suo tessuto economico che continua a deteriorarsi.

Prima dell’arrivo dell’euro, quando l’Italia aveva una propria moneta, capitava spesso che perdesse competitività a causa dell’inflazione, ma riusciva sempre a ripristinarla attraverso le svalutazioni. Questo aveva creato un modello economico con frequenti crisi valutarie e inflazione alta. Non era un granché, ma almeno era coerente con la debolezza delle istituzioni politiche. In assenza di istituzioni politiche più forti, l’Italia dovrà prepararsi a un’uscita dall’euro nel prossimo futuro.

2.1. Quindi tredici mesi fa, per De Grauwe, l'Italia doveva fare le riforme istituzionali per mantenere il privilegio di rimanere nell'eurozona: e questa profonda revisione di ordine costituzionale, come ben sappiamo, perseguiva l'obiettivo di meglio consentire le "riforme strutturali". La quali, poi, altro non sono che l'aggiustamento, per via di austerità fiscale, del costo del lavoro.

 

3. E veniamo all'oggi.

De Grauwe muta non secondariamente la sua analisi. E, per di più, la evolve non nella sede dei media italiani, bensì in un'intervista, significativamente, ad una testata tedesca.

Il passaggio saliente dell'intervista rivede profondamente l'attribuzione delle "responsabilità", imputate ai meccanismi istituzionali dell'euro in sè, - come d'altra parte era di comune dominio (presso la comunità scientifica più prestigiosa) fin dalla sua immutata progettazione iniziale nel rapporto Werner - e non unicamente all'un-fitness antropologico-istituzionale italiana.

 

4. Lo spunto lo fornisce l'esito elettoral-governativo delle ultime elezioni italiane:

"È il risultato delle difficoltà di ripresa dei paesi della periferia dell’Euro dopo la crisi finanziaria. Molti paesi hanno perso competitività. Per cercare di ristabilire un equilibrio economico hanno ridotto i prezzi e i salari al fine di essere competitivi, un meccanismo chiamato dagli economisti “svalutazione interna”. Si tratta di un processo molto doloroso, in cui ai paesi viene imposta l’austerità. La svalutazione interna ha intensificato la recessione, aumentato la disoccupazione e causato sofferenze a molte persone. Ci sono stati contraccolpi politici, in particolare in Italia.

Il paese ha decisamente esagerato nell’imporre misure di austerità.

Questo ha causato uno scontento diffuso, che i partiti politici hanno saputo incanalare. Una certa responsabilità di ciò ricade sui paesi del Nord Europa.

Questi paesi avrebbero potuto alleviare l’onere dell’Italia stimolando la propria economia. Invece essi stessi hanno adottato politiche di austerità. Questo ha creato fino a tempi recenti una tendenza deflazionistica nella zona euro. Tutti i costi sono ricaduti sui paesi in deficit, mentre i paesi creditori non erano disposti a condividere la loro parte. C’è un errore nel sistema."

 

5. Non andiamo oltre nel riportare il (neo)pensiero di De Grauwe nell'intervista: si tratta di sviluppi logico-economici e corollari a noi ben noti.

Quello che importa è che l'autorevole voce del nostro, ammetta che si è esagerato con l'austerità in Italia. E che l'aggiustamento è stato incongruamente, dal punto di vista politico-economico, asimmetrico (cioè non cooperativo, e quindi, dal punto di vista del nostro sistema costituzionale fondamentale, contrario all'art.11 Cost.). Questo asimmetrico, incongruo e a-cooperativo aggiustamento, peraltro, era del tutto prevedibile alla luce della struttura istituzionale e della composizione statuale, germanocentrica, dell'eurozona: sulla prima la "palma" della primogenitura, ci pare debba andare al compianto Winne Godley (v. qui, nella prefazione), mentre sulla seconda, non paradossalmente, allo stesso Prodi pre-svolta governativa (quale citato da Halevi, qui, p.5).

 

6. Ma la domanda è: supponendo che questa ammissione, oggi, risulti sostanzialmente copernicana, dopo una fase tolemaica di cui la massima espressione era questa affermazione di Draghi del 2013 "La Germania aiuta (!) al meglio l'euro col rafforzare la propria competitività" (e altre durissime constatazioni...controintuitive, in una mitica intervista a Der Spiegel), essa ha poi un senso politico? Vale a dire: è una qualche concessione che preluda ad un riassetto sensato, sul piano economico-scientifico e del perseguimento della pace e della giustizia tra le Nazioni?

 

7. C'è da dubitarne: ammissioni ufficiose, affidate a esponenti "dal volto umano" dell'establishment €uropeo-global trade, sono in realtà spesso utilizzate come sedativi (per il "populace") a momenti di destabilizzazione del sistema; in genere scaturenti dai deprecati effetti del suffragio universale nei singoli Stati-nazione (in coerenza con le reazioni già avute dall'establishment liberal-globa in occasione del Brexit-deliryum).

De Grauwe, in fondo, utilizza una tecnica di richiamo al buon senso in cui eccelle Wolff, con il quale, per dire, De Grauwe condivide la pubblicazione di articoli sul Financial Times.

Ma si tratta di un riposizionamento meramente verbale, che prospetta posizioni compromissorie che possono tranquillamente cadere nel nulla, non appena altri strumenti di pressione, di segno del tutto contrario, riducano le opinioni pubbliche a più miti consigli. Quest'ultima è la linea tedesca, come abbiamo visto: tutta spread, impliciti ricatti BCE sulla liquidità e "adesso vi daremo una lezione".

 

8. D'altra parte, questa duplice tecnica, - ammissioni ufficiose e comprensive di voci autorevoli dell'establishment sui media/ durezza negoziale e istituzionale senza alcun concreto arretramento -, appare utilizzata, prima di tutto nei confronti del fenomeno Trump.

Gli articoli di Wolf, sopra linkati, in definitiva, tendevano a raggiungere un "ragionevole compromesso", che la figura del Presidente attuale contiene in sè, e che peraltro, non è tutt'ora considerato accettabile da un liberal-global order sempre più in una posizione di irriducibile preferenza per qualche forma di "eliminazione" dell'avversario.

 

9. Ce ne fornisce la conferma questo articolo di Zerohedge, a firma di James George Jatras, tratto da The Strategic Culture Foundation, di cui consiglio la lettura completa, attesa la sua visione "panoramica" sui vari temi ricorrenti geo-politico-economici elencati minuziosamente; l'articolo trova il suo punto focale in questo passaggio, (dopo aver peraltro dedicato un paragrafetto proprio alla situazione italiana, testualmente intitolato Viva l'Italia!):

"Sarebbe inaccurato dire che (quelle perseguite da Trump, sul piano geo-politico, economico e commerciale, cioè nel por fine, tra l'altro, a una situazione in cui gli USA praticano unilateralmente il free-trade e i paesi presunti "amici" si dedicano al mercantilismo) possano definirsi "mosse" dello US government, del quale Trump ha solo un parziale controllo.

Con una struttura burocratica di governo - per non dire addirittura di coloro che sono stati nominati da lui stesso - che cerca di sabotarlo ad ogni passo, Trump pare ricorrere all'unico strumento a sua personale disposizione: disruption (cioè, la rottura degli schemi).

...

(la gente, specialmente della Rust Belt) ha votato per lui perché voleva un toro in un negozio di porcellane cinesi, una wrecking ball (palla di ferro per la demolizione), a bomba a mano umana, un grande “FU” (significato dell'acronimo...intuitivo) al sistema.

...

Con certezza, nessuno degli sviluppi sopra elencati delle iniziative di Trump è decisivo. Ma presi insieme puntano a una notevole confluenza di buoni auspici, almeno dal punto di vista di quelli che volevano scuotere, e persino infrangere, le comode convenienze che hanno guidato il cosiddetto“liberal global order.”

Ma quelli le cui carriere e i cui privilegi, ed in alcuni casi le cui libertà e le cui stesse vite, dipendono dalla perpetuazione di tale "ordine" non accetteranno con gentilezza questa "buona notte".

Costoro si stanno innervosendo.

Ciò significa, in particolare, gli elementi dei "servizi speciali" di US-UK, i Democratici e i GOP (Repubblicani) "mai insieme con Trump), i Trump-hating fake news media, e le non-entità burocratiche di Brussels (not only at the European Commission but at NATO headquarters).

...

Se qualcuno pensa che ci sia un qualche limite oltre il quale i nemici di Trump non si spingerebbero, ci riflettesse bene".

 

10. Ecco: un conflitto epocale è dunque già in corso.

L'epicentro (planetario) è il fenomeno di rifiuto popolare che ha innalzato l'onda di Trump.

Per lui, come per chi tentasse in Italia, in un'ulteriore vicenda che sta assumendo una crescente importanza non periferica, di riportare l'interesse nazionale democraticamente espresso al centro dell'azione politica, i nemici sono ben definiti; e, in entrambi i casi, quelli le cui carriere e i cui privilegi dipendono dalla perpetuazione dell'ordine globale liberale, lotteranno con ogni mezzo contro ogni tentativo di porvi fine, ridando senso alle democrazie fondate sulla sovranità popolare.

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